Sequestro preventivo del patrimonio aziendale

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 19 novembre 2019, n. 46871.

Massima estrapolata:

Se dopo il sequestro preventivo del patrimonio aziendale occorre avviare la liquidazione giudiziale sulle medesime cose gravate, il giudice può revocare il decreto di sequestro e disporre la restituzione delle cose. Questo in quanto il periculum in mora deve sempre presentare i requisiti della concretezza ed attualità e richiede che venga dimostrata con ragionevole certezza l’utilizzazione dei beni gravati per la commissione di ulteriori reati e/o l’aggravamento di quello per cui si procede.

Sentenza 19 novembre 2019, n. 46871

Data udienza 26 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMMINO Matilde – Presidente

Dott. DE CRESCIENZO Ugo – Consigliere

Dott. DE SANTIS Anna – rel. Consigliere

Dott. BELTRANI Sergio – Consigliere

Dott. PERROTTI Massimo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) (OMISSIS) s.c.r.l. in ammistrazione straordinaria, legalmente rappresentata dal Commissario Straordinario, Cattaneo Antonio;
2) (OMISSIS) S.c.a.r.l. in ammistrazione straordinaria, legalmente rappresentata dal Commissario Straordinario, Cattaneo Antonio;
avverso l’ordinanza resa in data 20/3/2019 dal Tribunale del Riesame di Roma;
Visti gli atti, l’ordinanza impugnata e i ricorsi;
letta la memoria difensiva depositata dagli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) in data 20/9/2019;
udita nell’udienza camerale del 26/9/2019 la relazione del Cons. Dr. Anna Maria De Santis;
udita la requisitoria del Sost.Proc.Gen.,Dott. Molino Pietro, che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
udito il difensore, Avv. (OMISSIS), in sostituzione degli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), che si e’ riportato ai motivi, chiedendone l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1.Con decreto in data 6/7/2015 il Gip del Tribunale di Roma disponeva il sequestro preventivo dell’intero capitale sociale e del patrimonio aziendale delle societa’ cooperative (OMISSIS) ( (OMISSIS)) e (OMISSIS) ( (OMISSIS)), autorizzando la prosecuzione dell’attivita’ sotto il controllo dell’Amministratore giudiziario. Il sequestro veniva eseguito in data 6/7/2015 nelle forme dell’articolo 104 disp. att. c.p.p..
La misura cautelare reale veniva adottata in relazione al reato Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 quinquies,- ora articolo 512 bis c.p., contestato a (OMISSIS), che avrebbe attribuito fittiziamente a soggetti di sua fiducia e a cooperative a lui riconducibili la titolarita’ delle quote e delle cariche sociali di diverse societa’, tra cui le ricorrenti.
1.1 Con sentenza n. 49/16, pubblicata il 4/8/2016, il Tribunale di Tivoli dichiarava lo stato di insolvenza della soc. (OMISSIS), procedura estesa il 28/12/2016 alla (OMISSIS), con conseguente ammissione di entrambe le compagini alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza.
In data 12/6/2018 il Tribunale di Roma ordinava il dissequestro dei complessi aziendali facenti capo alle societa’ ricorrenti al fine della cessione degli stessi a (OMISSIS) SpA, risultata aggiudicataria a seguito dell’espletamento di procedura di vendita a gara aperta, con mantenimento del vincolo cautelare sul danaro costituente corrispettivo della vendita.
Il 13/12/2018 il difensore del commissario straordinario, Dott. (OMISSIS), chiedeva la revoca totale del sequestro preventivo per intervenuta cessazione delle esigenze ex articolo 321 c.p.p. a seguito della vendita dei complessi aziendali, istanza che il Tribunale disattendeva con ordinanza in data 8/1/19. In particolare, il collegio riteneva che il Gip avesse disposto un sequestro preventivo di natura ablativa ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., comma 2, finalizzato alla confisca per sproporzione di cui al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 sexies.
Il Tribunale in sede d’appello cautelare rigettava l’impugnazione interposta, ritenendo perdurante l’esigenza posta a fondamento del sequestro impeditivo di evitare che la libera disponibilita’ delle societa’ e dei beni alle stesse pertinenti da parte dell’imputato possa consentire l’aggravamento o la protrazione delle conseguenze del reato ex Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 quinquies, oggetto di contestazione, “depauperando l’aggredibile patrimonio del (OMISSIS)”.
L’ordinanza censurata precisava che, pur dopo la cessione dei complessi aziendali, risultano tuttora in sequestro, oltre i proventi della vendita, le quote societarie e le liquidita’, i diritti di credito sorti in epoca antecedente la dichiarazione dello stato di insolvenza e i diritti derivanti dall’esercizio di eventuali azioni legali in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS) esercitate prima della dichiarazione dello stato di insolvenza, beni in relazione ai quali riteneva persistenti le esigenze originariamente prospettate ovvero il rischio di depauperamento del patrimonio dell’imputato in quanto – pur essendo stata dichiarata cessata l’attivita’ di impresa nell’ottobre 2018 dall’A.G. di (OMISSIS) – fino alla chiusura della procedura di amministrazione straordinaria non puo’ escludersi che residuino utili che, in caso di dissequestro, tornerebbero nella disponibilita’ del (OMISSIS).
Segnalava, inoltre, il Tribunale che anche in caso di superamento delle finalita’ impeditive del sequestro, alla restituzione dei beni osterebbe pur sempre il disposto dell’articolo 324 c.p.p., comma 7, in quanto il divieto ivi previsto non riguarda le sole ipotesi di confisca obbligatoria di cui all’articolo 240 c.p., comma 2, ma deve intendersi esteso a tutte le ipotesi di confisca obbligatoria previste dal legislatore. Trattandosi nella specie di misura disposta ex Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 quinquies (ora articolo 512 bis c.p.), che rientra nel catalogo dei delitti di cui al Decreto Legge n. 306, articolo 12 sexies, comma 1, il mantenimento del vincolo deve ritenersi posto a garanzia della c.d. confisca per sproporzione.
2. Hanno proposto ricorso per Cassazione i difensori e procuratori speciali di (OMISSIS) e (OMISSIS) s.c.a.r.l., deducendo con distinti atti e comuni motivi:
2.1 la violazione dell’articolo 324 c.p.p., comma 7, secondo periodo, dell’articolo 321 c.p.p., commi 1 e 2, nonche’ del Decreto Legge n. 306 del 1992, articoli 12 quinquies e 12 sexies sotto il profilo della loro erronea interpretazione ed applicazione in relazione all’articolo 325 c.p.p., comma 1 e articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c).
Le ricorrenti, premesso che nel caso di specie il giudice cautelare d’appello ha accertato e ritenuto -in difformita’ da quanto affermato dal Tribunale di primo grado – che il gip ha disposto il sequestro preventivo ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., comma 1, e, quindi, con finalita’ impeditive e non di confisca, ed aver escluso l’applicabilita’ dell’articolo 323, comma 3, in pendenza della fase dibattimentale, ha tuttavia erroneamente ritenuto che, anche ove ritenute non piu’ sussistenti le esigenze preventive, opererebbe il divieto di restituzione ex articolo 324 c.p.p., comma 7, dovendo i beni rimanere vincolati in funzione di una futura confisca. Le difese richiamano l’insegnamento di legittimita’ alla cui stregua il divieto di revoca del sequestro preventivo e il conseguente divieto di restituzione previsto dall’articolo 324 c.p.p., comma 7, nei casi di confisca obbligatoria ex articolo 240 c.p., comma 2, non e’ suscettibile di estensione analogica, trattandosi di norma processuale che in quanto derogatrice al principio generale della revocabilita’ della misura reale, ai sensi dell’articolo 323 c.p.p., comma 3, e’ di stretta interpretazione in forza del divieto di cui all’articolo 14 preleggi.
Secondo le difese l’orientamento minoritario, fatto proprio dall’ordinanza censurata, che postula l’estensione del divieto di restituzione a tutte le ipotesi di confisca obbligatoria previste da leggi speciali, fa leva esclusivamente su un’interpretazione evolutiva difficilmente conciliabile con i canoni ermeneutici dettati dagli articoli 12 e 14 preleggi in quanto intende il riferimento ai casi indicati nell’articolo 240 c.p., comma 2, “come rinvio non tanto alle specifiche ipotesi previste da tale norma ma piuttosto all’impianto concettuale ivi regolato in via generale e dunque a tutte le forme di confisca obbligatoria previste dal legislatore” (Sez. 2, n. 16523/17).
Inoltre, le ricorrenti segnalano come il legislatore nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, emanato con Decreto Legislativo n. 14 del 2019, bilanciando concorrenti interessi costituzionalmente protetti, ha codificato il principio della prevalenza della procedura civile concorsuale rispetto alla procedura penale di carattere cautelare reale, prevedendo in particolare all’articolo tfirart;) 318, comma 2, che quando, dopo l’adozione della misura del sequestro preventivo ex articolo 321 c.p.p., comma 1, viene dichiarata l’apertura di liquidazione giudiziale “sulle medesime cose”, “il giudice, a richiesta del curatore, revoca il decreto di sequestro e dispone la restituzione delle cose in suo favore”, mentre in pendenza della stessa procedura il sequestro impeditivo sui beni compresi nella massa concorsuale e’ possibile solo in relazione a cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce reato.
Alla cennata disciplina, quantunque non ancora vigente in forza della previsione di una prolungata vacatio legis, non puo’ negarsi valore di indirizzo ermeneutico in materia di regime di restituzione dei beni in sequestro, come riconosciuto dalla Cassazione Civile con sent. n. 8980/2019.
Osservano ulteriormente i difensori che la norma in questione, articolo 324 c.p.p., comma 7, non e’ applicabile al caso di specie in quanto prevista esclusivamente per la fase di riesame e non per l’appello cautelare ne’ puo’ applicarsi ad ipotesi di confisca obbligatoria diverse da quelle ex articolo 240 c.p., comma 2.
L’operazione ermeneutica di estensione analogica del divieto di restituzione compiuta dal giudice d’appello secondo le difese e’ contraria alla legge e logicamente viziata anche sotto altro profilo in quanto si assume erroneamente che il giudice sarebbe esonerato, ai fini dell’applicazione del divieto, dall’obbligo di verificare in concreto la sussistenza dei presupposti di confiscabilita’ alla stregua della norma speciale di riferimento, ovvero, nella specie, il Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 sexies (ora articolo 240 bis c.p.) che l’ordinanza impugnata ha contraddittoriamente demandato alla verifica in sede dibattimentale.
2.2 la violazione dell’articolo 125 c.p.p., comma 3, sotto il profilo della motivazione inesistente o apparente e dell’articolo 321 c.p.p., comma 3, sotto il profilo dell’inosservanza dell’obbligo di immediata revoca del sequestro preventivo non finalizzato alla confisca in caso di cessate esigenze cautelari in relazione all’articolo 325 c.p.p., comma 1 e articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c). Le difese lamentano che i giudici dell’appello cautelare hanno reso in punto di sussistenza delle esigenze cautelari giustificative del vincolo una motivazione solo apparente, fondata su assunti congetturali, trascurando di considerare che i complessi aziendali facenti capo alle societa’ ricorrenti sono stati oggetto di un duplice spossessamento nell’arco di un biennio giacche’ al sequestro preventivo disposto nel 2015 faceva seguito nel 2016/2017 l’ammissione delle compagini alla procedura di amministrazione straordinaria ai sensi del Decreto Legislativo n. 270 del 1999. Inoltre, l’avvenuta cessione nel 2018 dei rami aziendali di (OMISSIS) e (OMISSIS) e la successiva dichiarazione dell’A.g. di (OMISSIS) di cessata attivita’ d’impresa azzerava il rischio di attribuzione fittizia della titolarita’ delle aziende, rendendo superflua la misura cautelare reale. Inoltre, come rappresentato in sede d’appello, le due societa’ in liquidazione giudiziale hanno un attivo di circa 5 milioni di Euro a fronte di circa 53 milioni di passivo e nell’attivo sono ricomprese liquidita’ e diritti di credito cui ha fatto richiamo l’ordinanza impugnata per sostenere il permanere di un rischio di protrazione e aggravamento del reato sicche’ la manifesta insufficienza dell’attivo esclude qualsiasi possibilita’ di residui attivi all’esito della chiusura della procedura concorsuale, circostanze che avrebbero dovuto indurre all’esclusione del periculum in mora che aveva giustificato il provvedimento genetico. Inoltre, secondo il legislatore del 2019 l’inclusione dei beni sottoposti a sequestro preventivo nella massa di una procedura concorsuale fa sorgere una presunzione iuris et de iure di cessazione delle esigenze cautelari presidiate dalla misura reale con facolta’ per il curatore di richiederne la restituzione ed obbligo del giudice di disporla. L’ordinanza impugnata, nell’asserire il perdurante rischio di distrazione delle risorse societarie, ha omesso di considerare che, a norma dell’articolo 42 L. Fall., lo spossessamento comporta da parte dell’insolvente la perdita di legittimazione a disporre nonche’ a ricevere gli incrementi nella propria sfera patrimoniale che passa al curatore, a vantaggio dell’intero ceto creditorio.
Le difese in conclusione chiedono pronunziarsi annullamento senza rinvio del provvedimento censurato ai sensi dell’articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera l), richiesta ribadita con la memoria deposita in data 20 settembre u.s., nella quale vengono richiamate in termini sintetici le circostanze di fatto e le questioni di diritto oggetto dell’impugnazione principale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso e’ fondato e merita accoglimento. Con riguardo al primo motivo deve rilevarsi che sulla questione relativa all’ambito d’applicabilita’ dell’articolo 324 c.p.p., comma 7, sono intervenute le Sezione Unite con sentenza n. 40847 del 30 maggio 2019, depositata il 4 ottobre 2019, ric. Bellucci, statuendo che il divieto di revoca del sequestro preventivo o probatorio non e’ estensibile alle ipotesi di confisca obbligatoria diverse da quelle ex articolo 240 c.p., comma 2, con la sola eccezione delle ipotesi che detta norma richiamano espressamente ovvero che facciano riferimento al prezzo del reato o a cose la cui fabbricazione, porto, detenzione o alienazione costituisce reato, dal momento che e’ l’intrinseca pericolosita’ che distingueva, nell’originaria intenzione del legislatore e prima della interpolazione operata con L. n. 12 del 2012, tali tipologie di confisca dalle confische obbligatorie previste da altre disposizioni.
Il massimo consesso nomofilattico ha, dunque, confermato e condiviso l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, attestato su una lettura rigorosa del richiamo effettuato dalla norma all’articolo 240 c.p., comma 2, e sul rilievo accordato alla natura di misura di sicurezza della confisca ivi prevista, valorizzando la ratio originaria della disposizione al fine di “ritenere comprese nel divieto di restituzione anche quelle confische che, pur previste da disposizioni diverse, riguardino cose intrinsecamente pericolose, perche’ tali cose rientrerebbero comunque nell’ambito di applicazione dell’articolo 240 c.p., comma 2, se non fossero contemplate da leggi speciali”. Ha, inoltre, osservato che “l’estensione del divieto di cui all’articolo 324 c.p.p., comma 7, a tutti i casi di confisca obbligatoria, diversi da quelli ricadenti nella previsione dell’articolo 240 c.p., comma 2, costituirebbe un’applicazione analogica della norma, che non appare corretta sul piano ermeneutico, perche’, pur trattandosi disposizione processuale, deve essere considerata la particolare funzione che il divieto di restituzione assolve” (pag. 17).
Le censure difensive sono, pertanto, fondate in quanto il collegio cautelare ha negato, seppur in via subordinata, la restituzione dei beni alle societa’ richiedenti argomentando circa la sussistenza del divieto ex articolo 324, comma 7, in relazione alla confisca per sproporzione di cui alla L. n. 356 del 1992, articolo 12 sexies.
4. Risulta meritevole d’accoglimento anche il secondo motivo.
Invero, il collegio cautelare d’appello ha ritenuto la permanenza di esigenze di prevenzione a fronte di risultanze processuali ed allegazioni difensive che confutano in maniera diffusa la possibilita’ di configurare un perdurante rischio di protrazione di condotte illecite da parte del (OMISSIS) ovvero un aggravamento delle conseguenze del delitto ex articolo 12 quinquies al medesimo ascritto. In particolare, l’ordinanza impugnata non ha considerato adeguatamente lo stato delle procedure concorsuali, l’avvenuta cessione dei complessi aziendali, la palese incapienza dell’attivo acquisito alla massa a fronte del complesso delle insinuazioni, omettendo di illustrare, alla stregua di parametri di ragionevolezza e congruenza giustificativa, le emergenze che giustificano il perdurare di esigenze di prevenzione suscettibili di fondare il mantenimento della misura cautelare reale, rendendo, dunque, sul punto una motivazione meramente apparente.
Questa Corte ha in piu’ occasioni precisato che il “periculum in mora” deve presentare i requisiti della concretezza ed attualita’ e richiede che sia dimostrata con ragionevole certezza l’utilizzazione del bene per la commissione di ulteriori reati o per l’aggravamento o la prosecuzione di quello per cui si procede (ex multis, Sez. 6, n. 18183 del 23/11/2017 – dep.2018, Polifroni e altro, Rv. 272928; n. 56446 del 07/11/2018, Deodati, Rv. 274778; Sez. 3, n. 47686 del 17/09/2014,Euro Piemme srl, Rv. 261167). Il giudice e’ chiamato, quindi, ad una valutazione prognostica, fondata su elementi dotati di adeguata capacita’ rappresentativa, circa la probabilita’ che i beni vincolati possano assumere carattere strumentale rispetto all’aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato o all’agevolazione della commissione di altri reati, principio di cui il Tribunale in sede di rinvio dovra’ fare applicazione allo scopo di verificare, alla luce delle articolate deduzioni difensive, se permangano in via residuale concrete esigenze di tutela da preservare mediante il mantenimento del vincolo cautelare reale.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame, con integrale trasmissione degli atti, al Tribunale di Roma (Sezione per il riesame delle misure cautelari).

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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