Responsabilità degli enti derivante da reati colposi in materia ambientale

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 27 gennaio 2020, n. 3157

Massima estrapolata:

In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi in materia ambientale (articolo 25-undecies del decreto legislativo n. 231 del 2001, nella specie configurato con riferimento al reato presupposto di cui all’articolo 137, comma 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006) l’interesse e il vantaggio vanno individuati sia nel risparmio economico per l’ente determinato dalla mancata adozione di impianti o dispositivi idonei a prevenire il superamento dei limiti tabellari, sia nell’eliminazione di tempi morti cui la predisposizione e manutenzione di detti impianti avrebbe dovuto dare luogo, con economizzazione complessiva dell’attività produttiva, considerando a tal ultimo riguardo che il risparmio a favore dell’impresa può consistere anche nella sola riduzione dei tempi di lavorazione.

Sentenza 27 gennaio 2020, n. 3157

Data udienza 4 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – rel. Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) SRL;
avverso la sentenza del 22/02/2019 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANDREAZZA GASTONE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore BARBERINI ROBERTA MARIA che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La (OMISSIS) S.r.l. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 22/02/2019 che ha confermato la sentenza del Tribunale della medesima citta’ del 06/06/2018 di irrogazione di sanzione amministrativa per gli illeciti amministrativi di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5, lettera a), articolo 10, articolo 25 undecies, comma 2, lettera a), n. 1 e articolo 39, in relazione al reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 137, comma 5, per non avere adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del predetto reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della stessa specie commessi per conto e nell’interesse della societa’.
2. Con un unico motivo lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5, lettera a).
Premesso che condizione essenziale per l’imputabilita’ del fatto all’ente e’ la sussistenza del vantaggio, di natura oggettiva e valutabile ex post, o del profitto, di natura soggettiva e valutabile ex ante, che l’ente stesso tragga dalla commissione del reato, deduce che nel caso di specie, relativo a reato colposo, la non volonta’ caratterizzante lo stesso e’ incompatibile con i predetti interesse o vantaggio; contesta la individuazione fattane dalla sentenza impugnata che ha sostanzialmente ritenuto la “sussistenza dei requisiti nell’avere evitato o ridotto i costi relativi agli interventi strumentali necessari ai fini della prevenzione dell’inquinamento idrico o nell’avere piu’ semplicemente velocizzato i tempi e ritmi del ciclo produttivo. In realta’ sarebbe stato necessario accertare in concreto se l’omissione in termini di aggiornamento tecnologico mediante la predisposizione di strumenti finalizzati alla prevenzione dell’inquinamento rispondesse ex ante ad un interesse della societa’ o avesse consentito di conseguire un vantaggio; e sul punto doveva allora considerarsi che la violazione contestata era stata connotata da occasionalita’, essendo stata la societa’ sempre in regola con le autorizzazioni comunali, e non certo frutto di una specifica politica aziendale volta alla massimizzazione del profitto con contenimento dei costi in materia di sicurezza.
Ai fini poi di ritenere soddisfatte le condizioni di tipicita’, rileva la necessita’ di individuare un contenuto minimo dei modelli organizzativi ritenuti idonei a prevenire tali tipi di reato.
E sotto questo profilo osserva come difetti, nel Decreto Legislativo n. 121 del 2011 (che ha integrato il Decreto Legislativo n. 231 del 2001 con l’introduzione dell’articolo 25 undecies), una norma analoga a quella del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 30, che indichi le linee guida cui uniformare i modelli di organizzazione aziendale ai fini della loro presunta idoneita’ a prevenire reati ambientali.
Nessun vantaggio od interesse quindi potrebbe essere rinvenuto nel presunto risparmio in tema di predisposizione dell’apparato antinquinamento ovvero di sostituzione delle tubature ovvero di mancato aggiornamento tecnologico degli impianti, neppure specificato dai testi intervenuti. Nessun accenno inoltre e’ stato speso quanto al costo che la societa’ avrebbe dovuto sostenere per la regolarizzazione mentre l’adozione di un modello organizzativo, non essendo obbligatoria, non puo’ integrare il requisito dell’interesse o del vantaggio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato.
L’assunto del ricorrente appare essenzialmente incentrarsi sulla impossibilita’ di individuare, con riferimento al reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 137, (oggi articolo 452 quaterdecies c.p.), nella specie presupposto per l’affermazione della responsabilita’ amministrativa dell’ente ex articolo 25 undecies, comma 2, lettera a) cit., la sussistenza dei requisiti indicati dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5, comma 1, come necessari in via generale per l’affermazione della predetta responsabilita’; in particolare, ne’ il requisito dell’interesse ne’ quello del vantaggio sarebbero logicamente conciliabili con la natura colposa dell’addebito penale in questione, tanto piu’ a fronte della dedotta natura occasionale della violazione contestata, essendo stata la societa’ sempre in regola con le autorizzazioni comunali, e della mancanza di linee guida, come quelle invece previste per i reati in materia di sicurezza sul lavoro, cui uniformare i modelli di organizzazione aziendale ai fini della loro presunta idoneita’ a prevenire reati ambientali.
Tale impostazione, tuttavia, va disattesa.
Deve muoversi anzitutto dal fatto che una lettura delle norme imperniata sulla incompatibilita’ logica tra necessaria sussistenza dei requisiti dell’interesse o del vantaggio, da una parte, e natura colposa del reato – presupposto, dall’altro, si risolverebbe, a ben vedere, in una interpretatio abrogans delle norme che hanno, appunto, introdotto, nel catalogo dei reati -presupposto, illeciti che, come quello in oggetto, appaiono contraddistinti dalla natura di reati colposi di mera condotta; proprio considerando infatti tale ultima circostanza, e’ evidente come il legislatore abbia inteso configurare anche i reati colposi quali titoli di addebito della conseguente responsabilita’ amministrativa, a cio’, dunque, conseguendo l’obbligo, per l’interprete, di adattare agli stessi i criteri di imputazione dell’interesse e del vantaggio di cui all’articolo 5 cit..
In altri termini, dunque, e’ proprio la necessaria presa d’atto della sussistenza, tra i reati – presupposto, di fattispecie colpose, ad impedire che una problematica adattabilita’ alle stesse del concetto di commissione nell’interesse e a vantaggio dell’ente possa giungere ad escludere cio’ che il legislatore ha invece inteso introdurre, ovvero appunto una responsabilita’ amministrativa della persona giuridica discendente dalla commissione di reati anche solo colposi.
Tale impostazione, del resto, trova conferma in quanto gia’ questa Corte ha avuto modo di affermare.
Va infatti rammentato come gia’ le Sezioni Unite, con la sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261112-261115, una volta escluso che la nuova estensiva disciplina, positivizzata dapprima nell’articolo 25 septies e, successivamente, nel Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25 undecies, possa essere ritenuta inapplicabile posto che, cosi’ ragionando, si perverrebbe alla “radicale caducazione di un’innovazione normativa di grande rilievo”, ha precisato che ” il problema prospettato deve essere (…) risolto nella sede propria, che e’ quella interpretativa. I risultati assurdi, incompatibili con la volonta’ di un legislatore razionale, cui condurrebbe l’interpretazione letterale della norma, accredita senza difficolta’ l’unica alternativa, possibile lettura: i concetti di interesse e vantaggio, nei reati colposi d’evento, vanno di necessita’ riferiti alla condotta e non all’esito antigiuridico. Tale soluzione non determina alcuna difficolta’ di carattere logico: e’ ben possibile che una condotta caratterizzata dalla violazione della disciplina cautelare e quindi colposa sia posta in essere nell’interesse dell’ente o determini comunque il conseguimento di un vantaggio. (…) L’adeguamento riguarda solo l’oggetto della valutazione che coglie non piu’ l’evento bensi’ solo la condotta, in conformita’ alla diversa conformazione dell’illecito; e senza, quindi, alcun vulnus ai principi costituzionali dell’ordinamento penale. Tale soluzione non presenta incongruenze: e’ ben possibile che l’agente violi consapevolmente la cautela, o addirittura preveda l’evento che ne puo’ derivare, pur senza volerlo, per corrispondere ad istanze funzionali a strategie dell’ente. A maggior ragione vi e’ perfetta compatibilita’ tra inosservanza della prescrizione cautelare ed esito vantaggioso per l’ente”.
Ed anche successivamente si e’ ribadito, con riferimento ai reati colposi in materia di sicurezza sul lavoro, che i concetti di interesse e vantaggio vanno riferiti alla condotta e non all’esito antigiuridico: “indubbiamente, non rispondono all’interesse della societa’, o non procurano alla stessa un vantaggio, la morte o le lesioni riportate da un suo dipendente in conseguenza di violazioni di normative antinfortunistiche, mentre e’ indubbio che un vantaggio per l’ente possa essere ravvisato, ad esempio, nel risparmio di costi o di tempo che lo stesso avrebbe dovuto sostenere per adeguarsi alla normativa prevenzionistica, la cui violazione ha determinato l’infortunio sul lavoro” (Sez. 4, n. 24697 del 20/04/2016, Mazzotti e altro, Rv. 268066).
2. Peraltro, una volta preso atto di cio’, l’adattamento di cui si e’ detto non pare operazione cosi’ impervia se solo si abbia cura di considerare i risultati cui e’ giunta la giurisprudenza della Corte nell’interpretazione dei concetti, da ritenere alternativi in quanto legati dalla disgiuntiva “o”, di interesse e di vantaggio di cui all’articolo 5 cit..
Si e’ infatti, in piu’ occasioni, precisato che, mentre il criterio di interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, e cioe’ al momento della commissione del fatto, secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, quello del vantaggio assume una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito (Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, cit; Sez. 5, n. 40380 del 15/10/2012,; Sez. 6, n. 12653 del 25/03/2016; Sez. 2, n. 52316 del 09/12/2016; Sez. 6, n. 38363 del 2018).
Inoltre, con riferimento specificamente ai reati in materia di sicurezza sul lavoro, la nozione di interesse/vantaggio e’ stata letta, nella prospettiva patrimoniale dell’ente, come risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dello strumentario di sicurezza ovvero come incremento economico conseguente all’aumento della produttivita’ non ostacolata dal pedissequo rispetto della normativa prevenzionale, precisandosi che nei reati colposi l’interesse/vantaggio si ricollegano al risparmio nelle spese che l’ente dovrebbe sostenere per l’adozione delle misure precauzionali ovvero nell’agevolazione, sub specie, dell’aumento di produttivita’ che ne puo’ derivare sempre per l’ente dallo sveltimento dell’attivita’ lavorativa “favorita” dalla mancata osservanza della normativa cautelare, il cui rispetto, invece, tale attivita’ avrebbe “rallentato” quantomeno nei tempi (Sez. 5, n. 31003 del 23/06/2015, (OMISSIS) S.p.a, non mass.).
Si e’ quindi ribadito, sempre con riferimento ai predetti reati, che “ricorre il requisito dell’interesse quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento, morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di conseguire un’utilita’ per la persona giuridica; cio’ accade, ad esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l’esito (non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma) di una scelta “finalisticamente orientata a risparmiare sui “costi d’impresa: pur non volendo il verificarsi dell’infortunio a danno del lavoratore, l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell’ente (ad esempio far ottenere alla societa’ un risparmio sui costi in materia di prevenzione). Ricorre il requisito del vantaggio quando la persona fisica, agendo per conto dell’ente, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche e, dunque, ha realizzato una politica d’impresa disattenta alla materia della sicurezza del lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto; il criterio del vantaggio, cosi’ inteso, appare indubbiamente quello piu’ idoneo a fungere da collegamento tra l’ente e l’illecito commesso dai suoi organi apicali ovvero dai dipendenti sottoposti alla direzione o vigilanza dei primi” (Sez. 4, n. 24697 del 20/04/2016, cit.).
3. I principi appena ricordati ben possono adattarsi dunque anche ai reati ambientali di natura colposa, introdotti, per il tramite dell’articolo 25 undecies cit., nell’elenco dei reati-presupposto della responsabilita’ amministrativa dell’ente e, specificamente, al reato gia’ previsto dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 137 e, oggi, dall’articolo 452 quaterdecies c.p..
Anche con riguardo ad esso, infatti, a maggior ragione trattandosi di reato di mera condotta, l’interesse e il vantaggio vanno individuati sia nel risparmio economico per l’ente determinato dalla mancata adozione di impianti o dispositivi idonei a prevenire il superamento dei limiti tabellari, sia nell’eliminazione di tempi morti cui la predisposizione e manutenzione di detti impianti avrebbe dovuto dare luogo, con economizzazione complessiva dell’attivita’ produttiva.
Non va trascurato, del resto, che gia’ questa Corte ha ritenuto che il “risparmio” in favore dell’impresa, nel quale si concretizzano i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse e dal vantaggio, puo’ consistere anche nella sola riduzione dei tempi di lavorazione (Sez. 4, n. 16598 del 24/01/2019, Tecchio, Rv. 275570).
Correttamente, quindi, i giudici di merito, nell’affermare la sussistenza della responsabilita’ amministrativa, hanno fatto riferimento proprio a tali profili come esemplificativi in particolare del vantaggio per l’ente discendente dalla commissione del fatto facendo esatta applicazione, in definitiva, del principio per cui lo stesso sussiste qualora l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volonta’ di ottenere il vantaggio stesso (Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, (OMISSIS), S.c.a, Rv. 274320).
E cio’ tanto piu’ non potendo essere la violazione prospettata, come viene invece fatto in ricorso, in termini meramente occasionali atteso che, come da imputazione, il superamento dei limiti venne riscontrato in tre diverse date (il 05/09/2012, il 16/0572014 e il 30/07/2015) in occasione di altrettanti campionamenti, ben potendo dunque ritenersi che la “mancata predisposizione di cautele atte ad evitare l’inquinamento si sia inserita all’interno di scelte aziendali consapevoli; sicche’, neppure la mancanza di linee guida che, sulla scorta di quanto stabilito dalla normativa in materia di sicurezza sul lavoro, funzionino da riferimento per modelli di organizzazione aziendale, puo’ ostare alla configurabilita’ dell’illecito amministrativo ravvisato dal giudici di merito.
4. Il ricorso va dunque rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *