Misure cautelari personali ed il principio del minor sacrificio necessario

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 20 marzo 2019, n. 12425.

La massima estrapolata:

In materia di misure cautelari personali, a fronte della tipizzazione legislativa di un “ventaglio” di misure di crescente gravità, il principio del minor sacrificio necessario, ribadito anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 231 del 2011, impone al giudice di applicare i criteri di adeguatezza e di proporzionalità di cui all’art. 275, comma 1, c.p.p., scegliendo la misura meno afflittiva fra tutte quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze cautelari nel caso di specie. Pertanto dal provvedimento restrittivo devono risultare le concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze cautelari non possono essere soddisfatte con misure diverse dal carcere, prescrizione quest’ultima che si coordina con il disposto del comma 3 dell’art. 275 c.p.p. che sottolinea la funzione residuale della carcerazione preventiva.

Sentenza 20 marzo 2019, n. 12425

Data udienza 28 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente

Dott. MENICHETTI Carla – Consigliere

Dott. BELLINI Ugo – Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenz – rel. Consigliere

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 17/12/2018 del TRIB. LIBERTA’ di CAGLIARI;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;
sentite le conclusioni del PG Dott. ROMANO Giulio che ha chiesto rigettarsi il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 17/12/2018 il Tribunale di Cagliari, accoglieva l’appello ex articolo 310 c.p.p. proposto dal P.M. avverso l’ordinanza emessa il 21/11/2018 dal GIP del Tribunale di Oristano che aveva rigettato la richiesta di aggravamento della misura cautelare degli arresti domiciliari e, in riforma dell’ordinanza impugnata, applicava la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di (OMISSIS), in quanto indagato, in concorso con altri, per i reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 1 e 4, articolo 80 e articolo 61 c.p., n. 2 e L. n. 110 del 1975, articolo 23, commi 3 e 4 commessi in (OMISSIS).
2. Ricorre (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
a. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) – violazione dell’articolo 299 c.p.p., comma 4 – capo relativo alla sostituzione della misura degli arresti domiciliari con quella della custodia cautelare in carcere – punto relativo alla ritenuta sussistenza dei presupposti per l’aggravamento della misura cautelare
Il ricorrente si duole dell’errata applicazione dell’articolo 299 c.p.p., comma 4, in quanto, nel caso di specie, non si sarebbe verificato il necessario mutamento della situazione di fatto tale da aggravare le esigenze cautelari precedentemente considerate.
Infatti, come correttamente osservato dal GIP nel provvedimento di rigetto della richiesta di aggravamento della misura degli arresti domiciliari applicata con l’ordinanza del Tribunale del Riesame del 12/10/2018, la richiesta formulata dal Pubblico Ministero si fondava unicamente sulla rivalutazione del quadro indiziarlo riferito alla contestazione cautelare gia’ gravante sull’indagato e gia’ valutato, il tutto alla luce dell’acquisizione di nuovi elementi di indagine, riferiti ai fatti gia’ posti a carico dell’indagato, per i reati di detenzione e porto dell’arma clandestina sequestrata in occasione dell’arresto in flagranza dello (OMISSIS). Tali condotte erano gia’ emerse nell’attivita’ di indagine, ed erano gia’ state vagliate dal G.I.P. e dal Giudice del riesame anche dal punto di vista della consistenza cautelare.
Pertanto la semplice acquisizione nel corso dell’attivita’ di indagine di ulteriori elementi rafforzanti l’ipotesi accusatoria gia’ delineata nell’imputazione cautelare a carico dell’indagato e cristallizzata nel giudicato cautelare, sarebbe inidonea, in mancanza di specifici e concreti elementi di fatto sopravvenuti rispetto al quadro preesistente, a costituire il presupposto per l’aggravamento della misura in atto ai sensi dell’articolo 299 c.p.p., comma 4.
Mentre, l’aggravamento della misura puo’ essere disposto solo nel caso di nuove circostanze tali da far ritenere aggravata l’esigenza cautelare originariamente posta a fondamento della misura.
Nel caso che ci occupa, invece, il giudice del riesame, accogliendo la prospettazione del P.M., avrebbe accolto la richiesta di aggravamento non sulla base di un comportamento sopravvenuto dello (OMISSIS) o del mutamento della situazione di fatto per la quale veniva applicata la misura degli arresti domiciliari, ma unicamente sulla ritenuta maggiore consistenza del quadro indiziario scaturente dalla semplice prosecuzione delle indagini preliminari.
Il ricorrente ritiene corretta l’interpretazione data nel provvedimento appellato dal P.M. che “le emergenze ulteriori non cambiano nella sostanza il quadro di riferimento esaminato dal Tribunale”, con conseguente rigetto della richiesta ritenendo che ove fosse stata ritenuta insoddisfacente la misura applicata il P.M. avrebbe dovuto proporre impugnazione avverso l’ordinanza del tribunale del Riesame e non chiedere l’aggravamento della misura cautelare sulla base dello stesso quadro indiziario.
Gli ulteriori elementi acquisiti nel corso dell’attivita’ di indagine, infatti, anche se idonei a rafforzare l’ipotesi accusatoria gia’ formulata a carico dell’indaga-to, non possono incidere sulla valutazione delle esigenze cautelari, gia’ valutate e poste a fondamento della misura in atto.
b. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) – violazione dell’articolo 275 c.p.p., comma 3 – capo relativo alla sostituzione della misura degli arresti domiciliari con quella della custodia cautelare in carcere – punto relativo alla ritenuta inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari.
Il ricorrente si duole altresi’ dell’errata applicazione dell’articolo 275 c.p.p., comma 3, laddove il provvedimento impugnato omette di valutare correttamente l’inadeguatezza delle altre misure coercitive e, in particolare, della misura cautelare degli arresti domiciliari gia’ in atto.
Lo (OMISSIS) ritiene che i nuovi elementi di prova emersi dall’ispezione informatica eseguita sul telefono cellulare e sulla sim card dell’indagato, non inciderebbero sulle esigenze cautelari, gia’ valutate e poste a fondamento della misura degli arresti domiciliari in atto, non comportando un mutamento della situazione di fatto ma semplicemente un rafforzamento del quadro indiziario gia’ consolidato, ne’ tantomeno un aggravamento del pericolo di recidiva.
La misura gia’ applicata degli arresti domiciliari sarebbe sufficiente e idonea alla tutela delle esigenze cautelari del caso concreto e, pertanto, proporzionata alla necessita’ cautelare e adeguata alla personalita’ dell’indagato.
Infatti la condotta dell’indagato, sempre rispettosa delle prescrizioni, come attestato anche nell’ordinanza appellata, deve necessariamente essere considerata nella valutazione di idoneita’ e di adeguatezza della misura in essere rispetto alla personalita’ dell’indagato, dotato di spiccato senso di autodisciplina e capacita’ di autocontrollo.
Del resto, continua il ricorrente, lo (OMISSIS), prima dell’arresto aveva sempre tenuto una condotta di vita regolare, immune da precedenti penali o carichi pendenti, con un attivita’ lavorativa, indice di una personalita’ certamente non strutturata in senso deviante e non proclive al delitto.
Ne’ sarebbero emersi elementi dai quali presumere uno stabile inserimento nell’organizzazione che si e’ occupata della coltivazione, essendo il suo coinvolgimento nell’attivita’ illecita soltanto occasionale e limitato al taglio e alla raccolta delle infiorescenze dalle piante.
c. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) – violazione dell’articolo 275 c.p.p., comma 3-bis – Omessa o insufficiente motivazione quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lett e) – in relazione alla omessa indicazione delle specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’articolo 275-bis c.p.p., comma 1.
Il ricorrente lamenta la mancata considerazione ed indicazione delle ragioni per cui e’ stato ritenuto inidoneo l’aggravamento delle modalita’ esecutive della misura degli arresti domiciliari in violazione di quanto previsto dall’articolo 275 c.p.p., comma 3-bis.
d. Contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in relazione alla ritenuta inadeguatezza delle misure cautelari diverse dalla custodia cautelare in carcere.
Il ricorrente censura l’illogicita’ e la contraddittorieta’ della motivazione dell’impugnato provvedimento laddove ritiene l’inadeguatezza di ogni altra misura diversa dalla custodia cautelare in carcere in aperta antitesi con la circostanza, richiamata anche dal G.I.P. nel provvedimento di rigetto, secondo cui lo (OMISSIS) ha sempre rispettato le prescrizioni impostegli con la misura degli arresti domiciliari a conferma dell’idoneita’ di tale misura a soddisfare le esigenze cautelari.
Pertanto, a maggior ragione, la motivazione a sostegno dell’inadeguatezza della misura avrebbe dovuto fornire una motivazione rafforzata, dando atto delle ragioni per cui la prognosi infausta in ordine all’inadeguatezza della misura meno grave debba ritenersi prevalente sulla comprovata capacita’ della misura in atto di adempiere al suo ruolo di tutela sociale.
e. Mancanza di motivazione quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lett e) – in relazione alla attualita’ del pericolo di recidiva giustificante l’applicazione della custodia cautelare in carcere.
Il ricorrente rileva, infine, la carenza di motivazione sull’attualita’ del pericolo di recidiva tale da giustificare l’applicazione della misura cautelare piu’ grave.
Chiede pertanto che questa Corte annulli l’ordinanza impugnata, con tutte le conseguenze di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi sopra illustrati appaiono fondati, nei termini che si andranno di seguito a precisare.
2. Ben poteva, ad avviso del Collegio, il tribunale cagliaritano valutare gli ulteriori elementi emersi nel prosieguo delle indagini, che danno conto di un aggravamento della posizione dello (OMISSIS) e del ruolo svolto all’interno dell’organizzazione criminale. Inizialmente, infatti, anche se l’arma era stata ritenuta sicuramente riferibile all’indagato, non si era ritenuto possibile attribuirgli il ruolo di custode che invece gli appare chiaramente riferibile a seguito dei nuovi elementi acquisiti, che suffragano l’ipotesi che l’arma sia stata procurata e portata nella piantagione proprio dallo (OMISSIS) allo scopo di difendere l’attivita’, svolgendo il ruolo di guardia armata della piantagione.
Come ricorda il provvedimento impugnato, dalle due annotazioni di P.G. datate rispettivamente 17.10.2018 e 30.10.2018 e dai relativi allegati, e’ risultato che durante l’ispezione informatica dello smartphone dello (OMISSIS) sono state trovate nella sua memoria diverse fotografie (si tratta delle immagini nn. 811, 7218, 7219 e 7225) raffiguranti una pistola semiautomatica di tipo Beretta del tutto identica, per calibro e caratteristiche estrinseche, a quella rinvenuta e sequestrata in prossimita’ della piantagione il giorno dell’arresto dell’indagato; in alcune di queste fotografie, peraltro, lo (OMISSIS) e’ ritratto con in mano la predetta arma. Nel suo cellulare e’ stata, inoltre, ritrovata una conversazione Whatsapp che l’indagato aveva avuto in data (OMISSIS) con tale ” (OMISSIS)” nel corso della quale aveva proposto all’interlocutrice di andare a “fare due tiri” con la pistola raffigurata nella fotografia contestualmente inviatele, pistola corrispondente a quella rappresentata nelle immagini di cui sopra si e’ detto e, dunque, analoga a quella in sequestro.
Tali risultanze – come si diceva- hanno consentito di ritenere dimostrato con elevato grado di probabilita’ che l’arma clandestina rinvenuta e sequestrata nella piantagione fosse nella disponibilita’ dello (OMISSIS) gia’ dal (OMISSIS) e, conseguentemente, che sia stato quest’ultimo a portarla nella piantagione affinche’ fosse utilizzata per tutelare l’attivita’ illecita di coltivazione da lui compiuta in concorso con i coindagati (nonche’ altri soggetti allo stato non ancora identificati).
3. Ebbene, quanto sopra aggrava con tutta evidenza il grave quadro indiziario gia’ ravvisato a carico dello (OMISSIS) in ordine alla sua partecipazione sia nel reato di coltivazione di marijuana sia in quelli di detenzione, porto e ricettazione dell’arma clandestina utilizzata per la difesa della piantagione. E certamente, evidenziando che lo stesso sembrerebbe coinvolto nell’attivita’ illecita per la quale e’ indagato da epoca ben anteriore rispetto a quella in cui la P.G. aveva notato la sua presenza nella piantagione ed, altresi’, che il suo ruolo nella stessa non fosse stato occasionale e circoscritto alla sola fase di raccolta delle piante bensi’ radicato nel tempo ed esteso anche all’attivita’ di custodia armata della piantagione influisce sulla intensita’ delle esigenze di cautela sociale poste a fondamento dell’originario provvedimento limitativo della sua liberta’, laddove disvela un’inclinazione dell’indagato a delinquere ed una sua pericolosita’ sociale ancora maggiori di quelle gia’ ritenute sussistenti sia dal G.I.P. sia dal tribunale in sede di riesame.
Invero il fatto che l’odierno ricorrente avesse, da epoca ben anteriore alla commissione dei fatti per cui si procede, la disponibilita’ di un’arma clandestina, valutato unitamente alla spregiudicatezza da lui dimostrata nell’aver portato la suddetta arma nella piantagione al fine di utilizzarla (ove necessario) per proteggere la stessa, mettendola a disposizione del gruppo (circostanza indicativa dei suoi preesistenti e stabili rapporti con gli altri soggetti coinvolti e della fiducia che riponeva in costoro), induce il tribunale correttamente a riconoscere al concreto ed attuale pericolo di recidiva gia’ ravvisato a suo carico un’intensita’ e grado ben piu’ elevati rispetto a quelli originariamente supposti.
4. Da cio’, tuttavia, il tribunale cagliaritano fa discendere automaticamente -ma cosi’ non puo’ essere- che solo la misura della custodia in carcere e’ in grado di neutralizzare tali esigenze.
Fondato, percio’, e’ il profilo di doglianza che attiene alla mancanza di motivazione in punto di adeguatezza della piu’ afflittiva misura cautelare irrogata. E, per converso, di inadeguatezza di quella degli arresti domiciliari, anche eventualmente con le procedure di controllo di cui all’articolo 275-bis c.p.p., comma 1.
Va ricordato che la consolidata giurisprudenza di legittimita’ valorizza l’importanza dei principi generali di proporzionalita’ e adeguatezza delle misure coercitive (articolo 275 c.p.p., comma 1), che impongono di prescegliere la misura piu’ adatta a soddisfare le esigenze di cautela e, nel contempo, meno inutilmente invasiva della persona dell’indagato. Vale infatti la regola secondo cui, in materia di misure cautelari, a fronte della tipizzazione da parte del legislatore di un “ventaglio” di misure di gravita’ crescente, il criterio di “adeguatezza” di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 1, dando corpo al principio del “minore sacrificio necessario” (anche ribadito dalla Corte costituzionale, nella sentenza 22 luglio 2011 n. 231), impone al giudice di scegliere la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze cautelari ravvisabili nel caso di specie (cfr. Sez. Sez. Un., n. 20769 del 28/4/2016, Lovisi, Rv. 266650). Pertanto, nel provvedimento restrittivo e’ necessario indicare non soltanto gli elementi di fatto dai quali le esigenze cautelari sono desunte, ma anche le concrete e specifiche ragioni per le quali tali esigenze non possono essere soddisfatte con misure diverse dal carcere; prescrizione quest’ultima che assume particolare rilevanza ove coordinata con il disposto dell’articolo 275 c.p.p., comma 3, primo periodo, che sottolinea la funzione residuale e “quasi eccezionale” della misura cautelare della custodia in carcere (cosi’ le citate SS.UU. Lovisi).
Il giudice si deve soffermare quindi sul profilo dell'”adeguatezza” della misura cautelare in concreto prescelta, anche se, ovviamente, qualora venisse applicata, perche’ ritenuta “adeguata”, la misura della custodia in carcere, non e’ necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma e’ sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalita’ di commissione dei reati, nonche’ dalla personalita’ dell’indagato, gli elementi specifici che, nella singola fattispecie, fanno ragionevolmente ritenere la custodia in carcere come la misura piu’ adeguata ad impedire la prosecuzione dell’attivita’ criminosa, rimanendo in tal modo superata ed assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneita’.
Cio’ risulta in continuita’ con quanto pacificamente affermato anche in precedenza dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte che in tema di scelta e adeguatezza delle misure cautelari, ai fini della motivazione del provvedimento di custodia in carcere, non e’ necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma e’ sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalita’ di commissione dei reati nonche’ dalla personalita’ dell’indagato, gli elementi specifici che inducono ragionevolmente a ritenere la custodia in carcere come la misura piu’ adeguata al fine di impedire la prosecuzione dell’attivita’ criminosa, rimanendo in tal modo assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneita’ delle altre misure coercitive (Sez. 6, n. 17313 del 20/4/2011, Cardoni, Rv. 250060; conf. Sez. 1, n. 45011 del 26/9/2003, Villani, Rv. 227304). In altra pronuncia era stato condivisibilmente sottolineato che in tema di criteri di scelta delle misure cautelari, e’ immune da censure la decisione con cui il giudice di merito rigetti l’istanza di sostituzione della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, sulla base di elementi specifici inerenti al fatto, alle sue motivazioni ed alla personalita’ del soggetto che indichino quest’ultimo come propenso all’inosservanza dell’obbligo di non allontanarsi dal domicilio, in violazione delle cautele impostegli, trattandosi di soggetto violento e proclive a reati commessi mediante l’uso di violenza personale; e questo ancorche’ la previsione di cui all’articolo 275 c.p.p. non ponga a carico del giudice l’obbligo di una motivazione analitica sull’inadeguatezza di ogni altra misura cautelare (nella specie arresti domiciliari), essendo a tal fine sufficiente e necessario che egli dimostri che l’unica misura adeguata ad impedire la prosecuzione dell’attivita’ criminosa e’ la permanenza in carcere (Sez. 5, n. 9494 del 19/10/2005 dep. il 2006, Pannone, Rv. 233884).
Ebbene, se questi sono i principi giuridici di riferimento, va osservato che nel caso che ci occupa, manca una concreta valutazione della natura del reato per cui si procede, della personalita’ dell’indagato, e di quant’altro possa essere oggetto di valutazione per desumere all’esito di avere ritenuto che l’unica misura idonea fosse quella della custodia cautelare in carcere.
Tocchera’, pertanto, al giudice del rinvio, alla luce dei principi giuridici sopra ricordati operare una nuova valutazione in punto di inadeguatezza della gia’ disposta misura degli arresti domiciliari e darne conto in motivazione.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente all’adeguatezza della misura cautelare e rinvia sul punto al Tribunale del Riesame di Cagliari.

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