SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I
SENTENZA 28 febbraio 2014, n. 9770
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Genova ha emesso il 1 marzo 2012 sentenza nei confronti di:
V.J.J.L. :
gli è stata ridotta da anni 6 e mesi 8 ad anni 5 di reclusione la pena infintagli in primo grado dal G.U.P. in sede col rito abbreviato e con attenuanti generiche per il reato, commesso in concorso con R.M.A.F. , di tentato omicidio di A.O. , da lui materialmente colpito con una coltellata all’emitorace destro, che aveva determinato shock emorragico da lesione epatica ed emotorace, in tal modo compiendo atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionarne la morte (artt. 110, 56, 575 cod. pen.).
La pena gli è stata ridotta in appello per essere la Corte territoriale partita da una pena base di anni 9 di reclusione, in luogo di quella di anni 12 di reclusione, ritenuta dal primo giudice, e per essergli stata inoltre diminuita la pena sia per le già concesse attenuanti generiche, sia per il rito abbreviato prescelto;
R.M.A.F. :
gli è stata ridotta da anni 7 e mesi 4 ad anni 4 di reclusione la pena infintagli in primo grado dal G.U.P. in sede col rito abbreviato e con attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante del motivo futile per il reato, commesso in concorso con V.J.J.L. , di tentato omicidio di A.O. , da lui tenuto fermo ed immobilizzato mentre il suo complice lo colpiva con arma da taglio in più parti del corpo, in particolare all’emitorace destro, che aveva determinato shock emorragico da lesione epatica ed emotorace, in tal modo compiendo atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionarne la morte, evento non verificatosi per il pronto intervento di un’autoambulanza (artt. 110, 56, 575, 577 comma 1 n. 4 cod. pen.).
La pena gli è stata ridotta in appello per essere stata esclusa nei suoi confronti l’aggravante del motivo futile di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen.; per essergli stata riconosciuta la diminuente di cui all’art. 116 cod. pen.; per essere la Corte territoriale partita da una pena base di anni 9 di reclusione in luogo di quella di anni 11 di reclusione ritenuta dal primo giudice; per le già concesse attenuanti generiche non più equivalenti all’aggravante di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen., come sopra detto esclusa nei suoi confronti; per essergli stata infine applicata la riduzione di pena connessa al rito abbreviato prescelto.
2.1 fatti sono avvenuti poco prima delle ore 4 del (OMISSIS) in (OMISSIS) , nei pressi della discoteca (OMISSIS) nel corso di un litigio avvenuto fra due contrapposti gruppi di equadoregni, dopo che la vittima aveva sferrato un pugno ad un congiunto del V. frantumandogli il setto nasale e sono stati ripresi dalle telecamere ubicate sul locale anzidetto, dall’esame dei cui fotogrammi era emerso come il V. aveva colpito una sola volta la vittima con un coltello all’addome, mentre il R. aveva trattenuto la vittima stessa per le braccia, pur quando il primo aveva indugiato nel ferire con il coltello la vittima.
3. V.J.J.L. formula due doglianze:
I) – erronea applicazione della legge penale e motivazione contraddittoria, in quanto la Corte territoriale aveva accertato che non c’era stata reiterazione dei colpi inferti alla p.o., essendo stato solo unico il colpo di coltello da lui sferrato, come aveva altresì potuto evincersi dalle riprese della telecamera installata in loco; e solo per una mossa improvvisa della p.o., in un momento di grande concitazione e confusione la stessa era stato colpito l’addome, mente era stata sua intenzione colpire in zona non vitale, per di più a seguito del comportamento aggressivo tenuto dalla vittima, che aveva colpito con un pugno un proprio congiunto, tale da rendere ravvisabile a suo favore la diminuente della provocazione.
Non sussisteva quindi il requisito psicologico proprio del tentato omicidio, essendo stata sua intenzione solo neutralizzare l’avversario; invero egli si era allontanato, dopo avere colpito una sola volta la vittima, si che non era provato avere egli voluto la morte del proprio connazionale, difettando l’essenziale requisito della direzione univoca degli atti alla causazione della morte della vittima;
II) – motivazione carente ed erronea circa la negata concessione dell’attenuante della provocazione e dell’intervenuto risarcimento del danno alla vittima prima del giudizio; con specifico riferimento a quest’ultima, non poteva ritenersi che il risarcimento di Euro 4.000,00 da lui offerto alla vittima non fosse congruo, versando egli in precarie condizioni economiche; comunque il primo giudice avrebbe potuto avvertirlo e chiedergli di integrare il risarcimento dei danni, siccome inadeguato; al contrario il primo giudice nulla aveva riferito sul punto in motivazione, in tal modo impedendogli una possibile integrazione economica del risarcimento, onde consentirgli di fruire della relativa attenuante.
4. R.M.A.F. formula due doglianze:
I) – erronea applicazione di legge e motivazione illogica, in quanto la sentenza impugnata aveva riconosciuto che la sua condotta non era stata concertata con quella del coimputato V. , essendosi trattato di due comportamenti autonomi ed indipendenti ed aveva ritenuto che egli, invece di impedire al V. di colpire la vittima, lo aveva agevolato, trattenendola mentre il V. la colpiva, in tal modo avendo ipotizzato nei suoi confronti il concorso anomalo di cui all’art. 116 cod. pen., il quale presupponeva pur sempre in un accordo criminoso fra il concorrente e l’agente principale, sebbene volto a commettere un reato diverso rispetto a quello effettivamente compiuto dall’agente; tuttavia nella specie mancava ogni previo accordo fra lui ed il V. neppure al fine di ferire la vittima e le loro condotte erano state infatti ritenute autonome ed indipendenti, si che non era ipotizzabile nella specie il concorso anomalo di cui all’art. 116 cod. pen.; non poteva ritenersi che egli avesse dato una sorta di adesione istantanea ed estemporanea all’azione autonoma ed indipendente del V. , nel momento in cui quest’ultimo in modo del tutto inopinato aveva accoltellato l’A. ; il colpo di coltello era stato infetto sotto i suoi occhi, ma nessun concorso poteva ipotizzarsi a suo carico solo perché non aveva staccato le mani dalle braccia della vittima o perché non era intervenuto a difenderla.
Per aversi concorso nel reato era necessario un comportamento che agevolasse sotto il profilo materiale l’azione dell’agente principale, aderendo sul piano psicologico al disegno criminoso di quest’ultimo; ed il fatto che egli si fosse trovato sul luogo del delitto non integrava gli estremi del concorso, essendosi egli limitato ad inseguire l’A. , il quale poco prima aveva colpito con un pugno un suo cugino, senza che egli avesse voluto uccidere la persona che si era limitato a bloccare;
II) – erronea applicazione di legge e parziale travisamento dei fatti, in quanto la sentenza impugnata aveva accertato che l’azione del V. era stata la reazione ad un precedente episodio, costituito dall’avere la vittima sferrato un pugno ad un suo congiunto; il che consentiva di ritenere in suo favore l’attenuante della provocazione di cui all’art. 62 n. 2 cod. pen., in quanto egli si era posto all’inseguimento dell’A. per averlo ritenuto autore di un gesto di violenza nei confronti di una persona che, oltre ad essere cognato del V. , era anche suo cugino, si che l’azione adesiva all’intento del V. era da ritenere originata da un fatto ingiusto della vittima, tale da avere suscitato in lui uno stato d’ira; l’attenuante era stata esclusa dalla sentenza impugnata per avere essa ritenuto che non poteva invocare l’attenuante della provocazione chi aveva inizialmente dato causa all’azione provocatoria del proprio antagonista; secondo la sentenza impugnata cioè il violento pugno inflitto dall’A. al suo parente era da collegare ad una precedente provocazione che l’A. aveva subito da un suo parente, a seguito della quale l’A. aveva gettato una bibita sulla sua camicia; tuttavia egli era rimasto del tutto estraneo al precedente diverbio e, comunque, l’A. , prima di sferrare il pugno al suo parente, aveva già in precedenza lanciato la bibita all’indirizzo del medesimo; comunque esso ricorrente non era al corrente di tali fatti anteriori, avendo solo percepito che l’A. aveva colpito con un pugno suo cugino; pertanto egli non aveva dato causa all’azione provocatoria dell’A. e neppure conosceva l’episodio provocatorio in precedenza commesso dai suoi parenti nei confronti dell’A. medesimo.
Considerato in diritto
1. È infondato il primo motivo di ricorso proposto da V.J.J.L. .
2. Con esso il ricorrente sostiene che nel suo comportamento non era ravvisabile la volontà di uccidere la vittima.
Va al contrario rilevato che appare incensurabile nella presente sede, siccome immune da vizi logici e da contraddizioni, la motivazione addotta dalla Corte territoriale per ritenere la sussistenza nel comportamento tenuto dal ricorrente dell’elemento psicologico del dolo omicidiario.
Esso è stato correttamente qualificato dalla sentenza impugnata come dolo diretto, nella sua manifestazione nota come dolo alternativo, che si ha quando, come nel caso in esame, l’agente prevede e vuole, con scelta sostanzialmente equipollente, l’uno o l’altro degli eventi alternativi causalmente collegabili al suo comportamento cosciente e volontario e cioè, nella specie, la morte ovvero il grave ferimento della vittima; e la giurisprudenza di questa Corte è concorde nel ritenere che il dolo diretto, nella sua qualificazione di dolo alternativo, è compatibile con l’omicidio tentato (cfr., in termini, Cass. 1A 20.10.97 n. 9949; Cass. 1A 25.5.07 n. 27620).
3.1 giudici di merito hanno desunto la sussistenza del dolo omicidiario nel comportamento tenuto dal ricorrente nei confronti della vittima, correttamente avendo valorizzato le concrete modalità della condotta tenuta, avendo egli usato come strumento di offesa un coltello, strumento in sé idoneo a cagionare la morte; avendo egli colpito la vittima con un solo preciso colpo in una zona del corpo ricca di organi vitali (addome con lesione epatica, shock emorragico ed emitorace) ed avendo infine indugiato con il coltello ampliandone in tal modo gli effetti lesivi; il che rafforzava il giudizio che si fosse trattato di azione voluta con forte determinazione.
La motivazione addotta dai giudici di merito per ritenere la sussistenza, nel comportamento del ricorrente, del dolo omicidiario sotto la forma del dolo alternativo nei confronti di A.O. è pertanto pienamente condivisibile, siccome immune da illogicità e contraddizioni (cfr., in termini, Cass. 2^ 23.5.07 n. 23419).
4. È altresì infondato il secondo motivo di ricorso proposto dal V. nella parte in cui lamenta la mancata concessione in suo favore dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. (avere risarcito il danno patrimoniale arrecato alla vittima).
La giurisprudenza di legittimità è invero orientata nel senso di ritenere che il giudice ben può negare l’attenuante della riparazione del danno, anche in presenza di una dichiarazione liberatoria della persona offesa, purché vengano esposte in modo specifico dal giudice le ragioni per le quali ritenga detta riparazione inadeguata ed il risarcimento operato dall’imputato comunque insufficiente (cfr. Cass. Sez. 5 n. 26388 del 20/3/2013, Benzoni, Rv. 256322).
Sul punto la sentenza impugnata ha adeguatamente indicato le ragioni per le quali non poteva ritenersi esaustivo il risarcimento ricevuto dalla parte offesa nella misura di Euro 4.000,00 da parte di entrambi gli imputati, siccome insufficiente per un completo ed adeguato ristoro del danno morale e delle sofferenze arrecate alla vittima, essendo stata la stessa in pericolo di vita, avendo essa subito un difficile intervento chirurgico ed avendo infine riportato una vistosissima cicatrice all’addome.
5. È invece fondato il secondo motivo di ricorso proposto dal V. , nella parte in cui lamenta la mancata concessione in suo favore dell’attenuante della provocazione, di cui all’art. 62 n. 2 cod. pen..
Sotto tale profilo esso è identico al secondo motivo di ricorso proposto dall’altro ricorrente R.M.A.F. , si che appare opportuna la loro trattazione unitaria.
È noto che, ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione, occorrono:
a) – uno stato d’ira, costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso particolarmente intenso ed irrefrenabile, tale da determinare la perdita dei poteri di autocontrollo e da ingenerare un forte turbamento, caratterizzato da violenti impulsi aggressivi;
b) – un fatto ingiusto altrui, che può consistere non solo in un comportamento antigiuridico in senso stretto, ma anche nell’inosservanza di norme sociali o di costume che regolano l’ordinaria convivenza civile;
c) – un rapporto di causalità psicologica fra l’offesa e la reazione, che può anche prescindere dalla sussistenza di una proporzionalità fra la prima e la seconda (cfr. Cass. 5^ 13.2.04 n. 12558; Cass. 11.2.08 n. 9775).
Ora, nella specie i giudici di merito hanno escluso che l’azione delittuosa di entrambi i ricorrenti sia stata determinata da un comportamento ingiusto tenuto dalla parte offesa, in quanto, pur avendo quest’ultima poco prima dell’evento omicidiario sferrato un pugno sul viso di un altro loro congiunto, la vittima sarebbe stata a sua volta in precedenza ferita al viso con una coltellata da persona appartenente al gruppo familiare dei due imputati. Si sarebbe stato quindi in presenza di provocazioni reciproche, tali da escludere la sussistenza dell’attenuante in esame.
Si osserva al contrario che, dalla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, è dato evincere che gli atti ostili nei confronti della vittima sono stati posti in essere da un familiare dei due ricorrenti in un momento di gran lunga anteriore a quello in cui la vittima ha a sua volta sferrato un pugno ad uno dei familiari dei due ricorrenti, si da non potersi mettere in relazione diretta ed immediata con tale ultimo episodio, con la conseguenza che non può negarsi, nella specie, avere la vittima compiuto, nell’immediatezza dei fatti, un grave atto ostile nei confronti dei due ricorrenti, idoneo a determinare un loro stato d’ira valutabile ai fini della concessione dell’attenuante in esame.
6. È infine infondato il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente R.M.A.F. lamenta che i giudici di merito lo abbiano ritenuto partecipe del reato di tentato omicidio di A.O. , pur se con le modalità attenuate di cui all’art. 116 cod. pen..
7. È noto che la giurisprudenza di legittimità ravvisa la responsabilità a titolo di concorso anomalo di cui all’art. 116 c.p., ritenuto nella specie dai giudici di merito a carico del ricorrente, allorché sussiste la volontà di partecipare con altri a realizzare un determinato evento criminoso ed allorché l’evento diverso e più grave, pur costituendo il logico sviluppo del reato meno grave da lui voluto, secondo l’ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, non sia stato da lui effettivamente previsto, si che, in ordine ad esso, non sia stato accettato il relativo rischio, posto che l’accettazione di tale ultimo rischio avrebbe comportato il concorso pieno, di cui all’art. 110 c.p.; è altresì noto che la prevedibilità dell’evento più grave deve essere valutata in concreto, tenendo conto della personalità dell’imputato e delle concrete circostanze di fatto nelle quali si è svolta l’azione (cfr. Cass. Sez. 5, n. 39339 dell’8.7.09, Rv. 245152).
8. Fatte tali premesse, va rilevato che la Corte territoriale, con motivazione conforme ai canoni della logica e priva di contraddizioni, ha correttamente ritenuto a carico del R. la sussistenza del concorso anomalo, di cui all’art. 116 c.p. nel tentato omicidio di A.O. , avendo rilevato come il medesimo avesse pur sempre fornito la propria adesione all’evento criminoso di cui è causa, pur materialmente posto in essere dal coimputato V. .
La Corte territoriale ha invero rilevato come il R. , pur non avendo concertato la condotta con il V. , ha pur sempre bloccato con le braccia la vittima mentre era intenta a fuggire, consentendo al coimputato ed esecutore materiale V. di raggiungere la vittima ed aveva continuato a trattenere la stessa pur essendo stato in grado di percepire che il coimputato gli si stava avventando contro armato di un coltello, senza avere in alcun modo impedito tale ultimo evento, ma anzi avendo agevolato l’esecutore materiale, avendo continuato a tenere bloccata la vittima; ed il comportamento tenuto dal ricorrente, peraltro chiaramente desunto dalle riprese di una telecamera ubicata in loco, correttamente è stato valutato dalla Corte territoriale nel senso che egli, pur non avendo voluto contribuire alla tentata uccisione della vittima, aveva pur sempre avuto la possibilità di prospettarsi il grave evento che si stava per verificare; invero, nella specie, la tentata uccisione dell’A. non poteva essere ritenuta dal ricorrente un evento atipico ed imprevedibile, essendo stato egli consapevole che il coimputato V. stesse, nella contingenza, per avventarsi sulla vittima armato di un micidiale coltello.
9. Da quanto sopra consegue l’annullamento dell’impugnata sentenza, limitatamente alla mancata concessione dell’attenuante della provocazione, con rinvio degli atti alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione affinché, in piena autonomia di giudizio, esamini nuovamente l’appello proposto sul punto da entrambi i ricorrenti, tenendo presenti le considerazioni sopra svolte.
10. Il ricorso di entrambi i ricorrenti va invece respinto nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di entrambi i ricorrenti limitatamente all’attenuante della provocazione e rinvia per nuovo giudizio al riguardo ad altra sezione della Corte d’appello di Genova; rigetta nel resto i ricorsi.
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