In presenza di una causa estintiva del reato, il giudice sia legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 22, cod.proc.pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento
Il termine prescrizionale massimo relativo alle ipotesi di omicidio colposo plurimo concorrente o meno con il reato di lesioni colpose, purché non aggravate ai sensi dell’art. 589, commi 2 e 3, cod. pen., sia quello di anni sette e mesi sei, in applicazione della più favorevole disciplina di cui al novellato art. 157, comma 1, cod. pen..
La mancata comparizione dell’imputato all’udienza senza che il giudice verifichi i presupposti atti a legittimarne la dichiarazione di contumacia costituisce una anomalia tale da rendere impossibile stabilire se si tratti di mancata presenza dovuta a oggettiva impossibilità di comparire o di volontaria sottrazione al contraddittorio, con la conseguenza che tale incertezza non può che essere intesa in senso favorevole all’imputato non comparso e non dichiarato ritualmente contumace
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
SENTENZA 6 dicembre 2016, n. 51959
Ritenuto in fatto
La Corte di Appello di Cagliari – Sezione Distaccata di Sassari, con la sentenza in epigrafe, ha riformato limitatamente al trattamento sanzionatorio la sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Tempio Pausania nei confronti di M.M. , ritenuta colpevole del delitto di cui all’art. 589, commi 1 e 3, cod. pen. per avere cagionato per colpa la morte delle figlie minori P.C.L. e P.D. in (omissis) . All’imputata si era contestato di essersi allontanata dall’abitazione dalle ore 17:00 alle ore 18:20, lasciandovi sole le figlie dell’età di quattro e tre anni, dopo aver acceso la stufa a legna; le minori erano decedute per intossicazione acuta da monossido di carbonio in quanto la vicinanza della stufa con materiale altamente infiammabile aveva sviluppato un incendio all’interno dell’abitazione; l’incendio aveva interessato per primo il divano posizionato accanto alla stufa, composto di poliuretano espanso,, che aveva generato una rilevante quantità di fumi con monossido di carbonio.
Il giudice di primo grado, la cui ricostruzione del fatto è stata confermata dal giudice di appello, aveva accertato che l’imputata era uscita dall’abitazione chiudendola a chiave dall’esterno e lasciando all’interno in soggiorno la stufa a legna accesa, posizionata accanto ad un divano. Uno stendibiancheria a raggiera con indumenti era posto sulla canna fumaria della stufa e nei pressi vi era una confezione di diavolina e di fiammiferi, ossia materiali infiammabili la cui vicinanza era stata determinante per l’innescarsi dell’incendio. Era stata la stessa imputata, quando era rientrata a casa verso le 18:20, ad accorgersi dell’accaduto. L’allontanamento era motivato dall’uscita da scuola della figlia di sette anni; per compiere il tragitto di andata e ritorno dalla casa alla scuola erano necessari 6 minuti e 42 secondi, l’imputata si era trattenuta per 15/20 minuti davanti alla scuola con altre mamme.
M.M. ricorre per cassazione, con atto sottoscritto dal difensore, censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 533, comma 1, e 192 cod.proc.pen. per avere la Corte territoriale desunto che la stufa dalla quale si sarebbe sprigionato l’incendio fosse in stato di scarsa manutenzione nonostante tale elemento non fosse stato mai accertato e sebbene nell’atto di gravame fosse stato evidenziato che le guarnizioni dello sportello potessero essere state deformate, e non usurate come indicato nella sentenza, a causa del calore determinato dall’incendio;
b) inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 42 e 43 cod. pen. perché l’evento verificatosi non costituiva concretizzazione di un rischio prevedibile, attesa l’assenza di problemi che lasciassero prevedere il malfunzionamento della stufa ed essendo del tutto indimostrata la scarsa manutenzione della stessa così come che la corretta manutenzione avrebbe impedito l’evento;
c) inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 45 cod. pen. e 530, comma 3, cod.proc.pen. perché nel caso concreto, escluse ed indimostrate tutte le ulteriori cause, l’evento si sarebbe dovuto ascrivere al caso fortuito concretato da un’improvvisa avaria della stufa a legna, che avrebbe comunque reso dubbia la prevedibilità dell’evento;
d) erronea applicazione degli artt.157,158 e 159 cod. pen., 420 ter e 531 cod.proc.pen. per essere intervenuta la prescrizione del reato in data 22 gennaio 2015. La ricorrente deduce che il rinvio disposto dalla Corte di Appello all’udienza del 19 febbraio 2013 non ha determinato alcuna sospensione del termine di prescrizione in quanto, sebbene il difensore d’ufficio avesse dichiarato di aderire all’astensione dalle udienze proclamata da organismo di categoria, risultava omessa la notifica del decreto di citazione a giudizio sia dell’imputato che del difensore;
e) inosservanza degli artt. 62 bis e 65 n.3 cod. pen. ed omessa motivazione in merito alla mancata applicazione delle attenuanti generiche nella massima estensione.
Considerato in diritto
La sentenza impugnata riporta brani della pronuncia di primo grado condividendone la struttura argomentativa ed il percorso logico. Deve, dunque, premettersi che, nella verifica della consistenza dei rilievi critici mossi dalla ricorrente, la sentenza della Corte territoriale non può essere valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti, di tal che – sulla base di un consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte – deve ritenersi che la motivazione della prima si saldi con quella della seconda fino a formare un solo complessivo corpo argomentativo e un tutto unico e inscindibile (Sez.2, n.30838 del 19/03/2013, Autieri, Rv. 257056; Sez.4, n.38824 del 17/09/2008, Raso, Rv. 241062; Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. U, n.6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229).
La Corte territoriale ha spiegato perché ritenesse irrilevante, ai fini del giudizio di responsabilità penale, l’argomento dell’allontanamento dell’imputata dall’abitazione per un tempo inferiore a quello indicato dal tribunale; ha, in sostanza, delimitato la descrizione della condotta penalmente rilevante all’allontanamento della madre dall’abitazione in cui le due figlie piccole erano rimaste sole. Con ampia descrizione delle condotte alternative (pag.14) che sarebbero state esigibili dalla madre onde evitare di lasciare le bambine da sole, anche al fine di replicare all’asserita sussistenza della scriminante dello stato di necessità.
Ma il giudice di appello ha correlato l’evento ad un ulteriore profilo di colpa, inerente alla scarsa manutenzione della stufa; le guarnizioni dello sportello di chiusura erano risultate usurate ed avevano consentito alle prime scintille di fuoriuscire. Ove l’imputata avesse provveduto ad una corretta manutenzione dell’impianto, l’evento non si sarebbe verificato, dovendosi escludere un difetto strutturale della stufa ovvero un imprevedibile malfunzionamento della stessa.
I giudici di appello hanno, quindi, ritenuto di scarso rilievo l’argomento per cui non vi fosse la prova che l’imputata avesse chiuso la porta a chiave dall’esterno, posto che il nucleo della condotta causalmente rilevante era da individuare nel suo allontanamento dall’abitazione mentre le bambine erano sole in casa, rimarcando tuttavia che la presenza della maniglia anche all’esterno della porta lasciasse intuire che le chiavi infilate all’esterno fossero servite per aprire una serratura chiusa a chiave.
Né si è accolta la tesi dell’imprevedibilità dell’evento, sottolineandosi la vetustà dell’apparecchio in questione e, soprattutto, la possibilità per l’imputata di rappresentarsi tutti gli effetti derivati dal possibile propagarsi del fuoco in mancanza di controllo del pericolo correlato alla fiamma viva, seppure accesa all’interno del camino di una stufa.
Il quarto motivo di ricorso, inerente all’intervenuta prescrizione del reato, deve essere esaminato con priorità in quanto fondato ed assorbente rispetto agli altri motivi. Rilevato che il ricorso non risulta affetto da profili di inammissibilità, si è riportata in sintesi la motivazione della sentenza impugnata per rappresentare come, dal raffronto con i motivi di ricorso, non risulti evidente la sussistenza dei presupposti per una pronuncia assolutoria. Occorre infatti ricordare, in conformità all’insegnamento ripetutamente impartito dalla Corte di legittimità, come, in presenza di una causa estintiva del reato, il giudice sia legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 22, cod.proc.pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275). Sul punto, l’orientamento della Corte di Cassazione è univoco.
Il reato contestato all’imputata va, dunque, dichiarato estinto per prescrizione. Tanto per le ragioni che si vengono ad esporre.
4.1. Deve, in primo luogo, osservarsi che, a seguito delle modifiche introdotte dal decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modificazioni nella legge 24 luglio 2008, n.125 del 2008, nel testo dell’art. 589 cod. pen. è stato inserito l’attuale comma 3, che regola specifiche ipotesi di omicidio colposo commesso in violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale. Pertanto, non appare revocabile in dubbio che il richiamo all’art. 589, comma 3, cod. pen. contenuto nell’imputazione formulata nel 2006 vada qui riferito all’ipotesi di cui all’attuale art. 589, ultimo comma, cod. pen., che regola il caso di morte di più persone. Ma il Collegio ritiene che il raddoppio dei termini di prescrizione, previsto dall’art.157, sesto comma, cod. pen. per le ipotesi di concorso formale di più omicidi colposi, di cui all’art. 589, comma 4, cod. pen. non possa trovare applicazione nelle ipotesi in cui il soggetto agente si sia reso responsabile di fattispecie delittuose punite ai sensi dell’art. 589, primo comma, cod. pen..
4.2. Nel tempo è stato, infatti, acquisito come criterio interpretativo pacifico, in dottrina e in giurisprudenza, che il termine di prescrizione della fattispecie prevista dall’art. 589, comma 2 prima versione e comma 3 cod. pen. dopo le modifiche del 1966, fosse quello previsto per i singoli reati (omicidio colposo o lesioni colpose) di cui l’imputato si era reso responsabile e che, a tal fine, non venisse in rilievo il limite di pena indicato nell’art.589, ultimo comma, cod. pen. (Sez.4, n.3127 del 27/01/1999, Cugliari, Rv. 213221; Sez.1, n.175 del 07/11/1995, dep. 1996, Ferraioli, Rv. 203346).
4.3. E si deve ritenere, d’altro canto, che il raddoppio dei termini prescrizionali previsto dal vigente art.157, sesto comma, cod. pen. sia applicabile esclusivamente alle ipotesi di omicidio colposo aggravato, ai sensi dell’art.589, commi 2 e 3, cod. pen., dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale o sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro. A tale conclusione la Corte di Cassazione è già pervenuta (Sez. 4, n. 23944 del 17/04/2013, Corrado, Rv. 255462) in virtù di una lettura costituzionalmente orientata della normativa introdotta dalla legge 4 dicembre 2005, n.251, così detta ex L. Cirielli, che ha profondamente modificato la disciplina della prescrizione ed al contempo ha posto alcune deroghe alla disciplina introdotta; tra tali deroghe vi è quella secondo cui sono raddoppiati i termini di prescrizione, per gli omicidi colposi commessi con violazione delle norme sulla circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Sennonché il Legislatore, nel prevedere tale raddoppio dei termini di prescrizione relativi a quelle particolari fattispecie di omicidio colposo, ha anche menzionato l’ipotesi prevista dall’attuale art.589, comma 4, cod. pen., e cioè la disposizione che prevedeva l’omicidio plurimo in concorso formale e che non è mai stata considerata una circostanza del delitto. Verosimilmente l’intento del Legislatore era quello di evitare che gli omicidi aggravati di cui si è detto potessero prescriversi in un periodo più breve di quello per loro espressamente previsto (e cioè il doppio del termine della prescrizione ordinaria), ove fossero contestati ai sensi dell’art.589, ultimo comma, cod. pen. Che questa interpretazione sia corretta è confermato anche dal fatto che allorquando, nel 2008, vennero inaspriti i massimi edittali della pena prevista per gli omicidi aggravati ex comma 2 (portati da cinque a sette anni di reclusione) e venne introdotto quell’ulteriore comma, l’attuale terzo comma, che prevedeva la pena da tre a dieci anni, per gli omicidi commessi con violazione delle norme del codice della strada da soggetti in stato di ebbrezza alcolica o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, anche la disposizione di legge sull’omicidio colposo plurimo commesso con una sola azione od omissione venne modificata e la pena massima applicabile venne portata a quindici anni.
4.4. Si è pertanto affermato, con una interpretazione della norma costituzionalmente orientata in riferimento al principio di ragionevolezza, che il termine prescrizionale massimo relativo alle ipotesi di omicidio colposo plurimo concorrente o meno con il reato di lesioni colpose, purché non aggravate ai sensi dell’art. 589, commi 2 e 3, cod. pen., sia quello di anni sette e mesi sei, in applicazione della più favorevole disciplina di cui al novellato art. 157, comma 1, cod. pen..
Applicando tali principi al caso in esame, il termine di prescrizione del reato contestato a M.M. sarebbe decorso il 7 giugno 2014, ma occorre computare i periodi di sospensione del predetto termine ai sensi dell’art. 159 cod. pen..
5.1. In particolare: 1) all’udienza del 10 novembre 2008 il processo è stato rinviato al 19 gennaio 2009 per motivi di salute dell’imputata con impedimento che cessava dopo tre giorni (sospensione per 63 giorni, vale richiamare sul punto Sez. U, n.4909 del 18/12/2014, dep. 2015, Torchia, in motivazione); 2) all’udienza del 19 gennaio 2009 il processo è stato rinviato al 6 aprile 2009 per motivi di salute del difensore dell’imputata senza specificazione della durata dell’impedimento (sospensione per 60 giorni); 3) all’udienza del 15 giugno 2009 il processo è stato rinviato al 29 settembre 2009 per impedimento di 15 giorni del difensore (sospensione per 75 giorni); 4) all’udienza del 29 settembre 2009 il processo è stato rinviato al 9 novembre 2009 per impedimento del difensore per concomitante impegno professionale (sospensione per 60 giorni); 5) all’udienza in grado di appello del 18 febbraio 2014 il processo è stato rinviato al 4 novembre 2014 per adesione del difensore d’ufficio all’astensione dalle udienze proclamate da organismo di categoria (sospensione per 8 mesi e 16 giorni, si richiamano, tra le tante, Sez.4, n.10621 del 29/01/2013, M., Rv. 256067; Sez.1, n. 25714 del 17/06/2008, Arena, Rv. 240460).
5.2. La ricorrente ha, correttamente, dedotto che di quest’ultimo rinvio non si possa tener conto in quanto, come si evince dal verbale della successiva udienza del 4 novembre 2009 in cui ne fu disposta la notificazione, l’imputata non aveva ricevuto il decreto di citazione in appello e non era stata, pertanto, dichiarata la sua contumacia. Si richiama, sul punto, il principio espresso nella giurisprudenza di legittimità secondo il quale la mancata comparizione dell’imputato all’udienza senza che il giudice verifichi i presupposti atti a legittimarne la dichiarazione di contumacia costituisce una anomalia tale da rendere impossibile stabilire se si tratti di mancata presenza dovuta a oggettiva impossibilità di comparire o di volontaria sottrazione al contraddittorio, con la conseguenza che tale incertezza non può che essere intesa in senso favorevole all’imputato non comparso e non dichiarato ritualmente contumace (Sez. 6, n. 15862 del 21/03/2006, Terlizzi, Rv. 234549).
5.3. Valutando, dunque, i periodi di valida sospensione del termine di prescrizione, si deve trarre la conclusione per cui il termine massimo di prescrizione era decorso alla data del 25 febbraio 2015, ossia in data antecedente la pronuncia della sentenza impugnata.
Va disposto, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di M.M. , essendo il reato contestato estinto per prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione
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