Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 19 novembre 2018, n. 6493.

La massima estrapolata:

Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso.

Sentenza 19 novembre 2018, n. 6493

Data udienza 18 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6056 del 2012, proposto da
Lu. Ba., rappresentata e difesa dall’avvocato Xa. Sa., con domicilio eletto presso lo studio Studio Legale Sa. in Roma, via (…);
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ro. Mu., An. Ci. ed An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Ma. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 370/2012.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 ottobre 2018 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Ni. Tr., per delega dell’avv. Xa. Sa., e An. Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1 – Lu. Ba. è proprietaria di un terreno sito nel Comune di Roma, località (omissis), in Via (omissis), distinto al NCT di Roma, foglio (omissis), mappale (omissis).
2 – Su tale area sono stati realizzati alcuni lavori in assenza di concessione edilizia, consistenti in uno scavo di mt. 12,50 x 12,50 x 3,00 di profondità e di un manufatto in blocchetti di tufo e cordoli composto di: fondazione in c.a. di mt. 11,50 x11,30 x h mt. 3,00 fuori terra, piano seminterrato, solaio di calpestio, piano rialzato coperto, provvisto di n. 8 aperture, vano porta di accesso, copertura a tetto a due falde del manufatto, per un volume fuori terra pari a circa mc 389,85.
3 – In data 15.06.2005 e 19.07.2005 il Municipio XIX del Comune di Roma ha notificato la Determinazione Dirigenziale n. 698 del 27.04.2005 e la Determinazione Dirigenziale n. 964 del 07.06.2005 con le quale ha ingiunto la demolizione di tali opere.
Tali provvedimenti sono stati impugnati avanti il T.A.R. per il Lazio.
4 – Successivamente, il Comune di Roma ha emesso la determinazione dirigenziale n. 1562 del 28/06/2006 di acquisizione dell’area. Tale provvedimento è stato impugnato con motivi aggiunti.
5 – Con sentenza n. 370/2012, il T.A.R. ha respinto il ricorso ed i motivi aggiunti.
6 – L’appello avverso tale decisione non può trovare accoglimento per le ragioni di seguito esposte.
7 – Il primo motivo di appello con il quale si sostiene che non sarebbe sufficiente a legittimare la sanzione demolitoria ex art. 31 d.P.R. n. 380/2001 l’incontestata carenza del titolo edilizio è palesemente infondato.
Infatti, l’art. 31 non lascia margini di discrezionalità in capo all’amministrazione, la quale, una volta riscontrato che un opera è stata edificata senza permesso a costruire (come nel caso di specie) è tenuto ad adottare le relative misure repressive.
7.1 – Stante il chiaro tenore della norma citata a nulla rilevano le ulteriori considerazioni dell’appellante, secondo la quale, prima di disporre la demolizione, l’amministrazione avrebbe dovuto prendere in considerazione anche ulteriori circostanze atte a dimostrare la conformità urbanistica dell’immobile, specie in ragione del fatto che il Comune di Roma ha riconosciuto esplicitamente la perdita della vocazione agricola dell’aera, inserendo la Tragliatella tra le zone di recupero urbanistico-edilizio e rilasciando numerosi titoli in sanatoria.
Circa tali argomenti è sufficiente rilevare l’irrilevanza, ai fini del presente giudizio, della destinazione (agricola piuttosto che residenziale) impressa alla zona, nonché il suo inserimento in zona urbanizzata i cui fabbricati hanno goduto di provvedimenti di sanatoria o condono.
In altre parole, anche la eventuale (allo stato indimostrata) legittimità sostanziale delle opere in rapporto al regime dell’area sulla quale accedono deve necessariamente essere valutata nell’ambito di un procedimento di sanatoria, che è onere del privato attivare, non potendosi gravare l’amministrazione dell’onere di valutare d’ufficio tale eventualità .
Come già osservato, dal momento che il procedimento di irrogazione della sanzione demolitoria è vincolato in tutte le sue componenti non sussiste alcun obbligo, prima che sia ingiunta la demolizione, di verificare la sanabilità dell’opera ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 380/2001. Tanto si evince, oltre che dal già citato art. 31, dall’art. 27 d.P.R. n. 380/2001, che impone all’amministrazione comunale di reprimere l’abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità, nonché dallo stesso art. 36, che rimette all’esclusiva iniziativa del privato l’attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica
7.2 – Alla luce della precisazione che precede deve evidenziarsi che, nel caso di specie, nessuna istanza di sanatoria è mai stata presentata dall’appellante, essendo inoltre pacifica, come già detto, l’assenza di qualunque titolo che legittimi le opere; assenza che, a norma dell’art. 31 cit., giustifica il provvedimento di demolizione.
Come messo in evidenza anche dal T.A.R., l’ingiunzione a demolire è espressione di un potere vincolato, che non ammette alcuna valutazione discrezionale da parte dell’amministrazione; anche recentemente la giurisprudenza (Cons. St., Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9), ha avuto modi di confermare che: “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso”.
8 – Con il secondo motivo di appello si deduce l’errore in cui sarebbe incorso il T.A.R. nel respingere la censura con la quale si contestava la determinazione n. 964 del 07/06/05 che ha sanzionato la realizzazione del tetto, poiché, in realtà, detta opera sarebbe già presente al momento dell’adozione dell’ordinanza di demolizione n. 698 del 27 aprile 2005.
La censura è palesemente infondata.
8.1 – In primo luogo, deve infatti ricordarsi che le attestazioni contenute nei verbali di accertamento del 07/12/04 e del 12/01/05 costituiscono fonte di prova privilegiata. Al riguardo, è utile rammentare che i rilievi svolti dagli agenti assumo una significativa valenza istruttoria, in quanto il relativo verbale di accertamento redatto in esito a sopralluoghi o ispezioni ha efficacia probatoria qualificata, cioè sino a querela di falso ex art. 2700 c.c., delle attività ivi riportate (ex multis Cons. St., sez VI, 11 dicembre 2013, n. 5943).
8.2 – Inoltre, come già osservato in precedenza, ciò che giustifica la demolizione di un opera è l’illegittimità della stessa. Nel caso di specie, l’appellante neppure contesta l’abusività del tetto, limitandosi ad affermare che questo era già presente al momento dell’adozione dell’ordinanza di demolizione n. 698 del 27 aprile 2005. Stante la pacifica natura abusiva dell’opera è del tutto inconferente il fatto che la stessa fosse già presente prima dell’ordinanza di demolizione n. 698 del 27 aprile 2005.
9 – Il rigetto dei motivi di appello che precedono comportano il rigetto anche del terzo motivo di appello rivolto nei confronti del provvedimento di acquisizione dell’area.
Nel caso di specie, dove l’appellante, per quale che consta agli di causa, non ha presentato alcuna istanza di sanatoria delle opere abusive, non è infatti prospettabile alcuna sospensione dei termini per procedere alla demolizione, decorsi infruttuosamente i quali l’acquisizione al patrimonio del comune è un effetto automatico previsto dalla legge.
Più precisamente, va ricordato che l’effetto traslativo della proprietà avviene ipso iure e costituisce l’effetto automatico della mancata ottemperanza all’ingiunzione a demolire. In coerenza con tale assunto, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza, il provvedimento di acquisizione presenta una natura meramente dichiarativa, non implicando alcuna valutazione discrezionale (cfr. Cons. St., sez. IV, 7 luglio 2014, n. 3415).
10 – In definitiva l’appello deve essere rigettato, con la condanna dell’appellante alla refusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello e condanna l’appellante alla refusione delle spese di lite in favore di Roma Capitale che si liquidano in complessivi Euro 4000, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 ottobre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Bernhard Lageder – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore

Avv. Renato D’Isa

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