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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II

SENTENZA 1 dicembre 2014, n. 50021

Ritenuto in fatto

 Con sentenza in data 13 marzo 2014 la Corte d’Appello di Caltanissetta decidendo in sede di giudizio di rinvio dalla Corte di Cassazione in parziale riforma della sentenza emessa dal Giudice delle Udienze Preliminari del Tribunale di Caltanissetta assolveva P.A. dal reato di concorso in abuso d’ufficio per non aver commesso il fatto.

Il Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Caltanissetta, con sentenza in data 22 novembre 2010, all’esito di giudizio abbreviato, aveva assolto il P. , con la formula ‘il fatto non sussiste’, dalla imputazione di cui agli artt. 81 cpv. e 110 c.p., art. 112 c.p., n. 3, art. 323 c.p., contestatagli perché, in concorso con M.S. , Pa.Al.Ma. , A.G. e Ma.Fr. , con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, attraverso reiterate pressioni, esercitate anche grazie all’autorità che gli proveniva dal ruolo di deputato regionale e di esponente locale di spicco del partito di maggioranza relativa, facendo parte della coalizione governativa di governo cui facevano riferimento i vertici dell’Azienda Ospedaliera Sant’Elia di (omissis) , oltre che dalle precedenti cariche ricoperte nella Giunta di governo regionale della Sicilia, tra le quali quella di Assessore alla Sanità e al Bilancio, istigava il Pa. , direttore generale della predetta azienda ospedaliera, e, tramite, quest’ultimo, l’A. e il M. , rispettivamente direttore sanitario e direttore amministrativo della stessa azienda, a conferire al M. , con il quale egli aveva rapporti di amicizia, in violazione di norme di legge, l’incarico di direttore di struttura complessa di chirurgia generale dell’Azienda ospedaliera Sant’Elia.

In particolare al P. era stato contestato: di avere istigato il Pa. , malgrado l’ingiustificato ritardo con cui si era sino a quel punto svolta la relativa procedura selettiva, indetta in data 28 gennaio 2005 e conclusa in data 14 dicembre 2007 con il giudizio di idoneità di quattro candidati, tra i quali non figurava il M. , a richiedere la riapertura dei termini di presentazione delle domande, al fine di consentire la partecipazione del M. , che nel frattempo aveva conseguito l’attestato di formazione manageriale, titolo valutabile ai fini dell’accertamento delle capacità gestionali; di avere istigato il Pa. , e tramite quest’ultimo l’A. e il Ma. , ad adottare la delibera n. 116 del 15 febbraio 2008, con la quale illegittimamente si era stabilito di non procedere al conferimento dell’incarico di direttore di struttura complessa di chirurgia; di avere istigato il Pa. , e indirettamente l’A. e il Ma. , ad adottare la delibera n. 123 del 19 febbraio 2008, con la quale illegittimamente veniva conferito al M. l’incarico a tempo determinato di direttore della struttura complessa di chirurgia generale.

La sentenza veniva impugnata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta e dalle parti civili L.A. e V.C. .

Con sentenza in data 8.3.2012 la Corte di Appello, in riforma della decisione di primo grado, dichiarava il P. colpevole del reato a lui ascritto e, in concorso di attenuanti generiche, lo condannava alla pena di cinque mesi e dieci giorni di reclusione, condizionalmente sospesa, oltre al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili, da liquidare in separata sede.

Con sentenza n. 39030 del 5.7.2013 la Corte di Cassazione (Sez. 6 Penale), decidendo a seguito di ricorso presentato dal P. , annullava con rinvio la sentenza impugnata per nuovo giudizio La Corte d’Appello in sede di rinvio riteneva che, alla luce delle direttive impartite dalla Corte di Cassazione, la prova a carico di P. non poteva considerarsi sufficiente perché non univoca sul piano dell’efficienza causale del comportamento da lui tenuto rispetto agli organi amministrativi che avevano deciso la nomina del candidato, da lui privilegiato, al ruolo di direttore di struttura complessa di Chirurgia generale dell’Azienda Ospedaliera Sant’Elia e assolveva l’imputato con la formula per non aver commesso il fatto.

Ricorre per Cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Caltanissetta deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato. Secondo il ricorrente il giudizio assolutorio formulato dalla Corte di Appello trae origine da un’errata interpretazione del principio di diritto espresso nel giudizio di annullamento con rinvio della Corte di Cassazione. Lamenta che il giudice di rinvio adagiandosi acriticamente su quanto sostenuto dalla difesa dell’imputato ha ritenuto di assolvere il P. fornendo una motivazione frammentaria e parcellizzato del materiale probatorio e livellandosi acriticamente a quanto stabilito dalla Suprema Corte nella sentenza di annullamento senza fornire adeguata e logica motivazione autonoma rispetto al principio stabilito dalla corte di legittimità.

Sostiene che la sentenza di annullamento non richiede la ricerca di nuovi e diversi elementi probatori rispetto a quelli già presenti in atti, poiché in tal caso avrebbe potuto annullare senza rinvio, ma richiede una rivalutazione diversa e più stringente rispetto a quella dei giudici di secondo grado degli stessi elementi probatori già valutati allo scopo di meglio provare l’istigazione della condotta del P. nei confronti del direttore generale Pa. per la nomina di M. . Si duole della mancata riapertura della istruttoria perché appare contraddittoria con la lamentata assenza di nuovi e diversi elementi probatori sostenendo che: o la suprema corte ha imposto alla corte di appello nel giudizio di rinvio esclusivamente la ricerca di nuovi elementi probatori e quando questi vengono sollecitate ex articolo 603 codice procedura penale il giudice non può che ammettere la prova sollecitata o il giudice di rinvio rimane libero di valutare la pertinenza e decisività della prova richiesta, anche escludendola, perché può valutare con argomentazioni diverse i medesimi elementi probatori già in atti, senza necessità di allargare il compendio probatorio. Lamenta che la Corte d’Appello si è sottratta al compito assegnatole dalla suprema corte perché il difetto di accertamento così come indicato atteneva esclusivamente alla mancata motivazione sulla decisiva incidenza della condotta del P. sulle determinazioni assunte dal direttore generale Pa. , sotto forma delle istigazione, nella duplice accezione dell’avere fatto sorgere il proposito criminoso ovvero di averlo soltanto rafforzato. Essendo questo il tema oggetto di valutazione il compito del giudice di rinvio era quello di valutare con diversa motivazione e nuove argomentazioni i dati probatori agli atti.

L’imputato, a mezzo dei difensori, depositava memoria con la quale disattendeva le argomentazioni indicate nel ricorso ed allegava sentenza del Tribunale di Caltanisetta dell’8.7.2014 che aveva assolto i coimputati PA.Al. , A.G. , MA.Fr. e M.S. con la formula perché il fatto non sussiste.

Il ricorso è inammissibile alla luce delle seguenti argomentazioni.

Nella sentenza di annullamento questa Corte ha precisato che la procedura per il conferimento dell’incarico di dirigente di secondo livello del ruolo sanitario, ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 15 ter, commi 2 e 3, non ha natura di procedura concorsuale, dovendo l’apposita commissione limitarsi alla verifica dei requisiti di idoneità dei candidati alla copertura dell’incarico, predisponendo un elenco degli idonei, senza formazione di alcuna graduatoria, da sottoporre al direttore generale dell’azienda sanitaria locale, il quale, nell’ambito dei nominativi indicati dalla commissione, conferisce l’incarico sulla base di una scelta di carattere essenzialmente fiduciario, affidata alla sua responsabilità manageriale, con atto adottato nell’esercizio delle capacità e dei poteri del privato datore di lavoro, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, come affermato da Sez. U civ. n. 22990 del 2004. Sulla base di questa premessa ha ritenuto, in linea con la Corte costituzionale (sentenza n. 181 del 2006), che, ferma restando la prescrizione direttamente discendente dall’art. 97 Cost., implicante un trasparente e imparziale esercizio dell’attività amministrativa, fosse impregiudicata la facoltà del direttore generale, esercitata con atti motivati, di non avvalersi di alcuno dei candidati risultati idonei e, conseguentemente, di non procedere all’attribuzione dell’incarico. Una simile facoltà, tuttavia, non solo doveva essere adeguatamente giustificata in relazione a situazioni del tutto peculiari, ma non poteva essere esercitata sulla base di un criterio valutativo diverso e aggiuntivo rispetto a quelli stabiliti dalla commissione, a pena di invadere le attribuzioni specificamente riservate a quest’ultima.

Ha così affermato che nella specie, con la delibera n. 116 del 15 febbraio 2008, non solo il direttore generale Pa. , in violazione del D.P.R. 10 dicembre 1997, n. 484, art. 8, che riservava alla commissione di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 ter, comma 2, l’accertamento della idoneità dei candidati e la indicazione della relativa rosa, aveva introdotto illegittimamente un nuovo criterio di valutazione (quello della comprovata qualificazione professionale in materia oncologica e in attività chirurgiche ad alta complessità) e per l’effetto aveva stabilito di non procedere alla scelta di alcuno dei candidati emersi dalla procedura selettiva; ma, con tutta fretta, dopo solo quattro giorni, con la delibera n. 123 del 19 febbraio 2008, immediatamente esecutiva (e prima ancora che la precedente delibera n. 116 fosse divenuta esecutiva), aveva conferito l’incarico di dirigente della struttura complessa di chirurgia al Dott. M.S. , sulla base di un curriculum pervenuto all’azienda ospedaliera il giorno precedente, esercitando il potere previsto dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 septies, cui però era possibile fare ricorso solo in assenza di qualificazioni professionali non presenti in organico, e in violazione dei criteri stabiliti dalle varie circolari assessoriali in materia, richiamate dal comma 5 del predetto articolo, in particolare quella del 20 giugno 2000, antecedente alla delibera incriminata, che prevede l’esercizio di tale potere come eccezionale, come del resto chiaramente detto proprio dalla sentenza Corte cost. n. 181 del 2006. Aveva altresì sottolineato che il nuovo criterio, illegittimamente aggiunto dal Pa. , quello della qualificazione professionale in materia oncologica e in attività chirurgiche ad alta complessità, era pacificamente soddisfatto da almeno altri due dei candidati inseriti nella rosa, il Dott. L. e il Dott. R. , come risultava dalle prove dichiarative e che comunque era accertato che l’azienda ospedaliera Sant’Elia non aveva mai attivato un dipartimento oncologico.

Secondo la Corte risultava dal complesso della normativa citata che il direttore generale doveva conferire l’incarico in questione sulla base di una scelta essenzialmente fiduciaria nell’ambito della rosa dei nomi prescelti dalla commissione, dalla quale poteva discostarsi, anche non procedendo al conferimento dell’incarico, solo in casi eccezionali e comunque adeguatamente motivati: presupposti del tutto assenti nella procedura seguita dal direttore generale Pa. . Stabiliva pertanto in modo definitivo che la condotta posta in essere nell’incarico affidato al Dott. M. era avvenuta in violazione di legge con conseguente sussistenza del reato contestato.

Con riguardo all’ipotizzato concorso del P. veniva dato atto che la Corte di appello, in linea con il tenore del capo di imputazione, aveva assegnato all’imputato la figura di istigatore (nei confronti del direttore generale Pa. ) affermando che:

– era stato accertato che il P. , quale politico di maggior spicco nel settore della sanità nella provincia di Caltanissetta, nella veste di assessore regionale alla sanità dal 1996 al 1998, oltre che, successivamente, di assessore al bilancio e assessore ai beni culturali, controllava ogni nomina di rilievo nell’ospedale nisseno e in quelli della provincia, pretendendo di essere previamente informato su tutte le scelte relative alle assunzioni di personale;

– vi era prova di una specifica conoscenza del M. da parte del P. , che l’aveva segnalato al Dott. O.S. per la nomina a direttore della divisione di chirurgia dell’ospedale di (omissis) , con contratto prima biennale e poi quinquennale, avvenuta anche in questo caso ai sensi dell’art. 15-septies d.lgs. n. 502 del 1992 previa riapertura dei termini per la procedura concorsuale;

– altro intervento del P. aveva interessato una analoga nomina del Dott. M. presso l’ospedale di (omissis) ;

– lo stesso imputato aveva ammesso di essersi interessato al fine del conferimento dell’incarico di dirigente di struttura complessa di chirurgia presso l’ospedale di (omissis), previa riapertura dei termini, e di essersi preoccupato perché la riapertura tardava;

– risultavano numerosi contatti telefonici tra il P. e il M. il 14 febbraio 2008, in cui venne presentato il curriculum, di un solo giorno antecedente alla delibera n. 116 del 2008, con la quale il Pa. decise di non procedere al conferimento dell’incarico nell’ambito della rosa selezionata dalla commissione, contestualmente introducendo illegittimamente un nuovo criterio di valutazione;

– altri intensi contatti telefonici tra P. , Pa. e M. erano stati accertati nelle fasi nevralgiche della vicenda (giorno della richiesta di riapertura dei termini e giorno successivo; data del rientro del Dott. L. all’ospedale di (omissis) con conseguente perdita del posto del Dott. M. ; giorno della restituzione degli atti da parte della commissione di esperti al Pa. ; giorni intercorrenti tra il 14 e il 19 febbraio 2008);

– lo stesso M. aveva ammesso di avere chiesto informazioni circa la riapertura dei termini proprio al P. ;

– il P. aveva fatto pervenire al Dott. Pa. un sms con il quale sollecitava quest’ultimo ad adoperarsi per una riapertura dei termini; fatto riferito da vari testi, sia pure de relato, ma – significativamente – negato dal P. .

Sulla base degli indicati dati rappresentati dai giudici di appello, venivano ritenute indiscutibili le manifestazioni di assillante interessamento riferibili al P. nella vicenda della procedura di nomina del dirigente della struttura complessa di chirurgia presso l’azienda ospedaliera Sant’Elia di (omissis) . Così come venivano ritenute immuni da carenze o da difetti logici le considerazioni svolte nella sentenza d’appello circa la forte propensione del P. a favorire in questa nomina il Dott. M.S. , sia per i rapporti pregressi tra i due (in particolare, con riferimento ad analoga nomina avvenuta presso l’ospedale di (omissis) e presso quello di (omissis) ) sia per i documentati contatti intercorsi tra il ricorrente, da un lato, e il M. e il Pa. , dall’altro, proprio in coincidenza con l’auspicata (anche se non definitivamente realizzata) riapertura dei termini di partecipazione alla selezione. Così come veniva considerata indiscutibile la forte influenza esercitata dal P. , in ragione della sua posizione politica di spicco nell’ambito della Regione siciliana, con particolare riguardo al settore della sanità, in relazione ad ogni nomina in ambito ospedaliere, con particolare riguardo alla provincia di Caltanissetta, zona di provenienza del ricorrente, emergendo ciò da varie fonti dichiarative di cui la sentenza di secondo grado aveva dato adeguato conto.

Ciò che invece non era ritenuto esaurientemente accertato era ‘la decisiva incidenza’ della condotta del P. sulle determinazioni assunte dal direttore generale dell’azienda ospedaliera, Pa.Al.Ma. . Veniva evidenziato che al di là della certa influenza politica esercitata dal P. in questa come in analoghe vicende, non era stato pienamente dimostrato che il Pa. si indusse a porre in essere l’illegittima condotta addebitatagli per effetto – anche – di pressioni, esplicite o meno, esercitate dal ricorrente. Veniva sottolineato che, ai fini della prova del contributo dato da un soggetto nella commissione di un reato, compreso quello che si manifesta nella forma della condotta di istigazione – che era quella nella specie contestata – era necessario che il giudice di merito desse conto degli elementi fattuali dai quali ricavare l’esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato, precisando sotto quale forma essa si fosse concretamente manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l’atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall’art. 110 cod. pen., con l’indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà (così Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226101).

Con particolare riguardo alla forma della istigazione veniva evidenziato che occorreva che il soggetto, cui tale condotta era addebitata avesse fatto sorgere in altri il proposito criminoso ovvero lo avesse soltanto rafforzato (v. per tutte Sez. 1, n. 4612 del 05/04/1993, Palazzini, Rv. 194696) e che dai dati esposti dai giudici di appello non emergeva una chiara dimostrazione del fatto che il Pa. si fosse determinato a porre in essere la condotta incriminata per effetto delle sollecitazioni del P. e neppure che fosse stato semplicemente da lui rafforzato in questa sua determinazione.

Il fatto che il P. avesse inequivocabilmente manifestato interesse a che il M. fosse favorito e che tenesse assidui contatti con il Pa. , per di più nei momenti cruciali della vicenda, non era secondo la Corte di per sé dimostrazione che avesse concretamente inciso sulla determinazione del direttore generale. Era indubbio che il Pa. , come accertato dalla sentenza annullata, teneva certamente in gran conto gli interessi e i desideri del potente uomo politico nisseno, ma quello che secondo i giudici di legittimità mancava nella ricostruzione dei fatti esposti nella sentenza d’appello era che il suo agire fosse stato determinato o solo semplicemente influenzato da pressioni del P. intese a favorire il M. .

Nella sentenza di annullamento venivano in particolare valutati alcuni accertamenti in fatto dai quali i giudici di legittimità traevano conseguenze opposte a quelle tratte dai giudici d’Appello per affermare l’ipotizzato concorso.

Si tratta dell’episodio relativo alla lite intercorsa tra il direttore generale e il Dott. L. , che a causa di ciò venne estromesso dal posto di titolare della divisione di struttura complessa di chirurgia dell’ospedale (omissis) con conseguente rientro nell’ospedale (omissis) , dove operava, solo con contratto quinquennale, il Dott. M. , il quale per effetto di tale rientro si vide revocate le funzioni dirigenziali. L’episodio che nella sentenza annullata veniva considerato indice sintomatico della determinazione del P. a favorire il M. , secondo la sentenza di annullamento poteva avere una diversa lettura e cioè che un tale interesse fosse individuabile in capo al solo Pa. , che aveva determinato il rientro del L. a (omissis) proprio a seguito della lite intercorsa con lui. Così come l’episodio del messaggio sms con cui il P. avrebbe, a dire di testimoni de relato, sollecitato il Pa. ad operarsi per una riapertura dei termini secondo la sentenza di annullamento si collocava in una fase antecedente al momento decisivo della nomina da parte del Pa. e non era accompagnato da altri elementi certi di valutazione.

La Corte d’Appello in sede di rinvio ha sottolineato che la Corte di Cassazione ha disposto un nuovo giudizio perché, pur avendo apprezzato i numerosi elementi di fatto esaminati dai giudici di merito, ha ritenuto che la prova dell’influenza esercitata dal P. da una parte e quella dell’attenzione del Pa. nei confronti degli interessi e dei desideri del potente uomo politico nisseno dall’altra non sarebbero sufficienti a dimostrare che il direttore generale aveva posto in essere la sua condotta di abuso per effetto delle sollecitazioni del P. e neppure che da esse tale condotta fosse stata semplicemente rafforzata. I dati esposti dai giudici di merito nella sentenza annullata erano stati analizzati dalla corte di cassazione proprio per mostrare la loro insufficienza a dimostrare quella ‘decisiva incidenza’ che secondo il giudice di rinvio era l’oggetto specifico della loro cognizione. Nel caso di specie la Corte il Cassazione non aveva lasciato spazio alla formulazione di argomentazioni diverse da quelle svolte dai giudici della sentenza annullata perché non gli argomenti contenuti nella motivazione erano stati censurati ma l’incompletezza dei dati posti a fondamento di essi.

In sintesi la corte di cassazione aveva disposto un nuovo giudizio perché, pur avendo previamente apprezzato i numerosi elementi di fatto esaminati dai giudici di merito, aveva ritenuto che potessero essere evidenziati ulteriori elementi dimostrati, diversi da quelli già valutati nella sentenza annullata, ai fini dell’accertamento di quella ‘decisiva incidenza’ richiesta e quindi non era possibile affermare, come sostenuto dal procuratore generale, che il giudizio di rinvio doveva limitarsi a formulare una diversa e più stringente valutazione degli stessi elementi probatori.

In questa sede il ricorrente ripropone gli stessi argomenti già esaminati dalla corte d’appello in sede di rinvio, senza tenere conto delle argomentazioni rese.

Correttamente i giudici d’appello hanno ritenuto che il giudizio di rinvio non si doveva limitare a riprendere i medesimi elementi esaminati dai giudici della cassazione nella loro motivazioni per comporre, ove possibile un diverso quadro argomentativo, ma doveva verificare se ulteriori elementi non considerati dai precedenti giudici di merito e non valutati né vagliati dal giudice di legittimità potevano comporre un nuovo quadro probatorio, cementato se del caso da diverse argomenti. Il tutto però con la necessità di prestare la massima osservanza al principio di diritto che riguarda la condotta di istigazione del P. e cioè che essa doveva concretamente attrezzarsi sulla base di elementi oggettivi come causalmente decisiva nel determinare o nel rafforzare le determinazioni del Pa. .

Deve altresì rilevarsi che la sentenza di annullamento ha valutato gli elementi di prova indicati nella sentenza annullata e per alcuni (episodio sms) ne ha escluso la rilevanza sul presupposto che si collocavano in una fase antecedente al momento decisivo della nomina del M. da parte del Pa. . Da tali considerazioni è stato correttamente ritenuto dai giudice del rinvio che questa Corte aveva richiesto la prova di una condotta istigatrice immediatamente correlata all’ultimo segmento della condotta descritta nell’imputazione e cioè quella che parte dalla delibera di non procedere alla nomina di alcuno dei candidati indicati dalla commissione esaminatrice e si conclude con il provvedimento di nomina del dottor M. . Proprio sul presupposto di tale considerazione è stato ritenuto di non disporre la riapertura dell’istruttoria, per acquisire le dichiarazioni di O.S. o per risentirlo, potendo lo stesso riferire solo su circostanze afferenti un’epoca precedente a quella nella quale si svolsero i passaggi determinanti per la nomina del M. . Analoghe considerazioni venivano svolte con riguardo alla richiesta di acquisire la sentenza della corte d’appello di Caltanissetta del 27 dicembre 2012 relativa una vicenda che costituiva l’antefatto di quella oggetto dell’imputazione.

Nel giudizio di rinvio è stato altresì sottolineato che le dichiarazioni dell’O. servivano solo a dimostrare che il P. aveva esercitato una influenza impropria sulle decisioni delle strutture sanitarie nissene, circostanza però che la sentenza di annullamento aveva ritenuto insufficiente, sulla scorta di richiamati accertamenti di fatto, per dimostrare il concorso del P. .

Si può pertanto affermare che il ricorso si limita a prospettare censure ormai del tutto assorbite dalla pronuncia di annullamento di questa corte, la cui portata demolitoria assume rilievo dirimente ai fini del giudizio di rinvio dal momento che la condotta posta in essere dall’imputato è stata scandagliata in tutti i termini di fatto senza rinvenire nel comportamento tenuto dallo stesso un interessamento inquadrabile nella figura dell’istigatore. Correttamente pertanto i giudici d’appello hanno ritenuto che elementi fattuali dai quali ricavare l’esistenza di una reale partecipazione dell’imputato non potessero essere rinvenuti in quelli già esaminati nella sentenza di annullamento perché già valutati come inidonei a dimostrare la ‘decisiva incidenza’ della condotta del P. sulle determinazioni assunte dal direttore generale dell’azienda ospedaliera, Pa.Al.Ma. .

Non può pertanto che affermarsi l’inammissibilità del ricorso perché le censure del ricorrente sono rivolte a criticare lo stesso principio di diritto cui il giudice del rinvio era tenuto a conformarsi.

 P.Q.M.

 Dichiara inammissibile il ricorso

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