L’obbligo di provvedere in ordine all’apposizione in loco di adeguati segnali di pericolo incombe sull’ufficio tecnico comunale: si tratta di misure di cautela e prudenza tanto più rilevanti per fronteggiare il pericolo, quanto più lunghi si prospettano i tempi di predisposizione del progetto per le opere di manutenzione, la sua approvazione e la successiva esecuzione dei lavori. Risponde, pertanto, di rifiuto di atti d’ufficio il responsabile dell’ufficio tecnico che non si attiva per predisporre la segnaletica informativa circa lo stato di dissesto di una strada.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI
SENTENZA 31 luglio 2013, n.33235
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 7 dicembre 2011 la Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza pronunciata il 18 novembre 2010 dal Tribunale di Trapani, che condannava P.G. alla pena di mesi quattro di reclusione per il delitto di cui all’art. 328, comma 1, cod. pen., commesso in data anteriore e fino al (omissis) , per avere, quale responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Favignana, rifiutato di predisporre senza ritardo misure idonee ad eliminare il pericolo esistente in una strada comunale che presentava un’anomalia altimetrica trasversale al manto stradale a causa della presenza di radici di alberi – il cui stato di abbandono e degrado era stato oggetto, peraltro, di numerose segnalazioni da parte di privati e della Polizia municipale sin dal 14 ottobre 2003 – ovvero di segnalarne, quanto meno, la presenza agli utenti con la collocazione di apposita segnaletica.
1.1. La sentenza di primo grado ha fondato il giudizio di responsabilità su quanto attestato da tre documenti: la lettera manoscritta inoltrata da R.N. al Sindaco del Comune di (OMISSIS), nonché le due segnalazioni datate 13 aprile 2004 e 22 ottobre 2005 del vigile urbano D. , indirizzate al responsabile dell’ufficio tecnico comunale, nelle quali veniva segnalata la presenza di dossi sul manto stradale -causati dalle radici degli alberi – costituenti pericolo per la sicurezza della viabilità in ragione della possibile, e peraltro già insorta, verificazione di sinistri, suggerendo altresì la collocazione di una segnaletica indicativa dello stato di dissesto stradale. Altro elemento di prova indicato dal Tribunale era rappresentato dalla verificazione del sinistro di cui era rimasto vittima in data 30 settembre 2005 S.A. , caduto al suolo mentre, a bordo del proprio ciclomotore, era incappato nel già segnalato dosso sulla strada comunale (OMISSIS) , riportando serie lesioni personali. In ordine all’effettiva conoscenza di tale situazione di rischio il Tribunale valorizzava una serie di elementi di prova documentale e testimoniale, tra i quali, in particolare, una nota a firma dell’imputato in data 31 gennaio 2006, con la quale egli aveva riscontrato una richiesta avanzata dai Carabinieri di Favignana circa eventuali interventi di manutenzione eseguiti sulla strada comunale in questione in relazione al sinistro occorso al S. , figlio dell’ex comandante della locale Polizia municipale, ed aveva fatto riferimento alla presenza di radici di alberi, circostanza che non avrebbe potuto ricavare dalla prima nota inoltrata dal R. , unica di cui sosteneva di avere avuto conoscenza, ma priva di qualsiasi riferimento a tale stato di fatto. Nella motivazione della pronuncia di primo grado veniva altresì posta in evidenza la circostanza relativa all’avvenuta conoscenza della seconda, ed ancor più allarmante, nota del D. in data 22 ottobre 2005, indirizzata al solo Ufficio tecnico comunale, protocollata al nr. 3636 del registro interno in uso a quell’ufficio, che la teste G. , addetta al protocollo, aveva affermato di avere consegnato al responsabile e destinatario, ossia al P. .
Il Tribunale riteneva comunque dimostrato che il P. avesse acquisito piena conoscenza dello stato dei luoghi nell’aprile-maggio 2006, quando vi aveva inviato per un sopralluogo il tecnico M. ed aveva poi ricevuto la comunicazione ufficiale della pendenza di una richiesta, avanzata dal S. nei confronti del Comune, di risarcimento dei danni per il sinistro riportato lungo la predetta strada comunale, per cui addebitava all’imputato di non avere – a fronte delle difficoltà di reperire nel bilancio comunale le somme per apprestare celermente un cantiere per provvedere alle necessarie manutenzioni – fatto collocare del cartelli indicativi dello stato di pericolo.
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto personalmente ricorso per cassazione l’imputato, deducendo tre motivi di doglianza il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente riassunto.
2.1. Violazione di legge e difetto di motivazione per travisamento di prova documentale in atti, avendo la Corte d’appello erroneamente affermato che la prima lettera del R.N. e la prima e la seconda relazione di servizio del vigile urbano D. fossero dirette ad ottenere un intervento con la rappresentazione di una situazione allarmante, e non piuttosto a descrivere un quadro generale della situazione in cui versavano quasi tutte le strade del Comune di Favignana.
Nella su citata lettera, in particolare, non si faceva cenno alla situazione di pericolo e dal suo contenuto, addirittura, non si evinceva alcuna descrizione specifica del dislivello dell’asfalto, mentre le suddette relazioni di servizio non prestavano alcuna particolare attenzione alla strada in oggetto, né segnalavano alcuna situazione di allarme, o d’urgenza o di indifferibilità dell’intervento di manutenzione, ovvero dell’apposizione di segnaletica nel tratto di strada in cui si era verificato l’incidente occorso al figlio del comandante della Polizia municipale, S.A. . Esse, pertanto, si limitavano a descrivere un elenco di strade che, tutte allo stesso modo, presentavano la necessità di un intervento manutentivo.
Infine, contrariamente a quanto affermato nell’impugnata pronunzia, il ricorrente venne a conoscenza del predetto incidente stradale solo dopo 8-9 mesi dal verificarsi dell’evento, ossia quando, nell’aprile-maggio del 2006, il dirigente del 1^ settore gli comunicò ufficialmente la pendenza di una richiesta di risarcimento dei danni al Comune di Favignana.
2.2. Violazione di legge e difetto di motivazione con travisamento della prova in relazione all’elemento psicologico del delitto di cui all’art. 328 c.p., avendo l’impugnata pronunzia omesso qualsiasi considerazione sulle ragioni per le quali il ricorrente, nel momento in cui ha acquistato piena conoscenza (nel gennaio 2006 o, al più, nella primavera di quell’anno) non solo dello stato di pericolo, ma anche del sinistro occorso al S. , immediatamente si è attivato inviando un tecnico sui luoghi e predisponendo un progetto per le opere di manutenzione ed il reperimento dei fondi per la successiva esecuzione dei lavori di ripristino del manto stradale. Inoltre, il fatto di non avere predisposto nessuna segnaletica di pericolo costituisce una mera inerzia, un semplice non tacere, che non esprime la volontà negativa del soggetto agente, né può essere qualificato come rifiuto implicito di provvedere.
2.3. Violazione di legge in relazione all’art. 328, comma 1, c.p., non potendo propriamente ricondursi a tale fattispecie l’omissione di atti rilevanti esclusivamente all’interno dei rapporti tra diverse amministrazioni o, come nel caso che ne occupa, fra meri uffici dello stesso apparato amministrativo. Al riguardo il ricorrente sottolinea, in particolare, che, escludendo la lettera del R. dell’ottobre del 2003, di cui non ha avuto conoscenza poiché non era stato ancora nominato dirigente dell’ufficio tecnico del Comune di Favignana, ed escludendo che la stessa fosse una diffida ad adempiere o che il privato avesse segnalato una situazione di pericolo, le relazioni di servizio dell’agente di Polizia municipale D. si pongono quali atti interni del medesimo ente.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è inammissibile, in quanto fondato su profili di doglianza che, per un verso, riproducono argomentazioni già sviluppate in sede di appello – ma dalla Corte distrettuale, nonché dallo stesso Giudice di prime cure, ampiamente vagliate e correttamente disattese nelle relative pronunzie – per altro verso, rinviano ad una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, imperniata sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal guisa sollecitando un tipo di sindacato improponibile in questa Sede, a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali dell’impugnata decisione.
Il ricorso, dunque, non è volto a rilevare mancanze argomentative ed illogicità ictu oculi percepibili, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che ha adeguatamente ricostruito i fatti posti alla base del tema d’accusa.
In tal senso la Corte territoriale, sulla base di quanto specificamente esposto in narrativa, ha preso criticamente in esame tutte le deduzioni e le obiezioni mosse dalla difesa ed è pervenuta alla decisione impugnata attraverso un esame completo ed approfondito delle risultanze processuali.
Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella sentenza del Giudice di prime cure, la cui struttura motivazionale viene a saldarsi perfettamente con quella di secondo grado, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte di merito ha disatteso con puntuali argomentazioni la diversa ricostruzione prospettata dalla difesa, concludendo nel senso che, pur a fronte della certa conoscenza, acquisita nel gennaio 2006, o, al più, nella primavera di quell’anno, di uno stato di fatto che rappresentava un pericolo per la sicurezza della circolazione stradale e delle persone in transito su quella strada comunale, nonché della richiesta di risarcimento dei danni che il S. aveva lamentato per effetto di un sinistro cagionato proprio da quella situazione di dissesto, l’imputato aveva omesso di adottare una cautela immediata – peraltro agevolmente approntabile senza spese aggiuntive per l’ente – che, senza interdire la fruibilità della sede stradale, rendesse comunque edotti gli utenti dell’esistenza di un pericolo derivante dalla presenza di un dosso.
Sotto altro, ma connesso profilo, inoltre, l’impugnata pronuncia ha posto in evidenza, sulla base di una ricostruzione coerentemente illustrata del compendio storico-fattuale oggetto della regiudicanda e come tale non sottoponibile a censura in questa Sede, come l’imputato, proprio in ragione della sua posizione di vertice all’interno dell’apparato amministrativo comunale e della sua specifica competenza tecnica e preparazione professionale, fosse senz’altro a conoscenza non solo della segnalata emergenza, ma anche delle misure di minimo contenuto tecnico necessarie per rendere nota alla collettività la presenza di quell’insidia.
Entro tale prospettiva, infatti, la Corte distrettuale non ha mancato di richiamare le emergenze probatorie oggetto delle valutazioni sul punto già linearmente esposte dal Tribunale, condividendone criticamente l’esito anche alla luce delle correlative obiezioni difensive e congruamente argomentando nel senso che, seppure l’assenza di mezzi finanziari non avesse consentito l’eliminazione dello stato di dissesto del manto stradale, sarebbe stata comunque possibile e necessaria, oltre che agevolmente realizzabile sulla base dei contrassegni e dispositivi in dotazione dell’ente, la predisposizione di una misura alternativa egualmente efficace, consistente nella collocazione, nel tratto interessato, di una specifica segnaletica indicativa dell’esistenza di una oggettiva situazione di pericolo per la sicurezza degli utenti. In attesa della dell’esecuzione degli interventi di manutenzione e sistemazione di quel tratto di strada, infatti, risultava comunque evidente una situazione di urgenza e necessità che oggettiva mente imponeva di far fronte al perdurare dello stato di pericolo.
Al riguardo, peraltro, i Giudici di merito hanno sottolineato che l’obbligo di provvedere in ordine all’apposizione in loco di adeguati segnali di pericolo incombeva senz’altro sull’ufficio tecnico comunale del quale l’imputato era responsabile: si trattava, inoltre, di misure di cautela e prudenza tanto più rilevanti per fronteggiare il pericolo, quanto più lunghi si prospettavano i tempi di predisposizione del progetto per le opere di manutenzione, la sua approvazione e la successiva esecuzione dei lavori.
4. Siffatta ricostruzione, come già osservato incensurabile in linea di fatto, deve ritenersi anche giuridicamente corretta, ove si consideri che la fattispecie incriminatrice in esame è compiutamente integrata sia dall’indebito diniego o dall’inerzia di comportamento doveroso in presenza di una richiesta o di un espresso ordine, sia quando – pur in assenza di tali specifiche sollecitazioni – sussista un’urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell’atto che, per una qualsiasi delle ragioni ivi espressamente indicate, debba essere compiuto senza ritardo. È dunque irrilevante il profilo, accennato nel ricorso, ma non specificamente dedotto quale motivo di impugnazione in sede d’appello, inerente alla connotazione, interna o esterna all’ente comunale della ‘fonte’ di conoscenza della specifica situazione di pericolo da rimuovere per la sicurezza della circolazione stradale. Infatti, il rilievo dato dalla norma alla oggettiva impellenza di determinati interventi (‘indebitamente rifiuta un atto…che deve essere compiuto senza ritardo’) induce a ritenere che la sollecitazione al compimento dell’atto, ove non sia espressamente prevista la necessità di una richiesta o di un ordine, ben può essere costituita anche dalla evidente sopravvenienza dei presupposti oggettivi che richiedono l’intervento e l’adozione dell’atto.
In tal senso, questa Suprema Corte ha da tempo affermato il principio secondo cui la condotta di rifiuto prevista dall’art. 328 c.p. si verifica non solo a fronte di una richiesta o di un ordine, ma anche quando sussista un’urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell’atto, in modo tale che l’inerzia del pubblico ufficiale assuma la valenza di rifiuto dell’atto medesimo (Sez. 6, n. 4995 del 07/01/2010, dep. 08/02/2010, Rv. 246081; Sez. 6, n. 17570 del 16/03/2006, dep. 22/05/2006, Rv. 2338S8; Sez. 6, n. 31713 del 12/03/2003, dep. 28/07/2003, Rv. 226218; v., inoltre, Sez. 4, n. 17069 del 16/02/2012, dep. 08/05/2012, Rv. 253067). È altresì noto che, ai fini della configurabilità del reato di rifiuto di atti d’ufficio, si rende necessaria la condizione che il pubblico ufficiale sia consapevole del suo contegno omissivo, nel senso che deve rappresentarsi e volere la realizzazione di un evento ‘contra jus’; tale requisito di illiceità speciale delimita la rilevanza penale solamente a quelle forme di diniego di adempimento che non trovino alcuna plausibile giustificazione alla stregua delle norme che disciplinano il dovere di azione, e senza che ciò implichi il fine specifico di violare i doveri imposti dal proprio ufficio (Sez. 6, n. 8996 del 11/02/2010, dep. 05/03/2010, Rv. 246410; Sez. 6, n. 8949 del 03/07/2000, dep. 09/08/2000, Rv. 217665).
Al riguardo, sulla base della linea interpretativa in tal guisa tracciata, non può non rilevarsi come la Corte d’appello abbia fatto buon governo del quadro di principii che regolano la materia, uniformandosi alle indicazioni in questa Sede dettate, laddove ha motivatamente confermato le analoghe valutazioni già espresse sul punto dal Giudice di prime cure, ponendo in rilievo come l’imputato, nonostante la certa acquisizione della conoscenza di una oggettiva e rilevante situazione di persistente pericolo per la sicurezza della viabilità – e finanche di danno concreto, come emergente dalla stessa causazione di un sinistro stradale nel tratto interessato – non abbia fatto seguire nell’immediato l’adozione di alcun provvedimento, che peraltro era in suo potere emanare, né l’ordine di sistemarvi, quanto meno, l’opportuna segnaletica stradale, attivandosi in tempi rapidi, e senza l’aggravio di ulteriori spese aggiuntive, attraverso l’utilizzo di contrassegni e dispositivi in dotazione dell’ente, poiché accertati come senz’altro disponibili presso i magazzini comunali.
5. La Corte d’appello, pertanto, ha compiutamente esposto le ragioni per le quali ha ritenuto sussistenti gli elementi richiesti per la configurazione del delitto de quo, ed ha evidenziato al riguardo gli aspetti maggiormente significativi, dai quali ha tratto la conclusione che gli argomenti prospettati dalla difesa erano in realtà privi di ogni aggancio probatorio e si ponevano solo quali mere ipotesi alternative, peraltro smentite dal complesso dogli elementi di prova processualmente acquisiti.
La conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata riposa, in definitiva, su un quadro probatorio giudicato completo ed univoco, e come tale in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logica. In questa Sede, invero, a fronte di una corretta ricostruzione del compendio storico-fattuale, non può ritenersi ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti oggetto della regiudicanda, dovendo la Corte di legittimità limitarsi a ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza alcuna possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle correlative acquisizioni processuali.
6. Il ricorso è dunque inammissibile ed il ricorrente, a norma dell’art. 616 c.p.p., va condannato al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento di una somma, che si ritiene equo determinare nella misura di Euro 1.000,00, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Leave a Reply