Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 22 agosto 2016, n. 35243

La mera attività di indagine geotecnica non costituisce “inizio dei lavori” in senso tecnico (al pari degli sbancamenti di terreno), occorrendo a tal fine la compiuta organizzazione del cantiere e la presenza di altri indizi idonei a confermare l’effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di realizzare l’opera assentita, detti elementi consistono nell’impianto del cantiere, nell’innalzamento di elementi portanti, nell’elevazione di muri e nell’esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 22 agosto 2016, n. 35243

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – rel. Consigliere
Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 27 novembre 2015 del Tribunale del riesame di Siracusa;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MENGONI Enrico;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 27 novembre 2015, il Tribunale del riesame di Siracusa rigettava il ricorso proposto da (OMISSIS) e, per l’effetto, confermava il decreto di sequestro preventivo emesso il 30 ottobre 2015 dal Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale; allo stesso – unitamente ad altri soggetti erano contestati i reati di cui agli articoli 81 cpv. e 110 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 6 giugno 2001, n. 380, articolo 44, comma 1, lettera c e Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1-bis, in relazione a taluni interventi operati in area sottoposta a vincolo sul lungomare della provincia di Siracusa.
2. Propone diffuso ricorso per cassazione il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
– carenza di motivazione. Il Tribunale – nell’affermare apoditticamente che i lavori di cui alla concessione edilizia n. (OMISSIS) non sarebbero iniziati entro l’anno dal rilascio della stessa – non avrebbe valutato i documenti prodotti dalla difesa, tali da imporre conclusioni difformi; dagli stessi, infatti, emergerebbe che l’area era stata fatta oggetto – nei termini – di attivita’ di ripulitura, accantieramento ed indagini tecnico-geologiche, peraltro costose, propedeutiche all’intervento assentito e molto piu’ rilevanti dell’accertato sbancamento di terra;
– inosservanza o erronea applicazione della legge penale. L’ordinanza avrebbe affermato il principio della decadenza automatica dalla concessione ipso iure – nel caso di mancato inizio di lavori nei termini indicati; si tratterebbe, pero’, di una conclusione errata, atteso che – come da piu’ recente giurisprudenza del Consiglio di Stato – a tal fine sarebbe sempre necessaria l’adozione di un provvedimento dell’autorita’ amministrativa, ad oggi mai emanato dal Comune di Siracusa;
– inosservanza o erronea valutazione della Legge Regionale n. 78 del 1976, articolo 15, comma 1, lettera a),. Il Tribunale avrebbe operato un’impropria equiparazione tra divieto di opere che non siano dirette a garantire la fruizione del mare da parte della collettivita’ e divieto di balneazione; ed invero, il limite di cui alla Legge Regionale n. 78 del 1976 (relativo ad edificazioni realizzate a meno di 150 metri dalla battigia) consentirebbe talune deroghe con riguardo ad interventi comunque idonei a consentire la citata fruizione, che in nulla ineriscono alla balneazione, potendo attenere alla pesca, alla navigazione o ad altre attivita’ comunque legate al mare;
– inosservanza o erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1-bis. L’ordinanza avrebbe riconosciuto il fumus di questo reato in forza del Piano paesistico regionale approvato nel 2012, che ha dichiarato di notevole interesse pubblico l’area in esame, ponendola al livello 3 di tutela; orbene, premesso che tale approvazione e’ successiva al rilascio di tutti i provvedimenti e pareri relativi all’opera in oggetto, pertanto validi per 5 anni dalla data del rilascio (giusta norma transitoria ex articolo 48 del Piano medesimo), Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 46 (rectius: 146), comma 4, prevede comunque che tale termine decorra dal giorno di efficacia del titolo edilizio eventualmente necessario per l’intervento. Titolo rilasciato nel caso di specie, si da non potersi affermare – come invece si legge nell’ordinanza – che il nulla osta paesaggistico sarebbe scaduto nel quinquennio dal rilascio, avvenuto nel 2009. E con la precisazione ulteriore che la competente Soprintendenza, in ben due occasioni nel 2015, ha comunque affermato la piena compatibilita’ del progetto alle prescrizioni vigenti. Il Tribunale, pertanto, si sarebbe intromesso in un ambito riservato all’autorita’ amministrativa;
– inosservanza o erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera a. L’ordinanza impugnata, pur in presenza di una concessione edilizia, avrebbe ritenuto il fumus della contravvenzione di cui alla lettera b) della norma in esame, anziche’ della lettera a); orbene, questa tesi non potrebbe esser condivisa, poiche’ non risulterebbe corretta l’equazione – operata dal Collegio concessione illegittima=assenza di concessione. Tale effetto, invero, potrebbe riconoscersi soltanto a fronte di un provvedimento emesso da autorita’ priva del relativo potere, o in forza di condotta illecita. Sarebbe configurabile, quindi ed al piu’, la contravvenzione di cui alla lettera a) in oggetto, della quale, pero’, difetterebbe il necessario elemento psicologico, come con riguardo a tutti i reati ipotizzati.
3. Con requisitoria scritta del 20/4/2016, il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, assumendo la palese infondatezza di tutte le doglianze.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Osserva preliminarmente questa Corte che, in sede di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’articolo 325 c.p.p. ammette il sindacato di legittimita’ soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di violazione di legge rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicita’ manifesta, la quale puo’ denunciarsi nel giudizio di legittimita’ soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera e) (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28 gennaio 2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28 maggio 2003, Pellegrino S., Rv. 224611).
4. Cio’ premesso, il ricorso risulta infondato.
Ritiene la Corte che la questione centrale della presente vicenda afferisca all’avvenuto inizio delle opere, assentite dalla concessione edilizia n. 107 del 12/4/2012, entro il termine annuale fissato nel provvedimento medesimo, ed agli effetti – automatici o meno – della decadenza dal provvedimento stesso, in caso di esito negativo della prima verifica; orbene, con riguardo ad entrambi i profili la motivazione redatta dal Tribunale risulta tutt’altro che assente o meramente apparente, emergendo piuttosto come congrua, fondata su oggettivi riscontri investigativi e privi di qualsivoglia illogicita’. Come tale, non censurabile.
In particolare, e richiamata la pacifica scansione cronologica degli eventi, l’ordinanza ha evidenziato che: 1) la comunicazione di inizio lavori era stata inviata dalla (OMISSIS) s.r.l. al Comune di (OMISSIS) (ultimo giorno utile, a fronte di una concessione rilasciata il (OMISSIS)); 2) il 2 dicembre 2014 – ad avvenuta voltura del titolo da parte della (OMISSIS) s.r.l., della quale il ricorrente e’ legale rappresentante – la Polizia municipale aveva accertato che non vi era alcuna attivita’ lavorativa in corso, verificando soltanto un terreno totalmente ricoperto da vegetazione autoctona, l’inesistenza in situ di opere di natura edilizia, scavi, sbancamenti, ne’ tantomeno la presenza delle normali infrastrutture mobili che caratterizzano l’insediamento di un cantiere edile; 3) il successivo 4/2/2015, un ulteriore sopralluogo aveva riscontrato le medesime circostanze; 4) soltanto in data 3/3/2015, erano risultati apposti i cartelli di cantiere, con esecuzione di lavori di sbancamento e terrazzamento del costone.
5. In forza di tali considerazioni – che questo Collegio non e’ autorizzato a contestare, attinendo a profili fattuali, peraltro consacrati in atti pubblici – il Tribunale del riesame ha quindi concluso che le opere da ultimo accertate erano state poste in essere ben oltre il termine di un anno dal rilascio della concessione edilizia e, pertanto, non piu’ assentite, integravano il fumus del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera c), (atteso il carattere vincolato dell’area). Quel che, peraltro, priva di rilievo il primo motivo di gravame, con il quale si assume il difetto di motivazione con riguardo ai documenti prodotti dalla difesa in sede camerale; osserva la Corte, infatti, che la rilevanza degli stessi e’ stata implicitamente disattesa dalle affermazioni che precedono, poiche’ giammai idonei – quantomeno nella presente fase cautelare – a superare gli esiti di accertamenti compiuti da pubblici ufficiali, che avevano riferito nei termini suddetti. E fermo restando, peraltro, che – per costante indirizzo di legittimita’, qui da ribadire – la mera attivita’ di indagine geotecnica (di cui alla documentazione allegata), quand’anche avvenuta, non potrebbe comunque costituire inizio dei lavori nell’ottica in esame (al pari, peraltro, degli sbancamenti di terreno poi accertati), occorrendo a tal fine la compiuta organizzazione del cantiere e la presenza di altri indizi idonei a confermare l’effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di realizzare l’opera assentita (per tutte, Sez. 3, n. 7114 del 27/1/2010, Viola, Rv. 246220: in motivazione, la Corte ha precisato che detti indizi consistono nell’impianto del cantiere, nell’innalzamento di elementi portanti, nell’elevazione di muri e nell’esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio).
6. Con riguardo, poi, al profilo della decadenza dal titolo abilitativo, strettamente connesso al precedente, rileva il Collegio che la motivazione dell’ordinanza risulta ancora congrua e tutt’altro che assente o meramente apparente.
Ed invero, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 15, comma 2, il termine per l’inizio dei lavori non puo’ essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata, non puo’ superare tre anni dall’inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga puo’ essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volonta’ del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell’opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficolta’ tecnico-esecutive emerse successivamente all’inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in piu’ esercizi finanziari.
Orbene, dalla lettera della norma – per come costantemente interpretata da questa Corte – deriva che il decorso del termine di ultimazione dei lavori comporta, se non prorogato, la decadenza di diritto del permesso di costruire per la parte ancora non eseguita, con conseguente configurabilita’ del reato previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica cit., articolo 44, lettera b), in caso di loro prosecuzione oltre detto termine. (Sez. 3, n. 17971 dell’8/4/2010, Garofalo, Rv. 247161: in motivazione, peraltro, la Corte ha precisato che, diversamente, un provvedimento espresso e motivato dell’Autorita’ amministrativa e’ richiesto per la proroga del termine. Negli stessi termini, tra le altre, Sez. 3, n. 12316 del 21/2/2007, Minciarelli, Rv. 236336). E senza che, al riguardo, possa rilevare il diverso indirizzo che il Consiglio di Stato ha espresso con la decisione n. 4823 del 22 ottobre 2015, richiamata nel gravame, peraltro non pacifico neppure in seno al medesimo Consesso; ed invero, nella motivazione della stessa (resa, all’evidenza, in un’ottica diversa da quella in esame), si afferma – pur aderendo all’indirizzo citato – che il provvedimento di decadenza e’ meramente dichiarativo e con efficacia ex tunc, qualunque sia l’epoca in cui e’ stato adottato e quindi anche se intervenuto molto tempo dopo che i termini in questione erano inutilmente decorsi, e ancorche’ i suoi effetti retroagiscano al momento dell’evento estintivo.
7. In forza di quanto precede, dunque, il provvedimento impugnato risulta sostenuto da adeguata motivazione con riferimento al contestato Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera c), si da non poter esser censurato nei termini invocati; emerge sufficiente, infatti, il fumus di opere eseguite in difetto di titolo edilizio, poiche’ gia’ decaduto. E senza che, pertanto, assuma alcun rilievo la doglianza – invero astrattamente fondata – con la quale si contesta l’asserita illegittimita’ della concessione in esame in forza del rapporto (individuato dal Tribunale) tra le opere in oggetto, la loro destinazione ad esser fruite dalla collettivita’ e la balneabilita’ del mare antistante; trattasi, infatti, di un nesso che pare sfuggire ai canoni della logica, ma che, proprio per cio’, non integra una violazione di legge contestabile in sede di legittimita’.
8. Di seguito, con particolare riguardo alla condotta Decreto Legislativo n. 42 del 2004 , ex articolo 181, (in ordine alla quale – alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 23/3/2016 – dovra’ peraltro esser verificata la configurabilita’ del primo o del comma 2 della norma, con ogni conseguente effetto), osserva il Collegio che l’ordinanza ne ha riconosciuto il fumus ancora in ragione di una risultanza obiettiva, quale il vincolo paesaggistico gravante sull’area in oggetto; cio’, giusta decreto del competente assessorato a data 30/9/1998 (che aveva dichiarato il notevole interesse pubblico della zona) e Piano paesistico del 1/2/2012, che aveva inserito il medesimo territorio sotto un livello 3 di tutela. In ragione del quale – giusta valutazione operata dal Tribunale, non sindacabile in questa sede poiche’ attinente a mero fatto – gli interventi quale quello riscontrato non possono esser compiuti, in quanto esclusi ai sensi del punto 13g dello stesso Piano. E senza che, da parte di questa Corte, possa accogliersi il motivo proposto al riguardo dal (OMISSIS), che imporrebbe un esame di merito della tipologia dell’opera de qua ed il suo inserimento – o meno – tra le previsioni del punto 13g citato.
9. Del pari, con riguardo alla medesima contestazione, osserva poi il Collegio che l’ordinanza – ancora con solido percorso motivazionale – ha confutato la tesi per la quale l’autorizzazione paesaggistica, poiche’ rilasciata prima dell’approvazione del Piano, sarebbe risultata comunque valida per i successivi cinque anni, giusta articolo 48 di quest’ultimo; ed invero, come si legge nell’ordinanza, al maturare del quinquennio dal 4/6/2009 nessun lavoro aveva ancora avuto inizio sull’area in esame, come da plurimi accertamenti compiuti, si che i successivi sbancamenti non erano risultati coperti da alcun provvedimento al riguardo. Ne’, peraltro, puo’ esser invocato il Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 146, comma 4, a mente del quale Il termine di efficacia dell’autorizzazione decorre dal giorno in cui acquista efficacia il titolo edilizio eventualmente necessario per la realizzazione dell’intervento, a meno che il ritardo in ordine al rilascio e alla conseguente efficacia di quest’ultimo non sia dipeso da circostanze imputabili all’interessato; ed invero, questa disposizione lega cronologicamente i due provvedimenti sul presupposto dall’effettiva vigenza di quello urbanistico, da escludere nel caso di specie – alla data di esecuzione dello sbancamento – in ragione della maturata decadenza, come ben riconosciuta dal Tribunale del riesame.
10. Quel che, all’evidenza, priva di rilievo anche l’ultimo motivo, in punto di elemento soggettivo, suscettibile di piena valutazione esclusivamente nella fase di merito e censurabile da questa Corte soltanto in presenza di evidenti ed oggettivi sintomi di assenza.
11. Il ricorso, pertanto, risulta infondato, ed il ricorrente deve esser condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

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