Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 14 giugno 2017, n. 2926

Nel porre a base d’asta non già il valore della concessione consistente nella stima del fatturato dell’impresa, ma il ristorno, che costituisce solo un costo della concessione (ed è pertanto un elemento del tutto eventuale del contratto), l’Amministrazione determina una grave disparità di trattamento tra i concorrenti, avvantaggiando implicitamente chi già gestisce il servizio, e dunque ne conosce il reale fatturato, rispetto a chi invece vuole effettuare una nuova offerta e non ha alcun parametro di riferimento. L’indicazione di una chiara quantificazione del fatturato generato dalla concessione (ovvero, nella specie, dal consumo dei prodotti da parte degli utenti del servizio), in conformità alla più recente giurisprudenza, costituisce un onere della stazione appaltante, ai sensi dell’art. 29 del d.lgs. nr. 163/2006

Consiglio di Stato

sezione III 

sentenza 14 giugno 2017, n. 2926

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 6559 del 2016, proposto da GE. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti An. Ne. e Re. Pe., con domicilio eletto presso l’avv. Al. Pl. in Roma, via (…),

contro

A.S.L. CN 1 – AZIENDA SANITARIA LOCALE DI CUNEO, MONDOVÌ E SAVIGLIANO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Pi. Gi. Re., con domicilio eletto presso l’avv. Gi. Co. in Roma, via (…),

nei confronti di

SE.. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio,

per l’annullamento e/o la riforma,

previa sospensione,

della sentenza del T.A.R. del Piemonte, Sezione Prima, nr. 939/2016, depositata in Segreteria in data 30 giugno 2016, non notificata, che ha respinto il ricorso proposto da Ge. S.p.a. per l’annullamento del bando di gara, lotto unico, avente ad oggetto “Gara d’appalto per l’affidamento della concessione per la gestione del servizio di distributori automatici di bevande e alimenti solidi presso i presidi dell’ASL CN1” CIG 6558552054, del Capitolato speciale, di ogni allegato e documento facente parte della lex specialis e di ogni allegato o documento reso a chiarimenti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della A.S.L. CN 1 – Azienda Sanitaria Locale di Cuneo, Mondovì e Savigliano;

Viste le memorie prodotte dall’appellante (in date 28 dicembre 2016, 5 e 10 aprile 2017) e dalla A.S.L. CN 1 (in date 19 settembre 2016, 7 gennaio e 14 aprile 2017) a sostegno delle rispettive difese;

Vista l’ordinanza di questa Sezione nr. 343 del 27 gennaio 2017, con la quale sono stati ordinati incombenti istruttori;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, cod. proc. amm.;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 27 aprile 2017, il Consigliere Raffaele Greco;

Uditi l’avv. At. Bi., su delega degli avv.ti Ne. e Pe., per l’appellante e l’avv. Sa. Lo., su delega dell’avv. Re., per la A.S.L. CN 1;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La società Ge. S.p.a. ha appellato la sentenza con la quale il T.A.R. del Piemonte ha respinto il ricorso dalla stessa proposto avverso il bando di gara, lotto unico, avente ad oggetto “Gara d’appalto per l’affidamento della concessione per la gestione del servizio di distributori automatici di bevande e alimenti solidi presso i presidi dell’ASL CN1”.

L’impugnazione risulta affidata ai seguenti motivi di diritto:

1) violazione dei principi di buon andamento, trasparenza e par condicio; eccesso di potere per illogicità, irrazionalità; difetto di istruttoria; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 29, 30 del decreto legislativo 12 aprile 2006, nr. 163, per l’assenza del reale valore dell’affidamento; violazione dell’art. 8 della direttiva 2014/23/UE del 26 febbraio 2014 sulla “Aggiudicazione dei contratti di concessione”; eccesso di potere per perplessità, illogicità e sviamento; preclusione alla realizzazione dell’utile di impresa; impossibilità di formulare un’offerta che consenta il rientro dell’investimento; impossibilità di presentare un’offerta consapevole (in relazione alla reiezione della censura con cui era stata denunciata la carenza della previa determinazione del valore della prestazione oggetto di affidamento);

2) violazione dei principi di buon andamento, trasparenza e par condicio; eccesso di potere per illogicità, irrazionalità e sviamento; difetto di istruttoria; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 83, comma 5, del d.lgs. nr. 163/2006 attesa l’errata ed illegittima attribuzione dei punteggi, 70 per l’offerta economica e 30 per l’offerta tecnica (con riferimento alla reiezione della censura afferente all’articolazione dei punteggi stabilita dalla disciplina di gara);

3) violazione dei principi di buon andamento, trasparenza e par condicio; eccesso di potere per illogicità, irrazionalità; difetto di istruttoria; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 30, comma 2, e dell’art. 147, comma 7, del d.lgs. nr. 163/2006 per l’introduzione di un criterio di selezione (denominato della “doppia leva”) contra legem; violazione sotto diverso profilo per mancato coordinamento fra la selezione mediante “doppia leva” ed i principi di individuazione dell’offerta anomala di cui agli artt. 87 e ss. del d.lgs. nr. 163/2006 richiamati nel bando all’art. 8; eccesso di potere per perplessità, illogicità e sviamento; preclusione alla realizzazione dell’utile di impresa; impossibilità di formulare un’offerta remunerativa; impossibilità di presentare un’offerta consapevole.

L’appellante ha altresì chiesto che, ai fini della risoluzione dell’eventuale dubbio interpretativo in ordine alla portata e al contenuto dell’art. 8, commi 2 e 3, della direttiva 2014/23 UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, questo Collegio valuti l’opportunità e la necessità di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 267 TFUE.

Ge. S.p.a. ha poi avanzato domanda di risarcimento del danno da perdita di chance.

Si è costituita in giudizio l’A.S.L. CN1 – Azienda Sanitaria Locale di Cuneo, Mondovì e Savigliano, la quale si è motivatamente opposta all’accoglimento del gravame.

Alla camera di consiglio del 22 settembre 2016, fissata per l’esame della domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza in epigrafe formulata in una all’appello, questo è stato differito sull’accordo delle parti, per essere abbinato alla trattazione del merito.

Di poi, con ordinanza resa all’esito dell’udienza pubblica del 19 gennaio 2017, sono stati disposti incombenti istruttori.

Le parti costituite hanno affidato a memorie l’ulteriore svolgimento delle rispettive tesi.

All’udienza del 27 aprile 2017, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. In data 3 febbraio 2016, è stato pubblicato il bando di gara avente ad oggetto “Gara d’appalto per l’affidamento della concessione per la gestione del servizio di distributori automatici di bevande e alimenti solidi presso i presidi dell’ASL CN1”.

La società Ge. S.p.a., in qualità di aspirante aggiudicataria del servizio, ha presentato all’A.S.L. CN1 – Azienda Sanitaria Locale di Cuneo, Mondovì e Savigliano (d’ora in avanti A.S.L.) richiesta di chiarimenti in relazione ad alcuni profili del bando di gara, richiesta alla quale l’Amministrazione – sostiene la società odierna istante – non avrebbe fornito risposte esaustive.

2. Con ricorso al T.A.R. del Piemonte, Ge. S.p.a. ha allora impugnato il bando di gara, lamentando plurimi profili di illegittimità.

2.1. In primo luogo, la ricorrente ha evidenziato il proprio interesse ad agire, rilevando che tra le clausole del bando cc.dd. “escludenti”, suscettibili di immediata impugnazione, devono essere incluse anche quelle che, rendendo di fatto impossibile una corretta e consapevole formulazione dell’offerta economica, ostacolano la chance degli operatori di partecipare alla selezione in modo realmente competitivo, come avvenuto nel caso di specie.

2.2. Ge. S.p.a. ha quindi lamentato l’assenza di una chiara quantificazione del fatturato generato dalla concessione – richiesta dall’art. 29 del decreto legislativo 12 aprile 2006, nr. 163 – in quanto l’A.S.L. avrebbe posto a base d’asta non il valore della concessione, consistente nella stima del fatturato dell’impresa nella specifica concessione oggetto di gara, bensì il ristorno, che costituisce invece solo un costo della concessione ed è pertanto un elemento del tutto eventuale del contratto.

In tal modo – rilevava l’istante – l’Amministrazione avrebbe determinato una grave disparità di trattamento tra i concorrenti, avvantaggiando implicitamente chi già gestisce il servizio, e dunque ne conosce il reale fatturato, rispetto a chi invece vuole effettuare una nuova offerta e non ha alcun parametro di riferimento.

2.3. La ricorrente ha poi censurato la mancanza, nel bando, di chiare indicazioni in merito all’esclusività o meno del servizio oggetto di concessione, profilo rilevante per la determinazione del fatturato e, conseguentemente, per la formulazione dell’offerta economica.

2.4. L’istante ha inoltre contestato la ripartizione del punteggio in 70 punti per la parte economica e 30 per la parte tecnica, sostenendo che tale ripartizione sarebbe assolutamente incompatibile con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa per l’individuazione dell’aggiudicatario.

2.5. Infine, Ge. S.p.a. ha censurato il sistema della cd. “doppia leva” (consistente nel richiedere ai concorrenti da un lato un rialzo sul canone/ristorno annuale e dall’altro un ribasso sui prezzi di vendita dei prodotti offerti), rilevando che tale meccanismo potrebbe portare, in assenza dell’indicazione del dato del fatturato, a praticare nei confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli corrispondenti alla somma del costo del servizio e dell’ordinario utile d’impresa.

3. Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R. del Piemonte ha respinto il ricorso della società istante, ritenendolo infondato.

3.1. In primo luogo il giudice di prime cure ha rilevato che, dal punto di vista normativo, va esclusa, in base all’art. 30 del d.lgs. nr. 163/2006, l’applicazione dell’art. 29 alle concessioni di servizi.

Quindi, ha richiamato la differenza ontologica tra appalti e concessioni di servizi, costituita – come è nota – dal fatto che nelle seconde il rischio di impresa grava sull’affidatario, dovendo questi rientrare dall’investimento compiuto attraverso gli introiti rivenienti dalla fruizione del servizio dato in concessione da parte dell’utenza (laddove, invece, nel contratto d’appalto il rapporto che s’instaura si esaurisce nello scambio tra committente e affidatario, avente a oggetto da un lato l’affidamento della prestazione e dall’altra il corrispettivo determinato in sede di offerta).

Il Tribunale di primo grado ha poi evidenziato che la questione relativa alla necessità di una puntuale indicazione da parte della stazione appaltante del fatturato generato dalla concessione interagisce sia con il principio del trasferimento del rischio di impresa sul concessionario, che come si è visto rappresenta il proprium della concessione di servizi, sia con le regole d’imparzialità e trasparenza, che effettivamente dovrebbero consentire la formulazione di un’offerta economica consapevole da parte dei concorrenti in gara.

Ha rilevato quindi il T.A.R. che il punto di equilibrio tra tali opposte esigenze debba ritenersi raggiunto ove il bando di gara determini in modo sufficientemente esaustivo e corretto il potenziale “bacino di utenza” cui il servizio è destinato, permettendo tale dato al soggetto concorrente di formulare un’offerta meditata, senza comportare un radicale annullamento del rischio economico d’impresa o una sua impropria traslazione in capo alla stazione appaltante.

Ha ritenuto dunque il giudice di prime cure che, sulla base della documentazione in atti, risultasse assolto tale onere da parte dell’Amministrazione, per cui i concorrenti avrebbero potuto ragionevolmente ricavare il fatturato potenziale derivante dalla gestione del servizio.

3.2. In secondo luogo, in relazione alla censura relativa alla ripartizione dei punteggi tra la parte tecnica e quella economica dell’offerta, il T.A.R. ha rilevato che la determinazione in questione rientra nell’ambito della discrezionalità della stazione appaltante e risulta dunque censurabile solo per evidente irrazionalità o travisamento dei fatti, vizi non riscontrabili nella situazione in esame.

3.3. Infine, in merito alle doglianze nei confronti del sistema della cd. “doppia leva”, il Tribunale di primo grado ha ritenuto le stesse argomentate su basi meramente congetturali e del tutto sprovviste di elementi dimostrativi.

4. Con l’odierno appello, Ge. S.p.a. insorge avverso la predetta pronuncia del T.A.R., lamentandone l’erroneità sotto differenti profili.

4.1. Con la prima censura, si evidenzia che, a dispetto di quanto ritenuto dal primo giudice, tanto la legislazione nazionale (artt. 29 e 143, comma 7, del d.lgs. nr. 163/2006, i quali a dire dell’appellante sarebbero applicabili alla concessione di servizi in esame), che la normativa comunitaria (art. 8 della direttiva 2014/23/UE), pongono in capo alla stazione appaltante l’obbligo di determinare, con un metodo oggettivo di calcolo, il fatturato presunto generato dalla concessione.

Rileva quindi l’istante che a tanto non può risultare sufficiente ed esaustiva l’indicazione del bacino d’utenza fornita dall’A.S.L., in quanto dato del tutto inidoneo a consentire la stima e la determinazione del fatturato della gestione del servizio.

Evidenzia infine l’appellante che l’assenza di stima del fatturato da parte della stazione appaltante costituisce una grave carenza istruttoria, che non può essere sanata dall’operatore economico, stante la rimessione ex lege di tale onere all’Amministrazione.

4.2. Con il secondo motivo di appello, la società istante censura la conclusione del T.A.R. sulla doglianza relativa alla ripartizione del punteggio tra offerta tecnica e offerta economica, rilevando che la discrezionalità dell’Amministrazione trova un limite quando, come nel caso di specie, il rapporto tra prezzo e qualità è tale da svilire sensibilmente o completamente il peso dell’uno o dell’altro elemento.

4.3. Con la terza censura, Ge. S.p.a. contesta l’infondatezza dell’affermazione del giudice di prime cure sulla questione degli effetti dell’utilizzo del sistema della cd. “doppia leva”.

4.4. L’appellante ha altresì chiesto che, ai fini della risoluzione dell’eventuale dubbio interpretativo in ordine alla portata e al contenuto dell’art. 8, commi 2 e 3, della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, questo Collegio valuti l’opportunità e la necessità di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 267 TFUE, al fine di verificarne la compatibilità con la disciplina interna, ove interpretata nel senso di escludere per le concessioni di servizi l’onere di una previa indicazione del valore della concessione in capo alla stazione appaltante.

4.5. Ge. S.p.a. avanza infine domanda di risarcimento del danno subito per effetto della perdita di chance conseguente all’impossibilità di conseguire l’affidamento del servizio a cagione dei divisati vizi di legittimità.

5. Tutto ciò premesso, l’appello è fondato e pertanto meritevole di accoglimento.

6. Ed invero, in relazione alla prima censura, e in conformità alla più recente giurisprudenza, deve ritenersi che, anche nel vigore del previgente d.lgs. nr. 163/2006, sussistesse effettivamente l’onere della stazione appaltante di indicare il fatturato generato dalla concessione, ai sensi dell’art. 29 del citato d.lgs. nr. 163/2006 (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 febbraio 2017, nr. 748; id., sez. III, 18 ottobre 2016, nr. 4343).

6.1. Come infatti a suo tempo evidenziato dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (le cui competenze sono state trasferite all’ANAC dal decreto-legge 24 giugno 2014, nr. 90, convertito con modificazioni nella legge 11 agosto 2014, nr. 114) e dalla richiamata giurisprudenza, in dissenso rispetto all’orientamento più risalente, spetta alla stazione appaltante determinare il valore della concessione e tale valore non può essere computato con riferimento al c.d. “ristorno” e cioè al costo o canone della concessione, ma deve essere calcolato sulla base del fatturato generato dal consumo dei prodotti da parte degli utenti del servizio.

L’art. 29, comma 1, del d.lgs. nr. 163/2006, certamente (e testualmente) applicabile alle concessioni di servizi pubblici, dispone infatti che “…Il calcolo del valore stimato degli appalti pubblici e delle concessioni di lavori o servizi pubblici è basato sull’importo totale pagabile al netto dell’IVA, valutato dalle stazioni appaltanti. Questo calcolo tiene conto dell’importo massimo stimato, ivi compresa qualsiasi forma di opzione o rinnovo del contratto”.

E, in relazione a tale disposizione, l’AVCP, nella deliberazione n. 9 del febbraio 2002, ha precisato che “per le concessioni in particolare, nella nozione di ‘importo totale pagabilé è sicuramente da ricomprendere il flusso dei corrispettivi pagati dagli utenti per i servizi in concessione. Infatti (…) qualora si tratti di una concessione, non essendovi un prezzo pagato dalla stazione appaltante, ma solo quello versato dagli utenti, sarà quest’ultimo a costituire parte integrante dell”importo totale pagabilé di cui è fatta menzione nella norma sopra citata; il canone a carico del concessionario potrà, altresì, essere computato ove previsto, ma certamente proprio in quanto solo eventuale non può considerarsi l’unica voce indicativa del valore della concessione”.

6.2. Questa impostazione risulta d’altronde confermata dall’art. 8, comma 2, della già citata direttiva 2014/23/UE, in base al quale: “…Il valore di una concessione è costituito dal fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell’IVA, stimato dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore, quale corrispettivo dei lavori e dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie a tali lavori e servizi. Tale valore stimato è valido al momento dell’invio del bando (…)”.

Inoltre, il comma 3 del detto articolo stabilisce che il valore della concessione deve essere calcolato secondo un metodo oggettivo specificato nei documenti della concessione, indicando poi gli stessi elementi di valutazione, consentendo alle imprese di poter verificare anche i criteri utilizzati dalla stazione appaltante per la sua commisurazione.

Orbene, se è vero che tale disposizione, il cui contenuto è oggi trasposto nell’art. 167 del decreto legislativo 18 aprile 2016, nr. 50, non è applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, la stessa risulta comunque idonea a orientare un’interpretazione delle norme previgenti conforme al diritto europeo, consentendo di escludere anche nell’assetto anteriore che il valore della concessione potesse essere riconnesso sic et simpliciter all’importo del canone concessorio (donde la superfluità della questione pregiudiziale che parte appellante ha chiesto fosse sollevata).

6.3. In ordine, poi, alla determinazione del soggetto gravato da tale onere, al di là del chiaro dato normativo di cui sopra, è indubbio che la stima del fatturato non possa essere demandata al concorrente: l’aspirante aggiudicatario non può infatti desumere tale dato neanche dagli elementi contenuti nel Capitolato speciale, poiché in questa particolare tipologia di servizio è difficile compiere ab externo attendibili previsioni di stima.

Al contrario, la stazione appaltante, in quanto soggetto “interno”, può attingere a informazioni diverse e ulteriori che certamente rientrano nella sua sfera di controllo, e quindi può più agevolmente desumere il dato da indicare quale valore della concessione, non potendo questo ridursi al solo fatturato del precedente gestore (su cui insiste l’Amministrazione nelle proprie memorie di replica, al fine di sollecitare una rimeditazione del più recente indirizzo sopra richiamato e un ritorno all’impostazione precedente).

6.4. Ad esempio, a guardare il Capitolato speciale di cui alla procedura per cui è causa, potrebbe ipotizzarsi che un’indicazione orientativa dei flussi di cassa possa rivenire al committente da un monitoraggio, esercitato per tramite del direttore dell’esecuzione del servizio, sull’adempimento dell’obbligo di rifornimento periodico degli apparecchi distributori (disciplinato dall’art. 5 del Capitolato, pag. 8), in modo da poter incrociare il dato della frequenza del riempimento, magari integrato con l’indicazione dei prodotti sostituiti, con quello dei prezzi unitari di ciascun prodotto.

Siffatta operazione, pur non essendo idonea a fornire dati certi in ordine agli effettivi flussi di cassa (potendo la ricarica dei distributori essere imposta anche dalla necessità di sostituire prodotti scaduti, e non necessariamente dall’avvenuto consumo integrale di tutti quelli già esistenti negli apparecchi), è suscettibile di orientare gli operatori interessati a subentrare nella gestione del servizio molto più di dati estrinseci quali il numero degli utenti, la collocazione degli apparecchi distributori etc.

6.5. Né convince la tesi della A.S.L., secondo la quale in questo modo si trasferirebbe il rischio d’impresa dal concessionario all’Amministrazione, con conseguente stravolgimento di quello che è lo specifico della concessione di servizi rispetto all’appalto.

Invero, come evidenziato dallo stesso giudice di prime cure, il rischio imprenditoriale di cui il concessionario è portatore discende non solo dal flusso di accesso degli utenti al servizio e dalle variazioni di mercato, ma anche da scelte dell’imprenditore in merito all’organizzazione dei propri mezzi e delle modalità di offerta del servizio, in quanto capaci di orientare la domanda e di condizionare, almeno in una certa misura, i fattori esogeni sopra indicati; pertanto, la previa stima approssimativa del fatturato compiuta dalla stazione appaltante non è neanche astrattamente idonea a neutralizzare tale alea imprenditoriale.

7. L’accoglimento del primo motivo di appello per le ragioni testé evidenziate, comportando l’integrale annullamento del bando di gara e la necessità di una sua rinnovazione, determina l’assorbimento delle residue censure riproposte con i successivi motivi di gravame.

8. Deve infine essere respinta la domanda risarcitoria, articolata peraltro in modo sintetico e generico, atteso che, come precisato dalla stessa Amministrazione nella memoria depositata in data 14 aprile 2017, la gara non è stata ancora aggiudicata e, pertanto, dovendo essa riprendere ab initio all’esito della nuova predisposizione della relativa disciplina, la ricorrente conserva integre le proprie chances di ottenere l’affidamento della concessione di che trattasi.

9. In considerazione dell’incertezza che per diverso tempo ha connotato il quadro giurisprudenziale in subiecta materia, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

Sezione Terza,

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, nei sensi e limiti di cui in motivazione.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani – Presidente

Raffaele Greco – Consigliere, Estensore

Massimiliano Noccelli – Consigliere

Pierfrancesco Ungari – Consigliere

Sergio Fina – Consigliere

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