Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 13 febbraio 2014, n. 7046
Considerato in fatto
1. Con ordinanza in data 4 marzo 2013 il Tribunale di Firenze ha confermato in sede di riesame l’ordinanza emessa il 12 luglio 2012 dal Tribunale di Firenze in composizione collegiale con la quale era stato disposto il sequestro conservativo, a favore di H. International s.p.a., sui beni mobili e immobili, somme di denaro e crediti, fino alla concorrenza di euro 3.000.000,00, nei confronti di C.M.N., imputato dei reati di associazione per delinquere con l’aggravante della transnazionalità e di fabbricazione e immissione in commercio di ingenti quantitativi di prodotti di pelletteria contraffatti con il marchio di H. (art.473 c.p.).
2. Avverso la predetta ordinanza l’imputato propone, tramite il difensore, ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 316 cod. proc. pen. e 125 d.lgs. n. 30 del 2005 (codice di proprietà industriale) non essendo stati indicati gli elementi concreti in base ai quali era stato effettuata la determinazione del quantum oggetto di sequestro in favore di H. International in 3.000.000,00 di euro, determinazione effettuata peraltro in via equitativa senza indicare quanti fossero, anche in via approssimativa o presuntiva, i beni con marchio contraffatto e il ricavo della loro vendita; l’indicazione dell’importo al lordo dei ricavi mensili (135.000,00 euro) e il riferimento all’art.125 cod.p.i., che fa menzione tuttavia degli utili e non dei ricavi, erano fuorvianti, mentre l’indicazione del quantum debeatur in 3.000.000,00 di euro appariva come il risultato di mere congetture.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 125 e 316 cod. proc. pen. nella parte in cui è stato ravvisato il periculum in mora, in mancanza di elementi concreti e specifici circa la prevedibile mancanza o dispersione dei beni dell’imputato. L’esercizio a livello internazionale della condotta illecita contestata all’imputato, peraltro sottoposto alla misura cautelare del divieto di espatrio e non domiciliato anche a New York come erroneamente affermato nell’ordinanza impugnata, non avrebbe giustificato il sequestro conservativo, tenuto conto che l’esistenza di conti correnti all’estero (utilizzati per favorire il rientro in Italia dei profitti dell’attività illecita e non per trasferire all’estero denaro) era di per sé un elemento neutro, che la consistenza patrimoniale (anche immobiliare) del C. era sufficiente a coprire le eventuali obbligazioni risarcitorie e che le quote societarie sequestrate non avrebbero potuto essere agevolmente occultate o sottratte.
2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 316-bis cod. proc. pen. per essere il sequestro conservativo, disposto in assenza di un effettivo periculum in mora sulle quote societarie di tre società, comunque sovrabbondante rispetto alle reali esigenze del danneggiato andandosi ad aggiungere ad un esteso sequestro preventivo disposto dal giudice per le indagini preliminari ai sensi degli artt. 321 comma 2 c.p.p. e 474-bis cod. pen. su numerosi beni di proprietà del C. o di società a lui riconducibili, tra cui un immobile del valore di circa 8.000.000,00 di euro come da stima depositata dalla difesa all’udienza di riesame, ed avendo la confisca di cui all’art. 474-bis c.p., per la quale è stato disposto il sequestro preventivo, anche una finalità di soddisfazione delle pretese creditorie.
Ritenuto in diritto
3. Il ricorso va rigettato.
3.1. Il primo motivo è infondato.
Quanto alla determinazione del danno derivante da reato il Tribunale di Firenze aveva ritenuto che “allo stato degli atti e nella presente fase assolutamente iniziale dell’istruttoria dibattimentale …essa non può che effettuarsi in modo prudenziale e sulla base di criteri equitativi fondati di massima sulle emergenze dei verbali di esecuzione di sequestro preventivo già concesso”. Nell’ordinanza impugnata il giudice dell’appello cautelare ha puntualizzato che il danno costituito dalla pluriennale immissione in commercio o comunque in circolazione su scala mondiale di ingenti quantitativi di prodotti di pelletteria recanti il marchio H. aveva comportato per il titolare dei diritti di privativa quanto meno il conseguimento di minori ricavi e lo sviamento della clientela, nonché la compromissione dell’immagine commerciale, tenuto conto degli standard qualitativi raggiunti e della cura dedicata anche al confezionamento dei prodotti il cui prezzo di vendita non si discostava di molto da quelli originali (come risultava dalle intercettazioni telefoniche). Inoltre, si aggiunge nell’ordinanza impugnata, i ricavi delle vendite a B.I. Holding (che era solo uno dei principali acquirenti esteri di prodotti contraffatti) risultavano essere relativamente all’anno 2010 di circa 135.000,00 euro mensili, come risultava dai documenti contabili ed extracontabili sequestrati all’esito della perquisizione nei locali aziendali della M.C. s.r.l.. Il giudice dell’appello cautelare ha quindi ritenuto la correttezza della valutazione prudenziale effettuata dal Tribunale, soprattutto con riferimento all’art.125 d.lgs. n.30/2005 (codice della proprietà industriale) il quale prevede, al comma 3, quale criterio legale per la determinazione secondo equità del danno da contraffazione l’utile conseguito dal contraffattore. La valutazione contenuta nell’ordinanza impugnata comunque non si limita a richiamare il terzo comma della norma in questione, che fissa un criterio non alternativo a quelli dei precedenti commi (il primo comma prevede di ricostruire il danno sommando il danno emergente con il lucro cessante tenendo conto di tutti i fattori rilevanti, compresi “i benefici realizzati dall’autore della violazione e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione”; il secondo comma fissa il limite minimo del risarcimento, che non può essere comunque inferiore “a quello dei canoni che l’autore della violazione avrebbe dovuto pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso”), ma si aggiunge ad essi rinviando agli utili conseguiti dal contraffattore, che il titolare del diritto leso ha comunque diritto a percepire, per evitare che la contraffazione si traduca in un profitto per coloro che violano i diritti. Dalla motivazione risulta infatti che il giudice di merito ha tenuto conto, nei limiti di una valutazione prudenziale, di elementi ulteriori rispetto a quello dell’utile conseguito dal contraffattore, come la portata internazionale e la durata nel tempo dell’attività illecita e i connessi “benefici realizzati dall’autore della violazione” desunti dai consistenti ricavi conseguiti e, inoltre, le conseguenze economiche negative e lo sviamento della clientela per la società H.
3.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
La sussistenza del periculum in mora è stata adeguatamente motivata, indipendentemente dalla permanenza del domicilio del C. negli U.S.A., attraverso il riferimento alla moglie di nazionalità straniera e alla circostanza che “entrambi i coniugi operavano su conti correnti anche accesi all’estero e sui quali riversavano i versamenti degli acquirenti”, elemento sufficientemente dotato dei requisiti della concretezza e della specificità, unitamente alla prevedibile entità delle pretese risarcitorie, per esprimere il giudizio prognostico negativo in ordine alla conservazione delle garanzie patrimoniali del debito. Ai fini dell’adozione di un provvedimento di sequestro conservativo su richiesta del creditore privato, la sussistenza del periculum in mora deve infatti essere alternativamente valutata in riferimento all’originaria inadeguatezza o insufficienza del patrimonio dell’imputato in relazione all’ammontare delle pretese risarcitorie e del complesso dei crediti che gravano su tale patrimonio, tale da evidenziare la necessità di assicurare un privilegio ai creditori da reato, ovvero all’insorgenza di un rischio di dispersione o diminuzione della garanzia patrimoniale, capace di determinare, in riferimento ai medesimi parametri in precedenza indicati, l’esigenza di applicare un vincolo reale idoneo ad assicurarne la conservazione anche con riferimento ad una situazione almeno potenziale, desunta da elementi certi ed univoci, di depauperamento del patrimonio del debitore. (Cass. sez. II 21 settembre 2012 n. 44148, P.M. in proc. Galofaro; sez. VI 15 marzo 2012 n.20923, Lombardi; sez. VI 26 novembre 2010 n. 43660, P.C. in proc. Cesaroni; sez. V 16 febbraio 2010 n.11291, Leone). Del tutto generico è il riferimento del ricorrente alla sufficienza dei beni immobili compresi nel suo patrimonio a soddisfare le ragioni del danneggiato in caso di condanna. Quanto alle quote societarie, di non agevole occultamento o sottrazione, sequestrate in esecuzione del provvedimento di sequestro conservativo, la Corte rileva che la natura dei beni sottoposti a sequestro conservativo è argomento che esula dall’ambito del giudizio di legittimità, circoscritto in caso di ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse a norma degli artt. 322-bis e 324 cod. proc. pen., in materia di misure cautelari reali, solo per violazione di legge.
3.3. Il terzo motivo è del pari infondato.
Le finalità e le modalità di esecuzione del sequestro preventivo non sono di per sé idonee a realizzare quelle proprie del sequestro conservativo, sicché è ammissibile non solo la coesistenza dei due sequestri sugli stessi beni, ma anche il succedersi nel tempo dei vincoli reali, sempre che ne ricorrano i presupposti di applicazione (Cass. sez. VI 16 marzo 2011 n. 13142, Peli; sez. V 23 maggio 1995 n.1432, Giovannini). Peraltro la ratio sottesa al sequestro conservativo è essenzialmente quella recuperatoria di crediti, pubblici o privati ed ha una portata operativa che travalica gli ambiti del tradizionale sequestro preventivo, ma anche quelli del sequestro funzionale alla confisca di valore.
Non è del resto necessario che l’importo del credito da garantire con sequestro conservativo sia determinato, essendo sufficiente che sia determinabile con qualche approssimazione (Cass. sez. V 8 maggio 2005 n.28268, Turku; Sez. Un. 26 giugno 2002 n. 34623, Di Donato). Non diversamente, non è necessaria una stima puntuale dei beni sottoposti alla relativa cautela, essendo sufficiente una valutazione complessiva, di natura sintetica, del valore degli stessi, in relazione al presumibile danno arrecato agli istanti (Cass. sez. V 25 giugno 2010 n.35525, Dal Pozzo).
4. Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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