Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 3 novembre 2014, n. 45234
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente
Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere
Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere
Dott. GAZZARA Santi – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 20/02/2014 del Tribunale della liberta’ di Udine;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. BALDI Fulvio, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio con dissequestro;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS) che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
2. Per la cassazione dell’impugnata ordinanza, ricorre (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore di fiducia, affidando il gravame ad un unico motivo, col quale lamenta violazione di legge per assoluta mancanza della motivazione su un punto decisivo del tema cautelare (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), per inosservanza di norme processuali previste a pena di nullita’).
Premette di avere, nel corso dell’udienza preliminare, avanzato al Gup istanza di dissequestro sulla quale il giudice del procedimento principale ha omesso di pronunciarsi ed il Tribunale cautelare, pur avendo condiviso la doglianza del ricorrente dichiarando la nullita’ dell’ordinanza per violazione dell’articolo 125 c.p.p., non ha tratto da tale declaratoria le necessarie conseguenze, in punto di restituzione dei beni, affermando che non puo’ farsi luogo a una pronuncia di inefficacia o decadenza del titolo cautelare essendo cio’ consentito solo nei casi espressamente previsti dalla legge sicche’, in mancanza di alcuna previsione normativa che sancisca l’inefficacia ovvero la decadenza del vincolo reale in un caso come quello in esame, il dictum del Tribunale doveva limitarsi a certificare la nullita’ della pronuncia, potendo peraltro l’appellante riproporre davanti al giudice competente la richiesta di dissequestro.
Assume il ricorrente come, in una situazione cosi’ eclatante di diniego di giustizia per difetto di pronuncia, il Collegio cautelare avrebbe dovuto analogicamente applicare le disposizioni che prevedono la caducazione del titolo cautelare per inefficacia della misura, sanzione contemplata nei casi di omessa decisione o di pronuncia intervenuta oltre i termini perentori previsti dalla legge, trattandosi di un epilogo interpretativo che, essendo in bonam partem, doveva e deve ritenersi consentito.
2. La questione sottoposta a scrutinio di legittimita’ attiene alla definizione dei poteri del giudice dell’impugnazione cautelare, nella specie in sede di appello proposto ai sensi dell’articolo 322 bis c.p.p., nell’ipotesi in cui sia stata eccepita con il gravame esclusivamente la nullita’ del provvedimento impugnato per omessa pronuncia.
Va in primo luogo precisato che le impugnazioni cautelari trovano precisa collocazione nel libro quarto del codice di rito dedicato alle misure cautelari , dove il capo 6 del titolo 1 tratta delle impugnazioni sulle misure cautelari personali , mentre il capo 3 del titolo 2 tratta delle impugnazioni sulle misure cautelari reali .
Il legislatore ha dunque previsto per i gravami cautelari espresse disposizioni che sono, ratione materiae, speciali rispetto alle norme, collocate nel libro nono del codice, le quali disciplinano le impugnazioni in generale e l’appello ed il ricorso per cassazione in particolare.
Tuttavia e’ opinione ampiamente condivisa, sia in dottrina che in giurisprudenza, quella per la quale nei casi non espressamente regolati dalle disposizioni che disciplinano la materia dei gravami de libertate e’ necessario fare applicazione analogica delle norme, se compatibili, sulle impugnazioni.
3. Cio’ posto, va osservato che la sanzione della nullita’, per la mancanza della motivazione, e’ prevista dall’articolo 125, comma 3, cod. proc. pen., applicabile anche alla materia cautelare.
Trattasi di una disposizione la quale richiede a pena di nullita’ la motivazione delle sentenze, delle ordinanze e, nei casi in cui la motivazione sia espressamente prescritta dalla legge, dei decreti.
Persino al cospetto della procedura di riesame dei provvedimenti cautelari (articoli 309 e 324 c.p.p.), nei quali risulta doveroso procedere all’integrazione della motivazione insufficiente sul rilievo che il tribunale, in base della portata totalmente devolutiva del mezzo di gravame, puo’ confermare o annullare il provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli addotti dalle parti, la giurisprudenza di legittimita’ ha reiterata mente chiarito che il potere del tribunale del riesame di integrare e sanare la motivazione insufficiente del provvedimento impugnato non opera laddove quest’ultimo sia mancante di motivazione in senso grafico oppure in presenza di apparato motivazionale inesistente perche’ del tutto inadeguato o basato su affermazioni apodittiche, si da comportare nullita’ per violazione dell’articolo 125 c.p.p., comma 3, (Sez. 3, n. 33753 del 15/07/2010, Pmt in proc. Lteri Lulzim, Rv. 249148) ovvero nei casi in cui la motivazione stessa si risolva in una clausola di stile in quanto -solo laddove si faccia unicamente questione della sufficienza, congruita’ ed esattezza delle indicazioni presenti nel provvedimento – legittimamente viene esercitato il potere integrativo del giudice dell’impugnazione cautelare ed in questi ultimi casi l’ordinanza applicativa della misura cautelare e quella che decide sulla richiesta di riesame sono tra loro collegate e complementari sicche’ la motivazione del tribunale integra e completa le eventuali carenze del provvedimento del primo giudice (ex multis, Sez. 3, n. 41569 del 11/10/2007,Verdesan, Rv. 237903).
Il principio della integrazione della motivazione e’ infatti un principio generale valido per ogni tipo gravame, che sia connotato dalla convergenza nella medesima fase di un effetto rescindente e contemporaneamente rescissorio, ove al giudice della impugnazione, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, e’ imposto di colmare, nel merito, il deficit argomentativo del provvedimento sottoposto al suo controllo senza restituire gli atti al Giudice che lo ha emesso.
4. Va infatti rilevato che, con specifico riferimento al processo ordinario di cognizione, la giurisprudenza di legittimita’, nella sua massima espressione, ha chiarito che, in caso di mancanza assoluta della motivazione della sentenza di primo grado, il giudice di appello deve provvedere, proprio in forza dei su richiamati poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante (Sez. U, n. 3287 del 27/11/2008, dep. 23/01/2009, R., Rv. 244118).
Tale affermazione e’ fondata sul rilievo che il difetto assoluto della motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’articolo 604 c.p.p., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullita’ della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado.
Il principio e’ stato tuttavia temperato dalla stesse Sezioni unite nel senso che il potere integrativo della motivazione deve essere esercitato nel necessario rispetto dei limiti del devoluto e del divieto di reformatio in peius.
Quanto allora all’appello cautelare che, a differenza del riesame, e’ retto dal principio tantum devolutum quantum appellatum , posto che l’articolo 604 c.p.p., risulta ontologicamente incompatibile con la disciplina incidentale dell’impugnazione, va osservato che, nel caso di carenza grafica o di omessa pronuncia, e dunque di apparato motivazionale insistente, la parte legittimata ad esercitare il diritto di impugnazione del provvedimento si troverebbe nella sostanziale impossibilita’ di devolvere al giudice dell’appello cautelare una critica specifica mancando una qualsiasi motivazione al riguardo da poter criticare.
Va sul punto ricordato come l’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c), applicabile a tutti i mezzi di impugnazione tipici e dunque applicabile anche all’appello cautelare, richieda a pena d’inammissibilita’ del gravame che siano specificati nell’atto di impugnazione i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta e cio’ presuppone una pronuncia; presuppone cioe’ che il giudice abbia esposto, a sua volta, i motivi di fatto e di diritto sui quali si fonda la decisione.
Ne consegue che, in siffatte ipotesi, il provvedimento impugnato – qualora al giudice dell’appello cautelare non siano stati comunque devoluti, nonostante l’omessa pronuncia sul punto, temi di merito – non e’ integrabile neppure sulla base dei poteri di piena cognizione e di valutazione del fatto che sono propri del giudice del gravame.
Cio’ in quanto, in assenza di una qualsiasi devoluzione quanto ai temi di merito, l’integrazione sarebbe esercitata oltre i limiti del devoluto e dunque il provvedimento mancante di motivazione deve essere dichiarato nullo per violazione dell’articolo 125 c.p.p., comma 3, e, siccome non e’ integrabile, deve derivare da cio’ la necessaria trasmissione degli atti al primo giudice non potendosi, da un lato, privare la parte, che abbia legittimante ritenuto di eccepire esclusivamente il vizio di omessa pronuncia, di un grado del giudizio cautelare e non potendosi, dall’altro, privare la parte stessa di una pronuncia di merito sulla primitiva istanza.
5. Nel caso in esame, infatti, l’ordinanza del Gup, reiettiva dell’istanza di restituzione del bene, nulla ha detto in ordine alla richiesta di revoca del sequestro avente ad oggetto le quote sociali.
Si verte quindi in un caso di omessa pronuncia sul petitum, avendo il primo giudice omesso qualsiasi statuizione sul bene della vita rivendicato con la richiesta di restituzione della cosa in sequestro.
Il Tribunale cautelare, investito in sede di appello esclusivamente con la doglianza relativa al vizio di omessa pronuncia, si e’ limitato a dichiarare la nullita’ dell’ordinanza gravata ma non ha ne’ azionato la fase rescissoria, alla quale non poteva comunque dare corso non essendogli stati devoluti, indipendentemente dall’omessa pronuncia, temi di merito, e neppure ha ritrasmesso gli atti al giudice del procedimento principale perche’ provvedesse sull’istanza.
In tal modo, la parte e’ stata privata di qualsiasi decisione sulla richiesta di dissequestro del bene.
Ne’ il ricorrente poteva ottenere la restituzione della cosa reclamata per le ragioni, del tutto infondate, che egli avrebbe voluto scaturissero dall’omessa pronuncia, in quanto in nessun caso era integrata una fattispecie comportante la caducazione del titolo cautelare, potendo cio’ verificarsi nei soli casi espressamente previsti dalla legge processuale e che, essendo eccezionali sono insuscettibili di interpretazione analogica.
Va dunque affermato il principio secondo il quale, in materia di appello cautelare personale o reale (articoli 310 e 322 bis c.p.p.), il tribunale della liberta’, a cui sia devoluta esclusivamente la cognizione della nullita’ dell’ordinanza de libertate affetta dal vizio di omessa pronuncia sul petitum, non puo’ sostituirsi al primo giudice violando il principio devolutivo e redigendo la motivazione del tutto omessa, ne’ puo’ limitarsi a dichiarare la nullita’ del provvedimento impugnato ai sensi dell’articolo 125 c.p.p., comma 3, ma deve, dichiarata la nullita’, trasmettere gli atti al primo giudice per non privare la parte di un grado del giudizio cautelare e per consentire alla parte stessa di redigere motivi specifici di impugnazione qualora essa debba dolersi delle ragioni di un eventuale rigetto della domanda.
Ne consegue l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata con trasmissione degli atti al Tribunale di Udine per l’ulteriore corso di giustizia ossia per nuovo giudizio di competenza del giudice della cognizione sull’istanza di dissequestro originariamente proposta e rimasta inevasa in ordine alla restituzione o meno delle quote sociali della societa’ (OMISSIS) s.r.l..
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