In tema di legittima difesa cd. domiciliare

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 29 aprile 2020, n. 13191.

Massima estrapolata:

In tema di legittima difesa cd. domiciliare, l’uso di un’arma, legittimamente detenuta, costituisce una reazione sempre proporzionata nei confronti di chi si sia illecitamente introdotto, o illecitamente si trattenga, all’interno del domicilio o dei luoghi a questo equiparati, a condizione che il pericolo di offesa sia attuale; che l’impiego dell’arma sia, in concreto, necessario a difendere l’incolumità, propria o altrui, ovvero i beni presenti in tali luoghi; che non siano praticabili condotte alternative lecite o meno lesive e che, con riferimento, in particolare, alle aggressioni a beni, ricorra altresì un pericolo di aggressione personale. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’inserimento dell’avverbio “sempre”, ad opera della legge 26 aprile 2019, n. 36, nell’art. 52, comma secondo, cod. pen. non ha il significato di porre una presunzione assoluta di proporzionalità della difesa armata all’offesa perpetrata nel domicilio o in luoghi equiparati, ma semplicemente di rafforzare la presunzione di proporzione già prevista dalla norma a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 13 febbraio 2006, n. 59).

Sentenza 29 aprile 2020, n. 13191

Data udienza 15 gennaio 2020

Tag – parola chiave: Tentato omicidio – Colpi di arma da fuoco – Dolo diretto – Legittima difesa – Eccesso colposo – Configurabilità – Condizioni – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TARDIO Angela – Presidente

Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere

Dott. LIUNI Teresa – Consigliere

Dott. MAGI Raffaello – Consigliere

Dott. ALIFFI Francesco – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/02/2019 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FRANCESCO ALIFFI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore DE MASELLIS Mariella, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore di (OMISSIS), avvocato (OMISSIS) del foro di SANTA MARIA CAPUA VETERE che ha concluso insistendo nei motivi del ricorso e chiedendone l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione emessa il 9 ottobre 2017 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nei confronti di (OMISSIS), imputato del delitto di tentato omicidio per avere esploso piu’ colpi di arma da fuoco all’indirizzo di (OMISSIS), colpendolo all’emitorace destro e cagionandogli lesioni che richiedevano un intervento chirurgico di urgenza salvavita.
Per l’effetto, al (OMISSIS) era stata inflitta la pena di anni quattro e mesi otto di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche in ragione della incensuratezza e della condotta collaborativa.
La vicenda, da cui era scaturito il ferimento della persona offesa, si era svolta, secondo quanto riferito dai giudici di merito, nel modo seguente.
Il (OMISSIS) era stato svegliato in piena notte dai rumori provenienti dalla sala giochi di cui era titolare, ubicata al piano terra dell’edificio della sua abitazione. Una volta attivatosi l’allarme sonoro, si era reso conto che qualcuno stava tentando di introdursi all’interno dei locali forzando la serranda; si era quindi, armato della pistola marca Browning, regolarmente detenuta, e si era affacciato al balcone da dove aveva iniziato ad esplodere piu’ colpi esattamente dodici, prima in aria, a scopo intimidatorio, e poi, gli ultimi nove, in direzione dei tre individui, che aveva intravisto muoversi tra la porta di ingresso ed un’autovettura parcheggiata poco piu’ avanti. Uno dei colpi aveva raggiunto, (OMISSIS), mentre si trovava in prossimita’ del veicolo non impedendogli, comunque, di salire a bordo e di allontanarsi insieme con i complici.
Quanto alla definizione giuridica della condotta del (OMISSIS), la Corte distrettuale aveva ritenuto corrette le conclusioni cui era pervenuto il Tribunale sulla sussistenza degli estremi, oggettivi e soggettivi, della fattispecie incriminatrice contestata.
Infatti, sul piano oggettivo, gli atti posti in essere dall’imputato erano stati valutati idonei e univocamente diretti a cagionare la morte della persona offesa, alla stregua di un giudizio ex ante ed in concreto, valorizzando elementi significativi quali la potenzialita’ dell’azione lesiva, desunta principalmente dalla sede corporea attinta, la micidialita’ dell’arma impiegata nonche’ la ripetizione dei colpi.
Sul piano soggettivo, il fatto che il (OMISSIS) avesse agito con dolo diretto ossia con la consapevole volonta’ di determinare l’evento morte di uno o piu’ bersagli presi di mira era stato desunto, in modo altrettanto corretto, dalle concrete modalita’ del fatto e, in particolare, dalla circostanza che lo stesso avesse esploso nove dei dodici colpi di arma esplosi in direzione dei soggetti che cercavano di introdursi nell’edificio e ad altezza d’uomo.
La Corte partenopea aveva condiviso anche la decisione di escludere l’operativita’ dell’esimente della legittima difesa, evidenziando come il (OMISSIS), non avesse agito in presenza di una situazione di pericolo attuale per la sua integrita’ e come non fosse possibile valutare in favore dell’imputato ne’ il pur prospettato eccesso colposo, considerata l’assenza dei presupposti della scriminante di cui all’articolo 52 c.p., ne’ una diversa e piu’ favorevole qualificazione giuridica in termini di tentato omicidio colposo, figura non prevista nel nostro ordinamento.
Quanto, infine, al riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 5), l’impugnata sentenza aveva sottolineato l’assenza di qualunque contributo della persona offesa, anche di carattere psichico, alla consumazione del fatto di reato; (OMISSIS) era disarmato e, intimorito dagli spari, si era dato immediatamente alla fuga.
2. Avverso la sentenza, (OMISSIS), per mezzo del difensore di fiducia avv. (OMISSIS), ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’esimente di cui all’articolo 52 c.p..
La Corte distrettuale, trascurando le plurime argomentazioni difensive a sostegno dell’operativita’ della legittima difesa, ha escluso la sussistenza del requisito della situazione di pericolo in corso sulla scorta di circostanze inesatte e fuorvianti, a cominciare dalla sua distanza tra il (OMISSIS) e i rapinatori durante l’esplosione dei colpi di arma da fuoco.
E’ circostanza del tutto irrilevante che egli si trovasse nel balcone del secondo piano e gli aggressori fossero, invece, davanti la porta dell’esercizio commerciale, posto al piano terra del medesimo edificio, ove si tenga presente che i locali presi d’assalto erano logisticamente collegati, senza soluzione di continuita’ attraverso una scala interna, con le abitazioni site ai piani superiori all’interno delle quali, al momento della tentata intrusione, si trovavano la moglie e le sue figlie, al secondo piano, e l’anziana madre, al primo piano.
La Corte di appello non ha considerato il crescendo della condotta criminosa dei rapinatori: nonostante l’esplosione dei primi colpi in aria, gli aggressori, incuranti, avevano continuato la condotta illecita intrapresa e, anzi, uno di loro aveva tentato di prendere un’arma, recandosi precipitosamente presso l’autovettura.
Non ha nemmeno adeguatamente valutato il contesto temporale in cui era avvenuto l’episodio, in piena notte e al buio, valorizzando, invece, un elemento del tutto inconferente come la mancanza di sangue sull’asfalto, spiegabile con la circostanza che era andato a segno solo l’ultimo colpo che aveva raggiunto la vittima immediatamente prima di salire a bordo dell’autovettura usata per la fuga.
Nonostante le chiare emergenze probatorie, specialmente le dichiarazioni da lui stesso rese, altamente credibili per la loro coerenza e costanza in tutte le fasi processuali, la sua condotta, in difformita’ dal consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi sull’articolo 52 c.p., non e’ stata ritenuta come l’unico intervento possibile, nelle condizioni date, per evitare che la rapina sfociasse in un evento ancora piu’ tragico anche nell’interesse dei rapinatori invitati attraverso svariarti spari nel vuoto a desistere dal loro agire.
Il (OMISSIS), come dimostrato dalla circostanza certa della esplosione dei colpi anche in direzione diversa da quella in cui si trovavano i rapinatori, non ha sparato con l’intento di uccidere, ma a caso, nel disperato tentativo di difendersi. In dette condizioni deve necessariamente operare la presunzione prevista dall’articolo 52 c.p., comma 2 in favore di colui che, come egli stesso nella specie, abbia utilizzato un’arma legittimamente detenuta nei confronti di persona che ha violato il domicilio ai sensi dell’articolo 614 c.p., commi 1 e 2.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione dell’articolo 55 c.p. e alla mancata qualificazione del fatto come omicidio colposo.
In conformita’ all’orientamento piu’ volte espresso dalla giurisprudenza di legittimita’ in materia di eccesso colposo in legittima difesa non puo’ disconoscersi, anche alla luce della ricostruzione dei fatti recepita dall’impugnata sentenza, che il (OMISSIS) nel momento in cui ha esploso i colpi in direzione degli aggressori abbia, quanto meno, ecceduto i limiti di proporzionalita’ della scriminante perche’ condizionato dalla situazione contingente caratterizzata da forte timore ed ansia.
Si tratta di una soluzione imposta dalla ultima novella legislativa che, modificando il testo dell’articolo 55 c.p., ha introdotto tra le cause di non punibilita’ il grave turbamento che ricorre, appunto, quando l’agente, come nel caso di specie, abbia commesso il reato per mero errore di valutazione della necessita’ di difendersi apprestando mezzi eccessivi in rapporto all’entita’ del pericolo.
2.3. Con il terzo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’attenuante di cui all’articolo 61 c.p., n. 5) e al trattamento sanzionatorio.
I giudici del merito hanno trascurato che la condotta tenuta dalla persona offesa al momento del compimento della rapina non solo era di carattere doloso, ma, soprattutto, che senza di essa l’imputato non avrebbe commesso la condotta illecita addebitatagli; non hanno, infine, giustificato la mancata irrogazione della pena nei limiti edittali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare quantomeno infondato sicche’ deve essere rigettato.
2. I primi due motivi che, ponendo questioni tra loro logicamente connesse in tema di legittima difesa e di eccesso colposo possono essere esaminati congiuntamente, sono privi di pregio.
3. L’articolo 52 c.p., comma 1, il cui testo e’ rimasto immodificato anche dopo i piu’ recenti interventi normativi, nel disciplinare la causa di giustificazione della legittima difesa, ne individua tre elementi costitutivi: il pericolo attuale di un’offesa ingiusta ad un diritto proprio o altrui, sinteticamente definito aggressione ingiusta; la necessita’ di reagire a scopo difensivo, detta anche difesa necessitata o reazione legittima, e, infine, la proporzione tra la difesa e l’offesa.
Secondo l’interpretazione costante della giurisprudenza di legittimita’, mentre l’aggressione ingiusta deve concretarsi nel pericolo attuale di un’offesa cosi’ concreta e imminente da sfociare, se non neutralizzata tempestivamente, nella lesione di un diritto (personale o patrimoniale) tutelato dalla legge, la reazione legittima implica l’inevitabilita’ del pericolo, tale da rendere priva di alternative l’aggressione quale rimedio per neutralizzare l’offesa, con conseguente impossibilita’ di attribuire rilevanza esimente ad ogni ipotesi di difesa preventiva o anticipata (ex plurimis, piu’ di recente Sez. 1, n. 51262 del 13/06/2017, Cali’, Rv. 272080).
Infine, con riferimento al requisito della proporzione tra offesa e difesa, e’ stato chiarito che esso viene meno in caso di conflitto fra beni eterogenei quando la consistenza dell’interesse leso sia molto piu’ rilevante, sul piano della gerarchia dei valori costituzionali, di quello difeso e il danno, inflitto con l’azione difensiva, abbia un’intensita’ e un’incidenza di gran lunga superiore a quella del danno minacciato (Sez. 1, n. 47117 del 26/11/2009, Carta, Rv. 245884, che ha escluso la proporzione tra offesa e difesa in una fattispecie nella quale si era verificata una colluttazione a mani nude di breve durata, seguita poi dall’uso del coltello da parte dell’aggredito, il quale aveva colpito l’aggressore ripetutamente mentre costui indietreggiava, sul rilievo che l’interesse leso -la vita della persona – fosse molto piu’ rilevante di quello difeso – l’integrita’ fisica -, ed il danno inflitto con l’azione difensiva -la morte dell’offensore – avesse un’intensita’ e un’incidenza di gran lunga superiore a quella del danno minacciato – lesioni personali, neppure gravi al momento dell’inizio dell’azione omicida -).
3.1. Quanto alla legittima difesa putativa, essa ricorre allorquando la situazione di pericolo non sussiste obiettivamente, ma e’ supposta dall’agente sulla base di un errore, scusabile o non, nell’apprezzamento dei fatti, determinato da una situazione obiettiva atta a far sorgere nel soggetto la convinzione di trovarsi in presenza del pericolo attuale di un’offesa ingiusta, di talche’, in mancanza di dati di fatto concreti, l’esimente putativa non puo’ ricondursi ad un criterio di carattere meramente soggettivo identificato dal solo timore o dal solo stato d’animo dell’agente (Sez. 1, n. 13370 del 05/03/2013, R., Rv. 255268; Sez. 4, n. 24084 del 28/02/2018, Perrone, Rv. 273401).
3.2. L’eccesso colposo in legittima difesa, previsto dal successivo articolo 55 c.p., sottintende i presupposti della scriminante con il superamento dei limiti a quest’ultima collegati, sicche’, per stabilire se nel fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa legittima, bisogna prima accertare la inadeguatezza della reazione difensiva, per l’eccesso nell’uso dei mezzi a disposizione dell’aggredito in un preciso contesto spazio-temporale e con valutazione ex ante, e occorre poi procedere ad un’ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema dell’eccesso colposo delineato dall’articolo 55 c.p., mentre il secondo consiste in una scelta volontaria, la quale comporta il superamento doloso degli schemi della scriminante.
Si tratta di una valutazione di carattere relativo, e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, dovendo egli esaminare, di volta in volta e in concreto, se la particolare situazione sia obiettivamente tale da far sorgere l’errore di trovarsi nelle condizioni di fatto che, se fossero realmente esistenti, escluderebbero l’antigiuridicita’ della condotta prevista dalla legge come reato, con la precisazione che, in una simile prospettiva interpretativa delle risultanze probatorie, la valutazione deve essere necessariamente estesa a tutte le circostanze che possano avere avuto effettiva influenza sull’erronea supposizione, dovendo tenersi conto, oltre che delle modalita’ del singolo episodio in se’ considerato, anche di tutti gli elementi fattuali che – pur essendo antecedenti all’azione – possano spiegare la condotta tenuta dai protagonisti della vicenda ed avere avuto concreta incidenza sulla insorgenza dell’erroneo convincimento di dover difendere se’ od altri da un’ingiusta aggressione (Sez. 1, n. 4456 del 17/02/2000, Tripodi, Rv. 215808).
4. La L. 13 febbraio 2006, n. 59, allo scopo dichiarato di rafforzare la difesa dei cittadini, ha ritenuto utile introdurre nell’ordinamento uno strumento di autotutela che superasse le incertezze interpretative esistenti in tema di legittima difesa; a tal fine si sono aggiunti all’articolo 52 c.p. i seguenti due commi:
– “Nei casi previsti dall’articolo 614, commi 1 e 2, sussiste il rapporto di proporzione di cui al comma 1 del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o la altrui incolumita’; b) i beni propri o altrui, quando non vi e’ desistenza e vi e’ pericolo d’aggressione”.
– “La disposizione di cui al comma 2 si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attivita’ commerciale, professionale o imprenditoriale”.
Si e’ in tal modo introdotta una presunzione di proporzionalita’ tra offesa e difesa quando sia configurabile la violazione di domicilio da parte dell’aggressore (casi previsti dall’articolo 614 c.p., commi 1 e 2), ossia l’effettiva introduzione di costui nel domicilio altrui, contro la volonta’ del soggetto legittimato ad escluderne la presenza, lasciando, pero’, ferma la necessita’ del concorso dei presupposti dell’attualita’ dell’offesa e della necessita’ o inevitabilita’ dell’uso delle armi come mezzo di difesa della propria o altrui incolumita’ (sul tema, Sez. 1, n. 50909 del 07/10/2014, Thekna, Rv. 261491; Sez. 1, n. 23221 del 27/05/2010, Grande, Rv. 247571).
Sia in ipotesi di legittima difesa obiettivamente sussistente sia in ipotesi di legittima difesa putativa incolpevole, l’uso dell’arma legittimamente detenuta e’ ritenuto proporzionato per legge, senza che sia necessario un apprezzamento discrezionale sul punto da parte del giudice, se finalizzato a difendere la propria o l’altrui incolumita’ ovvero i beni propri o altrui sempre che vi sia pericolo d’aggressione e la difesa sia necessitata.
Dopo le modifiche introdotte dalla L. n. 59 del 2006, non ogni pericolo che si concretizza nell’ambito del domicilio giustifica, quindi, la reazione difensiva.
La giurisprudenza di legittimita’, nel chiarire l’ambito applicativo della presunzione, ha precisato, ispirandosi ai canoni della interpretazione costituzionalmente orientata, che ad essa rimangono del tutto estranei gli altri requisiti strutturali della legittima difesa, sicche’ nel caso di aggressioni a beni patrimoniali rimane sempre necessario il contestuale pericolo attuale per l’incolumita’ fisica dell’aggredito (Sez. 1, n. 16677 del 8.3.2007, Grimoli, Rv. 236502,e Sez. I, n. 12466 del 21.2.2007, Sampino, Rv. 236217).
Detta condivisibile operazione ermeneutica, d’altra parte, e’ l’unica consentita dall’interpretazione sistematica del nuovo testo dell’articolo 52 c.p., il cui comma 1, rimasto invariato, continua a prevedere quali requisiti strutturali della legittima difesa il pericolo attuale di offesa ingiusta, da un lato, la costrizione e la necessita’ della difesa, dall’altro.
5. Ancor piu’ di recente al fine di garantire l’impunita’ a chi si difende nel domicilio, il legislatore, con la L. 28 aprile 2019, n. 36, ha esteso l’ambito di applicazione della legittima difesa con riguardo alle medesime situazioni ambientali (privato domicilio e ambienti equiparati) considerate dalla novella del 2006, sia inserendo nell’articolo 52 c.p., comma 2 l’avverbio “sempre” dopo la parola “sussiste” (nei casi considerati sussiste sempre il rapporto di proporzione), sia introducendo un nuovo comma 4: “Nei casi di cui al secondo e comma 3” – cioe’ negli stessi casi in cui e’ invocabile l’anzidetta presunzione di proporzione di cui al comma 2 (che il richiamato comma 3 estende ai luoghi equiparati al domicilio: esercizi commerciali ecc.) – “agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o piu’ persone”.
Ha, inoltre, ristretto l’ambito di punibilita’ per eccesso colposo, inserendo un nuovo comma nell’articolo 55: nel caso di difesa da aggressioni in luogo privato (articolo 52, commi 2, 3 e 4) “la punibilita’ e’ esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumita’ ha agito nelle condizioni di cui all’articolo 61, comma 1, n. 5″ – (cioe’ in condizioni di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa) – ” ovvero in stato di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto”.
5.1. Ritiene il Collegio che l’ultimo intervento legislativo, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata sovrapponibile a quella adottata dalla gia’ esaminata giurisprudenza di legittimita’ con riferimento alle modifiche introdotte nel 2006, non abbia introdotto, attraverso l’articolo 52 c.p., comma 4, una presunzione assoluta estesa a tutti i requisiti della legittima difesa cosi’ da accreditare l’opzione ermeneutica secondo cui il giudice per ritenere operante la causa di giustificazione dovrebbe limitarsi ad accertare che il fatto contestato sia stato commesso dall’agente a seguito di violazione di domicilio per respingere l’intrusione da parte di una o piu’ persone, realizzata “con violenza” o con “minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica”.
Le modifiche apportate dalla L. n. 36 del 2019 all’articolo 52 c.p., hanno prodotto un risultato diverso.
Il legislatore, da un lato, con l’inserimento dell’avverbio “sempre” nel corpo del comma 2, ha reso ancora piu’ forte la presunzione di proporzione tra difesa e offesa; dall’altro, con l’introduzione del nuovo comma 4, ha esteso espressamente la presunzione cosi’ rafforzata alle diverse ipotesi di “intrusione” nel domicilio o negli altri luoghi di cui al comma 3 ove realizzate con modalita’ piu’ aggressive di quelle descritte dall'”articolo 614, commi 1 e 2″.
Dal coordinamento tra il nuovo comma 4 e i precedenti due commi, si ricava, infatti, che il nuovo istituto opera quando, in presenza delle situazioni di fatto individuate dal legislatore del 2006 con l’espresso richiamo “all’articolo 614, commi 1 e 2” – quindi nei casi di introduzione o trattenimento “nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volonta’ espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo (…) clandestinamente o con l’inganno” – l’aggressore abbia altresi’ utilizzato per porre in essere l'”intrusione (…) la violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica”, ossia le modalita’ esecutive prese in considerazione dall’ipotesi aggravata di cui all’articolo 614 c.p., comma 4, (“violenza sulle cose o alle persone ovvero se il colpevole e’ palesemente armato”) e l’aggredito, presente nei luoghi tutelati, difenda, con un’arma legittimamente detenuta o con un altro mezzo idoneo, la propria o altrui incolumita’, ovvero i beni propri o altrui.
La nuova presunzione non ha, quindi, modificato la struttura della legittima difesa, che continua ad essere imperniata sulla necessita’ di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta secondo quanto indicato nell’articolo 52 c.p., nuovo comma 1; previsione, quest’ultima, ancora una volta non modificata ma, anzi, implicitamente ribadita nel comma 4 introdotto dalla L. n. 36 del 2019, attraverso il richiamo del comma 2 introdotto dal legislatore del 2006.
Quest’ultimo richiamo, infatti, implica necessariamente che anche nel nuovo sistema il respingimento dell’intruso, funzionale tanto alla difesa della propria o altrui incolumita’ quanto dei beni patrimoniali propri o altrui, possa essere giustificato solo se sia in corso di svolgimento “un attacco, o quantomeno il pericolo di un’aggressione, all’altrui sfera domestica e alle persone che in essa si trovano” e la difesa armata non abbia altre alternative imponendosi come necessaria.
5.2. A mente dell’articolo 55 c.p., nuovo comma 2 non e’ punibile chi agisca nei casi indicati ai capoversi dell’articolo 52 c.p., ma abbia ecceduto i limiti delineati da tali previsioni, se si sia trovato in condizioni di minorata difesa ex articolo 61 c.p., n. 5 o, in alternativa, in stato di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo.
Non e’ stata introdotta, quindi, una nuova scriminante, ma una forma di esclusione della colpevolezza delle reazioni difensive “eccessive” che, per quanto illecite ed antigiuridiche, perche’ integranti tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie incriminatrice e poste in essere oltrepassando i presupposti oggettivi della legittima difesa in violazione delle regole cautelari cosi’ da fondare un addebito colposo, non sono comunque punibili perche’ l’atteggiamento soggettivo dell’agente e’ comunque inesigibile per avere la vittima, autrice dell’eccesso agito:
– o nelle condizioni di minorata difesa, tipizzate nell’articolo 61 c.p., n. 5, implicanti uno stato di particolare debolezza che va comunque accertato in concreto;
– o in un particolare stato di stress psicologico tale da non consentirgli, alla luce del contesto in cui la reazione ha avuto luogo e, quindi, a prescindere da uno stato emotivo solo personale dell’interessato, un’adeguata valutazione della situazione e, conseguentemente, delle azioni da svolgere per difendersi (“grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto”).
Nell’uno caso e nell’altro caso e’ sempre necessario che l’aggredito abbia commesso il fatto non genericamente per difendere un proprio diritto, anche meramente patrimoniale, ma solo “per la salvaguardia della propria o altrui incolumita’”, sicche’ la situazione psicologica ed emotiva della vittima puo’ avere efficacia scusante in presenza di un accertato pericolo causalmente idoneo a generarla; cio’ implica, sotto il profilo temporale, la necessita’ di un rapporto di concomitanza tra la insorgenza dello stato emotivo, l’azione difensiva finalizzata in via esclusiva a salvaguardare l’incolumita’ personale ed il pericolo incombente, con conseguente esclusione della rilevanza di eccessi difensivi commessi quando alla inziale situazione di panico sia subentrata una diversa condizione psicologica diversa che consente una ragionevole riflessione sugli interessi in gioco.
Il grave turbamento, cosi’ come le presunzioni rafforzate in materia di legittima difesa domestica di cui all’articolo 52 c.p., commi 3 e 4, non incide, quindi, sui requisiti strutturali della legittima difesa, ma soltanto sul rapporto di proporzione tra offesa e difesa: una reazione difensiva incriminabile come eccesso puo’ non essere punibile, ma solo se lo stato emotivo di colui che la pone in essere, oltre ad essere inquadrabile nella categoria del “grave turbamento”, si innesti in una situazione in cui sia ravvisabile la necessita’ di difendersi da un pericolo per l’incolumita’ propria o altrui; possono, pertanto, essere ritenute non colpevoli o inesigibili ai sensi dell’articolo 55 c.p.p., comma 2, le condotte sproporzionate giammai quelle non necessitate o non originate da un pericolo per l’incolumita’ dell’aggredito o di altri.
6. Conclusivamente deve affermarsi che, anche dopo le modifiche introdotte dalla L. n. 36 del 2019, l’uso di un’arma – purche’ legittimamente detenuta puo’ dirsi reazione sempre proporzionata nei confronti di chi si sia illecitamente introdotto, o illecitamente si trattenga, all’interno del domicilio o dei luoghi a questo equiparati, nei quali il legislatore ha ritenuto maggiormente avvertita l’esigenza dell’autodifesa, a condizione che:
– il pericolo di offesa sia attuale;
– l’impiego dell’arma, quale in concreto avvenuto, sia necessario a difendere l’incolumita’ propria o altrui, ovvero i beni;
– non siano praticabili altre condotte alternative lecite o meno lesive;
– con specifico riferimento alle aggressioni a beni patrimoniali, ricorra un pericolo di aggressione personale.
La soluzione prospettata, d’altra parte, e’ imposta, in primo luogo, dalle numerose pronunce della Corte Costituzionale che, occupandosi delle cause di non punibilita’, hanno costantemente richiamato il principio per il quale, costituendo esse deroghe a norme penali generali, la loro valutazione comporta strutturalmente un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra le diverse e confliggenti ragioni che sorreggono la norma generale e quelle che sorreggono la norma derogatoria. Cio’ implica che in detto particolare settore il legislatore lungi dal prevedere presunzioni, meno che mai assolute, e’, invece, sempre tenuto a operare un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali in gioco (C. Cost. n. 140 del 04/05/2009 e n. 148 del 02/06/1983).
L’interpretazione normativa adottata e’, inoltre, coerente con gli obblighi internazionali assunti dall’Italia, vincolanti per il legislatore anche in forza del principio affermato dall’articolo 117 Cost., comma 1.
Viene a tal proposito in considerazione l’articolo 2, comma 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali a mente del quale: “Il diritto alla vita di ogni persona e’ protetto dalla legge. Nessuno puo’ essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il delitto e’ punito dalla legge con tale pena. La morte non si considera cagionata in violazione di questo articolo se e’ il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: a) per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale; b) per eseguire un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta; c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione”.
Detta disposizione non solo non tollera presunzioni di necessita’, ma impone, nel tutelare il diritto fondamentale alla vita, una puntuale e concreta verifica della necessita’ della condotta realizzata per la quale e’ invocata la scriminante della legittima difesa.
Benche’ nella casistica della giurisprudenza della Corte di Strasburgo la previsione sia stata di regola analizzata in vicende in cui il ricorso alla forza lesivo del diritto alla vita, era stato attuato da organi pubblici, specialmente da forze di polizia, pur tuttavia i principi formulati con riferimento a quelle specifiche vicende vanno ritenuti di generale applicazione nella parte in cui hanno affermato la primazia del diritto alla vita e la necessita’, in un’ottica di bilanciamento tra opposti beni, della rigorosa limitazione delle circostanze in presenza delle quali la privazione della vita puo’ dirsi giustificata.
Anche in un contesto di autodifesa tra privati, pertanto, il ricorso alla forza, per essere legittimo, deve essere “assolutamente necessario” per il conseguimento di uno degli obiettivi di cui all’articolo 2, par. 2, lettera a), b) e c), oltre che strettamente proporzionato agli scopi permessi. Inoltre, le circostanze in cui la privazione della vita puo’ trovare giustificazione devono essere interpretate in modo stretto. L’oggetto e lo scopo della Convenzione quale strumento di tutela dei diritti dei privati cittadini esigono anche che l’articolo 2 sia interpretato ed applicato in modo da rendere le sue garanzie concrete ed effettive (Corte EDU, Grand Chambre, 24/03/2011, Giuliani e Gaggio v. Italia).
7. La scelta dei giudici di merito di escludere l’operativita’ della legittima difesa per l’assenza degli elementi costitutivi della causa di giustificazione e, consequenzialmente, anche dell’eccesso di cui all’articolo 55 c.p., e’ corretta anche tenuto conto delle modifiche apportate prima dalla L. 13 febbraio 2006, n. 59 e piu’ di recente dalla L. 28 aprile 2019, n. 36, non entrata ancora in vigore alla data del deposito del ricorso in esame, ma tuttavia potenzialmente applicabile in via retroattiva, considerato il carattere favorevole delle disposizioni introdotte.
7.1. Secondo la ricostruzione di entrambe le sentenze, il (OMISSIS) ha, innanzitutto, posto in essere la contestata condotta omicidiaria prima ancora che l'”intrusione domestica”, con tutta evidenza finalizzata ad un’aggressione di beni patrimoniali (quelli custoditi nell’esercizio commerciale), avesse avuto luogo: egli ha esploso i colpi dal balcone del secondo piano senza mai entrare in contatto diretto con gli aggressori, i quali, da parte loro, sono sempre rimasti all’esterno non solo delle abitazioni del primo e del secondo piano, dove si trovavano le potenziali vittime degli atti volenti o intimidatori, ma dell’intero edificio, essendosi limitati a forzare la porta di ingresso del piano terra dove si trovavano i beni di cui avevano programmato la sottrazione.
Il (OMISSIS) ha, inoltre, esploso piu’ colpi di arma da fuoco ad altezza d’uomo, in direzione dei soggetti che cercavano di introdursi nell’edificio colpendone uno, l’odierna persona offesa, in assenza sia di un concreto ed attuale pericolo di offesa per l’incolumita’ personale dei presenti sia di una situazione obiettiva idonea a fondare la convinzione di trovarsi in presenza del detto pericolo ed ha, di conseguenza, posto in essere un’azione armata in concreto non necessaria ne’ inevitabile in chiave difensiva: egli ha, infatti, deliberatamente sparato, colpendolo alle spalle, all’indirizzo di uno degli aggressori che, al pari dei complici, non solo non gli aveva rivolto alcuna minaccia e non era nemmeno in grado, per la distanza e la mancata esibizione di armi o di altri strumenti lesivi, di porre in essere atti che mettessero a repentaglio l’incolumita’ sua e dei sui familiari, ma che, addirittura, si stava dando alla fuga, salendo a bordo dell’autovettura; situazione, quest’ultima, che non poteva non tranquillizzare l’odierno ricorrente rassicurandolo sullo scampato pericolo.
A questa ricostruzione, invero, la difesa ricorrente ne oppone un’altra, riproponendo una lettura alternativa delle emergenze probatorie e, principalmente, delle dichiarazioni rese dall’imputato, vo(ta a sostenere che lo stesso abbia dapprima sparato piu’ colpi, a scopo solo intimidatorio, per evitare che gli aggressori, cosi’ come minacciato, portassero avanti l’azione illecita introducendosi nell’edificio, per poi mirare contro l’odierna persona offesa, temendo che la stessa si fosse armata per rispondere al fuoco.
Non considera, pero’, la difesa le argomentazioni, tutt’altro che illogiche o irrazionali, con cui la Corte territoriale, nel rispondere alle doglianze espresse nei motivi di appello, ha escluso sia che gli aggressori avessero rivolto all’imputato la frase indicata in sede di denunzia (“sparalo a questo uomo di merda tanto la rapina ce la facciamo lo stesso”), chiaramente allusiva alla prosecuzione dell’irruzione, sia che l’aggressore, immediatamente prima di essere attinto dal colpo che lo aveva ferito, avesse cercato di prelevare all’interno del cofano dell’autovettura parcheggiata di fronte l’abitazione l’oggetto luccicante scambiato per arma micidiale, cosi’ inducendo il (OMISSIS) ad indirizzare i colpi non piu’ in aria ma verso gli aggressori, divenuti ancora piu’ pericolosi.
I giudici del merito, piu’ in dettaglio, hanno evidenziato come il (OMISSIS), nel corso della deposizione dibattimentale, avesse ripetutamente precisato che gli aggressori si esprimevano in lingua straniera e che comunque non li aveva sentiti profferire frasi minacciose nei suoi confronti in lingua italiana; hanno, poi, aggiunto che (OMISSIS) non era stato attinto alle spalle da uno solo dei dodici colpi quando si trovava nei pressi della parte posteriore del veicolo girato verso il cofano, offrendosi, in tal modo, come bersaglio per un tempo sufficiente ad aprire il portellone e a cercare l’arma che improvvisamente aveva luccicato nel buio, nei termini riferiti dal (OMISSIS); cio’ era escluso dall’assenza nel manto stradale di tracce di sangue che, invece, se la vittima fosse stata colpita in prossimita’ del cofano sarebbero state necessariamente presenti nel tratto percorso da detta posizione iniziale fino allo sportello attraverso il quale era definitivamente entrata a bordo del veicolo.
Deve allora convenirsi con la difesa quando afferma che la vittima e’ stata colpita quando si trovava vicino ad uno degli sportelli in procinto di entrare nel veicolo, quindi qualche attimo prima di darsi alla fuga insieme con gli altri complici gia’ a bordo.
Non puo’, allora, dubitarsi che vittima sia stata colpita quando, cercando di scansare i colpi esplosi nella sua direzione, era intento a fuggire precipitosamente verso l’autovettura, dove gia’ si trovavano i complici, che lo aspettavano dopo avere, evidentemente, desistito dal portare avanti l’aggressione; d’altra parte, nella ricostruzione alternativa del (OMISSIS), non si riesce a comprendere perche’ la vittima abbia dapprima cercato l’oggetto cosi’ brillante da poter essere visto al buio da una persona affacciata dal balcone del secondo piano dell’edifico di fronte, correndo il rischio di esporsi al fuoco, per poi abbandonarlo senza provare ad usarlo contro il suo avversario.
7.2. Non c’e’ alcuno spazio per l’applicazione dell’eccesso colposo non punibile di cui all’articolo 55 c.p., comma 2, per le stesse ragioni per cui la Corte territoriale ha escluso la configurabilita’ dell’eccesso colposo di cui al comma 1; entrambi gli istituti, come gia’ chiarito, presuppongono la sussistenza, effettiva o putativa, della scriminante, di cui, pero’, l’agente eccede i limiti: colposamente nel primo caso, incolpevolmente nel secondo caso per la presenza della condizione di inesigibilita’ del grave turbamento, peraltro nel caso in scrutinio non piu’ concomitante con l’azione aggressiva tenuto conto che i protagonisti dell’irruzione si stavano dando a precipitosa fuga.
Il (OMISSIS), infatti, ha posto in essere la condotta addebitatagli nella conclamata assenza dei requisiti previsti dall’articolo 52 c.p., comma 1, necessari anche per integrare la legittima difesa domestica di cui al successivo comma 4.
8. Il terzo motivo relativo all’attenuante di cui all’articolo 61 c.p., n. 5) e al trattamento sanzionatorio e’ manifestamente infondato.
La sentenza impugnata ha ritenuto non configurabile la circostanza attenuante del concorso del fatto doloso della persona offesa sul presupposto, corretto, che quest’ultima non solo non voleva concorrere sul piano psicologico alla commissione del delitto ma, dandosi alla fuga una volta scoperta, non aveva realizzato alcuna condotta idonea a provocare l’azione armata del (OMISSIS).
Si tratta di argomentazione perfettamente in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimita’, che va ribadita anche in questa sede, secondo cui perche’ possa farsi luogo all’applicazione della circostanza attenuante prevista dell’articolo 62 c.p., n. 5, non e’ sufficiente che la condotta della persona offesa si inserisca nella serie casuale di produzione dell’evento, ma e’ necessario che la stessa si colleghi sul piano della causalita’ psicologica a quella del soggetto attivo; e’ necessario, quindi, che la persona offesa preveda e voglia come conseguenza della propria cooperazione attiva o passiva al fatto delittuoso dell’agente lo stesso evento avuto di mira da quest’ultimo (Sez. 1, n. 13764 del 11/03/2008, Sorrentino, Rv. 239798, e n. 29938 del 14/07/2010, Meneghetti, Rv. 248021; Sez. 2, n. 25915 del 02/03/2018, Bul, Rv. 272945).
Certamente l’attenuante non ricorre laddove le condotte dell’imputato e della persona offesa siano tra loro confliggenti ponendosi, come nel caso in esame, in rapporto di mera occasionalita’ (Sez. 1, n. 14802 del 07/03/2012, Sulger, Rv. 252265).
La censura sul trattamento sanzionatorio e’ aspecifica perche’ disancorata dalla giustificazione sulla dosimetria della pena, sinteticamente ma efficacemente esposta dalla Corte territoriale con il richiamo ai criteri di cui all’articolo 133 c.p. e con il rilievo che la pena era stata gia’ determinata in termini assai contenuti in esito al primo grado del giudizio in ragione del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
4. La reiezione del ricorso importa, a norma dell’articolo 616 c.p.p., comma 1, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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