Violato il divieto di reformatio in peius se in appello l’imputazione per corruzione è riqualificata come concussione
Suprema Corte di Cassazione
sezione III penale
sentenza 12 dicembre 2016, n. 52378
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMORESANO Silvio – Presidente
Dott. RAMACCI Luca – Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessi – rel. Consigliere
Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), n. (OMISSIS);
(OMISSIS), n. (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d’appello di ANCONA in data 3/03/2015;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ANGELILLIS C., che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
udite, per i ricorrenti, le conclusioni dell’Avv. (OMISSIS) e dell’Avv. (OMISSIS), quest’ultimo in sostituzione dell’Avv. (OMISSIS), che hanno chiesto accogliersi i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 3/03/2015, depositata in data 18/04/2015, la Corte d’appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza emessa dal tribunale di Ancona in data 12/01/2012, assolveva il (OMISSIS) dal reato di cui al capo l) della rubrica limitatamente al fatto relativo alla (OMISSIS) e dal reato di cui al capo m) limitatamente al fatto relativo alla (OMISSIS); riqualificava nel capo l) il fatto concernente quest’ultima ai sensi dell’articolo 319-quater c.p. e, quanto ai fatti relativi a (OMISSIS) e altra ragazza non meglio identificata come prostituta rumena ai sensi degli articoli 56 e 317 c.p.; riqualificava il capo n) ai sensi dell’articolo 326 c.p., comma 1 ed i reati di cui ai capi p) e q) ai sensi dell’articolo 317 c.p.; rideterminava, per l’effetto, la pena inflitta al (OMISSIS) in 8 anni, 3 mesi di reclusione ed Euro 2000,00 di multa, confermando, nel resto, la sentenza appellata che aveva condannato il (OMISSIS) alla pena di anni 2 di reclusione; giova precisare, per migliore intelligibilita’ dell’impugnazione, pertanto, che la sentenza di condanna inflitta dal primo giudice, con le opportune modifiche intervenute in appello, e’ stata pronunciata per i reati di: 1) sequestro di persona continuato di numerosi soggetti indicati al capo a) della rubrica ( (OMISSIS)); 2) lesioni personali gravissime ai danni di tale (OMISSIS) (capo b: (OMISSIS)); 3) concussione continuata ai danni delle persone indicate al capo c) della rubrica ( (OMISSIS)); 4) favoreggiamento continuato ed aggravato della prostituzione di alcune persone indicate al capo m) della rubrica ( (OMISSIS)); 5) rivelazione di segreto d’ufficio a favore del gestore di alcuni locali notturni (capo n: (OMISSIS)); 6) comunicazione di dati ed informazioni in violazione della L. n. 121 del 1981 (capo o: (OMISSIS)); 7) concussione continuata ai danni delle persone indicate ai capi p) – quest’ultimo in concorso con il (OMISSIS) – e q) della rubrica ( (OMISSIS)).
Quanto sopra in relazione a fatti contestati come commessi secondo le modalita’ esecutive e spazio – temporali meglio descritte nelle predette imputazioni.
2. Hanno proposto separati ricorsi il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, impugnando la sentenza predetta con cui deducono complessivamente quindici motivi (due il (OMISSIS) e tredici il (OMISSIS), rilevandosi un’imprecisione nella numerazione dei motivi da parte di quest’ultimo ricorrente, atteso che dopo il motivo n. 9, illustrato alle pagg. 36/44, viene indicato erroneamente il successivo motivo con il n. 11 anziche’ con il n. 10, donde il numero dei motivi complessivamente proposti dal (OMISSIS) e’ di 13 e non di 14), di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce il (OMISSIS), con il primo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera e), sotto il profilo della mancanza, contraddittorieta’ e/o manifesta illogicita’ della motivazione quanto alla pronuncia di colpevolezza.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, anzitutto sarebbe ravvisabile la mancanza della motivazione, atteso che i giudici di appello si sarebbero limitati a sostenere il ruolo di rilievo avuto dal ricorrente nella vicenda processuale, che sarebbe stato gia’ oggetto di esame nel trattare dalla posizione del coimputato (OMISSIS), richiamando brevemente le considerazioni precedentemente svolte ma dedicate, secondo il ricorrente, al (OMISSIS); tali considerazioni sarebbero inidonee a giustificare la conferma del giudizio di condanna, soprattutto per quanto concerne la problematica in ordine al contestato concorso del (OMISSIS); diversamente, si sostiene, proprio la riqualificazione del reato da concussione a corruzione, avrebbe reso necessario un approfondimento della motivazione, in punto di concorso, originariamente espresse dal tribunale, stante le evidenti differenze tra i due reati; i giudici territoriali avrebbero “superato” detta problematica richiamando una sentenza in tema di estorsione, ritenendo che il principio in essa espresso era applicabile anche al caso in esame, senza tuttavia motivare circa origine e ragione di tale certezza, attesa l’eterogeneita’ dei reati in comparazione; inoltre, si contesta, la Corte d’appello, nel trattare la posizione del (OMISSIS) richiamando quella del (OMISSIS), avrebbe omesso di illustrare e specificare da quali elementi di fatto e di diritto avrebbe tratto le proprie certezze in ordine alla sussistenza del concorso nel reato sub p), non essendovi peraltro elementi di riscontro a sostegno delle deduzioni svolte (nel senso che laddove il (OMISSIS) riferiva di aver mandato (OMISSIS), definito come un “amico mio che non e’ buono”, questa persona non poteva che essere il (OMISSIS)); si censura, poi, la sentenza per illogicita’ e contraddittorieta’ in quanto, proprio a seguito della riqualificazione del fatto, evidenziandosi il ruolo del (OMISSIS) quale semplice e mero latore della proposta alla vittima, egli avrebbe dovuto essere assolto dall’imputazione di concussione.
2.2. Deduce il (OMISSIS), con il secondo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera e), sotto il profilo della mancanza, contraddittorieta’ e/o manifesta illogicita’ della motivazione quanto alla pena inflitta.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, i giudici di appello avrebbero immotivatamente confermato la pena inflitta in primo grado; tale conclusione sarebbe illogica in quanto il giudice di appello si sarebbe riferito ad una presunta gravita’ della vicenda, senza tener conto non solo del coinvolgimento del ricorrente nei fatti di un unico capo di imputazione, ma anche del ruolo assolutamente marginale assunto dall’imputato.
3.1. Deduce il (OMISSIS), con il primo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera e), sotto il profilo della assoluta mancanza o comunque dell’omessa motivazione con riferimento alle doglianze di cui al punto n. 1, pagine da 3 a 10 dell’atto di appello circa la genesi del presente procedimento e delle indagini diramate dalla Procura, sulla tesi del complotto e sulla sostanziale inattendibilita’ dei testi.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, i giudici di appello avrebbero sostanzialmente trascurato di pronunciarsi su varie questioni, sebbene fossero state ampiamente trattate nell’atto di appello; mancherebbe un’autonoma motivazione, in quanto la Corte d’appello avrebbe rinviato alla motivazione della sentenza di primo grado, come desumibile dall’affermazione contenuta a pagina 62 secondo cui le motivazioni addotte dal primo giudice sarebbero state ritenute condivisibili; i giudici di appello avrebbero quindi ritenuto che le numerose questioni sollevate nell’atto di appello sarebbero state gia’ risolte ed affrontate dai primi giudici, venendo riproposte senza alcun apprezzabile elemento di novita’, articolandosi con censure ripetitive volte a dimostrare un inverosimile complotto contro l’imputato; i giudici di appello ancora avrebbero fondato il quadro probatorio su numerose e significative intercettazioni telefoniche; nel complesso la motivazione della sentenza sarebbe censurabile, anzitutto per aver respinto la richiesta di rinnovazione integrale della perizia relativa alla trascrizione delle telefonate oggetto di intercettazione telefonica, con estensione a tutte quelle che risultavano effettuate tra il ricorrente ed il questore, per come indicate nell’elenco dei brogliacci dell’attivita’ di indagine e contenuti nel fascicolo del pubblico ministero; i giudici d’appello nel respingere questa richiesta non avrebbero dunque acquisito elementi utili per apprezzare la tesi del complotto che sarebbe stato ordito da alcuni soggetti nei confronti del ricorrente il quale, nell’esercizio delle funzioni istituzionali, avrebbe “dato fastidio” a costoro; sarebbe quindi inaccettabile il fatto che non si sia provveduto a trascrivere una sola delle conversazioni intercorse durante l’attivita’ di servizio tra il ricorrente ed il questore, donde sarebbe stata ingiustamente omessa la produzione di tale importante fonte di prova; si conclude infine il motivo, evidenziando come la necessita’ di disporre la nomina di un perito che provvedesse alla integrale trascrizione aveva costituito oggetto di una specifica richiesta istruttoria in primo grado, reiterata ai sensi dell’articolo 507 c.p.p., rigettata ingiustamente dal giudice di primo grado con ordinanza impugnata con l’atto d’appello, ma su tale questione anche la Corte d’appello avrebbe omesso qualsiasi motivazione; analogamente, si censura la motivazione laddove ha liquidato in modo telegrafico la questione del prospettato complotto ai danni del ricorrente, sostenendo i giudici di appello si trattasse di un qualcosa di inverosimile, tuttavia cosi’ sorvolando sul contenuto di alcune intercettazioni indicate dalla difesa, tra cui viene richiamata una conversazione del 24/11/2007, n. 792; illogicamente il giudice di appello avrebbe ritenuto come non vi fosse alcuna significativa divergenza tra le trascrizioni eseguite alla polizia giudiziaria e quelle effettuate dal perito del tribunale, nonostante la difesa avesse evidenziato la presenza di varie pause di sospensione rimaste nonche’ di omissione nella trascrizione, avendo peraltro il perito taciuto, a giudizio della difesa, fatti e circostanze rilevanti; da qui, la richiesta di rinnovazione dibattimentale ingiustamente respinta.
3.2. Deduce il (OMISSIS), con il secondo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera c), per violazione degli articoli 525 e 511 c.p.p., sotto il profilo dell’inutilizzabilita’ di prove assunte da collegio diverso rispetto a quello che aveva emanato la decisione.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, dopo aver richiamato quanto accaduto davanti al giudice di primo grado e lo sviluppo processuale, i giudici di appello avrebbero violato il combinato disposto delle predette norme processuali, in particolare per aver aderito ad un orientamento giurisprudenziale che, invece, viene ad essere confutato a pagina 10 e seguenti del ricorso, osservandosi come la prova orale avrebbe dovuto essere integralmente ripetuta davanti al collegio che si accingeva a valutarne, oltre che i contenuti dichiarativi, anche gli aspetti non prettamente verbali, i quali erano al pari dei primi importanti nel vaglio istruttorio; non sarebbe condivisibile la tesi accolta dal giudice di merito poiche’ l’interpretazione piu’ corretta dell’articolo 511 c.p.p. dovrebbe essere nel senso della necessita’ di riassumere integralmente la prova davanti al nuovo giudice; in altri termini la previsione normativa di cui sopra dovrebbe trovare applicazione non gia’ in relazione alle attivita’ istruttorie svolte davanti al collegio diversamente composto di atti integralmente ripetibili, ma solo laddove siano confluiti nel fascicolo del dibattimento atti di indagine contenenti fonti dichiarative le quali non potrebbero esser lette se non previo esame del dichiarante; la contraria interpretazione, si osserva, colliderebbe con i principi cardine del processo accusatorio e, in ogni caso, non sarebbe superabile semplicemente sostenendo che il difensore dell’imputato conserva comunque il potere di riproporre tutte le domande che desidera al teste; la rinnovazione istruttoria, infatti, dovrebbe consistere, secondo il ricorrente, nella integrale ripetizione dell’attivita’ istruttoria, gia’ svolta davanti al precedente collegio, al cospetto del nuovo giudice, come del resto sarebbe stato affermato anche da una decisione di questa Corte riportata a pagina 14 del ricorso nonche’ dalla stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di cui, sempre alla predetta pagina vengono indicati gli estremi; conclusivamente, stante la inutilizzabilita’ del materiale istruttorio formatosi davanti al collegio diversamente composto, la necessaria prova di resistenza che ne consegue, impedirebbe a giudizio del ricorrente di pervenire all’affermazione della sua responsabilita’ penale, nonostante nella sentenza di appello si affermi che la prova cardine sia rappresentata dalle intercettazioni telefoniche captate tra gli imputati e le persone offese.
3.3. Deduce il (OMISSIS), con il terzo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera c), per violazione degli articoli 197 bis e 210 c.p.p., sotto il profilo dell’assunzione di testimonianza da persona coimputata nello stesso procedimento in assenza delle garanzie previste dalla legge e correlata inutilizzabilita’ e diversa valenza probatoria delle testimonianze rese dai testi assistititi.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, dopo aver premesso che sia la (OMISSIS) che il (OMISSIS) avevano definito la propria posizione processuale mediante patteggiamento, rendendo a carico del ricorrente dichiarazioni testimoniali, gli stessi sarebbero stati sentiti, la prima, ai sensi dell’articolo 197 c.p.p. (e quindi quale testimone pura) e, l’altro, quale imputato di procedimento connesso ai sensi dell’articolo 210 c.p.p.; con particolare riferimento alla posizione della (OMISSIS), era stata respinta l’eccezione di inutilizzabilita’ delle dichiarazioni da quest’ultima rese in quanto non assunta nelle forme garantite, cio’ in quanto il tribunale aveva ritenuto che non ricorresse alcune delle ipotesi di inutilizzabilita’, atteso che la (OMISSIS) era vittima dei reati di sequestro di persona e lesioni personali gravissime commessi dal ricorrente, reati in relazione ai quali non vi era alcun collegamento probatorio ai sensi dell’articolo 371 c.p.p., comma 2, lettera B), rispetto ai fatti per i quali la stessa era gia’ stata giudicata, ossia per aver partecipato ad un sodalizio criminale volto allo sfruttamento della prostituzione, fatto che non avrebbe interferito rispetto alla prova dei reati per i quali la donna era persona offesa al pari delle altre prostitute; in ogni caso, il tribunale evidenziava come, anche prescindendo dalla deposizione di quest’ultima, la sussistenza dei delitti nei quali la donna era persona offesa fosse ricavabile anche da altri ben piu’ pregnanti elementi di prova; la difesa della ricorrente aveva gia’ contestato tale soluzione in sede di appello, sostenendo invece l’esistenza di una connessione probatoria, censurando la motivazione sul punto dalla Corte d’appello utilizzata per rigettare detta eccezione, motivazione che sostanzialmente riprendeva quella gia’ esposta dal tribunale; sotto tale profilo il ricorrente sostiene che il collegamento tra i reati contestati al (OMISSIS) e quello associativo contestato all’ (OMISSIS) fosse evidente sotto il profilo probatorio non solo in relazione alle condotte ascritte al medesimo ai capi L), M), P) e Q), ma anche sotto il profilo della connessione teleologica quanto al reato di cui al capo N), essendo evidente che le attivita’ delittuose di corruzione, concussione e favoreggiamento della prostituzione presuppongono comunque che il reato di sfruttamento in forma associativa della prostituzione sia stato effettivamente consumato, donde l’esistenza di una fortissima connessione tra i fatti; alla luce di quanto sopra ed in applicazione dell’orientamento giurisprudenziale di legittimita’ che considera non utilizzabili le dichiarazioni dell’imputato in procedimento connesso o collegato probatoriamente ove sia persona offesa dal reato, era necessario che la deposizione (OMISSIS) fosse assunta nelle forme della testimonianza assistita.
3.4. Deduce il (OMISSIS), con il quarto motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e), per violazione dell’articolo 197 c.p.p., comma 1, lettera d), e correlato vizio di mancanza della motivazione e contraddittorieta’ della stessa quanto all’incapacita’ a testimoniare del Maresciallo (OMISSIS).
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, i giudici di appello avrebbero erroneamente liquidato la questione della incapacita’ a testimoniare del predetto teste, quale ausiliario del pubblico ministero titolare dell’indagine, sostenendo che quest’ultimo non avesse testimoniato sulle dichiarazioni acquisite dei testimoni, bensi’ sulle indagini svolte, sulle conversazioni captate e sulla identificazione degli interlocutori; si tratterebbe di motivazione censurabile in quanto illogicamente e contraddittoriamente la Corte d’appello, pur non negando che il teste abbia svolto attivita’ di ausiliario, si sarebbe limitata ad assolvere l’obbligo motivazionale semplicemente elencando i temi su cui quel teste era stato escusso.
3.5. Deduce il (OMISSIS), con il quinto motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera c), per violazione dell’articolo 430 bis c.p.p., sotto il profilo della inutilizzabilita’ delle informazioni assunte dal coimputato (OMISSIS).
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, i giudici di appello avrebbero erroneamente respinto la questione della inutilizzabilita’ delle dichiarazioni del predetto coimputato, ritenendo che la norma processuale di cui sopra non sia applicabile ai coimputati ma soltanto ai testimoni; tale affermazione sarebbe erronea non considerando i giudici d’appello la finalita’ della norma processuale che vieta qualsiasi contatto e comunicazione tra le persone da esaminare e alcuna delle parti o loro difensori e consulenti; l’articolo 430 bis c.p.p., in realta’ riferendosi alle “persone” sarebbe applicabile anche gli imputati le cui informazioni, assunte in violazione del divieto, sono inutilizzabili.
3.6. Deduce il (OMISSIS), con il sesto motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e),, per violazione degli articoli 62 e 63 c.p.p. e correlato vizio di contraddittorieta’ della motivazione ed errata valutazione delle dichiarazioni autoaccusatorie intercettate.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, i giudici di appello dopo aver elencato alcune telefonate in cui era il ricorrente ad essere stato intercettato, nel valutarne il contenuto, affermavano che alcune di esse lo incastrerebbero per le vessazioni alle quali sottoponeva le prostitute; i giudici di appello sul punto non avrebbero fatto corretta applicazione del principio di diritto affermato da questa Corte con una sentenza richiamata a pagina 29 del ricorso, secondo cui quanto dichiarato in sede di intercettazione dall’indagato spontaneamente non sarebbe assimilabile alle dichiarazioni rese nel corso dell’interrogatorio davanti all’autorita’ giudiziaria; la Corte si sarebbe discostata da questo principio ritenendo che quelle conversazioni descritte come idonee ad incastrare il (OMISSIS) avessero valore confessorio; diversamente la corretta applicazione del principio di diritto affermato nella richiamata decisione di legittimita’ avrebbe imposto l’accoglimento delle richieste istruttorie gia’ formulate della difesa ai sensi dell’articolo 507 c.p.p. ed oggetto di richiesta di rinnovazione istruttoria dibattimentale, tra cui la audizione del teste (OMISSIS).
3.7. Deduce il (OMISSIS), con il settimo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera c) e d), per la mancata assunzione di un prova decisiva e per violazione dell’articolo 62 c.p.p. quanto alla condanna del ricorrente per il reato di cui al capo k) relativo alle lesioni in cui p.o. e’ la (OMISSIS).
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, i giudici di appello hanno ritenuto penalmente responsabile il ricorrente per il reato di lesioni fondandolo su tre elementi (contenuto delle intercettazioni telefoniche; indubbia valenza probatoria delle dichiarazioni della (OMISSIS) e della sua ostentata esibizione in udienza del dente lesionato; dichiarazioni del coimputato (OMISSIS)); detta motivazione sarebbe censurabile in quanto, quanto alla valenza probatoria delle intercettazioni telefoniche, in nessuna di esse si fa menzione della lesione del dente ma, anzi, emergerebbe proprio la forte astiosita’ della persona offesa nei confronti del ricorrente; quanto alla valenza probatoria delle dichiarazioni rese dalla presunta persona offesa, sarebbe illogico quanto affermato dalla Corte d’appello con riferimento alla visione del dente lesionato, atteso che, secondo il ricorrente, la mera esibizione di un dente rotto non potrebbe di per se’ costituire un valido riscontro in assenza di ulteriori elementi rispetto al reato di lesioni; quanto infine alla valenza probatoria delle dichiarazioni del (OMISSIS), si tratterebbe di dichiarazioni inutilizzabili in quanto ricevute dall’imputato (OMISSIS) con le quali il ricorrente avrebbe ammesso di aver cagionato lesioni alla persona offesa.
3.8. Deduce il (OMISSIS), con l’ottavo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), per violazione dell’articolo 500 c.p.p., comma 3, e dell’articolo 317 c.p. e correlato vizio di mancanza di motivazione con riferimento alla vicenda di tale Diana e della ragazza rumena non meglio identificata, in relazione al capo I) riferito al reato di concussione.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, i giudici di appello avrebbero anzitutto omesso qualsiasi motivazione con riferimento ai fatti in relazione ai quali sarebbero risultate persone offese tale Diana oltre che una ragazza rumena mai identificata; in secondo luogo, con riferimento ai fatti di cui e’ persona offesa tale (OMISSIS), osserva il ricorrente come la stessa, all’udienza del 16/6/2010, si fosse rifiutata di rispondere in sede di controesame su di una essenziale circostanza, laddove, all’udienza successiva del 13/1/2011, la stessa teste, escussa davanti ad un diverso collegio, si sarebbe limitata a confermare le precedenti dichiarazioni rese, senza aggiungere nulla al suo precedente apporto testimoniale; la difesa del ricorrente pertanto non aveva alcun interesse a procedere al controesame avendo gia’ sollevato alla precedente udienza un’eccezione di inutilizzabilita’ della deposizione ai sensi dell’articolo 500 c.p.p., comma 3; censurabile pertanto risulta la motivazione della Corte d’appello la’ dove sostiene che la difesa del ricorrente avrebbe dovuto manifestare il proprio dissenso e rinnovare l’eccezione di inutilizzabilita’; secondo il ricorrente nessun obbligo vi era di formulare domande ed ottenere chiarimenti su un qualcosa che era gia’ inutilizzabile, essendosi peraltro limitata la teste a confermare integralmente quanto gia’ detto nel corso della precedente escussione; quanto, infine, alla questione relativa al fatto in cui e’ persona offesa la (OMISSIS), il giudice di appello avrebbe omesso qualsiasi motivazione circa l’eccezione difensiva riguardante il mancato avvertimento a quest’ultima di avvalersi della facolta’ di non rispondere, con il conseguente obbligo di sospendere l’esame, essendosi la stessa autoaccusata di un tentativo di corruzione del ricorrente; essendo proseguita l’audizione senza le garanzie difensive la relativa deposizione doveva ritenersi inutilizzabile ne’, sul punto, la motivazione offerta dalla Corte d’appello – secondo cui il presunto tentativo di corruzione non era stato ritenuto credibile ne’ di conseguenza erano emersi elementi diretti per sostenere la configurabilita’ di un simile delitto – sarebbe sufficiente ad escludere la inutilizzabilita’.
3.9. Deduce il (OMISSIS), con il nono motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), per violazione della L. n. 75 del 1958, articolo 3, n. 8 e articolo 4, n. 6 e correlato vizio motivazionale di omessa motivazione in ordine alla sussistenza del capo m) della rubrica, relativo al favoreggiamento della prostituzione di tre soggetti.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, i giudici di appello avrebbero dedicato solo poche righe per motivare il giudizio di responsabilita’ penale in relazione a tale reato; anzitutto quanto al favoreggiamento della prostituzione di tale (OMISSIS), la Corte d’appello si sarebbe laconicamente riferita ad alcune telefonate gia’ indicate; si tratterebbe di motivazione censurabile laddove si consideri che, quanto alla stessa persona offesa per la vicenda relativa alla imputazione di concussione, il ricorrente e’ stato assolto per insussistenza del fatto, sicche’ l’automatico rinvio alle telefonate avrebbe dovuto imporre alla Corte la indicazione di quelle ritenute rilevanti; a tal proposito il ricorrente alle pagine 39/42 indica una serie di telefonate che, richiamate a pagina 75 della sentenza d’appello, sarebbero state implicitamente utilizzate dalla Corte d’appello a sostegno del giudizio di responsabilita’; nessuna di tali conversazioni, tuttavia, a giudizio del ricorrente, sarebbe sufficiente a sostenere l’affermazione di responsabilita’, in quanto nelle stesse sarebbe la prostituta a dare informazioni al ricorrente e non viceversa; in ogni caso, si osserva, la mera ed illusoria rassicurazione verbale e la disponibilita’ ad ascoltare lo sfogo e le preoccupazioni per i controlli da parte delle forze dell’ordine che il ricorrente avrebbe manifestato nelle conversazioni con la prostituta non sarebbe sufficiente a concretizzare un’attivita’ materiale di favoreggiamento della prostituzione; analogamente, le censure investono il giudizio di responsabilita’ quanto al presunto favoreggiamento della prostituzione della (OMISSIS); nonostante la Corte appello abbia ritenuto di dover assolvere l’imputato da tale contestazione, ritiene il ricorrente inspiegabile la motivazione dalla Corte d’appello fornita per pervenire a giudizio assolutorio, la quale avrebbe dovuto essere ugualmente utilizzata nel caso del favoreggiamento della (OMISSIS), essendo emerso che anche in quest’ultimo caso, come in quello della (OMISSIS), i controlli erano non gia’ attivita’ esclusiva del ricorrente ma delegati anche ad altre forze di polizia; quanto infine alla vicenda in cui il favoreggiamento riguarda il transessuale (OMISSIS), vi sarebbe un’unica telefonata oggetto di intercettazione sicche’, atteso il carattere isolato del contatto telefonico, apparirebbe difficile riscontrare la sussistenza dell’elemento materiale del delitto contestato; anche in questo caso la mera rassicurazione verbale che il ricorrente avrebbe profferito nel corso della telefonata ed inerente temi del tutto estranei alla prostituzione, non sarebbe di per se’ sufficiente a confortare l’assunto accusatorio.
3.10. Deduce il (OMISSIS), con il decimo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera d), in relazione alle richiesta di prova formulata ai sensi degli articoli 468 e 507 c.p.p. con riferimento al capo n) riguardante la vicenda (OMISSIS).
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, i giudici di appello nell’analizzare l’imputazione di cui sopra avrebbero ritenuto che l’audizione del predetto teste non fosse necessaria alla luce del contenuto delle telefonate intercettate e degli ulteriori elementi di prova acquisiti; tale affermazione sarebbe censurabile in quanto il (OMISSIS) avrebbe dovuto essere sentito quale imputato di reato connesso a quello per cui si procede, in quanto avrebbe reso chiarimenti non solo sui rapporti intercorsi ma anche su una serie di rilevanti circostanze che, riferite dal (OMISSIS), avrebbero potuto essere smentite, cosi’ evidenziando l’inattendibilita’ di quest’ultimo; si tratterebbe di una prova decisiva ingiustamente negata al ricorrente.
3.11. Deduce il (OMISSIS), con l’undicesimo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera c), per violazione dell’articolo 597 c.p.p., comma 3 sotto il profilo della violazione del divieto di reformatio in peius della sentenza di condanna quanto ai capi p) e q), originariamente contestati come corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (articolo 319 c.p.), ma riqualificati giuridicamente dalla Corte d’appello come reati di concussione ex articolo 317 c.p..
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, i giudici di appello, a fronte di censure difensive che attingevano la sentenza di primo grado che aveva ritenuto configurabile la cosiddetta corruzione propria ma con doglianze esclusivamente svolte circa l’esistenza di prove sufficienti a suffragare in modo certo ed indubitabile la valutazione positiva di responsabilita’ penale di tale reato (ritenuto peraltro dalla difesa correttamente qualificato giuridicamente), avrebbero illegittimamente proceduto a riqualificare giuridicamente il fatto come concussione; detta riqualificazione, pur non determinando una diretta ed immediata conseguenza pregiudizievole per l’imputato, avrebbe determinato una violazione nell’articolo 597 c.p.p., comma 3, atteso che l’operazione di riqualificazione sarebbe avvenuta in contrasto con i principi fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (a tal proposito viene richiamata la nota sentenza Drassich), comportando in astratto l’applicabilita’ di una pena piu’ elevata rispetto a quella prevista per la corruzione e per la quale era gia’ intervenuta condanna, in quanto tale peggiorativa sotto il profilo dei termini di estinzione del reato per decorso del periodo di prescrizione.
3.12. Deduce il (OMISSIS), con il dodicesimo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), per violazione dell’articolo 133 c.p., articolo 62 bis c.p., articolo 125 c.p.p., comma 3 e articolo 111 Cost. e correlati vizi di mancanza od omessa motivazione in ordine a specifici e puntuali motivi di appello quanto al trattamento sanzionatorio.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, i giudici di appello avrebbero apparentemente motivato in ordine ai motivi di doglianza relativi all’eccessivo trattamento sanzionatorio ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; i giudici di appello si sarebbero limitati a fondare il diniego di un piu’ tenue trattamento e delle richiamate attenuanti, fondandolo sulla gravita’ dei fatti commessi dal pubblico ufficiale, sul precedente penale per abuso d’ufficio, favoreggiamento e ricettazione nonche’ in materia di armi, sulla condotta processuale di negazione assoluta degli addebiti e sulla negativa personalita’ del medesimo, cio’ che avrebbe escluso la possibilita’ di riconoscere le attenuanti generiche giustificando l’irrogazione di una pena superiore ai minimi edittali; si tratterebbe di una motivazione censurabile atteso che i giudici di appello non avrebbero tenuto conto del curriculum professionale e della condotta pregressa del ricorrente, del comportamento processuale improntato a correttezza e mai orientato ad inquinare le prove o a sostenere tesi calunniose, non potendo eccessivamente valorizzarsi il precedente penale richiamato; in particolare, con riferimento al diniego delle attenuanti generiche, la motivazione sarebbe apparente, e sotto certi aspetti anche illogica, laddove valorizza il fatto che l’imputato fosse incline a credere persino a riti magici o laddove afferma che l’imputato avrebbe fornito della droga falsa (fatti smentiti con la produzione di una sentenza) o laddove fa riferimento ad un unico penale precedente risalente nel tempo.
3.13. Deduce il (OMISSIS), con il tredicesimo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), per violazione dell’articolo 605 c.p. e correlato vizio di contraddittorieta’ della motivazione in relazione al capo j) riguardante il sequestro di persona ai danni di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed altri soggetti.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, i giudici di appello avrebbero ritenuto che la tesi del complotto ordito ai danni del ricorrente fosse un’argomentazione difensiva del tutto infondata, anzi costituendo conferma del calibro delinquenziale del ricorrente; tale affermazione contrasterebbe con le risultanze processuali di cui alle conversazioni telefoniche oggetto di intercettazione evincendosi dalle stesse l’esatto contrario; a tal proposito il ricorrente alle pagine 56 e 57 indica alcuni elementi che giustificherebbero tale contraddittorieta’ (mancata valutazione del contenuto della conversazione n. 792 del 24/11/2007; mancata presenza o mancata partecipazione del ricorrente in alcuna delle telefonate elencate a pagina 69 della sentenza; nessuna motivazione idonea vi sarebbe in sentenza ad escludere l’interpretazione alternativa a quella prescelta; mancata considerazione dell’opportunita’ di acquisire la testimonianza dell’agente (OMISSIS), laddove invece, proprio per la presenza di contraddizioni emerse nel corso dell’escussione di altri testi, la difesa del ricorrente ne aveva sollecitato l’audizione che sarebbe stata immotivatamente disattesa; vi sarebbe stata ancora una svalutazione della valenza probatoria delle deposizioni degli agenti (OMISSIS) e (OMISSIS), il tutto senza offrire una motivazione al riguardo; vi sarebbe ancora un’erronea valutazione della circostanza secondo la quale il continuo bisogno di denaro del ricorrente costituiva un elemento di prova significativo della sua attivita’ delittuosa con transessuali e prostitute, atteso che, se davvero egli avesse tratto profitto da tale attivita’ delittuosa, certamente non avrebbe avuto bisogno dei versamenti di denaro offerti dai suoi familiari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. I ricorsi sono inammissibili, fatta eccezione per le imputazioni sub p) e sub q) della rubrica per le quali questo Collegio, previa loro riqualificazione ai sensi dell’articolo 319 c.p., deve disporre l’annullamento parziale della sentenza impugnata, senza rinvio, per essere i reati estinti per prescrizione.
5. Per ragioni di ordine logico, occorre procedere dall’esame dei motivi di ricorso (OMISSIS), seguendo l’ordine sistematico suggerito dalla struttura dell’impugnazione.
6. Il primo motivo di ricorso prospettato dal ricorrente – con cui si solleva censura di vizio motivazionale in ordine alla rinnovazione integrale della perizia trascrittiva in relazione a tutte le intercettazioni telefoniche effettuate tra il (OMISSIS) ed il Questore – e’ all’evidenza generico e sorretto da deduzioni puramente in fatto. In ogni caso, lo stesso ai appalesa manifestamente infondato, in quanto il ricorrente si duole della mancata rinnovazione quanto alle predette conversazioni ritenute non utili ai fini delle indagini da parte dei giudici di merito. Sul punto, al fine di rilevarne la manifesta infondatezza, e’ sufficiente qui evidenziare che la rinnovazione della perizia va disposta solo se il giudice di appello ritiene di non essere in grado di decidere allo stato egli atti. Diversamente, nel caso di specie, cio’ non e’ stata ritenuto necessario da parte della Corte territoriale, donde il relativo giudizio, immune da vizi di manifesta illogicita’ o motivazionali di sorta, e’ intangibile in questa sede (Sez. 2, n. 36630 del 15/05/2013 – dep. 06/09/2013, Bommarito, Rv. 257062).
Le doglianze difensive, quindi, anche con riferimento al mancato approfondimento della tesi del complotto, si appalesano prive di pregio, tendendo a censurare non la tenuta logica della motivazione sul diniego della perizia, ma a prospettare una personale interpretazione circa l’asserita rilevanza che tali trascrizioni avrebbero potuto assumere nella valutazione dei giudici i merito, con conseguente inammissibilita’ del relativo motivo. Va qui ribadito, in senso generale, che l’indagine di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato per espressa volonta’ del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita’ di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicita’ della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999 – dep. 16/12/1999, Spina, Rv. 214794).
7. Inammissibile e’ anche il secondo motivo (OMISSIS), con cui il ricorrente svolge censure di presunta violazione del combinato disposto degli articoli 511 e 525 c.p.p. circa l’utilizzazione di prove da parte del collegio diverso da quello che ha deciso; al fine di escluderne la fondatezza, e’ sufficiente in questa sede richiamare quanto gia’ affermato da questa Corte secondo cui non sussiste la violazione del principio di oralita’ – al quale e’ ispirata la doverosa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nel caso di mutata composizione del collegio – qualora il teste riconvocato si limiti a confermare, senza opposizione di alcuna parte, le dichiarazioni in precedenza rese innanzi a diverso collegio, considerato che i verbali contenenti tali dichiarazioni fanno regolarmente parte del fascicolo per il dibattimento (Sez. 5, n. 21710 del 26/03/2009 – dep. 26/05/2009, Di Gregorio e altri, Rv. 243894). Orientamento cui questo Collegio ritiene di dover dare continuita’, dovendosi peraltro condividere l’argomento offerto dai giudici di merito per il quale la difesa, a fronte della comparizione del teste, conserva pure sempre intatto il proprio potere di formulare domande al medesimo, donde oralita’ e contraddittorio risultano perfettamente garantite, implicando la rinuncia della difesa alla facolta’ di porre domande davanti al nuovo collegio un’implicita acquiescenza all’ingresso del precedente contenuto dichiarativo.
Generica e’, infine, la contestazione secondo cui sia il tribunale che la Corte d’appello avrebbero fatto “abbondantemente” ricorso a tali testimonianze al fine di fondare il giudizio di affermazione della responsabilita’ penale; ed invero, a parte la precisazione dei giudici di merito secondo cui la prova cardine era costituita dalle intercettazioni telefoniche, si trattava in ogni caso di doglianza puramente contestativa, non avendo assolto la difesa all’onere specifico che detta prova di “resistenza” comunque impone alla stessa. Deve, a tal proposito, ricordarsi infatti che nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilita’ di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilita’ per aspecificita’, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (v., in tal senso: Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014 -dep. 23/01/2015, Calabrese, Rv. 262011).
8. Parimenti inammissibile e’ il terzo motivo del (OMISSIS).
In particolare, con il medesimo si censura la presunta violazione della legge processuale relativamente agli articoli 197 bis e 210 c.p.p., con riferimento alla coimputata (OMISSIS), che sarebbe stata assunta nelle forme di cui all’articolo 197 c.p.p. anziche’ nelle forme della testimonianza assistita; la Corte d’appello, sul punto, fornisce risposta alla censura (v. pagg. 64/65 della sentenza impugnata). In ogni caso, si osserva, assume valenza assorbente la corretta considerazione, svolta dai giudici di appello, secondo la quale la deposizione della (OMISSIS) non avrebbe aggiunto alcunche’ di rilevante al contenuto delle intercettazioni (di cui la sentenza impugnata, alle predette pagine, riporta alcuni significativi stralci), osservando la Corte d’appello come dette dichiarazioni quand’anche si ritenesse di doverle ritenere inutilizzabili come invocato dal ricorrente – non avrebbero inciso in alcun modo sulla formazione del convincimento dei giudici, tenuto conto del corposo quadro probatorio esistente a carico del ricorrente medesimo.
Ne consegue, conclusivamente, l’inammissibilita’ del relativo motivo, che si traduce in un apprezzabile approfondimento giuridico della questione della tipologia di “connessione” configurabile nel caso in esame, ma priva di rilievo agli effetti pratici, alla luce delle considerazioni svolte dalla Corte territoriale e, in ogni caso, essendo venuto meno il ricorrente all’onere impostogli secondo la gia’ citata giurisprudenza di questa Corte (v. § precedente ed il richiamo alla sentenza di questa Sezione: Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014 – dep. 23/01/2015, Calabrese, Rv. 262011).
9. Non sfugge al giudizio di inammissibilita’ nemmeno il quarto motivo.
Si tratta della censura relativa alla presunta incapacita’ a testimoniare del teste (OMISSIS). Sul punto la Corte d’appello confuta puntualmente alle pagg. 65/66 l’identica doglianza difensiva di cui all’atto di appello, che si appalesa, pertanto, non solo generica per aspecificita’ (in quanto ripropone le stesse ragioni gia’ esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849), ma anche manifestamente infondata per le ragioni giuridiche gia’ esposte dalla Corte territoriale sul punto. Ed invero, i giudici mostrano di fare coerente applicazione del principio, gia’ affermato da questa Corte, secondo cui in tema di incompatibilita’ a testimoniare, la disposizione contenuta nell’articolo 197 c.p.p., comma 1, lettera d), che limita la possibilita’ di testimoniare per coloro che hanno svolto la funzione di ausiliari del giudice nel procedimento, non e’ applicabile nei confronti di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria in relazione all’attivita’ da essi compiuta nello svolgimento delle funzioni istituzionali (Sez. 2, n. 36483 del 22/09/2011 – dep. 10/10/2011, Fiore, Rv. 251074; v., in senso conforme, da ultimo: Sez. 5, n. 11905 del 16/11/2015 – dep. 21/03/2016, Branchi e altri, Rv. 266476).
10. Non miglior sorte merita poi il quinto motivo, con cui si deduce l’inutilizzabilita’ delle dichiarazioni assunte dal coimputato (OMISSIS) per inosservanza del disposto di cui all’articolo 430 bis c.p.p..
La Corte d’appello, sul punto, fornisce una puntuale e convincente risposta all’identico motivo di appello con le motivazioni di cui alle pagg. 66/67 della sentenza impugnata, osservando come il riferimento alla posizione processuale del coimputato non e’ corretto, non essendovi alcun divieto di assumere le informazioni dal coimputato. Ancora una volta, dunque, il ricorrente pone una interessante questione giuridica la cui risoluzione, tuttavia, si appalesa del tutto priva di rilevanza, non avendo assolto il ricorrente, come gia’ esposto nei precedenti paragrafi 7 ed 8, all’onere probatorio impostogli (v. la gia’ richiamata Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014 – dep. 23/01/2015, Calabrese, Rv. 262011), con conseguente inammissibilita’ della censura.
11. Altrettanto inammissibile e’ la censura esposta nel sesto motivo del (OMISSIS).
Si tratta della censura avente ad oggetto la valenza probatoria delle intercettazioni telefoniche, con particolare riferimento al valore confessorio che sarebbe stato erroneamente attribuito dalla Corte d’appello alle dichiarazioni del (OMISSIS) oggetto di intercettazione. Ad escluderne la fondatezza, si noti, e’ sufficiente in questa sede richiamare il principio gia’ affermato da questa Corte secondo cui le dichiarazioni, captate nel corso di attivita’ di intercettazione regolarmente autorizzata, con le quali un soggetto si autoaccusa della commissione di reati, hanno integrale valenza probatoria, non trovando applicazione al riguardo gli articoli 62 e 63 c.p.p. (v., tra le tante: Sez. 6, n. 16165 del 19/02/2013 – dep. 08/04/2013, Galati, Rv. 256008). Sul punto, infatti, l’ammissione di circostanze indizianti, fatta spontaneamente dall’indagato nel corso di una conversazione legittimamente intercettata, non e’ assimilabile alle dichiarazioni da lui rese dinanzi all’autorita’ giudiziaria o alla polizia giudiziaria, atteso che le registrazioni e i verbali delle conversazioni non sono riconducibili alle testimonianze “de relato” su dichiarazioni dell’indagato, in quanto integrano la riproduzione fonica o scritta delle dichiarazioni stesse delle quali rendono in modo immediato e senza fraintendimenti il contenuto. Tale orientamento giurisprudenziale, dunque, sottolinea la integrale valenza probatoria delle dichiarazioni intercettate (avendo evidentemente equivocato il ricorrente nell’interpretare il principio di diritto affermato dalla richiamata sentenza n. 31739/2003, in quanto lo stesso tende solo ad evidenziare che, a differenza delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria od al pubblico ministero, quelle oggetto di intercettazione si sottraggono ai divieti ed agli obblighi di cui agli articoli 62 e 63 c.p.p., con conseguente piena utilizzabilita’ dell’eventuale contenuto confessorio o indiziante che dalle stesse emerga).
Da qui, dunque, l’irrilevanza della mancata rinnovazione dell’istruttoria, in particolare quanto alla deposizione (OMISSIS).
12. Inammissibile si appalesa anche il settimo motivo di ricorso del (OMISSIS), con cui si svolgono censure in relazione al capo k), riguardante le lesioni di cui al (OMISSIS) sarebbe stata vittima.
Trattasi all’evidenza di censure manifestamente infondate, anzitutto perche’, quanto alla lettera d) dell’articolo 606 c.p.p., il ricorrente non indica nemmeno per quali la ragioni la “prova” (senza che sia chiaro neanche a quale si riferisca) abbia il carattere della decisivita’. Quanto alla dedotta violazione dell’articolo 62 c.p.p. relativa alle dichiarazioni del coimputato (OMISSIS), trattasi di dichiarazioni che questi avrebbe ricevuto dal (OMISSIS) e trasfuso in un verbale datato 24/05/2010 circa l’aver questi spezzato un dente (peraltro esibito nel corso del giudizio dalla stessa p.o. in udienza). Sul punto, la censura di violazione della legge processuale non rileva nel caso in esame, in quanto, ancora una volta, il ricorrente vene meno all’onere indicato nei precedenti paragrafi 7, 8 e 10 (v. la piu’ volte richiamata Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014 – dep. 23/01/2015, Calabrese, Rv. 262011), atteso che, alla luce degli ulteriori elementi residuanti dalla eliminazione delle dichiarazioni del (OMISSIS) certamente il quadro probatorio esistente a carico del ricorrente non poteva ritenersi insufficiente quanto alla lesioni subite dalla (OMISSIS), ne’, come detto, il ricorrente ha assolto all’onere di illustrare, a pena di inammissibilita’ per aspecificita’, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”.
13. Inammissibile si appalesa, ancora, l’ottavo motivo del (OMISSIS).
Ed infatti, quanto alla configurabilita’ del reato di concussione, con riferimento alla censura di omessa motivazione relativamente ai fatti commessi nei confronti di tale (OMISSIS) e contro una ragazza rumena non meglio identificata, il ricorrente si limita semplicemente a criticare la Corte d’appello per non aver motivato in ordine alla configurabilita’ del fatto commesso nei confronti di tali due soggetti, senza pero’ minimamente curarsi di chiarire quali fossero le doglianze avverso la sentenza impugnata che avrebbero meritato risposta. Non e’ infatti consentito, per giurisprudenza costante di questa Corte, il mero rinvio integrale al contenuto dell’atto di appello (nella specie rinvio risoltosi nella semplice indicazione, nel senso di indicare solo le pagine dell’atto d’appello – pagg. 85/95 – senza nemmeno accennare ai contenuti), senza specificare le ragioni di critica rispetto alle quali assume rilievo la mancanza di una motivazione espressa della Corte territoriale, non potendo certamente pretendersi dal giudice di legittimita’ di individuare autonomamente i profili di critica ove non siano nemmeno accennati nel motivo di ricorso, che si appalesa quindi generico. Non va infatti dimenticato che il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non puo’ limitarsi, pena l’inammissibilita’, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verita’ dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonche’ della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilita’” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45036 del 22/12/2010, Damiano, Rv. 249035).
Onere, nel caso in esame, non assolto dal ricorrente.
Sulle residue questioni, infine, relative alla p.o. (OMISSIS) (ed alla presunta violazione dell’articolo 500 c.p.p., comma 3), la censura presta il fianco al rilievo di genericita’ in quanto aspecifica, avendo gia’ risposto la Corte territoriale anche su tale doglianza con motivazione immune da vizi logico – giuridici (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
14. Altrettanto inammissibile e’ il nono motivo del (OMISSIS).
Con riferimento, infatti, al reato di favoreggiamento della prostituzione sub m), il ricorrente si duole in sostanza dell’esiguo spazio che sarebbe stato dedicato dalla Corte d’appello nel motivare sul punto, indicando per sintesi il ricorrente una serie di conversazioni intercettate dalle quali emergerebbero comportamenti del (OMISSIS) tesi a rassicurare verbalmente le prostitute piu’ che a lamentare episodi di favoreggiamento della loro prostituzione. Trattasi all’evidenza di censura che si sviluppa attraverso la proposizione di questioni di fatto che imporrebbero a questa Corte di sostituirsi al giudice di merito in ordine alla valutazione degli elementi probatori indicati dalla Corte d’appello, cio’ che e’ com’e’ noto inibito a questa Corte di legittimita’. si tratta, dunque, di un tipico tentativo di (ri)lettura attraverso la prospettazione di elementi favorevoli all’imputato che si risolve in una richiesta di svolgimento da parte di questa S.C. di un giudizio squisitamente fattuale.
Sul punto deve qui ribadirsi che in tema di motivi di ricorso per cassazione, pur dopo la novella codicistica introdotta con la L. n. 46 del 2006, non hanno rilevanza le censure che si limitino ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di mera legittimita’ (Sez. 6, n. 36546 del 03/10/2006 – dep. 03/11/2006, Bruzzese, Rv. 235510): resta, in altri termini, esclusa la possibilita’ di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilita’ delle fonti di prova (Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007 – dep. 22/02/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
15. Parimenti privo di pregio e’ il decimo motivo di ricorso, relativo al capo n) riguardante la questione (OMISSIS) ed il correlato vizio di decisivita’ della prova.
Si tratta di censura del tutto generica, in quanto non e’ chiaro nemmeno quali “opportuni chiarimenti” o quali “rilevanti circostanze” il soggetto avrebbe potuto fornire al fine di evidenziare l’inattendibilita’ del (OMISSIS). Non va sul punto dimenticato infatti che il vizio di mancata assunzione di prova decisiva e’ configurabile solo qualora la denegata prova, confrontata con le ragioni addotte a sostegno della decisione, sia di tal natura da determinare una diversa conclusione del processo, ma non quando trattasi di fatto insuscettibile di incidere in concreto sulla formazione del convincimento del giudice, risolvendosi esso in diversa prospettazione valutativa, quale quelle che informano la fisiologica dialettica tra le opposte parti processuali (Sez. 2, n. 8106 del 26/04/2000 – dep. 07/07/2000, Accettola G, Rv. 216531). E, all’evidenza, tale “prova” non emerge possa considerarsi decisiva nel senso interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte.
16. Fondato e’ invece, come anticipato, l’undicesimo motivo di ricorso del (OMISSIS), con cui si censura l’avvenuta violazione del divieto di reformatio in peius ex articolo 597 c.p.p. della sentenza di primo grado, per aver la Corte d’appello riqualificato giuridicamente le originarie imputazioni sub p) e sub q) – il primo ascritto in concorso anche al (OMISSIS) – di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio come reato di concussione, avendo infatti sicuramente detta riqualificazione giuridica negativamente inciso sul termine di prescrizione dei reati in questione (v., in termini: Sez. 2, n. 38049 del 18/07/2014 – dep. 17/09/2014, De Vuono, Rv. 260585, secondo cui il giudice di appello puo’ procedere alla riqualificazione giuridica del fatto nel rispetto del principio del giusto processo previsto dall’articolo 6 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, anche senza disporre una rinnovazione totale o parziale dell’istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell’accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e che questa non comporti una modifica “in peius” del trattamento sanzionatorio e del computo della prescrizione; in senso conforme: Sez. 2, n. 2884 del 16/01/2015 – dep. 22/01/2015, Peverello e altro, Rv. 262285).
Ed invero, come autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’attribuzione all’esito del giudizio di appello, pur in assenza di una richiesta del pubblico ministero, al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione non determina la violazione dell’articolo 521 c.p.p., neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell’articolo 111 Cost., comma 2, e dell’articolo 6 della Convenzione EDU come interpretato dalla Corte europea, qualora la nuova definizione del reato fosse nota o comunque prevedibile per l’imputato e non determini in concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novita’ che da quel mutamento scaturiscono (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015 – dep. 21/07/2015, Lucci, Rv. 264438 che, nell’affermare il principio indicato, ha escluso la violazione dell’articolo 521 c.p.p. in una fattispecie in cui l’imputato era stato condannato in primo grado per il reato di concussione e in appello per quello di corruzione). Orbene, a differenza di quanto oggetto di esame da parte delle Sezioni Unite, infatti, nel caso esaminato da questo Collegio il perimetro della difesa dei ricorrenti, tenuto conto dei connotati strutturali che qualificano il delitto di concussione rispetto a quello di corruzione, non si e’ potuto sviluppare integralmente, essendo stati i fatti riqualificati in termini ampliativi e non riduttivi rispetto agli elementi tipizzanti della originaria fattispecie, dal momento che i profili che normativamente concorrono ad individuare la figura del concussore, non rappresentano un minus rispetto a quelli che caratterizzano la condotta del corrotto, originariamente ravvisata, e sulla quale ciascun ricorrente aveva apprestato le proprie difese.
Il tutto, d’altra parte, non senza sottolineare come solo il passaggio da una ipotesi di concussione a una di corruzione rappresenti una evenienza del tutto prevedibile, tenuto conto delle sottili interrelazioni che passano tra i due reati e della giurisprudenza, anche risalente, formatasi sul punto (v., ad es.. Sez. 6, n. 22301 del 24/05/2012 – dep. 08/06/2012, Saviolo, Rv. 254055). La giurisprudenza di questa Corte, del resto, gia’ in precedenza, con riferimento ad identica ipotesi, ha avuto modo di affermare che integra immutazione dell’imputazione, in violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza, di cui all’articolo 521 c.p.p., l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, tratto a giudizio con l’accusa di corruzione passiva, in ordine al reato di concussione. Infatti i reati di concussione differiscono tra loro in primo luogo per l’elemento della condotta, in quanto nel caso della concussione, l’agente deve avere creato o insinuato nel soggetto passivo uno stato di paura o di timore atto ad eliderne o viziarne la volonta’, mentre nella corruzione i due soggetti agiscono su un piano paritario nella conclusione del patto criminoso, per cui l’evento della “datio” o della promessa, pur esistendo in entrambi i reati, ha fonti diverse. In secondo luogo, diversa e’ la struttura soggettiva dei due reati, essendo la corruzione, a differenza della concussione, un reato necessariamente plurisoggettivo, sicche’ diversa e’ anche la posizione del “solvens” (Sez. 6, n. 9213 del 26/09/1996 – dep. 22/10/1996, Martina, Rv. 206209).
17. Alla stregua delle considerazioni che precedono, pertanto, il ricorso del (OMISSIS) – e per l’effetto estensivo, anche quello del (OMISSIS), ex articolo 587 c.p.p., pur a fronte di motivi personali inammissibili – devono essere accolti limitatamente alle censure relative alla conferma delle statuizioni di condanna con riferimento ai reati di cui ai capi p) e q).
Cio’ comporta, nell’impossibilita’ per questa Corte di procedere diversamente (posto che la Corte di cassazione non potrebbe disporre l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata ai fini della contestazione agli imputati del reato piu’ grave, poiche’ l’eventuale condanna comporterebbe la violazione del principio della “reformatio in peius”, per l’assenza d’impugnazione da parte del pubblico ministero: Sez. 2, n. 50659 del 18/11/2014 – dep. 03/12/2014, Fumarola e altro, Rv. 261696), ed attesa l’intervenuta maturazione medio tempore del termine di prescrizione dell’originaria imputazione di corruzione alla data del 1/07/2015, l’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza, limitatamente ai reati sub p) e sub q), riqualificati a norma dell’articolo 319 c.p., con conseguente eliminazione per il (OMISSIS) della pena di 1 anno di reclusione ed Euro 400,00 di multa (avendo la Corte d’appello, v. pag. 83, aumentato la pena al medesimo, a titolo di continuazione, di mesi 6 di reclusione ed Euro 200,00 di multa per ciascuno dei predetti capi), laddove per il (OMISSIS) s’impone l’annullamento senza rinvio tout court essendo al medesimo ascritta esclusivamente l’imputazione sub p).
18. Solo per completezza, infine, devono essere esaminate le residue censure del (OMISSIS) di cui al dodicesimo motivo e relative al trattamento sanzionatorio ed ad una presunta motivazione apparente anche con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Anche tale motivo non sfugge alla valutazione di inammissibilita’.
Ed invero, si tratta di censure generiche e manifestamente infondate in quanto non tengono conto della puntuale motivazione svolta dalla Corte territoriale che non solo ha valorizzato la gravita’ dei fatti commessi dal pubblico ufficiale, ma ha evidenziato anche la negativa personalita’ del medesimo desunta dai precedenti penali (di cui uno anche specifico per reati contro la P.A.), cio’ che giustificava per la Corte d’appello non solo il diniego delle attenuanti generiche, ma anche una pena superiore al minimo edittale. Le censure del ricorrente relative alla presunta illogicita’ della motivazione per aver la Corte territoriale parametrato la pena sulla gravita’ delle imputazioni e non sui fatti come, ancora, la pretesa irrilevanza del precedente penale (o anche la mancata valutazione delle doti professionali ed investigative del ricorrente) si appalesano infatti inidonee a scalfire la tenuta logica della motivazione sul punto, avendo assolto la Corte d’appello all’onere motivazionale imposto dalla legge. Sul punto, in particolare, non deve essere dimenticato che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’articolo 62-bis c.p. e’ oggetto di un giudizio di fatto e puo’ essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimita’, purche’ non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008 – dep. 14/11/2008, Caridi e altri, Rv. 242419). Ne’, del resto, la valutazione della Corte d’appello presenta profili di manifesta illogicita’ per aver valorizzato in senso negativo i precedenti penali, avendo gia’ questa Corte sul punto affermato che in tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la “ratio” della disposizione di cui all’articolo 62 bis c.p. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato, perche’ in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalita’ (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016 – dep. 29/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826).
19. Resta, infine, da esaminare il tredicesimo motivo di ricorso del (OMISSIS) che non sfugge alla valutazione di inammissibilita’.
Con il motivo in esame, in particolare, vengono svolte censure in relazione al capo j) riguardanti il sequestro di persona ai danni dei soggetti ivi indicati. Sul punto, le censure del ricorrente (volte a sindacare talune presunte omissioni motivazionali sui fatti illustrati alle pagg. 56/57 del ricorso) in realta’, piu’ che dolersi di pretesi vizi della motivazione – e, in particolare, di presunti travisamenti per omissione o di “errores in iudicando” che sarebbero stati commessi nel valutare il contenuto delle conversazioni oggetto di intercettazione (quale ad esempio la piu’ volte richiamata conversazione n. 792 del 24/11/2007) o il contenuto delle deposizione dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS), in realta’ tradiscono ancora una volta l’ennesimo tentativo del ricorrente di sollecitare la Corte di Cassazione ad una valutazione nel merito, chiedendo in ultima analisi a questa Corte di sostituirsi nella valutazione del materiale probatorio operata dalla Corte d’appello, operazione vietata in questa sede e che, inoltre, non tiene nemmeno conto del costante orientamento di questa Corte che richiede pur sempre che sia fornita la prova che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisivita’ rispetto al costrutto complessivo della motivazione della sentenza impugnata.
Deve, a tal proposito, essere qui ribadito che in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lettera e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisivita’, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma e’ solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisivita’ degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013 – dep. 27/02/2013, Reggio, Rv. 254988).
20. L’impugnata sentenza dev’essere, conclusivamente, annullata in parte senza rinvio quanto alla posizione del (OMISSIS) nei limiti indicati nel precedente paragrafo 17 e, diversamente, annullata integralmente senza rinvio quanto alla posizione del (OMISSIS), essendo i reati loro rispettivamente ascritti ai capi p) e q) della rubrica, riqualificati ex articolo 319 c.p., estinti per prescrizione. All’annullamento parziale senza rinvio per il (OMISSIS) consegue, come anticipato nel § 17, anche l’eliminazione della pena di 1 anno di reclusione ed Euro 400,00 di multa.
Nel resto, il ricorso del (OMISSIS) dev’essere dichiarato inammissibile. Al parziale accoglimento dell’impugnazione dell’imputato deve pero’ conseguire l’esclusione della sua condanna alle spese del procedimento di impugnazione (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997 – dep. 02/07/1997, Dessimone e altri, Rv. 207947).
21. Segue, infine, la prescritta comunicazione ex articolo 154 ter, disp. att. c.p.p. quanto al (OMISSIS).
P.Q.M.
La Corte annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata, nei confronti di (OMISSIS) e, per l’effetto estensivo, di (OMISSIS), in ordine al reato di cui al capo p) e, nei confronti di (OMISSIS), anche per il reato di cui al capo q), perche’ detti reati, riqualificati ex articolo 319 c.p., sono estinti per prescrizione.
Elimina la pena, inflitta al (OMISSIS), a titolo di continuazione, per i sopraindicati reati, di 1 anno di reclusione ed Euro 400,00 di multa.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
La Corte dispone inoltre che copia del presente dispositivo sia trasmessa all’Amministrazione di appartenenza del dipendente pubblico a norma del Decreto Legislativo n. 150 del 2009, articolo 70
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