Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|24 maggio 2024| n. 14555.
Danni causati da animali selvatici trova applicazione la presunzione di responsabilità del danno cagionato da animali
In tema di risarcimento per danni causati da animali selvatici trova applicazione la presunzione di responsabilità del danno cagionato da animali, di cui all’art. 2052 c.c. prevista per gli animali domestici, con la conseguente responsabilità per i danni delle specie selvatiche, in quanto proprietà indisponibile dello Stato affidata Regione. Ed in tale ottica, è onere del danneggiato fornire solo la prova che il danno sia stato causato da un animale selvatico.
Ordinanza|24 maggio 2024| n. 14555. Danni causati da animali selvatici trova applicazione la presunzione di responsabilità del danno cagionato da animali
Data udienza 8 maggio 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Responsabilità civile – Risarcimento danni – Danni alla persona – Fauna selvatica – Art. 2043 cc – Responsabilità della Regione
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere – Rel.
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere
Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19617/2020 R.G. proposto da:
REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA, in persona del rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dagli avvocati DE.MI. e VO.ET., presso l’indirizzo di posta elettronica certificata dei quali è domiciliata per Legge;
– ricorrente –
contro
Au.Di., rappresentata e difesa dall’avvocato FE.CH., presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata è domiciliata per Legge;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TRIESTE n. 100/2020 depositata il 17/03/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/05/2024 dal Consigliere PASQUALE GIANNITI.
Danni causati da animali selvatici trova applicazione la presunzione di responsabilità del danno cagionato da animali
FATTI DI CAUSA
1. Nel marzo 2014 Au.Di. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Trieste la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e la Provincia di Trieste, chiedendo condannarsi le convenute al risarcimento ex art. 2043 c.c. dei danni, patrimoniali e non, conseguenti al ferimento alla gamba sinistra ad opera di un cinghiale, che, nella giornata del 4.7.2012, l’aveva aggredita mentre si trovava nel giardino di una privata abitazione.
Si costituiva la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, che, in via preliminare, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva; nel merito, deduceva l’infondatezza della pretesa attorea, allegando di aver correttamente posto in essere gli strumenti previsti dalla Legge per limitare la riproduzione dei cinghiali; in via subordinata, rilevava la sussistenza di un concorso di colpa della danneggiata, per non aver allestito alcuna recinzione a protezione del fondo.
La Provincia di Trieste, a sua volta, contestava la domanda attorea, deducendo che nulla poteva esserle addebitato, avendo fatto corretto uso della facoltà di eseguire prelievi di cinghiali anche in deroga alla normativa a tutela della fauna selvatica e rilevando che l’attrice, pur essendo a conoscenza del pericolo derivante dalla vicinanza di un’ampia zona boschiva, non aveva installato alcuna protezione a tutela dell’abitazione.
Danni causati da animali selvatici trova applicazione la presunzione di responsabilità del danno cagionato da animali
Il giudice di primo grado – istruita la causa a mezzo di prova testimoniale e di consulenza medico legale sulla persona dell’attrice ed all’esito, con sentenza n. 484/2018, per quanto qui rileva, accertava e dichiarava la responsabilità della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia per l’aggressione del cinghiare subita il 4.7.2012 dalla Au.Di. e condannava la Regione a corrispondere alla Au.Di., a titolo di risarcimento del danno, l’importo di 37.296,49 euro, oltre interessi nella dalla data del fatto alla data del saldo.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva impugnazione la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, cui nelle more erano state trasferite le funzioni svolte dalla soppressa Provincia di Trieste, che ne aveva chiesto la riforma.
Si costituiva nel giudizio di impugnazione l’originaria parte attrice.
La Corte d’appello di Trieste con sentenza n. 100/2020, rigettando l’appello, confermava integralmente la sentenza di primo grado, condannando la Regione alla rifusione delle spese processuali.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso la Regione.
Ha resistito con controricorso la Au.Di., che ha presentato anche memoria a sostegno delle proprie ragioni.
La Corte si è riservata il deposito della motivazione entro sessanta giorni dalla data di decisione.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, dopo aver illustrato il quadro normativo di riferimento, articola in ricorso due motivi.
1.1. Con il primo motivo la Regione ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., omessa e/o insufficiente motivazione, violazione dell’art. 2697 c.c. in materia di onere della prova nella parte in cui la corte territoriale ha ad essa attribuito la responsabilità ” in totale spregio e in aperta violazione dei presupposti per invocare una responsabilità ex art. 2043 c.c. …, non avendo fatto alcun cenno: né alla pericolosità concreta dello specifico luogo del sinistro; né all’allegazione e prova di alcuno dei richiamati elementi costitutivi della paventata responsabilità”, ma essendosi limitata a ritenerla responsabile “per il solo fatto della asserita verificazione del danno e della mera allegazione della presenza in Regione di un numero eccessivo di esemplari di cinghiali.
Sottolinea che, trattandosi di responsabilità regolata ex art. 2043 c.c., è a carico del danneggiato la prova della individuazione del pericolo concreto, del nesso causale e della colpa; mentre nel caso di specie parte attrice non aveva neppure allegato quale specifica condotta omissiva o commissiva sia stata n rapporto causale con il paventato danno e quale comportamento in concreto l’ente avrebbe dovuto tenere per evitarlo.
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Osserva, in particolare, che la corte territoriale avrebbe dovuto valutare, attraverso un giudizio controfattuale fondato su basi probabilistiche, se, nell’ipotesi in cui il comportamento in ipotesi da essa dovuto e non tenuto, l’evento si sarebbe o meno evitato.
Si duole che la corte di merito – dopo aver erroneamente ritenuto sufficiente per sussumere il caso nell’ipotesi di cui all’art. 2043 c.c. il fatto che la Au.Di. aveva allegato la presenza di un numero eccessivo di esemplari nelle adiacenze della propria abitazione e l’esistenza di una situazione di pericolo a persone e cose – ha erroneamente affermato la sua responsabilità “per aver omesso di adottare misure idonee ad arginare il progressivo e ingravescente pericolo, più volte segnalato negli articoli di cronaca locale, dell’avvicinarsi dei cinghiali alle abitazioni poste in prossimità delle zone boschive, in tal modo sottovalutando, nell’ambito della propria attività di indirizzo e pianificazione, il problema della proliferazione della specie e del conseguente bisogno di procurarsi il cibo”.
Ribadisce che nel 2011, mesi prima del sinistro occorso, la non ancora soppressa Provincia aveva adottato mezzi efficaci, quali ad es. l’abbattimento in deroga, che avevano limitato sia gli avvistamenti che gli avvicinamenti dei cinghiali.
1.2. Con il secondo motivo, articolato in via subordinata, la Regione ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., omessa insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonché violazione dell’art. 115 c.p.c., nella parte in cui la corte territoriale, rigettando il suo secondo motivo di appello, ha ritenuto l’irrilevanza dell’eventuale concorso colposo del proprietario, nonostante fosse risultato provato nel corso del giudizio che il giardino della abitazione della Au.Di. non era sufficientemente recintata (circostanza questa che aveva consentito all’animale selvatico di introdursi nel giardino della Au.Di., mentre la completa recinzione ne avrebbe impedito l’accesso ed il danno).
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2. Il ricorso è infondato.
2.1. Inammissibile è il primo motivo.
Vero è che, come ha rilevato la stessa parte resistente in sede di controricorso (p. 17), questa Corte ha, con indirizzo che può dirsi ormai adeguatamente consolidato, di recente più volte affermato (Cass. n. 31342/2023; n. 16550/2022, n. 3023/2021, n. 20997/2020, n. 16550/2020, n. 13848/2020, n. 12113/2020, 8385/2020, n. 8384/2020, n. 7969/2020) che, nel caso in cui si invoca il risarcimento dei danni cagionati dalla fauna selvatica, trova applicazione la presunzione di responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. Invero, detta norma è applicabile non soltanto nel caso di animali domestici, ma anche di specie selvatiche protette ai sensi della legge n. 157/1992 che rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla Regione, quale ente competente a gestire la fauna selvatica in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 1, comma 3, legge n. 157 del 1992).
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Da tale orientamento consegue che, in via generale, quanto agli oneri probatori, in applicazione del criterio oggettivo di cui all’art. 2052 c.c., il danneggiato deve allegare e dimostrare che il danno è stato causato dall’animale selvatico (e, quindi, dimostrare la dinamica del sinistro nonché il nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso subito, oltre che l’appartenenza dell’animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla legge n. 157 del 1992 e/o comunque che si tratti ai animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato).
Tuttavia, fermo restando quanto sopra, è indubbia la facoltà del danneggiato di agire in giudizio ex art. 2043, facendosi carico del maggior onere probatorio che dall’applicazione di detta norma consegue.
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Tanto è avvenuto nel caso di specie, nel quale la Au.Di. ha introdotto il giudizio di merito chiedendo accertarsi e dichiararsi la responsabilità della Regione esclusivamente ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Orbene, la Corte territoriale, dopo aver sussunto – con statuizione non resa oggetto di alcuna censura – il caso nell’ambito di operatività della suddetta disposizione normativa – argomentando sulle dichiarazioni rese dai rappresentanti degli enti pubblici locali e dalle associazioni private intervenuti al c.d. Tavolo verde (indetto dal vice presidente della Provincia di Trieste e svoltosi in data 28 marzo 2013) e sui dati relativi al censimento dei cinghiali (contenuti nel prospetto dimesso dalla Regione ricorrente) – ha ritenuto provata “la responsabilità della Regione per aver omesso di adottare misure idonee ad arginare il progressivo e ingravescente pericolo, più volte segnalato negli articoli di cronaca locale, dell’avvicinarsi dei cinghiali alle abitazioni poste in prossimità delle zone boschive, in tal modo sottovalutando, nell’ambito della propria attività di indirizzo e pianificazione, il problema della proliferazione della specie e del conseguente crescente bisogno di procurarsi il cibo”.
Il suddetto giudizio di responsabilità è stato affermato ad esito di un giudizio in fatto, che è insindacabile in sede di legittimità, in quanto scevro da vizi giuridici e da quei soli gravissimi vizi logici rilevanti dopo la novella del 2012 del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. Al riguardo, occorre ribadire che, in sede di legittimità, non si può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili, atteso che al giudice di legittimità non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.
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2.2. Infondato è il secondo motivo.
Nel solco di quanto più volte affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 7910/2024, n. 25168/2018, n. 21595/2017) anche a Sezioni Unite (cfr. sent. n. 15279/2017), va qui ribadito che “la solidarietà passiva nel rapporto obbligatorio è prevista dal legislatore nell’interesse del creditore e serve a rafforzare il diritto di quest’ultimo, consentendogli di ottenere l’adempimento dell’intera obbligazione da uno qualsiasi dei condebitori, mentre non ha alcuna influenza nei rapporti interni tra condebitori solidali, fra i quali l’obbligazione si divide secondo quanto risulta dal titolo o, in mancanza, in parti uguali”, con la conseguenza che “l’impugnazione da parte di uno dei condannati, volta a sostenere la responsabilità anche di altro dei potenziali responsabili o una diversa misura della colpa tra i convenuti già condannati, presuppone il tempestivo e rituale dispiegamento davanti al giudice del merito della domanda di rivalsa nei confronti di costoro, non venendo meno, proprio in forza dell’art. 2055 cod. civ., la sua responsabilità per l’intero nei confronti del danneggiato: sicché, in difetto di tale domanda, la condanna non aggrava la sua posizione di debitore dell’intero, né pregiudica in alcun modo il suo eventuale diritto di rivalsa, non essendo stato dedotto in giudizio il rapporto interno che lo lega all’altro debitore; e, se domanda di rivalsa – in senso tecnico – non vi è stata da parte di uno dei convenuti nei confronti degli altri indicati come corresponsabili e riconosciuti tali, allora i primi non hanno titolo per dolersi della sorte della domanda contro gli altri”.
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Nel caso di specie, in applicazione del suddetto principio, la corte territoriale – dopo aver dato atto che la Au.Di. aveva allegato in sede di memoria ex art. 183 comma 6 numero 1 c.p.c. di non essere proprietaria dell’abitazione e dopo aver rilevato che detta allegazione non era stata specificatamente contestata – ha correttamente ritenuto che, “attesa la mancata proposizione di domande di regresso nei confronti dell’effettivo proprietario”, fosse assolutamente irrilevante l'”eventuale concorso colposo” con quest’ultimo.
3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della Regione ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
4. Infine, per la natura della causa petendi, va di ufficio disposta l’omissione, in caso di diffusione del presente provvedimento, delle generalità e degli altri dati identificativi della controricorrente, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 196 del 2003.
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P.Q.M.
La Corte:
– rigetta il ricorso
– condanna la Regione ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, spese che liquida in euro 5.500 per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di Legge;
– ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto;
– dispone che, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi generalità ed altri dati identificativi della controricorrente.
Così deciso in Roma, addì 8 maggio 2024, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile.
Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2024.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
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