Regolamento di confini e conseguente condanna alla restituzione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|15 marzo 2024| n. 7041.

Regolamento di confini e conseguente condanna alla restituzione

Mentre l’azione di rivendica presuppone un conflitto di titoli determinato dal convenuto, il quale oppone a suo favore un titolo – anche non negoziale – diverso da quello su cui l’attore fonda la sua istanza, nell’azione di regolamento di confini il conflitto è tra fondi, in quanto il convenuto deduce che, in forza del titolo dedotto dall’attore e del titolo di proprietà del fondo a lui appartenente, il confine è diverso, a nulla rilevando, in presenza di una incertezza del confine per avvenuta usurpazione di parte del terreno, l’effetto recuperatorio di detta domanda che consegua soltanto alla eliminazione del preesistente stato di incertezza sul confine.

Ordinanza|15 marzo 2024| n. 7041. Regolamento di confini e conseguente condanna alla restituzione

Data udienza 7 febbraio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Regolamento di confini – Occupazione illegale da parte del vicino – Conseguente condanna alla restituzione – Valutazione delle prove – Giudizio di merito – Inammissibilità

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente
Dott. GRASSO Giuseppe Cons.Rel.

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere

Dott. AMATO Cristina – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso 22308/2022 R.G. proposto da:

Ia.Sa. (C.F. Omissis) rappresentato e difeso dall’avvocato Ca.Gi. (C.F. Omissis), giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

Ba.Te. (C.F. Omissis), Ba.Mi. (C.F. Omissis) e Bi.El. (C.F. Omissis);

– intimati –

avverso la sentenza n. 663/2022 della CORTE DI APPELLO DI CATANZARO, depositata il 14.06.2022;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/02/2024 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO;

Regolamento di confini e conseguente condanna alla restituzione

OSSERVA

1. Il Tribunale di Cosenza accolse la domanda con la quale Ba.Te. e Ba.Mi. (intervenuto) avevano chiesto regolarsi i confini con la limitrofa proprietà di Ia.Sa., con restituzione della superficie indebitamente occupata.

Il convenuto, oltre a chiedere il rigetto dell’avversa pretesa, aveva avanzato domanda riconvenzionale d’usucapione, a seguito della quale era stato integrato il contraddittorio nei confronti di Bi.El., coniuge di Ba.Mi..

2. La Corte d’appello rigettò l’impugnazione proposta dal convenuto.

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2.1. Questi, in sintesi, per quel che qui rileva, i passaggi salienti della sentenza di secondo grado:

– il vaglio probatorio, avuto speciale riguardo alla prova per testi, secondo i Giudici di secondo grado, non consentiva di reputare provati i presupposti dell’usucapione;

– la domanda di regolamento di confini ben può includere la richiesta di condanna alla restituzione del terreno indebitamente occupato dal vicino;

– in ogni caso, ove si fosse voluto ipotizzare che la parte attrice avesse inteso esercitare domanda di rivendicazione, la stessa era rimasta provata, non occorrendo che fosse soddisfatta la cd. “probatio diabolica”, poiché entrambe le parti avevano preso titolo dal medesimo proprietario.

2. Ia.Sa. ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di quattro motivi.

Regolamento di confini e conseguente condanna alla restituzione

La controparte è rimasta intimata.

3. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 132, co.1, n. 1, cod. proc. civ.

Incongruamente, precisa lo Ia.Sa., la sentenza d’appello risultava essere stata decisa dalla “Corte d’appello di Cosenza”, anziché da quella di Catanzaro. Non si trattava, viene ancora spiegato, “di una diversa sezione della stessa Corte di Appello di Catanzaro, riconducibile ad una ripartizione organica interna, ma di altro collegio giudicante, diverso sia da quello territorialmente competente che di grado inferiore, avendo indicato nell’epigrafe della sentenza la Corte di Appello di Cosenza, sede solamente del Tribunale, anziché quella di Catanzaro”. Inoltre risultava erroneo il numero di ruolo generale.

3.1. Trattasi di doglianza manifestamente infondata.

È del tutto evidente essersi trattato di un mero errore materiale agevolmente emendabile con il procedimento di correzione.

Invero, non può sorgere dubbio in ordine alla provenienza della pronuncia dal Collegio della Corte di Catanzaro: i componenti risultano puntualmente indicati e in calce al dispositivo si legge: “Così deciso nella camera di consiglio della Corte di Appello di Catanzaro. Prima Sezione Civile”. Infine, la sentenza è divenuta statuizione giudiziaria con la pubblicazione, evidentemente effettuata dal Cancelliere della Corte d’appello di Catanzaro, non esistendo un funzionario facente parte di un ufficio inesistente.

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Questa Corte ha più volte affermato che, con riguardo al contenuto della sentenza civile, l’art. 132, secondo comma, lett. a), cod. proc. civ., che prescrive l’indicazione del giudice che l’ha pronunciata, comporta che, dalla formulazione dell’atto, si possa individuare con certezza il giudice decidente (monocratico o collegiale), per desumerne sia l’esatta collocazione gerarchica e territoriale nella struttura organizzativa dell’autorità giudiziaria ordinaria, sia il nome delle persone fisiche in concreto deliberanti. Pertanto, nell’ipotesi di pronunzie di uffici giudiziari divisi in sezioni, l’omessa indicazione di quella alla quale sono assegnati i giudici decidenti non produce nullità della sentenza, in quanto detta suddivisione rileva (soltanto) al fine della ripartizione interna dell’attività giurisdizionale (e non già dell’individuazione dell’organo giudiziario competente a decidere) – Sez. 1, n. 20/09/1993, Rv. 483812; conf., Cass. n. 3877/2019 -.

Nel caso in esame, come si e anticipato, è certa l’individuazione dell’organo decidente, anche nella sua composizione, non è posto in discussione che i componenti di quel collegio fossero magistrati in servizio presso la Corte d’appello di Catanzaro, né che il fascicolo processuale era stato coltivato presso quella Corte. Infine, nessun dubbio può generare l’erronea indicazione, evidentemente dovuta a una svista innocua, proprio perché non risulta esistere la “Corte d’appello di Cosenza”, evenienza questa ben nota e, anzi, presupposta dal ricorrente.

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4. Con il secondo motivo viene denunciata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la Corte di merito qualificato la domanda attorea come di regolamento di confini, trattandosi, invece, secondo l’assunto, di vera e propria rivendicazione, avendo, fra l’altro, la parte attrice così concluso nell’atto di citazione: “Voglia l’On. Le tribunale… dichiarare che il terreno di mq. 690… è di proprietà della sig.ra Ba.Te.”. Si era, quindi, registrata una evidente ripercussione sul “petitum”, che aveva procurato una distonia fra il chiesto e il pronunciato.

4.1. La doglianza è manifestamente priva di fondamento.

L’effetto recuperatolo, come più volte chiarito, afferisce intimamente alla domanda di regolamento di confini, pertanto, la condanna alla restituzione di quanto, a seguito dell’esatta individuazione del confine risulti occupato illegalmente dal vicino, è conseguenziale.

Mentre l’azione di rivendica presuppone un conflitto di titoli determinato dal convenuto, il quale oppone a suo favore un titolo – anche non negoziale – diverso da quello su cui l’attore fonda la sua istanza, nell’azione di regolamento di confini il conflitto è tra fondi, in quanto il convenuto deduce che, in forza del titolo dedotto dall’attore e del titolo di proprietà del fondo a lui appartenente, il confine è diverso, a nulla rilevando, in presenza di una incertezza del confine per avvenuta usurpazione di parte del terreno, l’effetto recuperatorio di detta domanda che consegua soltanto all’eliminazione del preesistente stato di incertezza sui confini (Sez. 6, n. 22095, 13/10/2020, Rv. 659399; conf., ex multis, Cass. n. 5899/2001).

A questo principio si è correttamente attenuta la Corte locale, nel mentre non occorre in questa sede prendere in esame la subordinata motivazione, con la quale il Giudice di secondo grado ha, comunque, reputato fondata la domanda, eventualmente qualificata come d’usucapione.

Regolamento di confini e conseguente condanna alla restituzione

Infine, rilievo alcuno assume il contenuto della precisazione delle conclusioni riportato dall’odierno ricorrente: se la domanda era di regolamento di confini, come si è visto, ininfluente deve reputarsi la tardiva pretesa di diversa qualificazione avanzata dalla parte attrice.

5. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e 111 Cost., addebitando alla sentenza impugnata di avere reso motivazione apparente a riguardo della proprietà dell’area, omettendo “di allegare le circostanze (inesistenti), secondo le quali il convenuto non solo non avrebbe contestato, ma avrebbe persino riconosciuto il diritto di proprietà in favore degli appellati”; né una tale implicita ammissione, attribuita al fatto che l’esponente aveva chiesto di essere dichiarato proprietario per usucapione nei confronti della controparte, trovava sostegno nella giurisprudenza di legittimità.

5.1. Il motivo non supera il vaglio d’ammissibilità.

Come noto la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016; Cass. n. 6758/2022 e, da ultimo, S.U. n. 2767/2023, in motivazione).

A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo a priori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.

Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).

Qui non ricorre alcuna delle ipotesi sopra richiamate.

Regolamento di confini e conseguente condanna alla restituzione

Sotto altro profilo, in ogni caso la critica non coglie nel segno essendo palese che la “ratio” portante della decisione è quella che trattavasi di regolamento di confini.

Infine, per completezza, val la pena soggiungere che la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459; conf. Cass. n. 15879/2018; n. 3708/2014).

6. Con il quarto motivo, oltre a denunciare violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116, il ricorrente lamenta “motivazioni insufficienti e contraddittorie su un punto decisivo in discussione tra le parti relativo alla decorrenza e maturazione del termine per l’usucapione in riferimento all’art. 1158 c.c. “.

6.1. Il motivo non supera lo scrutinio d’ammissibilità per il concorrere di più ragioni.

6.1.1. In primo luogo con il motivo il ricorrente forgia un vizio non previsto dalla legge, la quale non configura, al vigente n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., il vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo e controverso, ma solo l’omesso esame di un tal fatto.

6.1.2. In secondo luogo, la ricostruzione probatoria, come noto, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., non può essere contestata in questa sede, poiché, come noto, l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è, in questa sede, sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116, cod. proc. civ., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299). Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite in epoca recente (sent. n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016/2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037). E inoltre che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. 659037).

Regolamento di confini e conseguente condanna alla restituzione

6.1.3. In terzo luogo è del tutto evidente che attraverso la denunzia di violazione di legge i ricorrenti sollecitano – non determinando essa, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente – un improprio riesame di merito (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459).

7. Di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334, comma 2, cod. proc. civ., sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis cod. proc. civ. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.

8. Non v’è luogo a statuizione sul capo delle spese poiché la controparte è rimasta intimata.

9. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile “ratione temporis” (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

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P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso nella camera di consiglio del 7 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2024.

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