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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza  16 settembre 2013, n. 21100

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 26 maggio 1997, la s.n.c. Calzificio CFC di C.M., ha convenuto davanti al Tribunale di Perugia il Comune di Valfabbrica (PG), chiedendone la condanna al risarcimento dei danni provocati da un incendio sviluppatosi nel parco pubblico comunale, in adiacenza alla rete di confine con lo stabilimento dell’attrice, e propagatosi all’interno della proprietà.
Il Comune ha resistito alla domanda, negando ogni sua responsabilità.
Il Tribunale di Perugia ha accolto la domanda risarcitoria entro i limiti del 50%, ravvisando il concorso di colpa della danneggiata al 50%, per avere questa ammassato materiali infiammabili (cartoni e scarti in tessuti sintetici) in corrispondenza del muro di confine, al di sotto di una pensilina costruita senza rispettare la distanza legale dal confine, ed ha liquidato in favore della danneggiata la somma di € 5.205,96, oltre interessi e rivalutazione.
Proposto appello dalla danneggiata, a cui ha resistito il Comune, con sentenza la Corte di appello di Perugia, con sentenza depositata il 12 aprile 2007 n. 114 e notificata il 3 agosto 2007, ha ravvisato la responsabilità esclusiva del Comune ed, in riforma della sentenza di primo grado, ha liquidato in risarcimento dei danni la somma di € 10.411,92, oltre rivalutazione monetaria, interessi e spese processuali.
Con atto notificato il 12 novembre 2007 il Comune dì Val Fabbrica propone tre motivi di ricorso per cassazione.
Resiste l’intimata con controricorso.
Il Collegio raccomanda la motivazione semplificata.

Motivi della decisione

1. – La Corte di appello, premesso che unica questione controversa è quella concernente la configurabilità o meno di un concorso di colpa del danneggiato, essendo stata accertata la responsabilità del Comune ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. per il fatto che l’incendio si è sviluppato all’interno della proprietà comunale e da qui si è propagato allo stabilimento del Calzaturificio, ha ritenuto che non possa attribuirsi a colpa del danneggiato il fatto di avere ammassato materiali all’interno della sua proprietà e a ridosso del muro di confine, essendo del tutto imprevedibile il fatto che si potesse sviluppare e propagare un incendio dal parco confinante – evento mai verificatosi in precedenza – ed essendovi un muro di confine di notevole altezza, sovrastato da una rete, sì da costituire un’efficace barriera taglia-fuoco, e trattandosi di materiale per lo più non infiammabile (macchinari), se non per la parte costituente i cartoni di imballaggio.
Ha specificato che il fatto che i materiali fossero collocati sotto una pensilina in ferro, costruita a distanza inferiore a quella legale, non ha avuto alcuna efficienza causale in ordine al sinistro.
2. – Con il primo motivo il Comune di Val Fabbrica denuncia violazione degli art. 1227 e 2056 cod. civ. e con il secondo motivo omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, quanto all’esclusione del concorso di colpa.
2.1. – I motivi sono manifestamente infondati, quando non inammissibili, poiché il ricorrente, pur richiamando formalmente anche la violazione di norme di diritto, pone in realtà in discussione solo gli accertamenti e le valutazioni in fatto mediante le quali la Corte di appello ha ritenuto di escludere l’addebitabilità di un qualunque concorso di colpa alla danneggiata: accertamenti e valutazioni che risultano adeguatamente motivati ed oggettivamente condivisibili.
Il proprietario non ha alcun obbligo di utilizzare in un modo o nell’altro il proprio fondo, né incorre in alcun divieto di sistemarvi oggetti ed attrezzi nel modo ritenuto più conveniente, qualora non sussista alcun elemento o circostanza idonei a dimostrare la pericolosità di una data sistemazione.
Il ricorrente non afferma di avere dedotto o dimostrato alcunché, nelle competenti sedi di merito, circa la prevedibilità del sinistro verificatosi, quindi circa l’imputabilità ad imprudenza o a negligenza del danneggiato del fatto di avere collocato la sue merce in quel particolare punto dalla sua proprietà, come ha correttamente rilevato la Corte di appello.
Né sono consentite in questa sede ulteriori indagini in merito.
3. – Con il terzo motivo il ricorrente censura il provvedimento di liquidazione delle spese, a cui la Corte di appello avrebbe proceduto parametrando le somme attribuite sul valore della controversia posto a base della domanda attrice, anziché sul valore effettivamente liquidato.
4. – Il motivo è manifestamente infondato, ove si consideri che le spese di entrambi i gradi del giudizio sono state compensate per un terzo e poste a carico del Comune solo per i rimanenti due terzi, proprio in considerazione della parziale soccombenza del Calzaturificio in ordine al quantum risarcitorio.
Né il ricorrente ha dimostrato – come sarebbe stato suo onere – che anche la riduzione di un terzo delle somme liquidate ha comportato l’attribuzione alla parte vittoriosa di somme superiori ai massimi di tariffa: unico aspetto in relazione al quale la decisione sarebbe suscettibile di censura in sede di legittimità (Cass. Civ. Sez. Lav., 23 agosto 2003 n. 12413; Cass. Civ. Sez. 3, 24 ottobre 2007 n. 22347; Cass. Civ. Sez. 2, 16 febbraio 2007 n. 3651, ed altre).
5. – Il ricorso deve essere rigettato.
6. – Le spese processuali, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in € 2.000,00, di cui € 200,00 per spese ed € 1.800,00 per compensi; oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

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