Corte di Cassazione, sezione IV penale, sentenza 11 aprile 2016, n.14776

Il reato di falsità nelle dichiarazioni sulle condizioni reddituali di cui all’art. 95 d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, che punisce le falsità o le omissioni nelle dichiarazioni e nelle comunicazioni per l’attestazione delle condizioni di reddito in vista dall’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, è integrato qualora non rispondono al vero o sono omessi in tutto o in parte dati di fatto nella dichiarazione sostitutiva, ed in qualsiasi dovuta comunicazione contestuale o consecutiva, che implichino un provvedimento del magistrato, secondo parametri dettati dalla legge, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni previste per l’ammissione al beneficio

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV PENALE

SENTENZA 11 aprile 2016, n.14776 

RITENUTO IN FATTO

La Corte di Appello di Potenza, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Potenza, che aveva dichiarato T.I. responsabile del delitto previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 per aver omesso di dichiarare nell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato la presenza del figlio quale componente della famiglia anagrafica e per aver falsamente dichiarato che nessun componente del nucleo familiare aveva percepito redditi nell’ano 2007.

T.I. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

a) erronea applicazione degli artt. 148 e 151 c.p.p. per avere la Corte territoriale rigettato con scarna motivazione l’eccezione di nullità dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari in quanto notificato dalla Polizia Giudiziaria in relazione ad atto non delegabile nè delegato e senza alcuna attestazione di conformità all’originale;

b) erronea applicazione della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, dell’art. 178 c.p.p., lett. c) e art. 179 c.p.p. per avere la Corte rigettato con motivazione illogica ed incomprensibile l’eccezione di nullità della notificazione del decreto di fissazione dell’udienza preliminare per mancanza dell’avviso di ricevimento;

c) erronea applicazione degli artt. 419 e 178 c.p.p. per avere la Corte territoriale rigettato con motivazione inconferente rispetto alla censura l’eccezione di nullità dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, da ritenere nullo in quanto non accompagnato dalla richiesta di rinvio a giudizio;

d) violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 95 e 77 per avere il giudice di merito omesso di considerare che la dichiarazione inesatta non avrebbe portato al rigetto dell’istanza, essendo il reddito comunque al di sotto della soglia prevista dalla legge; si deduce, altresì, l’assenza di dolo per avere la ricorrente fatto affidamento sulla certificazione ISEE rilasciata dall’INPS -CAF. La ricorrente allega che nella certificazione in atti manca la dichiarazione formale idonea a richiamare la parte sulle proprie responsabilità penali in caso di mendacio ed invoca l’applicazione della disciplina dell’irrilevanza penale del fatto di cui all’art. 316 ter c.p..

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

1.1. Va premesso che l’art. 151 c.p.p. non prevede la nullità delle notifiche effettuate dalla polizia giudiziaria al di fuori della propria sfera di competenza (Sez. 3, n. 26110 del 06/05/2009, S.e.a.v. Serv. Ecol. Ambientali Srl, Rv. 243963; Sez. 1, n. 8324 del 15/02/2006, Argentina, Rv. 233138).

1.2. Ma risulta dirimente la considerazione che la doglianza, qualificata nella rubrica quale vizio per inosservanza di norma processuale ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), si sostanzia in realtà in una censura per carenza di motivazione che contrasta frontalmente con il testo del provvedimento impugnato senza confrontarsi con esso. Nella sentenza si rinviene, infatti, specifica argomentazione sul relativo motivo di gravame (pag. 4). Come costantemente affermato dalla Corte di legittimità (ex plurimis, Sez.6, n.8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584), la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.

1.3. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Risulta pertanto di chiara evidenza che se il motivo di ricorso, come nel caso in esame, si limita a riprodurre il motivo d’appello, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso.

Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono inammissibili in quanto generici.

2.1. Dall’esame degli atti, consentito dalla natura della censura, si evince che, a seguito dell’udienza preliminare del 13 marzo 2012, l’imputata è stata resa edotta con notificazione ricevuta il 27 marzo 2012 dell’avviso dell’udienza dibattimentale del 30 ottobre 2012; sin da tale udienza, celebrata dinanzi al Tribunale di Melfi, l’imputata, sebbene assente, era assistita da un difensore di fiducia regolarmente presente, che non ha sollevato alcuna eccezione processuale e che, anzi, solo all’udienza di discussione dell’11 marzo 2014 ha depositato un certificato medico chiedendo il differimento dell’udienza per impedimento dell’imputata, interessata a presenziare al processo e ad ottenere la revoca della dichiarazione di contumacia; nel fascicolo processuale non è presente l’avviso previsto dall’art. 418 c.p.p., nè la ricorrente ha ritenuto di curarne l’inserimento o di allegarne copia al ricorso, sebbene abbia fatto riferimento ad un decreto notificato privo della comunicazione di avvenuto deposito e non accompagnato dalla richiesta di rinvio a giudizio; non risulta dedotta l’attività difensiva che l’asserita omissione di tali atti processuali avrebbe precluso o conculcato.

2.2. Le censure risultano, in primo luogo, prive di autosufficienza; riconoscere al giudice di legittimità il potere di cognizione piena e diretta del fatto processuale qualora venga dedotto un error in procedendo, non comporta, infatti, il venir meno della necessità di rispettare le regole poste dal codice di rito per la proposizione del ricorso per cassazione. Ciò vuoi dire che, pur trattandosi di motivo di natura processuale in relazione al quale alla Corte di Cassazione è consentito esaminare gli atti del fascicolo processuale al fine di verificare il fondamento dell’eccezione proposta, l’applicazione concreta di questo principio presuppone che venga quanto meno specificamente indicato l’atto dal quale si ritiene derivino conseguenze giuridiche o quello che sia affetto dal vizio denunziato e che l’atto da esaminare sia contenuto nel medesimo fascicolo.

Se invece questa indicazione non viene fornita o, seppur fornita, l’esame dell’eccezione richiede l’acquisizione di atti o documenti o notizie di qualsiasi genere che non formano parte del fascicolo del processo, deve ritenersi nel primo caso che il motivo sia inammissibile per genericità, non consentendo al giudice di legittimità di individuare l’atto affetto dal vizio denunziato; nel secondo caso che costituisca onere della parte richiederne l’acquisizione al giudice del merito, se il problema si pone in questa fase, ovvero produrlo nel giudizio di legittimità nei casi in cui la Corte di Cassazione sia anche giudice del fatto. Diversamente verrebbe attribuito al giudice di legittimità un compito di individuazione, ricerca e acquisizione di atti, notizie o documenti del tutto estraneo ai limiti istituzionali del giudizio di legittimità (Sez.U, n. 39061 del 16/07/2009, De Iorio, Rv.244328;Sez. 1, n. 26492 del 09/06/2009, Bellocco, Rv.244039; Sez.4, n.25310 del 07/04/2004, Ardovino, Rv. 228953).

2.3. Secondariamente, il bilanciamento tra il principio della ragionevole durata del processo ed il diritto di difesa, trova il suo punto d’integrazione nell’accertamento della concreta lesività dell’atto asseritamente nullo in relazione all’interesse che la regola violata mira a tutelare; per tale ragione, il motivo di censura che deduca una nullità processuale deve indicare, in ossequio alla regola dettata dall’art. 581 c.p.p., quale attività difensiva sia stata in concreto preclusa, altrimenti frustrando l’ulteriore esigenza di ancorare l’accertamento delle nullità processuali non assolute all’effettiva lesione dell’interesse a tutela del quale le stesse sono poste.

Il quarto motivo di ricorso è infondato.

3.1. La Corte territoriale ha, infatti, rigettato analoghe doglianze svolte nell’atto di gravame attenendosi a principi interpretativi ripetutamente affermati nella giurisprudenza di legittimità. Giova, sul punto, richiamare la distinzione operata con sentenza delle Sezioni Unite nel 2008 (Sez.U, n.6591 del 27/11/2008, dep. 2009, Infanti, Rv. 242152) tra i presupposti di ammissibilità dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e gli elementi costitutivi del reato previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95;in base a tale distinzione, il reato ‘si ravvisa se non rispondono al vero o sono omessi in tutto o in parte dati di fatto nella dichiarazione sostitutiva, ed in qualsiasi dovuta comunicazione contestuale o consecutiva, che implichino un provvedimento del magistrato, secondo parametri dettati dalla legge, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni previste per l’ammissione al beneficio’.

3.2. Le ulteriori doglianze rappresentate con il motivo di ricorso in esame risultano inammissibili in quanto costituiscono mera reiterazione di identico motivo di appello senza alcun confronto con la motivazione del rigetto espressa nel provvedimento impugnato.

Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali

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