L’attribuzione del cognome paterno anche in aggiunta a quello materno

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 13 agosto 2019, n. 21349.

Massima estrapolata:

L’attribuzione del cognome paterno anche in aggiunta a quello materno, è da escludere se vi è la espressa e forte opposizione del minore, nato al di fuori del matrimonio.

Sentenza 13 agosto 2019, n. 21349

Data udienza 4 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente

Dott. MELONI Marina – Consigliere

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 33023/2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 4980/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/07/2019 dal cons. Dott. TRICOMI LAURA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI CORRADO, che ha concluso per l’inammissibilita’, in subordine rigetto;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Latina, pronunciando sul ricorso presentato da (OMISSIS) per chiedere, ai sensi dell’articolo 250 c.c. il consenso al riconoscimento della minore (OMISSIS) (nata il (OMISSIS)), in luogo di quello mancante dell’altro genitore, (OMISSIS), per quanto interessa, con sentenza n. 1177/2015, accoglieva la domanda e, per l’effetto, ordinava all’Ufficiale di Stato civile di provvedere alle relative trascrizioni, disponendo che la minore conservasse il cognome materno all’esito dell’audizione della minore e dell’espletamento di CTU.
(OMISSIS) proponeva impugnazione chiedendo, tra l’altro, che il cognome paterno venisse aggiunto al cognome materno della minore.
La Corte di appello di Roma, accogliendo sul punto l’appello, ha disposto che alla minore sia attribuito il cognome (OMISSIS) (OMISSIS), in luogo di (OMISSIS).
(OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi. (OMISSIS) e’ rimasto intimato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, per irriducibile contraddittorieta’ della motivazione, atteso che la Corte di appello pur avendo dato atto delle difficolta’ emerse nei rapporti padre/figlia, culminati nel rifiuto della minore di incontrare il padre, ha tuttavia ritenuto di accogliere l’impugnativa concernente l’attribuzione del cognome paterno, affermando che la conseguente aggiunta “e’ in linea con la realta’ della minore” (fol. 8).
2. Con il secondo motivo si denuncia la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 132 c.c., comma 2, per irriducibile illogicita’ della decisione laddove, dopo avere evidenziato i rischi di una marginalizzazione della figura paterna, ha ritenuto che la mancata previsione del cognome paterno avrebbe potuto contrastare con la necessita’ della minore di “costruirsi un’autonoma identita’, nell’ottica del “paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione di tale identita’”” (fol. 8).
3. Con il terzo motivo, in via subordinata, si denuncia l’omessa valutazione di un fatto storico decisivo.
La ricorrente si duole che la Corte di appello, nel giustificare l’interesse della minore all’acquisizione del cognome del padre biologico, abbia fatto leva sul processo di costruzione della sua identita’ personale senza tenere conto dell’eta’ della minore, gia’ quindicenne, al momento della decisione, e quindi in piena adolescenza e con un’identita’ ben definita nell’ambito delle relazioni sociali; a cio’ aggiunge che la minore aveva dimostrato di essere molto legata alla famiglia che aveva aiutato sia lei che la madre negli anni e che il padre biologico non assolveva nemmeno gli obblighi di mantenimento.
4.1. I motivi, da trattarsi congiuntamente perche’ intimamente connessi, sono fondati e vanno accolti.
4.2. L’articolo 262 c.c. (come riformulato a seguito del Decreto Legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, articolo 27, comma 1, lettera a), a decorrere dal 7 febbraio 2014 ai sensi di quanto disposto dal medesimo Decreto Legislativo n. 154 del 2013, articolo 108, comma 1) cosi’ disciplina l’attribuzione del cognome al figlio nato fuori del matrimonio:
“Il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto (c.c. 258). Se il riconoscimento e’ stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre.
Se la filiazione nei confronti del padre e’ stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio puo’ assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre (6).
Se la filiazione nei confronti del genitore e’ stata accertata o riconosciuta successivamente all’attribuzione del cognome da parte dell’ufficiale dello stato civile, si applica il primo e il comma 2 del presente articolo; il figlio puo’ mantenere il cognome precedentemente attribuitogli, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno della sua identita’ personale, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo al cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto o al cognome dei genitori in caso di riconoscimento da parte di entrambi.
Nel caso di minore eta’ del figlio, il giudice decide circa l’assunzione del cognome del genitore, previo ascolto del figlio minore, che abbia compiuto gli anni dodici e anche di eta’ inferiore ove capace di discernimento.”.
4.3. Questa Corte, con costante giurisprudenza, ha chiarito, in tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio nato fuori dal matrimonio e riconosciuto non contestualmente dai genitori, che i criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione del suo interesse, che e’ quello di evitare un danno alla sua identita’ personale, intesa anche come proiezione della sua personalita’ sociale, avente copertura costituzionale assoluta; che la scelta, anche officiosa, del giudice e’ ampiamente discrezionale e deve avere riguardo al modo piu’ conveniente di individuare il minore in relazione all’ambiente in cui e’ cresciuto fino al momento del successivo riconoscimento, non potendo essere condizionata dall’esigenza di equiparare il risultato a quello derivante dalle diverse regole, non richiamate dall’articolo 262 c.c., che presiedono all’attribuzione del cognome al figlio nato nel matrimonio (Cass. civ. sez. I n. 12640 del 18/6/2015). Il giudice e’ investito dall’articolo 262 c.c., commi 2 e 3, del potere-dovere di decidere su ognuna delle possibilita’ previste da detta disposizione avendo riguardo, quale criterio di riferimento, unicamente all’interesse del minore e con esclusione di qualsiasi automaticita’, che non riguarda ne’ la prima attribuzione, essendo inconfigurabile una regola di prevalenza del criterio del “prior in tempore”, ne’ il patronimico, per il quale non sussiste alcun “favor” in se’ nel nostro ordinamento (Cass. civ. sez. I n. 2644 del 3/2/2011; Cass. n. 14232 del 05/06/2013).
Cio’, perche’ il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali della persona e cio’ che rileva non e’ l’esigenza di rendere la posizione del figlio nato fuori dal matrimonio quanto piu’ simile possibile a quella del figlio di coppia coniugata, quanto piuttosto quella di garantire l’interesse del figlio a conservare il cognome originario se questo sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identita’ personale in una determinata comunita’ (Cass. n. 17139 del 11/07/2017).
4.4. Nella specie, la Corte territoriale, pur avendo richiamato in linea di massima i principi enunciati, non vi ha dato corretta applicazione; infatti ha considerato il grave deterioramento dei rapporti padre/figlia culminato nel rifiuto cosi’ espresso da parte di quest’ultima “Biologicamente e’ mio padre, ma lo non lo voglio. Nessuno me ne ha parlato male…. Non lo voglio e basta. lo non ci riesco a volerlo. Non lo vedo da mesi, lo sto bene senza di lui…” e la circostanza dell’avvenuto riconoscimento si era arrestata allo stadio di diritto, senza tradursi in una affectio genitoriale e filiale nonostante i tentativi condotti anche con l’ausilio dei Servizi sociali (fol. 5 della sent. imp.) osservando tuttavia, in palese contraddizione, trasmutatasi in illogicita’ assoluta – e dunque – nella nullita’ della pronuncia, che la scelta dell’attribuzione del cognome paterno era il linea con la realta’ della minore, senza spiegarne le ragioni se non mediante formule che, per la loro asettica formulazione, appaiono di stile – da un lato, osservando sic et simpliciter che cio’ non poteva costituire un danno, e, dall’altro, adombrando che l’attribuzione del cognome potesse, di per se’ sola, incidere positivamente sulla maturazione del rapporto padre/figlia, contrastando la marginalizzazione paterna e contribuendo ad assicurare il rilievo di entrambe le figure genitoriali al processo di costruzione dell’identita’ personale, nonostante l’ostilita’ manifestata dalla figlia.
Invero non emerge dalla sentenza impugnata che siano stati utilizzati correttamente i criteri prima enunciati volti a preservare l’interesse della minore ad evitare un danno alla sua identita’ personale, intesa anche come proiezione della sua personalita’ sociale, giacche’ risultano trascurate sia la contraria volonta’ della minore, sia il fatto storico costituito dall’eta’ della stessa, gia’ in fase preadolescenziale/adolescenziale, sintomatico di un potenziale e consolidato inserimento in una rete di relazioni sociali e della capacita’ ad avere una marcata cognizione identitaria del se’, espressa dal cognome materno che la individuava dalla nascita.
5. In conclusione il ricorso va accolto, la decisione impugnata va cassata e rinviata alla Corte di appello di Roma in diversa composizione per il riesame e la liquidazione delle spese anche del presente grado.
Va disposto che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalita’ delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del Decreto Legislativo n. 30 giugno 2003 n. 196, articolo 52.

P.Q.M.

– Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione anche per provvedere sulle spese di legittimita’;
– Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalita’ delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del Decreto Legislativo n. 30 giugno 2003 n. 196, articolo 52.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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