Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 21 febbraio 2019, n. 5135.
La massima estrapolata:
Il coerede che sul bene comune da lui posseduto abbia eseguito delle migliorie può pretendere, in sede di divisione, non già l’applicazione dell’art. 1150 c.c. – secondo cui è dovuta un’indennità pari all’aumento di valore della cosa in conseguenza dei miglioramenti – ma, quale mandatario o utile gestore degli altri eredi partecipanti alla comunione ereditaria, il rimborso delle spese sostenute per il suddetto bene comune, esclusa la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta e non di debito di valore.
Sentenza 21 febbraio 2019, n. 5135
Data udienza 5 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. ABETE Luigi – Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17606-2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
sul ricorso 18118-2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 264/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 18/02/2014;
preliminarmente il Collegio dispone la riunione delle cause RGn. 17606/2014 ed RGn. 18118/2014 ai sensi dell’articolo 335 c.p.c.;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/07/2018 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale MISTRI CORRADO, che ha concluso per rigetto del ricorso RGn. 17606/2014 e per l’accoglimento del primo e del terzo motivo del ricorso RGn. 18118/2014;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore della ricorrente (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del proprio ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) conveniva in giudizio il fratello (OMISSIS) e la sorella (OMISSIS). Deducendo che il padre aveva donato in parti uguali e pro-indiviso ai propri tre figli un fabbricato, composto da un piano terreno e un primo piano, che il donante era deceduto e che l’immobile era stato ristrutturato e sopraelevato dai convenuti, l’attrice chiedeva che si procedesse a divisione dell’immobile e che i due convenuti fossero condannati al pagamento degli utili ricavati dal godimento del bene. (OMISSIS), costituendosi in giudizio, non si opponeva alla divisione, ma deduceva di essersi accollato quasi tutte le spese della ristrutturazione del fabbricato e chiedeva che gli fossero corrisposte le indennita’ spettanti. Si costituiva, tardivamente, (OMISSIS), che si opponeva alla domanda proposta dalla sorella e chiedeva, in via riconvenzionale, di dichiarare l’acquisto per usucapione della proprieta’ della quota dell’immobile spettante a (OMISSIS).
Il Tribunale di Crotone con sentenza non definitiva affermava il diritto di dividere l’immobile, respingeva la domanda riconvenzionale di usucapione di (OMISSIS) e dichiarava inammissibile perche’ tardiva la domanda della medesima relativa al riconoscimento dell’indennita’ per miglioramenti; con successiva sentenza definitiva il Tribunale confermava quanto stabilito dalla sentenza non definitiva, disponeva lo scioglimento della comunione secondo il progetto di divisione predisposto dal consulente tecnico d’ufficio, con i conguagli ivi previsti, condannava (OMISSIS) e (OMISSIS) a rimborsare, rispettivamente, 202,10 Euro e 951,88 Euro ad (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS) a pagare in favore di (OMISSIS) la somma di 50.000 Euro.
2. Entrambe le sentenze venivano appellate in via principale da (OMISSIS); (OMISSIS) proponeva appello incidentale.
La Corte d’appello di Catanzaro – con pronuncia 18 febbraio 2014, n. 264 – ha anzitutto dichiarato inammissibile l’appello principale avverso la sentenza non definitiva per la parte concernente il rigetto della domanda riconvenzionale di usucapione di (OMISSIS) perche’ privo di censure di merito, ha poi dichiarato la nullita’ della sentenza non definitiva provvedendo sui capi oggetto di impugnazione di merito e ha infine rigettato l’appello principale e quello incidentale avverso la sentenza definitiva.
3. Ricorrono per cassazione contro la pronuncia della Corte d’appello, con distinti atti, (OMISSIS) e (OMISSIS).
Resiste con controricorso rispetto ai due atti di ricorso (OMISSIS). La controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’articolo 380-bis 1 c.p.c.
Alla pubblica udienza i due ricorsi sono stati riuniti e il ricorso di (OMISSIS), successivamente proposto, e’ stato riqualificato come incidentale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso principale di (OMISSIS) e’ articolato in cinque motivi.
1. Il primo motivo denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 violazione e falsa applicazione degli articoli 158, 159, 161, 50-quater, 274-bis, 281-octies, 174, 187, 189, 353, 354, 356, 275 c.p.c., nullita’ del procedimento e motivazione difettosa: la Corte d’appello, pur avendo dichiarato la nullita’ della sentenza non definitiva di primo grado per vizi relativi alla costituzione del giudice (decisione della causa da parte del giudice monocratico invece che collegiale), ha incorporato, senza rinnovare, “gli atti istruttori e valutativi” compiuti dal giudice monocratico, senza poi considerare che il giudice che aveva deciso la sentenza non definitiva non ha poi fatto parte del collegio che ha deciso la definitiva e che la causa e’ “transitata” dal giudice monocratico a quello collegiale “in via di fatto per illegittima avocazione da parte del collegio”.
Il motivo e’ infondato. La Corte d’appello ha accolto il primo motivo dell’appello principale e incidentale e ha cosi’ dichiarato la nullita’ della sentenza non definitiva perche’ deliberata dal giudice monocratico e non invece dal collegio, vizio che la Corte non ha ritenuto sanato dalla successiva pronuncia di conferma resa in composizione collegiale. La Corte ha quindi, trattandosi di vizio che non comporta la rimessione della causa al primo giudice, deciso “ex novo sui punti della pronuncia non definitiva che hanno formato oggetto di censura, unitamente alle consequenziali statuizioni della sentenza definitiva” ottemperando in tal modo a quanto prescrive l’articolo 354 c.p.c., u.c.. La ricorrente lamenta che la Corte non ha rinnovato gli atti istruttori: la censura non puo’ essere accolta in quanto il vizio ha colpito la deliberazione, posta in essere da parte del giudice monocratico invece che collegiale, ma non la precedente fase di istruzione della causa, che pure nelle cause che spettano al collegio si svolge davanti a un unico giudice, il giudice istruttore. Neppure possono essere accolte le due successive censure: la Corte d’appello ha infatti considerato sia che il giudice monocratico che aveva istruito la causa non ha poi fatto parte del collegio che ha deciso la sentenza definitiva, osservando che vi e’ comunque stata coincidenza tra il giudice davanti al quale sono state precisate le precisazione e quello che e’ stato relatore ed estensore della decisione (pp. 21-22 della sentenza impugnata) e che la mancanza di una formale declaratoria di rimessione della causa al collegio – comunque non dedotta quale motivo d’appello non incide sulla validita’ della sentenza.
2. Il secondo motivo contesta violazione e falsa applicazione degli articoli 158, 161, 50-quater, 342, 346 e 324 c.p.c., motivazione insufficiente e contraddittoria, violazione dell’articolo 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda riconvenzionale di usucapione: la Corte d’appello ha errato nel dichiarare inammissibile l’appello principale nella parte in cui investiva il rigetto della domanda riconvenzionale di usucapione perche’ l’impugnazione per nullita’ della sentenza “ha pieno effetto devolutivo, dovendo il giudice di seconda istanza interamente affrontare la trattazione e la decisione della causa sulle conclusioni cosi’ come precisate in primo grado”.
Il motivo e’ infondato. Il giudice d’appello, nel rilevare che “non forma oggetto di censure di merito il rigetto della riconvenzionale di usucapione” e nel conseguentemente dichiarare inammissibile, per tale parte, l’appello principale avverso la non definitiva, ha seguito la giurisprudenza di questa Corte secondo cui “e’ ammissibile l’impugnazione con cui l’appellante deduca esclusivamente vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso in senso a lui sfavorevole anche nel merito solo qualora detti vizi comportino, se fondati, la rimessione al primo giudice ex articoli 353 e 354 c.p.c.” (cosi’, da ultimo, Cass. 11299/2018).
3. Il terzo motivo fa valere violazione e falsa applicazione dell’articolo 1101 e ss., articoli 713, 723, 2697, 1150, 2031, 2040, 2041 c.c., articolo 263 e ss., articoli 115 e 116 c.p.c., nonche’ motivazione difettosa: la Corte d’appello non ha considerato che il bene caduto in comunione era un rudere inabilitabile che e’ stato demolito e sostituito con una nuova costruzione eseguita dai germani (OMISSIS) e (OMISSIS), con il sorgere dell’obbligo di (OMISSIS) di corrispondere l’indennizzo per l’aumento di valore del bene o comunque, in subordine, di qualificare come debito di valore quello di rifusione delle spese.
Il motivo e’ infondato. Il giudice d’appello ha seguito l’orientamento di questa Corte secondo cui “il coerede che sul bene comune da lui posseduto abbia eseguito delle migliorie puo’ pretendere, in sede di divisione, non gia’ l’applicazione dell’articolo 1150 c.c. – secondo cui e’ dovuta un’indennita’ pari all’aumento di valore della cosa in conseguenza dei miglioramenti – ma, quale mandatario o utile gestore degli altri eredi partecipanti alla comunione ereditaria, il rimborso delle spese sostenute per la cosa comune, esclusa la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta e non di debito di valore” (Cass. 16206/2013). Ne’ incide sulla correttezza della decisione d’appello il fatto, dedotto dalla ricorrente, che nel caso di specie sia stato costruito un nuovo edificio: secondo le sezioni unite di questa Corte, “la costruzione eseguita dal comproprietario sul suolo comune diviene, per accessione, ai sensi dell’articolo 934 c.c., di proprieta’ comune agli altri comproprietari” che “sono tenuti a rimborsare al comproprietario costruttore, in proporzione alle rispettive quote di proprieta’, le spese sostenute per l’edificazione dell’opera” (Cass., sez. un., n. 3873/2018).
4. Il quarto motivo lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 167 c.p.c., articolo 263 c.p.c. e ss., articolo 790 c.p.c. e ss., articoli 1116, 723 c.c., nonche’ carenza di motivazione: il giudice d’appello ha errato nel ritenere tardiva la domanda della ricorrente, analoga a quella avanzata dal fratello, di rimborso delle spese sostenute e dell’indennizzo relativi ai miglioramenti perche’ tale richiesta era presente nella comparsa risposta, avendo l’attrice chiesto il rendiconto, ed e’ stata resa maggiormente esplicita nella memoria integrativa autorizzata ai sensi dell’articolo 184 c.p.c.
Il motivo e’ infondato. La Corte d’appello ha precisato (p. 26 della sentenza impugnata) che la domanda e’ stata proposta per la prima volta solo nella memoria autorizzata ai sensi dell’articolo 184 c.p.c., mentre nessuna domanda di rimborso era stata formulata nella comparsa di risposta – ne’ la richiesta di rimborso puo’ essere ricavata dalla richiesta di rendiconto formulata da parte attrice – e che non rileva che fossero stati dedotti mezzi istruttori volti a dimostrare l’esecuzione di lavori di rifacimento e ristrutturazione dell’immobile in quanto correlati alla, questa si’ proposta con la comparsa di risposta, domanda riconvenzionale di usucapione.
5. Il quinto motivo contesta violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, articoli 17 e 40 e motivazione apparente: la Corte d’appello, nel considerare divisibile l’immobile, non ha tenuto conto che e’ stato realizzato un terzo piano, abusivo a fronte di una concessione edilizia per soli due piani fuori terra, terzo piano che renderebbe incommerciabile e indivisibile nella sua interezza l’immobile.
Il motivo non puo’ essere accolto. A prescindere dalla applicabilita’ o meno della L. n. 47 del 1985, articolo 40 alla divisione ereditaria, quale atto conclusivo della vicenda successoria, (cfr. Cass. 2313/2010), la Corte d’appello ha ritenuto, con motivazione congrua, che le parti urbanisticamente legittime dell’immobile (due magazzini al piano terra e due appartamenti al primo piano) sono giuridicamente e funzionalmente indipendenti rispetto alla porzione abusiva (il secondo piano) e quindi oggetto di autonoma divisione.
Il ricorso principale va pertanto rigettato.
2. Il ricorso incidentale di (OMISSIS) e’ basato su quattro motivi tra loro connessi:
1. Il primo motivo lamenta, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3 violazione e falsa applicazione degli articoli 2028 c.c. e ss.: la Corte d’appello, avendo errato nel non inquadrare l’operato del ricorrente nell’ambito della gestione d’affari, avrebbe pregiudicato il ricorrente, arrivando a riconoscere alla comproprietaria inerte 1/3 di una redditivita’ teorica e continua, senza decurtarla degli oneri di gestione e delle imposte.
2. Il secondo motivo contesta, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3 violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 1226 c.c., articoli 61 e 116 c.p.c.: la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che (OMISSIS), formulata la domanda di rendiconto, avesse “esaurito gli oneri a suo carico”, cosi’ che non sussistevano i presupposti per provvedere “all’accertamento equitativo dei frutti attingendo al criterio del canone locativo di mercato”, con conseguente inammissibilita’ della consulenza tecnica d’ufficio che ha determinato il canone locatizio di mercato dell’immobile.
3. Il terzo motivo fa valere violazione e falsa applicazione degli articoli 2031, 2697 e 1226 c.c., articolo 115 c.p.c. e articolo 3 Cost.: la Corte d’appello non ha riconosciuto al ricorrente il rimborso degli oneri di gestione, oneri di gestione che doveva in ogni caso determinare in modo forfettario o comunque con valutazione equitativa e ha cosi’ violato l’articolo 2031 c.c., comma 1, operando una ingiustificata diversita’ di trattamento tra due parti del processo.
4. Il quarto motivo denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4 nullita’ della sentenza “per violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato”: la Corte d’appello, nel non riconoscere “gli oneri riconducibili all’attivita’ gestoria” avrebbe pure violato l’articolo 112 c.p.c., in quanto la “sola domanda attrice di rendiconto era di per se’ sufficiente a ricomprendere nel thema decidendum l’individuazione di tutte le voci in attivo, ma anche in passivo dell’amministrazione del fabbricato”.
I motivi non possono essere accolti. Il ricorrente riconduce l’utilizzo da parte dei giudici di merito del criterio dell’equo canone locativo invece di quello dell’accertamento dei canoni effettivamente percepiti, detratti i costi di gestione – alla mancata applicazione alla fattispecie della disciplina della negotiorum gestio di cui agli articoli 2028 ss. c.c. L’assunto del ricorrente e’ errato. Se e’ vero che secondo la giurisprudenza di questa Corte “la locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell’ambito della gestione d’affari ed e’ soggetta alle regole di tale istituto” (Cass., sez. un., n. 11135/2012), il gestore e’ soggetto alle stesse obbligazioni che deriverebbero da un mandato e quindi anche all’obbligo di rendiconto di cui all’articolo 1713 c.c. Ed e’ la mancata ottemperanza all’ordine di rendiconto che ha determinato l’utilizzo in via equitativa del criterio del canone locativo di mercato (p. 23 della sentenza impugnata). A fronte della deduzione da parte dell’attrice (OMISSIS) del godimento esclusivo del bene da parte dei convenuti, che non le avevano riconosciuto la propria quota di proventi – circostanze queste, afferma il giudice d’appello, incontestate – e della sua richiesta di resa del conto, spettava ai convenuti ottemperare al rendiconto, in assenza del quale correttamente osserva la Corte d’appello – legittimamente il Tribunale ha provveduto all’accertamento equitativo dei frutti mediante consulenza tecnica d’ufficio, senza considerare eventuali spese, non provate dai convenuti, che appunto non hanno adempiuto all’ordine di rendiconto.
3. Le spese di lite sono liquidate in dispositivo e seguono la soccombenza; la somma liquidata e’ comprensiva della maggiorazione del 20% determinata dalla proposizione di due controricorsi da parte di (OMISSIS).
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, principale e incidentale, dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale, condanna la ricorrente principale e il ricorrente incidentale in solido tra loro al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente (OMISSIS), che liquida in Euro 10.500, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, principale e incidentale, dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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