Obbligo sancito dall’articolo 603 comma 3-bis del Cpp

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 11 febbraio 2019, n. 6414.

La massima estrapolata:

In sede di appello, non è sufficiente, per far sorgere l’obbligo sancito dall’articolo 603, comma 3-bis, del Cpp, che il giudice di appello ponga a fondamento della decisione di riforma prove dichiarative assunte in primo grado, essendo invece necessario che abbia valutato l’attendibilità della testimonianza in maniera difforme dal giudice di primo grado (nella specie, in cui il giudice di secondo grado aveva esclusa la necessità di rinnovare l’istruttoria, la Corte ha ritenuto corretta la decisione basata sul rilievo che la riforma della sentenza assolutoria si era fondata, piuttosto che su un diverso apprezzamento circa l’attendibilità di una prova dichiarativa diversamente valutata in primo grado, su una diversa valutazione organica, globale e unitaria degli ulteriori elementi esterni alle dichiarazioni testimoniali e sulla diversa interpretazione delle norme applicabili: nella specie, le norme cautelari in materia di circolazione stradale e i principi di diritto a essi correlati).

Sentenza 11 febbraio 2019, n. 6414

Data udienza 24 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMU Giacomo – Presidente

Dott. MENICHETTI Carla – Consigliere

Dott. MONTAGNI Andrea – Consigliere

Dott. SERRAO Eugenia – rel. Consigliere

Dott. NARDIN Maura – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 07/02/2018 della CORTE APPELLO di TRIESTE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere EUGENIA SERRAO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. PERELLI Simone, che ha concluso chiedendo per il rigetto del ricorso;
udito il difensore, Avv. (OMISSIS), che ha concluso riportandosi ai motivi e chiedendone l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Trieste, con la sentenza in epigrafe, ha riformato la pronuncia assolutoria con formula “perche’ il fatto non costituisce reato” pronunciata dal Tribunale di Pordenone il 12/04/2016 nei confronti di (OMISSIS), imputato del reato di cui all’articolo 589 c.p., commi 1 e 2, perche’, mentre percorreva, intorno alle ore 18:30 del (OMISSIS), alla guida dell’autovettura Jeep Cherokee, la via (OMISSIS), aveva investito il pedone (OMISSIS) (classe (OMISSIS)) cagionandogli lesioni personali alle quali era seguito il decesso in data (OMISSIS). Fatto commesso con colpa consistita in imprudenza nella guida e, in particolare, nell’inosservanza del disposto del Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, articolo 141, comma 3, per non avere adeguato la velocita’ del veicolo alle condizioni di insufficiente visibilita’ per le condizioni atmosferiche (a causa dell’intensa precipitazione piovosa in atto e della scarsita’ di luce dovuta all’orario serale) e articolo 191 C.d.S., comma 3, per non aver prevenuto la situazione di pericolo derivante dal comportamento della persona offesa, persona anziana che, avendo poco prima parcheggiato la propria autovettura sulla destra della carreggiata, nel medesimo senso di percorrenza, era sceso dal veicolo ed aveva iniziato l’attraversamento della carreggiata, peraltro poco oltre le strisce pedonali presenti sul posto.
2. Il giudice di primo grado aveva ritenuto che la condotta dell’imputato fosse esente da colpa perche’ non sarebbe stato da lui esigibile un comportamento diverso da quello tenuto, posto che ad una velocita’ di km/h 35 l’auto era gia’ praticamente ferma e che non vi erano prove in merito alle modalita’ di attraversamento, che potrebbero essere state del tutto repentine e non immediatamente percepibili dall’autista; con particolare riguardo all’esito della consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero, in base alla quale per evitare l’incidente sarebbe stato necessario che l’automobilista tenesse una velocita’ pari o inferiore a km/h 19,4, il Tribunale aveva osservato che tale dato tecnico era stato enunciato partendo dal presupposto, smentito da altre risultanze istruttorie, che il pedone si trovasse sull’attraversamento pedonale.
3. Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Trieste appellante aveva evidenziato che l’investimento era avvenuto a circa tre metri da un passaggio pedonale e che la veneranda eta’ del pedone impediva di ritenere che egli procedesse “con balzi felini” verso il marciapiede opposto; che il mero rispetto del limite di velocita’ era inadeguato alle inclementi condizioni del tempo ed alle condizioni di tempo e di luogo, che rendevano eccessiva anche la velocita’ di km/h 35; che l’imputato non poteva non aver percepito che, prima di attraversare la strada, il (OMISSIS) avesse accostato il proprio veicolo sul lato destro della strada, avesse aperto la portiera e fosse sceso dall’auto; che l’investimento con lo spigolo anteriore sinistro dimostrava che il pedone non fosse apparso improvvisamente ai margini della carreggiata ma che la stesse attraversando da un tempo adeguato a consentire al conducente dell’autovettura di avvedersi del pericolo.
4. La Corte territoriale ha ritenuto l’imputato responsabile del reato ascrittogli, condannandolo alla pena sospesa di mesi sei di reclusione, considerando: che l’attraversamento della strada da parte della vittima era avvenuto nelle vicinanze di un attraversamento pedonale; che l’imputato non aveva tenuto un comportamento prudente in prossimita’ di un attraversamento pedonale ed in condizioni atmosferiche particolarmente avverse; che l’automobilista non poteva non aver notato l’ingombro creato sulla carreggiata dall’auto del (OMISSIS); che tale ingombro costituiva ulteriore pericolo per la circolazione sia perche’ bisognava superarlo sia perche’ non era affatto da escludere che qualche passeggero potesse scendere da quella macchina per recarsi a piedi in uno dei negozi che si trovavano dall’altra parte della via; che la pioggia battente rendeva assolutamente prevedibile che qualche pedone attraversasse di corsa, all’improvviso, nel tentativo di trovare un riparo; che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, non era decisivo che il pedone non si trovasse sulle strisce pedonali, purche’ fosse nelle immediate vicinanze, imponendo all’automobilista l’obbligo di concedere la precedenza sancito dall’articolo 191 C.d.S., comma 1; che l’evento era prevedibile e che dall’automobilista era esigibile una diversa condotta in quanto sia le condizioni metereologiche estremamente sfavorevoli sia la presenza di un’auto accostata sulla destra e nelle immediate vicinanze delle strisce pedonali, avrebbero dovuto mettere l’imputato sull’avviso circa la possibile presenza di pedoni in quel punto ed il loro improvviso attraversamento; che il pedone era stato investito quando si trovava quasi al centro della carreggiata, da cio’ desumendosi che il (OMISSIS) avesse impegnato l’attraversamento pedonale gia’ da qualche tempo e che l’automobilista avrebbe avuto a disposizione un tempo piu’ che sufficiente a percepire il pericolo ed a concedere la dovuta precedenza al pedone ove avesse tenuto una velocita’ pari o inferiore a km/h 19.
5. (OMISSIS) ricorre per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) violazione dell’articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, per avere la Corte di Appello riformato la sentenza assolutoria sulla base di esiti di prove dichiarative assunte in primo grado e non rinnovate in grado di appello;
b) violazione dell’articolo 192 c.p.p., per avere la Corte di Appello pronunciato sentenza di condanna sulla base di circostanze inesistenti e non provate, segnatamente la circostanza che la persona investita avesse appena fermato la sua autovettura accostandola a destra e la circostanza che si trattasse di persona anziana non in grado di scendere velocemente dal veicolo e di attraversare di corsa la strada;
c) erronea applicazione degli articoli 40, 41 e 43 c.p., in relazione all’articolo 141 C.d.S., per avere i giudici di appello affermato la colpa in presenza di una condotta inesigibile dall’automobilista, che non avrebbe potuto prevedere la condotta della vittima. La Corte ha equiparato la condotta del (OMISSIS) a quella di un pedone che cammina lungo la strada e ad un certo punto attraversa la carreggiata, mentre si trattava del conducente di un’auto che, sceso dalla vettura, aveva intrapreso l’attraversamento trovandosi gia’ sulla carreggiata, essendo illogica l’equiparazione delle due situazioni ed in contrasto con l’articolo 40 c.p., l’affermazione per cui non fosse da escludere che qualche passeggero potesse scendere dall’auto;
d) erronea applicazione dell’articolo 191 C.d.S., comma 3, trattandosi di riferimento del tutto errato ad una norma che concerne l’attraversamento da parte di persone invalide;
e) mancanza di motivazione a sostegno dell’affermata esigibilita’ da parte dell’imputato di una velocita’ di marcia di km/h 19,4, soprattutto a fronte della sentenza del tribunale che, esaminando e valutando le risultanze istruttorie, aveva concluso per l’assenza di qualunque prova in punto modalita’ di attraversamento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso e’ infondato.
1.1. E’ lo stesso giudice di appello a chiarire, preliminarmente (pag. 3), di aver escluso la necessita’ di rinnovare l’istruttoria in ragione del fatto che la riforma della sentenza assolutoria si sarebbe fondata, piuttosto che su un diverso apprezzamento circa l’attendibilita’ di una prova dichiarativa diversamente valutata in primo grado, su una diversa valutazione organica, globale ed unitaria degli ulteriori elementi esterni alle dichiarazioni testimoniali e sulla diversa interpretazione del contenuto delle norme cautelari in materia di circolazione stradale e dei principi di diritto ad esse correlati.
1.2. Ed e’ di immediata evidenza che, nel caso in esame, l’esito della prova dichiarativa acquisita dal giudice di primo grado non sia stato in alcun modo sconfessato dal giudice di appello e che, pertanto, in linea con un pacifico orientamento interpretativo piu’ volte enunciato dalla Corte di legittimita’ (Sez. 5, n. 42746 del 09/05/2017, Fazzini, Rv. 27101201; Sez. 5, n. 33272 del 28/03/2017, Carosella, Rv. 27047101; Sez. 3, n. 19958 del 21/09/2016, dep. 2017, Chiri, Rv. 26978201), non sussisteva alcun obbligo di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
1.3. Non e’, in altre parole, sufficiente, per far sorgere l’obbligo sancito dall’articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, che il giudice di appello ponga a fondamento della decisione di riforma prove dichiarative assunte in primo grado, essendo invece necessario che abbia valutato l’attendibilita’ della testimonianza in maniera difforme dal giudice di primo grado. Nel caso in esame, dunque, e’ stata la stessa Corte di Appello a confermare che all’esito dell’istruttoria non fosse stata acquisita la prova testimoniale in merito alle modalita’ dell’attraversamento da parte del pedone, avendo ritenuto di desumere tale prova da elementi indiziari esterni alle dichiarazioni dei testimoni.
2. Il secondo motivo di ricorso e’ infondato.
2.1. Ove fosse corretto sostenere che all’esito del dibattimento non sia stata raggiunta la prova che l’autovettura della vittima si fosse appena fermata nel momento in cui era sopraggiunto l’investitore, tale circostanza non risulterebbe in ogni caso influente sul giudizio. Sia che la vittima si fosse appena fermata con l’auto, sia che tale sosta perdurasse da tempo, la motivazione della sentenza impugnata non sarebbe risultata diversa, avendo i giudici di merito desunto la prevedibilita’ dell’evento dal dato, incontrovertibile, della mera presenza del veicolo in sosta in posizione d’ingombro sulla corsia di marcia percorsa dall’imputato.
2.2. Il ricorrente lamenta anche che non sia stato provato che la vittima fosse in precarie condizioni fisiche, tali da impedirle di scendere velocemente dall’auto e di attraversare di corsa la strada ed evidenzia, in senso contrario, che il (OMISSIS) era in condizioni psichiche e fisiche assolutamente normali in quanto titolare di patente di guida che guidava un’automobile di prestazioni e dimensioni rilevanti. La censura, rubricata in termini di violazione di legge ed in quanto tale da esaminare, contrasta con il dato oggettivo, incontrovertibile, dell’eta’ anagrafica della vittima, che costituisce in sostanza la prova dalla quale i giudici di merito hanno desunto che il (OMISSIS) non potesse aver compiuto l’attraversamento in modo repentino.
3. Il terzo ed il quinto motivo di ricorso si esaminano congiuntamente in quanto s’incentrano sull’analisi delle ragioni poste a fondamento del giudizio sull’elemento soggettivo del reato e sul nesso di causa tra la violazione della regola cautelare prevista dall’articolo 141 C.d.S., e l’evento. Nel ricorso si deducono, infatti, tanto la violazione della norma che disciplina il nesso di causalita’ (articolo 40 c.p.) e dei principi interpretativi in tema di causalita’ della colpa, quanto il difetto di motivazione in relazione all’esigibilita’ di una velocita’ di marcia pari o inferiore a km/h 19.
3.1. In linea di principio, nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, devono essere evidenziati elementi ulteriori rispetto a quelli esaminati in primo grado perche’ non e’ sufficiente, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera e diversa valutazione del materiale probatorio gia’ acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, ne’ che tale valutazione sia caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilita’ rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio (Sez.6, n.45203 del 22/10/2013, Paparo, Rv. 25686901; Sez. 6, n.8705 del 24/01/2013, Farre, Rv. 25411301; Sez.2, n.11883 del 08/11/2012, dep. 2013, Berlingeri, Rv. 25472501; Sez.6, n.34487 del 13/06/2012, Gobbi, Rv. 25343401).
3.2. La regola di giudizio introdotta formalmente dalla L. 6 febbraio 2006, n. 46, articolo 5, mediante la sostituzione dell’articolo 533 c.p.p., comma 1, impone, per altro verso, al giudice di procedere ad un completo esame degli elementi di prova rilevanti e di argomentare adeguatamente circa le opzioni valutative della prova, giustificando, con percorsi razionali idonei, che non residuino dubbi in ordine alla responsabilita’ dell’imputato. Si e’, infatti, affermato (Sez. 2, n.7035 del 9/11/2012, dep. 2013, De Bartolomei, Rv. 25402501) che “la previsione normativa della regola di giudizio dell’al di la’ di ogni ragionevole dubbio, che trova fondamento nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha introdotto un diverso e piu’ restrittivo criterio di valutazione della prova, ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilita’ dell’imputato” (Sez.2, n.7035 del 09/11/2012, dep.2013, De Bartolomei, Rv. 25402501; Sez.1, n.20371 del 11/05/2006, Ganci, Rv. 23411101; Sez.2, n.19575 del 21/04/2006, Serino, Rv. 23378501).
3.3. La codificazione di tale principio ha assunto, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, particolare rilievo nel giudizio di legittimita’ circa la motivazione della sentenza di appello che abbia riformato la sentenza di assoluzione in primo grado (Sez. 6, n.1266 del 10/10/2012, dep. 2013, Andrini, Rv. 25402401; Sez. 2, n.11883 del 8/11/2012, dep. 2013, Berlingeri, Rv. 25472501; Sez.6, n.8705 del 24/01/2013, Farre, Rv. 25411301), anche in relazione ai principi affermati in materia dalla CEDU (Corte EDU 5/07/2011, Dan c. Moldavia, parr. 32 e 33), imponendo, in tale ipotesi, particolare rigore metodologico ed argomentativo al giudice di secondo grado.
3.4. Il giudice di appello potra’, dunque, pervenire a differente esito decisorio purche’ sulla base di elementi istruttori trascurati dal giudice di primo grado, in particolare mettendo in rilievo di quali elementi decisivi quest’ultimo non abbia tenuto adeguato conto, ovvero rinnovando l’istruttoria ove ritenga di non condividere la valutazione della prova operata in primo grado (Sez. U, n.27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 26748701).
4. Esaminando la sentenza impugnata alla luce dei principi esposti, viene in primo luogo in evidenza l’errata interpretazione del punto della sentenza di primo grado in cui il tribunale aveva sottolineato che l’esito dell’istruttoria dimostrava che il pedone non avesse attraversato la strada sulle strisce pedonali. Tale affermazione era funzionale a sconfessare la validita’ del calcolo matematico della velocita’ idonea ad evitare l’investimento, ed e’ stata, invece, confutata dal giudice di appello sul presupposto che il giudice di primo grado avesse inteso negare il diritto di precedenza al pedone che attraversi in prossimita’ delle strisce pedonali piuttosto che in corrispondenza delle stesse.
4.1. Un’adeguata analisi del nesso di causalita’, con specifico riguardo al profilo dell’oggettiva evitabilita’ dell’investimento in rapporto alle circostanze del caso concreto, avrebbe piuttosto reso necessaria l’esatta indicazione dei dati tecnici (dimensioni della carreggiata e dei veicoli, punto d’impatto sulla carreggiata, posizione del veicolo dopo l’incidente ed eventuali tracce di frenata, velocita’ di marcia del pedone, spazio a disposizione dell’automobilista nel tempo psicotecnico di reazione), anche eventualmente previa perizia, dai quali i giudici di merito avrebbero desunto che l’imputato viaggiasse alla velocita’ di km/h 35 e che, se avesse viaggiato alla velocita’ di km/h 19 o a velocita’ inferiore, l’incidente sarebbe stato evitato. Il giudice di primo grado aveva, infatti, come detto, negato la possibilita’ di utilizzare il comune esito degli accertamenti tecnici dei consulenti della pubblica accusa e della difesa rilevando che tali accertamenti avevano preso le mosse dall’assunto che il pedone si trovasse sull’attraversamento pedonale; assunto sconfessato all’esito dell’istruttoria.
4.2. Se, infatti, il fattore velocita’ puo’ essere valutato anche in termini approssimativi nel giudizio inerente alla indicazione della condotta prudente soggettivamente esigibile in determinate condizioni, quando si tratta di valutare l’oggettiva evitabilita’ dell’evento, dunque il comportamento dell’imputato sotto il profilo del nesso causale con l’evento, e’ necessario che tale fattore sia esaminato in rigorosa relazione ai dati contingenti (Sez. 4, n. 8526 del 13/02/2015, De Luca Cardillo, Rv. 26244901), tanto piu’ nel giudizio di riforma in appello della sentenza assolutoria.
4.3. Pur essendo conforme alla giurisprudenza di legittimita’ sostenere che il pedone abbia diritto di precedenza anche ove attraversi la strada in prossimita’ delle strisce pedonali (Sez. 4, n. 47290 del 09/10/2014, S, Rv. 26107301), il punto della sentenza assolutoria in cui si sottolineava che il (OMISSIS) si trovasse in prossimita’ dell’attraversamento pedonale e’ stato mal interpretato e contraddetto dai giudici di appello con motivazione carente.
5. Esaminando, poi, la questione inerente all’elemento soggettivo, occorre ricordare che la piu’ recente riflessione giuridica sulla colpevolezza colposa tende a personalizzare sempre di piu’ il rimprovero individuale, introducendo una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga conto non solo dell’oggettiva violazione di norme cautelari, ma anche della concreta capacita’ dell’agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualita’ personali. In breve, il rimprovero colposo riguarda la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l’esigibile osservanza delle norme cautelari violate. Da cio’ deriva che la prevedibilita’ e la evitabilita’ del fatto svolgono un ruolo fondamentale, in quanto sono all’origine delle norme cautelari e sono alla base del giudizio di rimprovero personale. Si e’, inoltre, da sempre sottolineato che la responsabilita’ colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma e’ limitata ai risultati che la norma stessa mira a prevenire. Anche sotto tale profilo e’ evidente l’importanza che assumono la prevedibilita’ e prevenibilita’ dell’evento nell’individuazione delle norme cautelari alla cui stregua va compiuto il giudizio ai fini della configurazione del profilo oggettivo della colpa. Prevedibilita’ ed evitabilita’ rilevano, dunque, anche in relazione al profilo piu’ squisitamente soggettivo della colpa, quello strettamente inerente al rimprovero personale. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha in numerose occasioni sottolineato il ruolo fondante della prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’evento. Va richiamata, qui, la fondamentale pronuncia (Sez. 4, n. 4793 del 06/12/1990, Bonetti, Rv. 19179801) che ha posto in luce che la prevedibilita’ altro non e’ che la possibilita’ dell’uomo coscienzioso ed avveduto di cogliere che un certo evento e’ legato alla violazione di un determinato dovere oggettivo di diligenza e che un certo evento e’ evitabile adottando determinate regole di diligenza.
5.1. Nell’ambito della circolazione stradale, e’ stata ripetutamente affermata la necessita’ di tenere conto degli elementi spazio-temporali e di valutare se l’agente abbia avuto qualche possibilita’ di evitare il sinistro: la prevedibilita’ ed evitabilita’ vanno, quindi, valutate in concreto. Tali enunciazioni generali necessitano di un’ulteriore chiarimento, gia’ proposto da questa Sezione (Sez. 4, n. 37606 del 06/07/2007, Rinaldi, Rv. 23705001): nell’ambito del profilo soggettivo della colpa, l’esigenza della prevedibilita’ ed evitabilita’ in concreto dell’evento si pone in primo luogo senza incertezze nella colpa generica, poiche’ in tale ambito la prevedibilita’ dell’evento ha un rilievo decisivo nella stessa individuazione della norma cautelare violata. Nell’ambito della colpa specifica la prevedibilita’ vale, non solo a definire in astratto la conformazione del rischio cautelato dalla norma, ma consente di rapportare il fatto concreto alle diverse classi di agenti modello e a tutte le specifiche contingenze del caso concreto. Tale spazio valutativo e’ pressoche’ nullo nell’ambito delle norme rigide, la cui inosservanza da’ luogo quasi automaticamente alla colpa; ma, nell’ambito di norme elastiche, che indicano comportamenti determinabili in base a circostanze contingenti, vi e’ spazio per il cauto apprezzamento in ordine alla concreta prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’esito antigiuridico da parte dell’agente modello.
5.2. Occorre aggiungere che tale cauto apprezzamento e’ operazione logicamente successiva all’analisi ed alla valutazione del dato scientifico necessario per accertare l’oggettiva evitabilita’ dell’evento, ossia l’effettiva esistenza di un margine di manovra atto ad evitare l’evento da parte dell’agente modello. E si tratta, pertanto, di un’operazione che va effettuata non solo in relazione alla regola cautelare per cui il conducente deve regolare la velocita’ in modo da conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilita’ e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile, ma anche alla luce del principio secondo il quale il conducente di un veicolo non puo’ essere chiamato a rispondere delle conseguenze lesive di uno scontro per non avere posto in essere una manovra di emergenza, qualora si sia venuto a trovare, senza sua colpa, causalmente rilevante, in una situazione di pericolo, improvvisa e dovuta all’altrui condotta, non utilmente ed agevolmente percepibile, tenuto conto dei tempi di avvistamento, della repentinita’ della condotta del soggetto antagonista, dei concreti spazi di manovra, dei necessari tempi di reazione psicofisica (Sez. 4, n. 16096 del 20/02/2018, Radzepi, Rv. 27247901; Sez. 4, n. 29442 del 24/06/2008, Francogli, Rv. 24189601; Sez. 4, n. 18782 del 28/11/2002, dep. 2003, Petrivelli, Rv. 22456501).
5.3. Nel caso di specie si era, dunque, in presenza di una norma cautelare c.d. elastica, che lascia all’interprete un ampio margine valutativo. In particolare, l’articolo 141 C.d.S., comma 3, dispone che “Il conducente deve regolare la velocita’ nei tratti di strada a visibilita’ limitata, nelle curve, in prossimita’ delle intersezioni e delle scuole o di altri luoghi frequentati da fanciulli indicati dagli appositi segnali, nelle forti discese, nei passaggi stretti o ingombrati, nelle ore notturne, nei casi di insufficiente visibilita’ per condizioni atmosferiche o per altre cause, nell’attraversamento degli abitati o comunque nei tratti di strada fiancheggiati da edifici”. Il fattore velocita’, ove si ricordi la regola generale prevista dall’articolo 141 C.d.S., comma 1, (“E’ obbligo del conducente regolare la velocita’ del veicolo in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione”), corrisponde dunque ad un concetto relativo alla situazione contingente. In rapporto al fattore velocita’, la condotta colposa quale causa dell’evento non puo’, in altre parole, prescindere dalla concreta possibilita’ per il conducente avveduto di cogliere quale sia l’andatura prudenziale in quanto idonea, date le circostanze di tempo e di luogo, a consentirgli di eseguire un’efficace manovra di emergenza, ove necessario.
5.4. Con particolare riguardo al giudizio di prevedibilita’ circa la presenza del pedone al centro della carreggiata, correttamente nel ricorso si e’ posto l’accento sulla necessita’ di calibrare tale giudizio sul comportamento della vittima in quanto si trattava, non di un pedone vero e proprio ma, di un automobilista sceso dall’auto che aveva iniziato l’attraversamento partendo dal centro della corsia di marcia. I giudici di appello, pur avendo ritenuto provato che’ il (OMISSIS) avesse appena parcheggiato l’autovettura dalla quale era poi disceso prima di attraversare la strada, hanno trascurato di indicare in base a quali elementi l’automobilista investitore fosse, nel caso concreto, in condizione di percepire che il predetto parcheggio fosse avvenuto nell’immediatezza del fatto, quale presupposto logico e fattuale imprescindibile dell’affermazione per cui “non era affatto da escludere che qualche passeggero potesse scendere da quella macchina”; in mancanza di tale indicazione, la regola cautelare prevista dall’art.141 cod. strada e’ stata applicata in relazione alla mera probabilita’ che da ogni macchina parcheggiata sul margine destro potesse scendere qualche passeggero, a prescindere dalla ragionevole possibilita’ che cio’ di fatto avvenisse. La Corte, anziche’ esaminare gli indici rivelatori della recente sosta del veicolo, ha, invece, spostato il fulcro dell’argomentazione, fondando il giudizio di prevedibilita’ sulla posizione d’ingombro creata dalla vettura, sulla presenza di negozi sul lato opposto della via e sulla pioggia battente, che avrebbe indotto i pedoni a cercare repentinamente un riparo, non colmando il vuoto probatorio rilevato dal giudice di primo grado in merito all’esigibilita’ da parte dell’automobilista di un comportamento di guida diverso da quello tenuto in assenza di prove concernenti la condotta del pedone.
6. Il quarto motivo di ricorso e’, parimenti, fondato.
6.1. Il riferimento all’obbligo dell’imputato di fermarsi per concedere la precedenza al pedone “che aveva impegnato l’attraversamento gia’ da qualche tempo, tenuto conto anche del fatto che si trattava di una persona anziana, non certamente in grado di scendere velocemente dall’abitacolo ne’ di attraversare di corsa la strada” e’ del tutto apodittico.
6.2. La Corte di Appello ha, in particolare, trascurato che l’art.191, comma 3, cod. strada impone ai conducenti l’obbligo di prevenire situazioni di pericolo che possano derivare da comportamenti scorretti o maldestri di bambini o di anziani, a condizione che sia ragionevole prevederli in relazione alla situazione di fatto; i giudici si sono, infatti, limitati ad ipotizzare che il pedone avesse impegnato l’attraversamento “da qualche tempo” senza alcun riferimento a dati concreti, fatta eccezione che per l’eta’ del (OMISSIS), idonei a supportare l’operativita’ di tale regola cautelare.
7. Conclusivamente, il ricorso e’ fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Trieste, affinche’ svolga un nuovo giudizio attenendosi ai suindicati principi interpretativi e colmando le rilevate carenze motivazionali.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Trieste per nuovo giudizio.

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