Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 10 marzo 2014, n. 5523
REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GOLDONI Umberto – Presidente
Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) ((OMISSIS)), rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) ((OMISSIS)), rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al controricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), presso il cui studio in (OMISSIS), e’ elettivamente domiciliato;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 2131 del 2012, depositata in data 14 giugno 2012;
Udita, la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;
sentiti gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS).
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GOLDONI Umberto – Presidente
Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) ((OMISSIS)), rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) ((OMISSIS)), rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al controricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), presso il cui studio in (OMISSIS), e’ elettivamente domiciliato;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 2131 del 2012, depositata in data 14 giugno 2012;
Udita, la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;
sentiti gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 6 dicembre 1982, (OMISSIS) esponeva che il (OMISSIS) era deceduto ad intestato (OMISSIS), lasciando a se’ superstiti i quattro figli (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ la moglie (OMISSIS); che in data (OMISSIS) era deceduta (OMISSIS) e il (OMISSIS) (OMISSIS) (o (OMISSIS)), entrambe germane di (OMISSIS), le quali avevano disposto delle loro sostanze nominando eredi i nipoti (OMISSIS) e (OMISSIS); che il (OMISSIS) era deceduto (OMISSIS), lasciando a se’ superstiti i germani (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e la madre (OMISSIS), la quale ultima decedeva in data (OMISSIS); che tanto premesso l’attore conveniva in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Benevento, i germani (OMISSIS) e (OMISSIS) per sentire dichiarare aperte le successioni di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ per procedere allo scioglimento delle comunioni dei beni caduti nelle rispettive successioni e per sentire condannare (OMISSIS) al rilascio dei beni immobili in suo possesso. Chiedeva altresi’ la condanna di chi di dovere al pagamento dei frutti percetti e delle altre somme ricevute per eventuali espropri sui cespiti caduti in successione.
Espletata c.t.u., con comparse del 16 giugno 1986 intervenivano volontariamente (OMISSIS) e (OMISSIS), per sentire accertare il proprio diritto alle quote loro spettanti per legge quali eredi per rappresentazione alla propria genitrice (OMISSIS), figlia dell’originario capo-stipite (OMISSIS), deceduto nel (OMISSIS).
All’udienza del 23 novembre 1987 si costituiva (OMISSIS), la quale eccepiva la nullita’ dell’istruttoria fino a quel momento compiuta e la mancanza della qualita’ di eredi in capo agli istanti, essendosi prescritto il diritto ad accettare l’eredita’, e proponeva domanda riconvenzionale per sentir dichiarare la sua proprieta’ esclusiva per intervenuta usucapione dei beni relitti, deducendo di avere comunque apportato a proprie spese rilevanti migliorie.
Con sentenza non definitiva del 18 aprile 2002, il Tribunale di Benevento rigettava l’eccezione di prescrizione del diritto di accettare l’eredita’ e la domanda riconvenzionale.
Formulata riserva di appello da parte di (OMISSIS), veniva svolta una nuova c.t.u., all’esito della quale il Tribunale emetteva sentenza definitiva, pubblicata l’8 aprile 2005, con la quale venivano dichiarate aperte le successioni di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), e, rigettate le contestazioni formulate avverso il progetto divisionale presentato dal C.T.U., dichiarava esecutivo il progetto medesimo, disponendo l’attribuzione dei beni ereditari secondo il detto progetto.
Avverso queste due sentenze proponeva appello, con atto di citazione notificato ai soli (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS); si costituivano (OMISSIS) e (OMISSIS), quale unica erede di (OMISSIS), deceduta il (OMISSIS), eccependo preliminarmente che occorreva integrare il contraddittorio nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), litisconsorti pretermesse.
Con comparsa dell’8 giugno 2009, l’appellante (OMISSIS) dichiarava di avere fatto propria l’eccezione di integrazione del contraddittorio nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS).
Con ordinanza collegiale del 14 gennaio 2011 la Corte d’appello disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS).
Non essendosi a cio’ provveduto, le controparti eccepivano l’inammissibilita’ dell’appello ex articolo 331 cod. proc. civ..
L’appellante contestava tale richiesta, rilevando che il termine concesso per l’integrazione era esiguo, tenuto conto che le parti risiedevano in (OMISSIS), e successivamente, nel precisare le conclusioni, chiedeva la revoca dell’ordinanza collegiale 14 gennaio 2011, non avendo in realta’ (OMISSIS) e (OMISSIS) (quest’ultima nelle more deceduta), alcun diritto successorio, per avere la loro dante causa (OMISSIS) disposto con atto notarile della propria quota ereditaria spettantele dalla successione al padre (OMISSIS), in favore del germano (OMISSIS).
Con sentenza depositata il 14 giugno 2012, la Corte d’appello dichiarava inammissibile l’appello per l’omessa integrazione del contraddittorio, come stabilito dall’ordinanza collegiale del 14 gennaio 2001.
La Corte rilevava innanzitutto che la stessa appellante aveva convenuto sulla necessita’ di integrare il contraddittorio nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), salvo poi contestare la detta necessita’ sul rilievo della insussistenza di una situazione di litisconsorzio necessario. Riteneva, quindi, che le ragioni per le quali era stata disposta l’integrazione del contraddittorio con ordinanza collegiale dovessero essere condivise; e cio’ sul rilievo che le (OMISSIS) avevano spiegato intervento volontario assumendo la propria qualita’ di eredi per rappresentazione della loro madre (OMISSIS), figlia dell’originario dante causa (OMISSIS), deceduto nel (OMISSIS), chiedendo che fossero nei loro confronti estese tutte le eccezioni e richieste dell’originario atto di citazione del 1982.
La situazione di litisconsorzio necessario cosi venutasi a creare non risultava poi eliminata dalla richiesta, formulata nel 1999 dal difensore delle interventrici, di estromissione dal giudizio, allorquando era emerso che la dante causa delle (OMISSIS) aveva ceduto la propria quota ereditaria in favore del germano (OMISSIS), con conseguente venir meno nelle (OMISSIS) della qualita’ di eredi per rappresentazione della madre nella successione oggetto di causa. In proposito, la Corte d’appello rilevava che sulla istanza di estromissione il Tribunale non aveva statuito ne’ in sede di sentenza non definitiva, pronunciata espressamente anche nei confronti delle sorelle (OMISSIS), ne’ in sede di sentenza definitiva, nel corpo della quale, pur dandosi atto dell’intervento delle sorelle (OMISSIS), la loro presenza era stata omessa anche nella epigrafe.
In presenza dunque di una situazione di litisconsorzio processuale, venutasi a creare per effetto dell’intervento delle sorelle (OMISSIS), la Corte d’appello rilevava che ai fini della valutazione circa la necessita’ della integrazione del contraddittorio in sede di impugnazione doveva aversi riguardo alla posizione sostanziale dedotta in giudizio, a prescindere dalla effettiva titolarita’ del diritto controverso; e, nella specie, la posizione fatta valere dalle sorelle Pingue atteneva ad un rapporto inscindibile, avendo esse chiesto di partecipare al giudizio di scioglimento delle comunioni ereditarie quali eredi per rappresentazione della madre e quindi quali coeredi ex articolo 784 cod. proc. civ., a nulla rilevando che, per effetto dell’intervenuta cessione della quota della madre la loro pretesa fosse infondata.
Accertata quindi la necessita’ della integrazione del contraddittorio, la Corte d’appello rilevava che l’ordine di integrazione era rimasto inadempiuto e che l’appellante, dopo avere inizialmente indicato una impossibilita’ di provvedere all’adempimento dell’ordine nel termine prescritto, non aveva comprovato le ragioni della detta impossibilita’. Ne’ poteva attribuirsi rilievo al fatto che (OMISSIS) era nelle more deceduta, poiche’ l’atto di integrazione avrebbe dovuto essere notificato ai suoi eredi; senza dire che di tale decesso non vi era stata conoscenza processualmente rilevante.
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di un motivo.
Ha resistito con controricorso (OMISSIS), mentre non ha svolto difese l’intimata (OMISSIS).
Espletata c.t.u., con comparse del 16 giugno 1986 intervenivano volontariamente (OMISSIS) e (OMISSIS), per sentire accertare il proprio diritto alle quote loro spettanti per legge quali eredi per rappresentazione alla propria genitrice (OMISSIS), figlia dell’originario capo-stipite (OMISSIS), deceduto nel (OMISSIS).
All’udienza del 23 novembre 1987 si costituiva (OMISSIS), la quale eccepiva la nullita’ dell’istruttoria fino a quel momento compiuta e la mancanza della qualita’ di eredi in capo agli istanti, essendosi prescritto il diritto ad accettare l’eredita’, e proponeva domanda riconvenzionale per sentir dichiarare la sua proprieta’ esclusiva per intervenuta usucapione dei beni relitti, deducendo di avere comunque apportato a proprie spese rilevanti migliorie.
Con sentenza non definitiva del 18 aprile 2002, il Tribunale di Benevento rigettava l’eccezione di prescrizione del diritto di accettare l’eredita’ e la domanda riconvenzionale.
Formulata riserva di appello da parte di (OMISSIS), veniva svolta una nuova c.t.u., all’esito della quale il Tribunale emetteva sentenza definitiva, pubblicata l’8 aprile 2005, con la quale venivano dichiarate aperte le successioni di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), e, rigettate le contestazioni formulate avverso il progetto divisionale presentato dal C.T.U., dichiarava esecutivo il progetto medesimo, disponendo l’attribuzione dei beni ereditari secondo il detto progetto.
Avverso queste due sentenze proponeva appello, con atto di citazione notificato ai soli (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS); si costituivano (OMISSIS) e (OMISSIS), quale unica erede di (OMISSIS), deceduta il (OMISSIS), eccependo preliminarmente che occorreva integrare il contraddittorio nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), litisconsorti pretermesse.
Con comparsa dell’8 giugno 2009, l’appellante (OMISSIS) dichiarava di avere fatto propria l’eccezione di integrazione del contraddittorio nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS).
Con ordinanza collegiale del 14 gennaio 2011 la Corte d’appello disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS).
Non essendosi a cio’ provveduto, le controparti eccepivano l’inammissibilita’ dell’appello ex articolo 331 cod. proc. civ..
L’appellante contestava tale richiesta, rilevando che il termine concesso per l’integrazione era esiguo, tenuto conto che le parti risiedevano in (OMISSIS), e successivamente, nel precisare le conclusioni, chiedeva la revoca dell’ordinanza collegiale 14 gennaio 2011, non avendo in realta’ (OMISSIS) e (OMISSIS) (quest’ultima nelle more deceduta), alcun diritto successorio, per avere la loro dante causa (OMISSIS) disposto con atto notarile della propria quota ereditaria spettantele dalla successione al padre (OMISSIS), in favore del germano (OMISSIS).
Con sentenza depositata il 14 giugno 2012, la Corte d’appello dichiarava inammissibile l’appello per l’omessa integrazione del contraddittorio, come stabilito dall’ordinanza collegiale del 14 gennaio 2001.
La Corte rilevava innanzitutto che la stessa appellante aveva convenuto sulla necessita’ di integrare il contraddittorio nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), salvo poi contestare la detta necessita’ sul rilievo della insussistenza di una situazione di litisconsorzio necessario. Riteneva, quindi, che le ragioni per le quali era stata disposta l’integrazione del contraddittorio con ordinanza collegiale dovessero essere condivise; e cio’ sul rilievo che le (OMISSIS) avevano spiegato intervento volontario assumendo la propria qualita’ di eredi per rappresentazione della loro madre (OMISSIS), figlia dell’originario dante causa (OMISSIS), deceduto nel (OMISSIS), chiedendo che fossero nei loro confronti estese tutte le eccezioni e richieste dell’originario atto di citazione del 1982.
La situazione di litisconsorzio necessario cosi venutasi a creare non risultava poi eliminata dalla richiesta, formulata nel 1999 dal difensore delle interventrici, di estromissione dal giudizio, allorquando era emerso che la dante causa delle (OMISSIS) aveva ceduto la propria quota ereditaria in favore del germano (OMISSIS), con conseguente venir meno nelle (OMISSIS) della qualita’ di eredi per rappresentazione della madre nella successione oggetto di causa. In proposito, la Corte d’appello rilevava che sulla istanza di estromissione il Tribunale non aveva statuito ne’ in sede di sentenza non definitiva, pronunciata espressamente anche nei confronti delle sorelle (OMISSIS), ne’ in sede di sentenza definitiva, nel corpo della quale, pur dandosi atto dell’intervento delle sorelle (OMISSIS), la loro presenza era stata omessa anche nella epigrafe.
In presenza dunque di una situazione di litisconsorzio processuale, venutasi a creare per effetto dell’intervento delle sorelle (OMISSIS), la Corte d’appello rilevava che ai fini della valutazione circa la necessita’ della integrazione del contraddittorio in sede di impugnazione doveva aversi riguardo alla posizione sostanziale dedotta in giudizio, a prescindere dalla effettiva titolarita’ del diritto controverso; e, nella specie, la posizione fatta valere dalle sorelle Pingue atteneva ad un rapporto inscindibile, avendo esse chiesto di partecipare al giudizio di scioglimento delle comunioni ereditarie quali eredi per rappresentazione della madre e quindi quali coeredi ex articolo 784 cod. proc. civ., a nulla rilevando che, per effetto dell’intervenuta cessione della quota della madre la loro pretesa fosse infondata.
Accertata quindi la necessita’ della integrazione del contraddittorio, la Corte d’appello rilevava che l’ordine di integrazione era rimasto inadempiuto e che l’appellante, dopo avere inizialmente indicato una impossibilita’ di provvedere all’adempimento dell’ordine nel termine prescritto, non aveva comprovato le ragioni della detta impossibilita’. Ne’ poteva attribuirsi rilievo al fatto che (OMISSIS) era nelle more deceduta, poiche’ l’atto di integrazione avrebbe dovuto essere notificato ai suoi eredi; senza dire che di tale decesso non vi era stata conoscenza processualmente rilevante.
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di un motivo.
Ha resistito con controricorso (OMISSIS), mentre non ha svolto difese l’intimata (OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il Collegio rileva preliminarmente che non e’ di ostacolo alla trattazione del ricorso la mancata presenza, alla odierna pubblica udienza, del rappresentante della Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’articolo 70 c.p.c., comma 2, quale risultante dalle modifiche introdotte dal Decreto Legge 21 giugno 2013, n. 69, articolo 75 convertito, con modificazioni, nella Legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il pubblico ministero deve intervenire nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla legge. A sua volta il Regio Decreto 10 gennaio 1941, n. 12, articolo 76 come sostituito dal citato Decreto Legge n. 69, articolo 81 al comma 1 dispone che Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude: a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui all’articolo 376 c.p.c., comma 1, primo periodo. L’articolo 376 c.p.c., comma 1, stabilisce che Il primo presidente, tranne quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374, assegna i ricorsi ad apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in camera di consiglio.
Infine, il gia’ citato Decreto Legge n. 69 del 2013, articolo 75 quale risultante dalla Legge di conversione n. 98 del 2013, dopo aver disposto, al comma 1, la sostituzione dell’articolo 70 c.p.c., comma 2, e la modificazione dell’articolo 380-bis c.p.c., comma 2, e articolo 390 c.p.c., comma 1, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta esclusione della partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si tengono dinnanzi alla sezione di cui all’articolo 376, comma 1, al comma 2 ha stabilito che Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire dal giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e cioe’ a far data dal 22 agosto 2013.
Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento contenuto sia nel Regio Decreto n. 12 del 1941, articolo 76, comma 1, lettera b), (come modificato dal Decreto Legge n. 69 del 2013, articolo 81), sia nell’articolo 75, comma 2, citato, alle udienze che si tengano presso la Sesta sezione (e cioe’ quella di cui all’articolo 376 c.p.c., comma 1), consenta di ritenere non solo che la detta sezione e’ abilitata a tenere oltre alle adunanze camerali anche udienze pubbliche, ma anche che alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non e’ piu’ obbligatoria la partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la facolta’ dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’articolo 70 c.p.c., comma 3, e cioe’ ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza odierna e’ stato emesso in data 25 settembre 2013, sicche’ deve concludersi che l’udienza pubblica ben puo’ essere tenuta senza la partecipazione del rappresentante della Procura generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia integrale del ruolo di udienza e’ stata trasmessa, ravvisato un interesse pubblico che giustificasse la propria partecipazione ai sensi dell’articolo 70 c.p.c., comma 3.
2. Nel merito, con l’unico motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 99, 101, 102, 105, 112, 267 e seguenti, 306, 310, 324, 331 cod. proc. civ. e articolo 2909 cod. civ.
La ricorrente sostiene che il ragionamento in base al quale la Corte d’appello ha ritenuto necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), pur se corretto logicamente, non terrebbe comunque conto del fatto che le due interventrici, le quali avevano chiesto in sede di precisazione della conclusioni in primo grado di essere estromesse dal giudizio per difetto della qualita’ di eredi, erano implicitamente state estromesse dal Tribunale in sede di sentenza definitiva. Alla posizione delle (OMISSIS) in tale sentenza, rileva la ricorrente, non e’ fatto alcun cenno, ed anzi la divisione con essa disposta presupponeva le interventrici non avessero alcun diritto a partecipare al giudizio di scioglimento della comunione. Nell’affermare che i soggetti aventi diritto alla divisione erano tre – e tra questi non erano comprese le sorelle (OMISSIS) – il Tribunale aveva quindi implicitamente estromesso le stesse dal giudizio, con statuizione sulla quale doveva ritenersi si fosse formato il giudicato implicito, atteso che nessuna impugnazione era stata proposta sul punto, non avendo gli altri coeredi interesse a far valere la mancata partecipazione delle (OMISSIS) alla divisione, e non potendo queste ultime impugnare la relativa statuizione, avendo il Tribunale accolto la loro richiesta di estromissione.
La Corte d’appello, sostiene la ricorrente, non avrebbe potuto desumere dal mancato espresso provvedimento sulla istanza di estromissione delle interventrici volontarie che queste ultime avessero conservato la loro veste di parti del processo, essendo una simile conclusione smentita dalla sentenza definitiva che non le aveva in alcun modo considerate nella decisione assunta. In sostanza, la formazione del giudicato implicito in ordine alla estraneita’ delle (OMISSIS) al giudizio impediva alla Corte d’appello di rilevare la non integrita’ del contraddittorio e di ordinare la integrazione dello stesso.
3. Il ricorso e’ fondato.
Occorre premettere che le Sezioni Unite di questa Corte hanno di recente osservato come l’attuazione dei principi del giusto processo, di cui all’articolo 111 Cost., imponga un contemperamento tra le esigenze di natura pubblicistica del litisconsorzio necessario ed il dovere del giudice di verificare preliminarmente la sussistenza di un reale interesse a contraddire in capo al soggetto pretermesso (Cass., S.U., n. 11523 del 2013).
Nel caso di specie, risulta evidente la carenza di interesse delle litisconsorti pretermesse alla partecipazione al giudizio di divisione, atteso che le stesse avevano concluso in primo grado chiedendo la loro estromissione dal processo; e cio’ sul rilievo della inesistenza in capo a loro della qualita’ di eredi, avendo esse agito in rappresentazione della loro madre, la quale, pero’, nel 1922 aveva gia’ ceduto la propria quota ereditaria, nella quale le interventrici pretendevano di subentrare per rappresentazione.
Siffatta circostanza, invero, doveva essere ritenuta dalla Corte territoriale di per se’ idonea ad escludere la necessita’ della integrazione del contraddittorio nei confronti di chi, pur avendo agito per rappresentazione, aveva comunque dichiarato il venir meno della propria partecipazione alla comunione ereditaria oggetto di divisione per effetto della cessione, da parte della loro dante causa, della quota ereditaria, la cui titolarita’ costituiva, appunto, il titolo di legittimazione al giudizio di divisione.
Questa Corte ha, del resto, avuto modo di affermare che il litisconsorzio necessario tra i coeredi, previsto nei giudizi aventi ad oggetto la divisione dei beni ereditari, trova applicazione finche’ non sia cessato lo stato di comunione mediante l’attribuzione ai singoli coeredi – nella specie, per accordo stragiudiziale – delle quote loro spettanti (Cass. n. 18218 del 2013). Ed e’ proprio questa la situazione che si e’ venuta a creare nel caso di specie: con la cessione della quota ereditaria da parte della dante causa delle due interventrici, queste ultime non hanno mai assunto la qualita’ di partecipanti alla comunione ereditaria, sicche’ la loro partecipazione al giudizio nella prospettata qualita’ di eredi della propria madre non poteva essere intesa come partecipazione necessaria.
Erroneamente, dunque, la Corte d’appello ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), dovendosi, nella specie, escludere una situazione di litisconsorzio necessario. Ne consegue che, essendo l’ordinanza di integrazione del contraddittorio stata erroneamente emessa, dalla mancata ottemperanza alla stessa non poteva discendere l’effetto della inammissibilita’ dell’appello.
3.1. In conclusione, il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, la quale procedera’ a nuovo esame del gravame facendo applicazione del seguente principio di diritto: premesso che l’attuazione dei principi del giusto processo, di cui all’articolo 111 Cost., impone un contemperamento tra le esigenze di natura pubblicistica del litisconsorzio necessario e il dovere del giudice di verificare preliminarmente la sussistenza di un reale interesse a contraddire in capo al soggetto pretermesso, nel giudizio di divisione ereditaria il litisconsorzio necessario, che sussiste nei confronti di tutti gli eredi, viene meno rispetto al coerede che, prima della introduzione del giudizio, abbia ceduto la propria quota ereditaria; ne’ tale litisconsorzio puo’ ritenersi sussistente nei confronti di chi, agendo in rappresentazione, ignorando la detta cessione da parte del proprio dante causa, abbia spiegato intervento nel giudizio di divisione. Ne consegue che l’omessa integrazione del contraddittorio – disposta in appello – nei confronti di tali parti, non comporta la inammissibilita’ del gravame.
Al giudice di rinvio e’ demandata altresi’ la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimita’.
Invero, l’articolo 70 c.p.c., comma 2, quale risultante dalle modifiche introdotte dal Decreto Legge 21 giugno 2013, n. 69, articolo 75 convertito, con modificazioni, nella Legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il pubblico ministero deve intervenire nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla legge. A sua volta il Regio Decreto 10 gennaio 1941, n. 12, articolo 76 come sostituito dal citato Decreto Legge n. 69, articolo 81 al comma 1 dispone che Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude: a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui all’articolo 376 c.p.c., comma 1, primo periodo. L’articolo 376 c.p.c., comma 1, stabilisce che Il primo presidente, tranne quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374, assegna i ricorsi ad apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in camera di consiglio.
Infine, il gia’ citato Decreto Legge n. 69 del 2013, articolo 75 quale risultante dalla Legge di conversione n. 98 del 2013, dopo aver disposto, al comma 1, la sostituzione dell’articolo 70 c.p.c., comma 2, e la modificazione dell’articolo 380-bis c.p.c., comma 2, e articolo 390 c.p.c., comma 1, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta esclusione della partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si tengono dinnanzi alla sezione di cui all’articolo 376, comma 1, al comma 2 ha stabilito che Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire dal giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e cioe’ a far data dal 22 agosto 2013.
Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento contenuto sia nel Regio Decreto n. 12 del 1941, articolo 76, comma 1, lettera b), (come modificato dal Decreto Legge n. 69 del 2013, articolo 81), sia nell’articolo 75, comma 2, citato, alle udienze che si tengano presso la Sesta sezione (e cioe’ quella di cui all’articolo 376 c.p.c., comma 1), consenta di ritenere non solo che la detta sezione e’ abilitata a tenere oltre alle adunanze camerali anche udienze pubbliche, ma anche che alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non e’ piu’ obbligatoria la partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la facolta’ dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’articolo 70 c.p.c., comma 3, e cioe’ ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza odierna e’ stato emesso in data 25 settembre 2013, sicche’ deve concludersi che l’udienza pubblica ben puo’ essere tenuta senza la partecipazione del rappresentante della Procura generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia integrale del ruolo di udienza e’ stata trasmessa, ravvisato un interesse pubblico che giustificasse la propria partecipazione ai sensi dell’articolo 70 c.p.c., comma 3.
2. Nel merito, con l’unico motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 99, 101, 102, 105, 112, 267 e seguenti, 306, 310, 324, 331 cod. proc. civ. e articolo 2909 cod. civ.
La ricorrente sostiene che il ragionamento in base al quale la Corte d’appello ha ritenuto necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), pur se corretto logicamente, non terrebbe comunque conto del fatto che le due interventrici, le quali avevano chiesto in sede di precisazione della conclusioni in primo grado di essere estromesse dal giudizio per difetto della qualita’ di eredi, erano implicitamente state estromesse dal Tribunale in sede di sentenza definitiva. Alla posizione delle (OMISSIS) in tale sentenza, rileva la ricorrente, non e’ fatto alcun cenno, ed anzi la divisione con essa disposta presupponeva le interventrici non avessero alcun diritto a partecipare al giudizio di scioglimento della comunione. Nell’affermare che i soggetti aventi diritto alla divisione erano tre – e tra questi non erano comprese le sorelle (OMISSIS) – il Tribunale aveva quindi implicitamente estromesso le stesse dal giudizio, con statuizione sulla quale doveva ritenersi si fosse formato il giudicato implicito, atteso che nessuna impugnazione era stata proposta sul punto, non avendo gli altri coeredi interesse a far valere la mancata partecipazione delle (OMISSIS) alla divisione, e non potendo queste ultime impugnare la relativa statuizione, avendo il Tribunale accolto la loro richiesta di estromissione.
La Corte d’appello, sostiene la ricorrente, non avrebbe potuto desumere dal mancato espresso provvedimento sulla istanza di estromissione delle interventrici volontarie che queste ultime avessero conservato la loro veste di parti del processo, essendo una simile conclusione smentita dalla sentenza definitiva che non le aveva in alcun modo considerate nella decisione assunta. In sostanza, la formazione del giudicato implicito in ordine alla estraneita’ delle (OMISSIS) al giudizio impediva alla Corte d’appello di rilevare la non integrita’ del contraddittorio e di ordinare la integrazione dello stesso.
3. Il ricorso e’ fondato.
Occorre premettere che le Sezioni Unite di questa Corte hanno di recente osservato come l’attuazione dei principi del giusto processo, di cui all’articolo 111 Cost., imponga un contemperamento tra le esigenze di natura pubblicistica del litisconsorzio necessario ed il dovere del giudice di verificare preliminarmente la sussistenza di un reale interesse a contraddire in capo al soggetto pretermesso (Cass., S.U., n. 11523 del 2013).
Nel caso di specie, risulta evidente la carenza di interesse delle litisconsorti pretermesse alla partecipazione al giudizio di divisione, atteso che le stesse avevano concluso in primo grado chiedendo la loro estromissione dal processo; e cio’ sul rilievo della inesistenza in capo a loro della qualita’ di eredi, avendo esse agito in rappresentazione della loro madre, la quale, pero’, nel 1922 aveva gia’ ceduto la propria quota ereditaria, nella quale le interventrici pretendevano di subentrare per rappresentazione.
Siffatta circostanza, invero, doveva essere ritenuta dalla Corte territoriale di per se’ idonea ad escludere la necessita’ della integrazione del contraddittorio nei confronti di chi, pur avendo agito per rappresentazione, aveva comunque dichiarato il venir meno della propria partecipazione alla comunione ereditaria oggetto di divisione per effetto della cessione, da parte della loro dante causa, della quota ereditaria, la cui titolarita’ costituiva, appunto, il titolo di legittimazione al giudizio di divisione.
Questa Corte ha, del resto, avuto modo di affermare che il litisconsorzio necessario tra i coeredi, previsto nei giudizi aventi ad oggetto la divisione dei beni ereditari, trova applicazione finche’ non sia cessato lo stato di comunione mediante l’attribuzione ai singoli coeredi – nella specie, per accordo stragiudiziale – delle quote loro spettanti (Cass. n. 18218 del 2013). Ed e’ proprio questa la situazione che si e’ venuta a creare nel caso di specie: con la cessione della quota ereditaria da parte della dante causa delle due interventrici, queste ultime non hanno mai assunto la qualita’ di partecipanti alla comunione ereditaria, sicche’ la loro partecipazione al giudizio nella prospettata qualita’ di eredi della propria madre non poteva essere intesa come partecipazione necessaria.
Erroneamente, dunque, la Corte d’appello ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), dovendosi, nella specie, escludere una situazione di litisconsorzio necessario. Ne consegue che, essendo l’ordinanza di integrazione del contraddittorio stata erroneamente emessa, dalla mancata ottemperanza alla stessa non poteva discendere l’effetto della inammissibilita’ dell’appello.
3.1. In conclusione, il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, la quale procedera’ a nuovo esame del gravame facendo applicazione del seguente principio di diritto: premesso che l’attuazione dei principi del giusto processo, di cui all’articolo 111 Cost., impone un contemperamento tra le esigenze di natura pubblicistica del litisconsorzio necessario e il dovere del giudice di verificare preliminarmente la sussistenza di un reale interesse a contraddire in capo al soggetto pretermesso, nel giudizio di divisione ereditaria il litisconsorzio necessario, che sussiste nei confronti di tutti gli eredi, viene meno rispetto al coerede che, prima della introduzione del giudizio, abbia ceduto la propria quota ereditaria; ne’ tale litisconsorzio puo’ ritenersi sussistente nei confronti di chi, agendo in rappresentazione, ignorando la detta cessione da parte del proprio dante causa, abbia spiegato intervento nel giudizio di divisione. Ne consegue che l’omessa integrazione del contraddittorio – disposta in appello – nei confronti di tali parti, non comporta la inammissibilita’ del gravame.
Al giudice di rinvio e’ demandata altresi’ la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimita’, ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.
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