In tema di risarcimento danni da diffamazione a mezzo stampa

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 8 aprile 2020, n. 7757.

La massima estrapolata:

In tema di risarcimento danni da diffamazione a mezzo stampa, la verità dei fatti oggetto della notizia non è scalfita da inesattezze secondarie che non alterino, nel contesto dell’articolo, la portata informativa dello stesso rispetto al soggetto al quale sono riferibili. Sono da considerare marginali le imprecisioni che non mutano in peggio l’offensività della narrazione e, per contro, sono rilevanti quelle che stravolgono il fatto “vero” in maniera da renderne offensiva l’attribuzione a taluno, all’esito di una valutazione del loro peso sull’intero fatto narrato al fine di stabilire se siano idonee a renderlo “falso” e, oltre che tale, diffamatorio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva giudicato diffamatoria, senza una verifica concreta, una notizia per il fatto in sé che il giornalista aveva riferito due circostanze inesatte, vale a dire che un medico, indicato come autore della somministrazione di sostante dopanti ad un famoso ciclista, era stato radiato dalla Federazione sportiva, mentre il procedimento disciplinare si era concluso con l’archiviazione per via delle sue dimissioni, e che il medesimo sanitario era stato condannato “definitivamente” in appello, nonostante la proposizione di ricorso per Cassazione contro la sentenza che, peraltro, era stata alla fine confermata).

Ordinanza 8 aprile 2020, n. 7757

Data udienza 16 gennaio 2020

Tag – parola chiave: Diffamazione a mezzo stampa – Risarcimento dei danni – Diritto di cronaca – Inesattezze – Offensività della narrazione – Rilevanza – Condizioni

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 5490/2018 proposto da:
(OMISSIS) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, (OMISSIS) nella qualita’ di giornalista, (OMISSIS) nella qualita’ di direttore responsabile del quotidiano (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1387/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16/01/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS), giornalista del gruppo Editoriale l’Espresso, ha pubblicato sul sito (OMISSIS) e su quello (OMISSIS) alcuni articoli corredati da video, nei quali, riferendo di episodi di doping in cui era stato coinvolto il ciclista (OMISSIS), menzionava quale autore della somministrazione delle sostanze il Dott. (OMISSIS), riferendo altresi’ che, per i fatti di doping avvenuti nel (OMISSIS), quest’ultimo era stato radiato dalla Federazione sportiva, ed era altresi’ stato condannato con sentenza definitiva dalla Corte di Appello, a 14 mesi con la condizionale.
Il (OMISSIS) ha ritenuto diffamatorie queste attribuzioni sul suo conto, ed ha agito per il risarcimento del danno, citando in giudizio oltre che l’autore degli articoli, ossia il suddetto (OMISSIS), altresi’ il direttore responsabile (OMISSIS), ed il Gruppo (OMISSIS).
Il Tribunale, in primo grado, ha ritenuto che gli articoli incriminati rientrassero nel diritto di cronaca e di critica e che dunque operasse l’esimente dell’esercizio del diritto, escludendo pertanto la diffamazione.
Invece la corte di appello, adita dal (OMISSIS), con diversi motivi di impugnazione, ha ritenuto non operante l’esimente del diritto di cronaca e di critica, e cio’ in ragione delle inesattezze che caratterizzavano la narrazione dei fatti rendendoli non veritieri.
Ha liquidato dunque un ammontare di 5 mila Euro a titolo di risarcimento del danno, ed ha ordinato, quale forma accessoria, la pubblicazione della sentenza per estratto sul quotidiano (OMISSIS) e sul sito internet di quest’ultimo. Avverso tale sentenza propongono ora ricorso per Cassazione sia il (OMISSIS) che il direttore (OMISSIS), che il gruppo (OMISSIS), con sette motivi. V’e’ costituzione del (OMISSIS) con controricorso, e richiesta di rigetto delle censure dei ricorrenti, che depositano memorie. Il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La decisione di appello ritiene diffamatori gli articoli, e dunque non operante il diritto di cronaca, in ragione del fatto che il giornalista non avrebbe riferito la verita’ dei fatti, ma li avrebbe riportati con alcune imprecisioni ed inesattezze, che infirmano la detta verita’, e rendono quindi impossibile affermare l’esimente, la quale, innanzitutto presuppone che il fatto riferito sia vero.
In particolare, secondo la corte di appello, due sarebbero le inesattezze tali da compromettere la verita’ del fatto.
In primo luogo, il giornalista ha riferito che il (OMISSIS) sarebbe stato radiato dalla Federazione, mentre e’ pacifico che egli si e’ dimesso prima della decisione disciplinare, che di conseguenza si e’ conclusa con una archiviazione; in secondo luogo, il giornalista ha ritenuto che il (OMISSIS) era stato condannato con sentenza definitiva della corte di appello a 14 mesi, quando invece la sentenza, lo stesso giorno della pubblicazione, veniva impugnata in Cassazione, che poi l’ha confermata, con la conseguenza che non poteva ritenersi definitiva.
La corte di merito ha ritenuto dunque che il giornalista non ha controllato i fatti prima di riferirli ed ha, da tale negligenza, dedotto il dolo eventuale della diffamazione.
2.- I tre responsabili ricorrono come sette motivi.
2.1.- Con il primo motivo denunciano violazione, per erronea interpretazione, dell’articolo 2043 c.c., articolo 595 c.p. e L. n. 47 del 1948, articolo 11.
Ritengono che le inesattezze in cui e’ incorso il giornalista sono marginali rispetto alla sostanza del fatto attribuito al Dott. (OMISSIS), e che imprecisioni o inesattezze marginali non rendono falsa la notizia, altrimenti vera.
La corte di merito avrebbe dunque errato nell’attribuire a tali marginali inesattezze ed imprecisioni la portata di incrinare la sostanziale verita’ del fatto, in tal modo erroneamente escludendo l’esimente del diritto di cronaca.
2.2.- Con il secondo motivo la medesima censura di cui al primo motivo (e dunque per violazione delle medesime norme), viene fatta rispetto al diritto di critica, ossia per censurare la decisione di appello nella parte in cui, ritenendo rilevanti quelle marginali inesattezze, oltre che il diritto di cronaca, ha escluso quello di critica.
2.3.- Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’articolo 2043 c.c., articolo 595 c.p., L. n. 47 del 1948, articolo 11), oltre che omesso esame di un fatto rilevante e controverso, ed anzi, la violazione di legge e’ postulata quale conseguenza di tale omissione, non avendo la corte di merito adeguatamente letto l’articolo nel suo insieme, ed essendosi invece limitata alle singole ed inesatte espressioni.
2.4- Con il quarto motivo si denuncia violazione dell’articolo 595 c.p., articolo 47 c.p. e articolo 51 c.p., oltre che della L. n. 47 del 1948, articolo 11, sul presupposto che la corte avrebbe dedotto dalla negligente condotta del giornalista di mancata verifica della esattezza delle espressioni usate, il di lui dolo eventuale, senza considerare che, proprio la marginalita’ degli errori contenuti nell’articolo, esclude l’elemento soggettivo.
2.5. Il quinto motivo denuncia invece violazione della L. n. 47 del 1948, articolo 12, nella parte in cui il giudice di merito ha condannato ad una sanzione pecuniaria il giornalista responsabile degli articoli, senza considerare che tale condanna comporta un accertamento della diffamazione e del relativo dolo, accertamento invece omesso nel caso presente.
2.6. Con il sesto motivo si denuncia violazione degli articoli 1223, 2043, 2059 c.c., nella parte in cui la corte di merito ha riconosciuto il danno non patrimoniale, senza che vi fosse agli atti alcuna prova del suo verificarsi, ritenendolo in re ipsa, ossia insito nella stessa natura della condotta accertata. Invece, il danno non patrimoniale riconosciuto al (OMISSIS) andava da questi provato, sia pure per presunzioni, ma provato.
2.7.- Con il settimo ed ultimo motivo, invece, si deduce erronea interpretazione della L. n. 47 del 1948, articolo 9. Secondo i ricorrenti la corte non aveva il potere di emettere ordine di pubblicazione della sentenza, potere riservato al solo giudice penale, in caso di condanna, e non di certo a quello civile.
3.- I primi tre motivi possono esaminarsi congiuntamente: i primi due, in quanto censurano la stessa ratio, ossia la tesi secondo cui le inesattezze contenute negli articoli sono tali da incidere sulla verita’ del fatto narrato, e dunque da escludere il diritto di cronaca (primo motivo) e quello di critica (secondo motivo); il terzo in quanto contesta alla corte di aver valutato la rilevanza delle inesattezze leggendole singolarmente e tali considerandole, anziche’ procedere ad una lettura complessiva degli articoli, e dunque valutare la rilevanza di quelle inesattezze alla luce del complessivo fatto narrato.
Essi sono fondati.
E’ vero che “qualora un giornalista, nel narrare un fatto di cronaca vero nei suoi aspetti generali, riferisca una circostanza inesatta, tale fatto non e’ di per se’ produttivo di danno, occorrendo stabilire caso per caso, con giudizio di merito insindacabile in sede di legittimita’, ove adeguatamente e logicamente motivato, se la discrasia tra la realta’ oggettiva ed i fatti cosi’ come esposti nell’articolo abbia effettivamente la capacita’ di offendere l’altrui reputazione” (Cass. 23468/2010; Cass. 1233/2017).
Ma e’ anche vero che qui non si contesta l’accertamento in fatto, ossia quali, in fatto, siano le inesattezze in cui e’ incorso il giornalista e se effettivamente siano quelle accertate dalla corte; si discute piuttosto della rilevanza giuridica di tali inesattezze ossia della loro idoneita’ a diffamare il (OMISSIS).
Sotto questo punto di vista, questa Corte ha avuto modo di precisare che “in tema di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo stampa, la verita’ dei fatti oggetto della notizia non e’ scalfita da inesattezze secondarie o marginali ove non alterino, nel contesto dell’articolo, la portata informativa dello stesso rispetto al soggetto al quale sono riferibili” (Cass. 17197/2015).
La regola di giudizio e’ dunque nel senso che sono da considerarsi marginali quelle inesattezze che non mutano in peggio l’offensivita’ della narrazione, e che, per contro, sono rilevanti le imprecisioni che stravolgono il fatto “vero” in maniera tale da renderne offensiva la sua attribuzione a taluno. Ove cioe’ si ritenga che il fatto “vero” non e’ offensivo ed e’ dunque da tale da rientrare, per la sua “verita’”, nel diritto di cronaca, le inesattezze che lo riguardano, per avere rilevanza giuridica, devono essere tali da trasformare quel fatto da inoffensivo a diffamatorio.
La valutazione di tale rilevanza non costituisce accertamento in fatto, ma giudizio di valore, e dunque giudizio circa la rilevanza giuridica della inesattezza.
Inoltre, e’ di tutta evidenza che, ai fini di un tale giudizio la rilevanza delle inesattezze va colta non valutandole di per se’, ma per il peso che esse hanno sull’intero fatto narrato, al fine di stabilire se siano idonee a rendere il fatto “falso”, e, oltre che tale, diffamatorio.
Nella fattispecie, le imprecisioni addebitate al giornalista sono due.
La prima consiste nel fatto di aver ritenuto radiato dalla Federazione sportiva il (OMISSIS), mentre il procedimento disciplinare, anziche’ con la radiazione si era concluso con l’archiviazione, non nel merito, ma per via delle dimissioni rassegnate dal (OMISSIS) nelle more del procedimento, cosi che non essendo questi piu’ iscritto non poteva essere radiato.
La seconda e’ di aver ritenuto condannato “definitivamente” dalla Corte di Appello il (OMISSIS), quando invece la condanna non era definitiva, in quanto contemporaneamente alla pubblicazione dell’articolo veniva proposto ricorso per Cassazione, rigettato poco dopo con conferma della predetta condanna.
Dalla motivazione della sentenza impugnata traspare che la corte ha omesso di effettuare una concreta verifica, limitandosi a considerare come inesatte di per se’ queste due affermazioni (la radiazione e la definitivita’ della sentenza), e a ritenere insita nella inesattezza stessa la offensivita’ del narrato, tanto e’ vero che ne ricava altresi’ la non continenza dei toni.
E’ la regola di giudizio che e’ errata, in quanto assume che l’inesattezza di per se’ comporta diffamazione, mentre l’inesattezza ha quell’effetto solo se trasforma il fatto da “vero” a “falso” ma in modo che quest’ultimo sia diffamatorio.
L’accoglimento dei primi due motivi comporta assorbimento degli altri, posto che si tratta di censure a rationes decidendi conseguenti alla condanna, ossia alla ritenuta diffamatorieta’ delle imprecisioni ed inesattezze rilevate nell’articolo, compreso l’ordine di pubblicazione, di cui al settimo motivo, che ha una sua ragion d’essere solo in caso di condanna.
Il ricorso va pertanto accolto in tali termini e la sentenza cassata con rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie primo e secondo motivo, assorbiti gli altri. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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