Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 3 agosto 2015, n. 33914
Rilevato in fatto
1. Con ordinanza emessa il 16/02/2015 il Tribunale del riesame di Bari confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Tribunale di Bari, in composizione monocratica, nei confronti di P.O. il 31/01/2015, per la detenzione di una pistola con matricola abrasa marca CZ modello 83 calibro 9 browning, con un caricatore completo di tre cartucce e ulteriori ventidue cartucce del medesimo calibro, che gli veniva contestata ai capi A), B) e C), che si assumeva accertata a (omissis).
Questi accertamenti conseguivano alla perquisizione eseguita, ai sensi dell’art. 41 T.U.L.P.S., presso l’abitazione del P. , ubicata a (omissis) , dove l’arma veniva trovata occultata all’interno di scatola di scarpe appartenente all’indagato, che si trovava posizionato dentro un armadietto. Al momento del rinvenimento il P. riferiva testualmente: “Quella pistola è mia, l’ho rinvenuta per strada e l’ho riposta in quello scatolo senza che i miei familiari sapessero nulla”.
A seguito di tale ritrovamento, il pubblico ministero titolare del fascicolo processuale chiedeva la convalida dell’arresto in flagranza di reato eseguito dalla Squadra Mobile di Bari, richiedendo contestualmente la celebrazione del giudizio direttissimo e l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti dell’arrestato; il tribunale emittente il provvedimento di convalida, invece, applicava al P. la misura della custodia in carcere, su conforme richiesta del vice procuratore onorario di udienza, che chiedeva la più grave misura effettivamente applicata.
Nelle more, il giudizio di primo grado, celebrato in conseguenza del giudizio direttissimo con il quale si procedeva nei confronti del P. , veniva definito con la condanna dell’imputato.
Sulla base di tali elementi processuali il provvedimento impugnato veniva confermato.
2. Avverso tale ordinanza P.O. , a mezzo dell’avv. Vito Giulitto, ricorreva per cassazione, deducendo violazione di legge, in relazione agli artt. 291 cod. proc. pen. e 162, disp. att., cod. proc. pen..
Si deduceva, in particolare, che il Tribunale di Bari, in composizione monocratica, aveva emesso un provvedimento eccedente, per gravità, la misura cautelare richiesta dal pubblico ministero, violando in tal modo il principio consolidato in seno alla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, in sede di convalida dell’arresto in flagranza di reato con contestuale richiesta di giudizio direttissimo, il vice procuratore onorario di udienza dispone di un’autonomia valutativa limitata ed esclusivamente rilevante in senso favorevole all’indagato, in una direzione processuale speculare e inversa a quella riscontrabile nel caso di specie.
Nel caso in esame, inoltre, non erano ravvisabile elementi probatori, nuovi o differenti, rispetto a quelli posti a fondamento della richiesta di convalida e contestuale giudizio direttissimo, dal quale traeva origine il presente procedimento penale.
Queste ragioni processuali imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
In via preliminare, deve rilevarsi che il vice procuratore onorario svolge funzioni di carattere sussidiario rispetto all’esercizio delle funzioni giurisdizionali requirenti, così come stabilito dall’art. 7 del d.lgs. 20 febbraio 2006, n. 106, che ha modificato l’art. 72 Ord. Giud..
In questa cornice normativa, occorre ulteriormente evidenziare che l’art. 71 Ord. Giud. prevede che la delega possa essere rilasciata al vice procuratore onorario soltanto per le funzioni giurisdizionali espressamente menzionate nel successivo art. 72, il quale, a sua volta, indica che tale atto debba essere conferito nominativamente.
Sulle modalità di conferimento della delega, inoltre, l’art. 162, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. prevede che tale atto sia conferito per iscritto, con annotazione su un apposito registro e che sia esibita in dibattimento.
Infine, da quando sono state ampliate le funzioni giurisdizionali del vice procuratore onorario, si deve intendere che tale soggetto processuale debba esibire la delega in tutte le udienze alle quali partecipa, allo scopo di consentire al giudice procedente di verificarne la regolarità. Il comma 2 del citato art. 162 stabilisce ulteriormente che la delega nel giudizio direttissimo può essere conferita anche per la partecipazione alla contestuale convalida, analogamente a quanto avveniva per l’udienza di convalida del 31/01/2015, della cui celebrazione si controverte.
2. Fatta questa indispensabile premessa deve rilevarsi che la questione dell’autonomia del vice procuratore onorario che partecipa all’udienza di convalida dell’arresto in flagranza di reato con contestuale richiesta di giudizio direttissimo, che costituisce l’oggetto della doglianza sollevata nell’interesse del P. , deve essere risolta alla luce dall’orientamento di legittimità consolidatosi sul punto, a seguito dell’intervento delle Sezioni unite, che hanno affermato, con specifico riferimento al contenuto della delega di funzioni prevista dall’art. 162 bis, disp. att. cod. proc. pen., il seguente principio di diritto: “In tema di delega conferita dal procuratore della Repubblica al vice procuratore onorario e al magistrato ordinario in tirocinio per lo svolgimento delle funzioni di Pubblico Ministero, devono considerarsi come non apposte le condizioni o restrizioni non previste dalla legge ivi eventualmente inserite, delle quali, quindi, il giudice non deve tenere alcun conto” (cfr. Sez. U, n. 13716 del 24/02/2011, Faithi, Rv. 249032).
Tale posizione ermeneutica deve essere integrata dal riferimento all’ulteriore principio di diritto affermato dalle stesse Sezioni unite nell’ambito interpretativo sottoposto alla sua cognizione, secondo cui: “La delega conferita dal procuratore della Repubblica al vice procuratore onorario e al magistrato ordinario in tirocinio da almeno sei mesi per lo svolgimento delle funzioni di Pubblico Ministero nella udienza di convalida dell’arresto o del fermo, nei rispettivi ambiti stabiliti dall’art. 72, comma secondo, lett. b), ord. giud., comprende la facoltà di richiedere l’applicazione di una misura cautelare personale” (cfr. Sez. U, n. 13716 del 24/02/2011, Faithi, Rv. 249031).
Ne discende che, nelle ipotesi che si stanno considerando, il vice procuratore onorario di udienza, anche quando deve assumere posizioni processuali di particolare rilevanza, non ha il dovere di confrontarsi preventivamente con il pubblico ministero togato che ha richiesto la convalida dell’arresto e che le eventuali indicazioni del soggetto delegante non possono ritenersi vincolanti nei confronti del soggetto delegato.
Né potrebbe essere diversamente, atteso che il rappresentante del pubblico ministero deve essere indipendente non solo verso l’esterno, ma anche all’interno del suo ufficio, con la conseguenza che deve potersi determinare liberamente sulla base degli sviluppi e delle risultanze acquisite nel corso dell’udienza alla quale prende parte.
Questa autonomia, non essendo riscontrabile alcuna previsione di segno contrario, dunque, trova applicazione anche rispetto al magistrato onorario e la circostanza che l’atto di delega non crei un rapporto di dipendenza tra delegato e delegante e che anche il primo agisca in piena autonomia in udienza secondo il disposto dell’art. 53, comma 1, cod. proc. pen., è stata ribadita dalla Corte costituzionale con la sentenza 26 giugno 1990, n. 333. Ne consegue che la funzione del pubblico ministero – indipendentemente dal fatto che si riferisca a un magistrato togato ovvero a un magistrato onorario – non può che implicare le medesime prerogative processuale di autonomia e indipendenza nella partecipazione all’udienza.
Ne discende conclusivamente che il Tribunale del riesame di Bari, rigettando la richiesta di riesame presentata nell’interesse del P. , ha fatto buon governo dei principi applicabili in relazione alle prerogative processuali che dovevano essere riconosciute al vice procuratore onorario che aveva partecipato all’udienza di convalida del 31/01/2015, della cui sola legittimità si doleva la difesa del ricorrente.
3. Per queste ragioni, il ricorso proposto nell’interesse di P.O. deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in 1.000,00 Euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di 1.000,00 Euro alla Cassa delle Ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att., cod. proc. pen..
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