Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 30 marzo 2018, n. 14627.
La condotta di cui si adduce l’irrilevanza penale, per essere scriminata, deve pur sempre costituire una corretta estrinsecazione delle facolta’ inerenti al diritto che si pretende aver esercitato.
Sentenza 30 marzo 2018, n. 14627
Data udienza 21 dicembre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUMO Maurizio – Presidente
Dott. SCARLINI Enrico V. S. – Consigliere
Dott. MICHELI Paolo – rel. Consigliere
Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa il 15/05/2017 dalla Corte di appello di Cagliari;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Spinaci Sant, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di (OMISSIS) ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma di una precedente sentenza di condanna dello stesso imputato, emessa dal Tribunale di Cagliari, in ordine al delitto di cui all’articolo 615-ter c.p., comma 1: secondo l’ipotesi accusatoria, il (OMISSIS) avrebbe realizzato un accesso abusivo al sistema informatico della (OMISSIS), consultando i dati relativi ad un conto intestato alla moglie (OMISSIS) e per il quale gli era stata revocata la delega ad operare on line (quindi, dopo averne preso visione, aveva stampato i relativi estratti conto fino alla data del (OMISSIS), che in seguito aveva prodotto nella causa civile di separazione).
La difesa del ricorrente deduce carenze motivazionali della sentenza impugnata, segnalando che dalla documentazione versata in atti emerge la sua perdurante autorizzazione ad accedere non solo al sistema informatico dell’istituto di credito, ma anche all’area riservata afferente il conto della (OMISSIS). Ergo, anche la chiavetta “genera codici”, che gli era stata consegnata all’atto della sottoscrizione del contratto di conto corrente, doveva considerarsi da lui lecitamente detenuta ed utilizzabile.
Nell’interesse del (OMISSIS) si lamenta altresi’ la violazione dell’articolo 51 c.p., giacche’ la condotta avrebbe dovuto intendersi funzionale all’esercizio delle facolta’ difensive nell’ambito del procedimento di separazione giudiziale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile, per genericita’ e manifesta infondatezza delle ragioni di doglianza.
Quanto al primo motivo, il ricorrente insiste nel prospettare la tesi di una sua ancora effettiva possibilita’ di legittimo accesso via web al conto corrente della coniuge, senza confrontarsi in alcun modo con la diffusa analisi dedicata dalla Corte territoriale alla documentazione prodotta: analisi da cui si evince che di conti ve ne erano due, uno (al quale si riferiva, fra l’altro, l’unica chiavetta “genera codici” di cui vi e’ traccia in atti) intestato ad entrambi i coniugi e l’altro di cui era titolare la sola (OMISSIS). Ed e’ a questo secondo conto corrente che si riferisce il capo d’imputazione, con tanto di espresso richiamo al numero ((OMISSIS), del tutto diverso da quello – (OMISSIS), relativo al conto cointestato – risultante dai documenti di cui la difesa sostiene l’omessa disamina). Altrettanto pacifica e’ la circostanza (v. pag. 11 della motivazione della sentenza impugnata) che vede priva sia della sottoscrizione della (OMISSIS) che del timbro della banca la copia di una presunta autorizzazione rilasciata all’imputato con riguardo al suddetto conto personale della donna.
Con riguardo alla tesi della presunta ravvisabilita’ della causa di giustificazione ex articolo 51 c.p., parimenti gia’ confutata dai giudici di merito, deve osservarsi che la norma in parola non puo’ operare sino a consentire – a chi invochi una pur lata estensione del diritto di difesa – intromissioni indebite nella sfera di riservatezza di una controparte processuale: la condotta di cui si adduce l’irrilevanza penale, per essere scriminata, deve pur sempre costituire una corretta estrinsecazione delle facolta’ inerenti al diritto che si pretende aver esercitato (v. Cass., Sez. 6, n. 14540 del 02/12/2010, Pafadnam, nonche’ Cass., Sez. 5, n. 52075 del 29/10/2014, Lazzarinetti).
2. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., segue la condanna del (OMISSIS) al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’, nonche’ ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, in quanto riconducibile alla sua volonta’ (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – a versare in favore della Cassa delle Ammende la somma di Euro 2.000,00, cosi’ equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.
Data la natura peculiare del reato in rubrica, commesso in ambito di rapporti familiari, la Corte – ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 52 ritiene doveroso disporre l’omissione, in caso di diffusione del presente provvedimento, dell’indicazione delle generalita’ e degli altri dati identificativi delle parti del processo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.
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