Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 15 luglio 2014, n. 30903
Ritenuto in fatto
1.1 Con sentenza dell’8 ottobre 2012 la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza del Giudice per l’udienza Preliminare di quel Tribunale del 12 marzo 2012 con la quale S.A.B., imputato dei reati di cui agli artt. 544 bis e 674 cod. pen. era stato condannato alla pena complessiva, condizionalmente sospesa, di mese uno e giorni venti di arresto.
1.2 Propone ricorso il nominato S.A.B., deducendo quattro specifici motivi. Con il primo, la difesa lamenta la manifesta illogicità della motivazione ed erronea applicazione della legge penale in punto di conferma del giudizio di colpevolezza con specifico riferimento alla indebita utilizzazione di dichiarazioni di asserito tenore confessorio rese dalla S. alla P.G. in quanto in violazione dell’art. 350 comma 3 cod. proc. pen. Con un secondo motivo viene denunciato vizio di travisamento della prova confermativa della responsabilità dello S., tenuto conto della assoluta genericità ed equivocità delle notizie riferite dalle persone informate sui fatti, sentite nella immediatezza dalla P.G. Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge per inosservanza della legge penale processuale (art. 191 cod. proc. pen.) in riferimento alla omessa e illogica valutazione degli indizi a carico, nient’affatto gravi, precisi e concordanti. Con l’ultimo motivo la difesa lamenta carenza assoluta di motivazione in ordine alla conferma del giudizio di colpevolezza riguardante il reato di cui all’art. 674 cod. pen., a fronte di specifico motivo di appello cui la Corte distrettuale non ha dato alcuna risposta.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato in parte per le ragioni che di seguito, qui sinteticamente, si espongono.
2. Va, anzitutto, premesso che S.A.B. è stato giudicato con il rito abbreviato in ordine a due distinte ipotesi criminose rappresentate dalla violazione dell’art. 544 bis cod. pen. (uccisione di animali) e dall’art. 674 cod. pen. (getto pericoloso di cose). La vicenda che lo vede protagonista trae origine dalla segnalazione di alcuni condomini di un edificio nella Via Moncalvo 31 di Milano che avevano sentito un rumore sordo tipico di un colpo di arma da fuoco e, subito dopo, avevano notato un piccione caduto al suolo ucciso verosimilmente per un colpo di arma da fuoco con foro di entrata ed uscita in un’ala. I Carabinieri intervenuti avevano sentito alcuni residenti dei luogo che, oltre a confermare la notizia, indicavano un possibile autore in una persona abitante in un edificio limitrofo separato da un muro altro circa cm. 130, il quale, a loro dire, aveva l’abitudine di sparare ai piccioni in volo con un fucile ad aria compressa. Risulta dalla sentenza che lo S., individuato dai Carabinieri nel soggetto indicato dai residenti del luogo, aveva immediatamente confessato di aver abbattuto il volatile con un’arma ad aria compressa che esibiva alla P.G. e che veniva sottoposta a sequestro.
Così ricostruiti i fatti come esposti nella sentenza di primo grado richiamata per relationem dalla Corte di Appello, va esaminata la prima censura con la quale la difesa dello S. sostanzialmente lamenta la violazione degli artt. 63, 350 e 191 cod. proc. pen. Erroneamente i giudici di merito hanno, a suo avviso, ritenuto utilizzabili le dichiarazioni rilasciate dallo S. di tenore asseritamente confessorio (per come indicato nell’annotazione di P.G. allegata al ricorso), considerando tali dichiarazioni spontanee. L’erronea applicazione della legge processuale penale consisterebbe, anzitutto, nell’inosservanza del disposto di cui all’art. 350 comma 7 cod. proc. pen., il quale prevede che dette dichiarazioni possono essere raccolte dall’indagato. Ma nel caso in esame a carico dello S. non era in corso alcuna indagine sicchè il disposto di cui all’art. 350 comma 7 non poteva, comunque, trovare applicazione, non assumendo egli la veste di indagato: le dichiarazioni da lui rese nella circostanza potevano essere, tutt’al più, qualificare come dichiarazioni rese nella qualità di persona informata sui fatti.
3.1 Sotto altro profilo, laddove lo S. dovesse essere considerato indagato, avrebbe dovuto trovare applicazione il disposto di cui all’art. 63 cod. proc. pen., in quanto dalle sue stesse dichiarazioni, se correttamente riportate nella annotazione di P.G., emergevano indizi di reità a suo carico: ciò avrebbe dovuto determinare gli organi di P.G. ad interrompere qualsiasi dichiarazione e comunicare allo S. che, da quel momento in poi, egli avrebbe potuto rivestire la qualità di indagato, contestualmente invitandolo a nominare un difensore, ad eleggere domicilio e, in sintesi, ad attuare tutti gli adempimenti collegati a tale figura. Non essendo così avvenuto, le dichiarazioni, peraltro neanche separatamente verbalizzate, ma contenute – come già accennato – nella annotazione di servizio, dovevano ritenersi affette da inutilizzabilità cd. “patologica”. Peraltro la difesa lamenta che nemmeno si trattava di dichiarazioni spontanee come affermato dal giudice di merito, in quanto dalla lettura dell’annotazione emergeva che era stato lo S. a rispondere alle contestazioni, ammettendo le proprie responsabilità e consegnando l’arma, di guisa che nessuna spontaneità era ravvisabile potendosi considerare tale solo quella dichiarazione che, di propria iniziativa, un soggetto effettua, mentre chi le riceve mantiene un atteggiamento di assoluta passività, limitandosi a registrare dette dichiarazioni. Inoltre la dichiarazione in forma riassuntiva, contenuta nella annotazione di servizio, non sottoscritta dal ricorrente, non offrirebbe alcuna garanzia di fedeltà e obiettività, in quanto lo S. era impossibilitato a controllare eventualmente il contenuto di quanto verbalizzato, senza che fosse comunque possibile sanare il vizio denunciato.
3.2 Tale censura non è fondata. L’indirizzo formatosi nella giurisprudenza di questa Corte Suprema in tema di utilizzabilità delle dichiarazioni rese spontaneamente alla Polizia Giudiziaria è nel senso di affermare la piena utilizzabilità di tali dichiarazioni nella fase delle indagini preliminari in quanto il divieto opera soltanto con riferimento alla fase dibattimentale (S.U. 25.9.2008 n. 1150, Correnti, Rv. 241884).
3.3 Quanto alla utilizzabilità nel giudizio abbreviato definito “a prova contrata” (cfr. S.U. 21.6.2000 n. 16, Tammaro, Rv. 216246), alla cui base è identificabile un patteggiamento negoziale sul rito, se non può contestarsi che la sentenza Tammaro ha distinto tra vizi “fisiologici” (che non comportano la inutilizzabilità) e vizi “patologici” (che determinano la inutilizzabilità assoluta), è dei pari, innegabile che la ricordata sentenza 1150/08 ha ritenuto che le dichiarazioni spontanee rese ex art. 350 comma 7 possono avere piena cittadinanza nella fase delle indagini preliminari. E’ stato anche precisato in più occasioni, da questa Corte Suprema, che le spontanee dichiarazioni contra sé da parte di chi non ha ancora assunto la veste qualità di indagato, sono certamente utilizzabili nel giudizio abbreviato, pesino contra alios (v. tra le più recenti, Sez. 5^ 20.2.2013 n. 18519, P.G. in proc. Ballone e altri, Rv. 256236; Sez. 4^ 4.12.2013 n. 5619, P.G., Mastino, Rv. 258216).
3.4 la difesa dello S. contesta la utilizzabilità di dette dichiarazioni anche sotto un diverso profilo, ritenendo che non di dichiarazioni ex art. 350 comma 7 si tratterebbe, ma di sommarie informazioni rilasciate ex art. 350 comma 3 del codice di rito, che la polizia giudiziaria avrebbe dovuto interrompere ai sensi dell’art. 63 cod. proc. pen. formulando gli avvertimenti di rito e l’invito a nominare difensore. Ma anche così prospettata, la censura non coglie nel segno, posto che non è sostenibile che una persona invitata dalla polizia giudiziaria a raccontare quanto sia accaduto sotto i suoi occhi, sia assimilabile ad una persona interrogata dagli inquirenti. Anche in questo caso soccorrono i principi affermati con la ricordata sentenza n. 1150/08, essendo stato chiarito che le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato nella immediatezza del fatto e riferite nell’informativa confermata dal verbalizzante, pur se sollecitate dalla polizia giudiziaria, non sono assimilabili all’interrogatorio in senso tecnico. Ne deriva che, per l’assunzione di tali dichiarazioni, non è necessario il preventivo invito rivolto al dichiarante alla nomina del difensore, né l’avvertimento circa la facoltà di non rispondere: alle dichiarazioni spontanee rese alla polizia giudiziaria non è dunque applicabile la disciplina del comma 2 dell’art. 63 citato, ma esclusivamente quella di cui all’art. 350 comma 7 cod. proc. pen.
3.5 Ad abundantiam si rileva – come risulta pacificamente sia dalla motivazione della sentenza di primo grado che da quella di appello – che il giudice di merito non si è affatto basato sulle dichiarazioni asseritamente confessorie rese dallo S. (non mancando di rilevare che la difesa ha contestato, comunque, il carattere confessorio di tali dichiarazioni in assenza di apposito verbale contenente tali presunte dichiarazioni ed essendo insufficienti e/o impropri i riferimenti contenuti nella annotazione di P.G.), ma ha valorizzato altre prove costituite dalle dichiarazioni rese da numerosi residenti sui luoghi che avevano concordemente riferito di avere sentito un rumore tipico di un colpo di arma da fuoco e di aver notato il piccione per terra attinto ad un’ala che mostrava un foro di entrata (ed uscita) tipico di un proiettile che l’aveva trapassata.
3.6 Sicchè la tesi della inutilizzabilità patologica, oltre che infondata in generale per le ragioni anzidette, si scontra, comunque, con una motivazione della sentenza che dà conto di altre prove (non solo) di tipo dichiarativo che conducevano, come ricordato dal GUP e dalla stessa Corte territoriale, ad una responsabilità dello S. al di là di ogni ragionevole dubbio.
4. Per queste specifiche ragioni si profila infondata in modo manifesto la seconda censura che denuncia vizio di manifesta illogicità ed erronea applicazione della norma processuale (in particolare l’art. 192 del codice di rito), in quanto la conferma della responsabilità poggia su plurimi elementi in cui si incrociano alcuni dati oggettivi come constatati dai carabinieri con le dichiarazioni di persone che avevano visto in diretta la scena della caduta al suolo del piccione e della ferita sull’ala: le censure prospettate sul punto dalla difesa del ricorrente contengono, oltretutto, rilievi in fatto volti ad offrire una ricostruzione alternativa della vicenda processuale improponibile in sede di legittimità.
5. Del tutto generica la censura contenuta nel terzo motivo con il quale il ricorrente lamenta la erronea valutazione degli indizi, in quanto a suo avviso né gravi, né precisi, né concordanti e risolventisi anche in una erronea applicazione della legge processuale penale (art. 192 cod. proc. pen.): si è prima visto che il giudice di merito ha valorizzato una serie di elementi ritenuti convergenti verso l’attribuibilità allo S., al di là di ogni ragionevole dubbio, della morte violenta dei piccione: ne consegue che i richiami teorici ai criteri in base ai quali valutare gli indizi, restano mere affermazioni di scuola che trovano un’ampia smentita nella motivazione della Corte di Appello che si è soffermata su tutti quegli elementi ritenuti a carico dello S..
6. E’ invece fondata la censura sviluppata nel quarto – ed ultimo – motivo con il quale il ricorrente lamenta l’assenza di motivazione sulla attribuibilità del fatto (e in particolare del colpo di fucile) all’imputato come già dedotto ampiamente nello specifico motivo di appello non preso in considerazione dalla Corte territoriale.
6.1 Ferma restando, in linea di principio, la configurabilità del reato di cui all’art. 674 cod. pen. nella ipotesi di uso di un’arma ad aria compressa con modalità tali da porre in pericolo l’incolumità delle persone (v. di recente Sez. 3^ 18.12.2008 n. 3478, P.G. in proc. Sanna, Rv. 242287; conforme Sez. 6^ 28.5.1974 n. 9885, Sparviero, Rv. 123311; idem, 15.12.1970 n. 1559, Lopez, Rv. 116947), dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata non si ricava alcun cenno né considerazione rispetto alla specifica doglianza difensiva, tanto più che era stato contestato nell’atto di appello che il mancato rinvenimento del proiettile e le stesse incertezze descrittive ricavabili dal teste P.D. non consentivano di affermare con la dovuta certezza che fosse stato proprio lo S. ad esplodere il colpo.
6.2 In assenza di motivazione di punto la sentenza impugnata va annullata limitatamente al reato di cui all’art. 674 cod. pen. con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano che dovrà colmare le lacune motivazionali sopra indicate alla luce dei principi di diritto affermati da questa Corte.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano limitatamente al reato di cui all’art. 674 cod. pen. Rigetta nel resto il ricorso.
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