Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza del 28 marzo 2018, n.14353.

Commette il delitto di divulgazione via internet di materiale pedo-pornografico previsto dal comma terzo dell’art. 600-ter cod. pen., e non quello di mera cessione dello stesso prevista al comma quarto del medesimo articolo, colui che – oltre ad inviare materiale pedopornografico via e-mail – ne aveva consentito a terzi la fruizione tramite la propria casella condivisa, nella quale aveva immesso file audio/video di ogni genere, rendendola accessibile a chicchessia tramite la cessione della relativa password di accesso.

Corte di Cassazione
sezione prima penale
sentenza del 28 marzo 2018, n.14353

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 15/12/2016, la Corte di appello di Napoli, in riforma della pronuncia emessa l’11/4/2016 dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, riduceva a due anni di reclusione e seimila Euro di multa la pena inflitta a R.G.; allo stesso era contestato il delitto di cui all’art. 600-ter cod. pen., per aver divulgato materiale pedopornografico con le modalità compiutamente descritte in rubrica.

2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:

– violazione di legge e vizio motivazionale (prima e seconda censura). La Corte di appello avrebbe riconosciuto il dolo del reato in forza delle dichiarazioni rese dallo stesso R. , senza però considerare che queste si riferivano soltanto alla detenzione del materiale in esame, non anche alla sua divulgazione; con riguardo alla quale, peraltro, l’istruttoria non avrebbe fornito alcun elemento a sostegno della dedotta volontà, risultando, per contro, che il ricorrente aveva fornito un certo link – necessario per visionare i file contenenti le immagini soltanto a determinate persone da lui conosciute, sì da potersi individuare esclusivamente la diversa fattispecie di cessione, di cui al comma 4 dell’art. 600-ter cod. pen. In senso contrario, peraltro, non potrebbe neppure addebitarsi al ricorrente l’eventuale diffusione a terzi – da parte di tali cessionari – del medesimo link appena richiamato, trattandosi di condotta ipotetica e, comunque, riferibile soltanto ai primi; e che, pertanto, in nulla potrebbe porre in dubbio l’estrema cautela con la quale il ricorrente aveva condiviso il materiale in esame, sempre con soggetti a lui noti e mai su siti accessibili a tutti, specie se estranei;

– violazione di legge e vizio motivazionale quanto al diniego della sospensione condizionale della pena. La Corte di merito avrebbe negato il beneficio con argomento censurabile, ossia affermando che un certo percorso riabilitativo sarebbe stato soltanto preannunciato dal ricorrente, ma non ancora intrapreso; in tal modo, tuttavia, non si sarebbe colto che proprio la concessione della sospensione condizionale costituirebbe uno stimolo efficace a sottoporsi al percorso medesimo, anche in una proiezione futura e specialpreventiva.

Si chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza.

Considerato in diritto

3. Il ricorso risulta infondato.

A tale riguardo, occorre premettere che il presente gravame non investe affatto la materialità delle condotte contestate, sulle quali, pertanto, si è ormai costituita cosa giudicata: in particolare, non forma oggetto di censura l’accertata detenzione di materiale pedopornografico da parte del R. , nonché l’invio dello stesso ad altri – ad opera del ricorrente medesimo – tramite posta elettronica, in uno con la sua condivisione a mezzo casella Dropbox, aperta dall’imputato e fruibile da terzi grazie alla disponibilità della necessaria password, agli stessi fornita proprio dal ricorrente. Condotta che, con argomento del tutto congruo, non manifestamente illogico e qui non censurabile, la Corte di merito ha ricondotto al paradigma della contestata divulgazione, di cui all’art. 600-ter, comma 3, cod. pen., non potendosi ravvisare la meno grave fattispecie di cessione, di cui al comma successivo.

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