La sentenza d’appello può essere motivata per relationem a quella di primo grado

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|15 marzo 2024| n. 7050.

La sentenza d’appello può essere motivata per relationem a quella di primo grado

La sentenza d’appello può essere motivata per relationem a quella di primo grado, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate dalla decisione appellata, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico, senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame. (Nel caso di specie, ha osservato la Suprema Corte, dalla lettura dell’ordinanza impugnata risulta che la Corte di appello abbia sì richiamato le argomentazioni svolte dal Tribunale a sostegno del rigetto della eccezione di pagamento sollevata dalla opponente, ma le abbia valutate specificatamente e vagliate sotto il profilo delle ragioni di diritto e di fatto enunciate, facendo proprio da un lato il principio, conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la quietanza di pagamento rilasciata dal creditore successivamente fallito è liberamente contestabile dal fallimento, che assume nei confronti di essa la posizione di terzo, e dall’altro rilevando che la parte non aveva fornito prova che la somma a saldo fosse stata effettivamente corrisposta).

Sentenza|15 marzo 2024| n. 7050. La sentenza d’appello può essere motivata per relationem a quella di primo grado

Data udienza 8 febbraio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: SENTENZA CIVILE – Motivazione – Per relationem – Sentenza di appello – Ammissibilità – Condizioni – Fattispecie. (Cpc, articoli 132, 156 e 360)

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere rel. est.

Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere

Dott. BESSO Marcheis Chiara – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Ca.Ma., rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al ricorso dall’Avvocato Co.Ro., elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, viale (…)

Ricorrente

contro

Fallimento (…) Srl, con sede in T, in persona del curatore dott. Fr.Gi., rappresentato e difeso dagli Avvocati Ge.En. e Ma.Ma., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvocato Ap.Do. in Roma, (…).

Controricorrente

avverso la sentenza n. 2671/2019 del Tribunale di Treviso pubblicata il 10.6.2019 e l’ordinanza della Corte di appello di Venezia del 25.11.2019.

Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza dell’8.2.2024 dal consigliere Mario Bertuzzi.

Udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Carmelo Celentano, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Udite le difese svolte dall’Avvocato St.Ga., per delega dell’Avvocato Co.Ro., per la ricorrente.

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FATTI DI CAUSA

Ca.Ma. propose opposizione al decreto ingiuntivo che le intimava di pagare al Fallimento (…) Srl la somma di euro 66.437,00, a titolo di saldo del prezzo di euro 250.000,00 per acquisto di un immobile in C sottoscritto in data 5.7.2005 e dell’importo di euro 2.937,00 per il successivo acquisto di una diversa porzione dello stesso edificio concluso il 17/7/2006.

Con sentenza n. 2671 del 10. 6. 2019 il Tribunale di Treviso accolse solo in parte l’opposizione, condannando l’opponente al pagamento della minor somma di euro 51.276,80. Il giudice motivò la decisione ritenendo non provata l’eccezione sollevata dalla opponente di integrale pagamento del prezzo; osservò in proposito che la dichiarazione con cui la venditrice società Na. in bonis aveva dato atto, nel rogito del 2005, di avere già ricevuto come acconto la somma di euro 130.000,00, di cui euro 10.000,00 per iva, non era opponibile al fallimento e che di tale effettivo versamento la parte non aveva fornito alcuna prova; rigettò altresì l’eccezione della opponente di prescrizione del credito azionato dal Fallimento, rilevando che il contratto di compravendita prevedeva il pagamento del saldo di euro 130.000,00 entro il 31/12/2005 e che, dovendosi far decorrere il termine decennale di prescrizione da tale data, in analogia a quanto previsto dall’art. 1523 cod,. civ. sulla vendita a rate con riserva di proprietà, l’effetto estintivo era stato evitato dal Fallimento con l’atto di diffida del 16/7/2015; accolse invece la tesi della opponente in ordine alla misura dell’aliquota iva gravante sul prezzo, che dichiarò essere pari al 4% e non al 10% applicato dalla creditrice; considerato l’ammontare dovuto per i due acquisti e quello versato, condannò quindi l’opponente al pagamento della differenza, pari a euro 51.276,80.

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Proposto gravame da parte della Ca.Ma., con ordinanza del 25/11/2019, emessa ai sensi dell’art. 348 ter cod. proc. civ., la Corte di appello di Venezia dichiarò l’impugnazione inammissibile per non avere alcuna ragionevole probabilità di essere accolta, rilevando che la decisione del Tribunale era pienamente condivisibile sia con riguardo alla valutazione delle risultanze istruttorie ed alla ricostruzione dei fatti di causa, che con riferimento alle norme ed ai principi di diritto applicati.

Per la cassazione della sentenza di primo grado e dell’ordinanza della Corte di appello, con atto notificato l’1. 2. 2020, ha proposto ricorso Ca.Ma., affidato a sei motivi.

Il Fallimento (…) Srl ha notificato controricorso. Il P.M., la ricorrente ed il controricorrente hanno depositato memoria.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia, in relazione all’ordinanza della Corte di appello, la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, comma 2, e 156 cod. proc. civ. e 118 disposizioni di attuazione dello stesso codice, assumendo la nullità del provvedimento per motivazione inesistente o solo apparente, per avere il giudicante espresso le proprie ragioni in ordine al mancato accoglimento dell’appello mediante un rinvio acritico alla decisione di primo grado, senza esplicare i motivi del proprio convincimento.

Il motivo è ammissibile, considerato che censura il provvedimento impugnato per vizi propri, tra i quali rientra il vizio di nullità dell’ordinanza per assoluta carenza, apparenza o insanabile contraddittorietà di motivazione (Cass. n. 30759 del 2023; Cass. n. 20861 del 2018), ma infondato.

La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che la sentenza d’appello può essere motivata “per relationem” a quella di primo grado, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate dalla decisione appellata, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico, senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. n. 20883 del 2019; Cass. n. 28139 del 2018).

La sentenza d’appello può essere motivata per relationem a quella di primo grado

Nel caso di specie dalla lettura dell’ordinanza impugnata risulta che la Corte di appello abbia sì richiamato le argomentazioni svolte dal Tribunale a sostegno del rigetto della eccezione di pagamento sollevata dalla opponente, ma le abbia valutate specificatamente e vagliate sotto il profilo delle ragioni di diritto e di fatto enunciate, facendo proprio da un lato il principio, conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la quietanza di pagamento rilasciata dal creditore successivamente fallito è liberamente contestabile dal Fallimento, che assume nei confronti di essa la posizione di terzo, e dall’altro rilevando che la parte non aveva fornito prova che la somma a saldo fosse stata effettivamente corrisposta. La Corte veneziana ha inoltre valutato il motivo di appello che riproponeva l’eccezione di prescrizione, condividendo il giudizio di primo grado in ordine al suo mancato decorso, in forza dell’atto di diffida del Fallimento del 16. 7. 2015.

A tali considerazioni va aggiunto che il richiamo e la conseguente condivisione da parte dell’ordinanza prevista dall’art. 348 ter cod. proc. civ. della motivazione delle sentenza appellata costituisce un portato diretto della stessa ratio della previsione normativa, che lega l’adozione del provvedimento di inammissibilità dell’appello al giudizio circa la mancanza di una ragionevole probabilità di venire accolto, approdo il cui percorso logico sta proprio nel richiamo e nell’adesione da parte del giudice di appello alle ragioni di fatto e di diritto della decisione di primo grado. La peculiarità, sotto il profilo dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione, dell’ordinanza pronunciata dall’art. 348 ter cod. proc. civ. è del resto normativamente scandita dal comma 1 della citata disposizione, secondo cui essa è ” succintamente motivata, anche mediante rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi ” (Cass. n. 19293 del 2015).

2. Il secondo motivo di ricorso muove le medesime censure del motivo precedente nei confronti sia della sentenza di primo grado che dell’ordinanza pronunciata in appello, per carenza di motivazione in ordine alla prova offerta dalla Ca.Ma. circa l’avvenuto versamento del prezzo di euro 120.000,00, oltre iva, e per non avere esaminato i relativi elementi di prova. In particolare la parte si duole della omessa considerazione del fax del 18/10/2006, con cui la società venditrice comunicava i conteggi riguardanti il saldo della compravendita, nonché della corrispondenza intercorsa tra la predetta società e l’avv. Ca.Ma., padre della opponente, in cui si riassumevano le trattative intavolate per la definizione del saldo finale, inclusivo di lavorazioni e rifiniture sull’immobile e tenendo conto della sua ritardata consegna, documenti che, se esaminati, avrebbero portato ad accertare che era stato effettuato un precedente versamento e che esso corrispondeva a quello quietanzato con l’atto di compravendita.

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Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

Sotto il primo profilo, il mezzo non merita di essere accolto, alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità che ravvisa la nullità della sentenza per violazione dell’obbligo di motivazione nei soli casi in cui la sentenza sia del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi e così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost.. In particolare, la motivazione può qualificarsi apparente quando, benché graficamente esistente, non renda tuttavia percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, lasciando così all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. S.U. n. 22232 del 2016; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. 13248 del 2020). Tanto precisato, il vizio denunziato non è riscontrabile nella sentenza impugnata, che ha compiutamente definito il thema decidendum e le questioni controverse ed ha esposto le ragioni del rigetto delle eccezioni di pagamento e di prescrizione del credito, assumendo, con riguardo alla prima, che la dichiarazione contenuta nell’atto di compravendita del (Omissis) di avvenuto pagamento dell’acconto sul prezzo dell’importo di euro 120.000,00 non poteva avere efficacia confessoria nei confronti del Fallimento e che del relativo pagamento, contestato dall’opposto, la parte non aveva fornito la prova e, in relazione alla prescrizione, che il termine decennale decorreva dal 31.12.2005, data prevista dai contraenti per il pagamento del prezzo, ed esso era stato interrotto dall’atto di diffida del Fallimento del 16.7.2015.

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Le altre censure sono invece inammissibili in quanto contestano non l’omessa motivazione, ma l’erronea valutazione delle risultanze probatorie e l’omesso esame di documenti. Quanto al primo profilo, è noto che la valutazione delle prove critiche costituisce un’operazione riservata al giudice di merito, a salvaguardia del principio del suo libero convincimento, e che il risultato a cui questi sia pervenuto non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità. La denunzia del vizio di omesso esame di documenti, cioè del fatto ivi rappresentato, è poi espressamente preclusa nel caso di specie dall’art. 348 ter, comma 4, cod. proc. civ., che esclude avverso la ordinanza di inammissibilità la proponibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 stesso codice.

3. Il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso censurano il capo della sentenza impugnata che ha respinto l’eccezione di prescrizione del credito vantato dal fallimento, sul presupposto che il relativo termine di dieci anni decorresse dal 31.12.2005, invece che dal 5.7.2005, data del rogito di compravendita. In particolare le censure lamentano l’erroneità di tale conclusione, che è stata fatta discendere dal giudice di primo grado dall’inquadramento della vendita stipulata tra le parti nella figura della vendita rateale con riserva di proprietà.

Il terzo motivo lamenta, sotto tale profilo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1368 e 1371 cod. civ. in relazione agli artt. 1523, 1524, 1525 e 1526 nonché agli artt. 1479 e 1476 stesso codice, assumendo che l’inquadramento da parte del Tribunale della fattispecie negoziale intervenuta tra le parti nella figura della vendita rateale con riserva di proprietà sconta una evidente violazione dei criteri legali di interpretazione del contratto, dal momento che dal testo negoziale risulta chiaramente che i contraenti, dopo avere dato atto del versamento di parte del prezzo convenuto, avevano semplicemente differito ad una data successiva il versamento del saldo, ma non avevano mai inteso condizionare a tale adempimento il trasferimento della proprietà e quindi posticipare l’effetto traslativo della compravendita.

Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1523 cod. civ. in relazione agli artt. 12 e 14 preleggi, assumendo che l’affermazione censurata svela chiaramente un vizio di sussunzione della fattispecie concreta, accostata ad una figura normativa del tutto estranea ed avente caratteri peculiari e per questo non applicabile in assenza delle pattuizioni che la caratterizzano.

Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1523 e 1526 cod. civ. in relazione all’art. 2935 stesso codice, assumendo che la conclusione accolta ha portato i giudici di merito ad applicare erroneamente il principio secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere esercitato, non avvedendosi che, attenendo il credito azionato in giudizio alla somma dovuta in acconto al momento della sottoscrizione del contratto, tale data, cioè il 5.7. 2005, segnava l’inizio del termine prescrizionale. Ne consegue che l’atto di diffida del fallimento del 16.7.2015 era intervenuto quando ormai la prescrizione era maturata e quindi il diritto di credito si era estinto.

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I motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono inammissibili.

La questione controversa concerne l’esatta individuazione del termine di decorrenza della prescrizione del diritto della società venditrice e quindi del Fallimento ad ottenere il pagamento del prezzo, ai sensi dell’art. 2935 cod. civ., in base al quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Ora, dalla lettura della sentenza di primo grado risulta chiaramente che il Tribunale ha individuato la data di decorrenza nel 31.12.2005 e ciò in ragione del dato di fatto, del tutto pacifico, che il contratto prevedeva il pagamento del saldo prezzo entro tale data. Su punto il Tribunale, a sostegno di tale conclusione, precisa che pagamento dell’acconto e pagamento del saldo non costituiscono due diverse obbligazioni, ma l’unica obbligazione di pagamento del prezzo, differenziandosi tra loro solo con riguardo al termine di adempimento.

II ragionamento è corretto ma ciò che va sottolineato, in relazione alle censure sollevate, è proprio che dalla lettura della decisione risulta che il Tribunale ha desunto la data di inizio della prescrizione in ragione del termine ultimo fissato dal contratto per il pagamento del prezzo. Vero che il giudice richiama poi, in via analogica, la disciplina in tema di vendita a rate con riserva di proprietà, che posticipa l’effetto traslativo della vendita al pagamento dell’ultima rata del prezzo, ritenendo che tale fattispecie corrobori la soluzione di individuare la data di decorrenza al 31.12.2005, ma occorre considerare che tale richiamo appare costituire, nel percorso motivazionale della sentenza, una mera ragione di conferma della soluzione già raggiunta dal giudicante ovvero una digressione che nulla aggiunge e nulla toglie alla considerazione relativa alla decorrenza della prescrizione dalla scadenza del termine di adempimento della relativa obbligazione.

Gli argomenti spesi dalla ricorrente in ordine alla erroneità della applicazione nella fattispecie della disciplina posta dall’art. 1523 cod. civ. per la vendita a rate con riserva di proprietà si infrangono pertanto contro la considerazione che il Tribunale non ha affatto inteso sussumere il contratto concluso tra le parti nell’ambito di tale figura, che ha richiamato in via analogica, ma ha ritenuto soltanto di poter trarre dalla relativa disciplina riscontri alla conclusione che, laddove per l’adempimento dell’obbligazione di pagare il prezzo di un bene siano previsti versamenti parziali, l’obbligazione è unica e la prescrizione del relativo credito decorre dalla scadenza del termine previsto per l’ultimo pagamento. In ogni caso il richiamo alla figura negoziale di cui all’art. 1523 cod. civ., anche a volerne attribuire il significato e la valenza di autonoma ratio decidendi, non appare decisivo, in quanto non esaurisce il percorso motivazionale della decisione, che continua a reggersi sul rilievo, certamente esatto, che la prescrizione comincia a decorrere dalla scadenza del termine finale di adempimento. Per tale ragione i motivi proposti sono inammissibili, dal momento che non investono l’effettiva ovvero la diversa ratio della decisione impugnata e non possono quindi portare alla pronuncia della sua cassazione.

5. Il sesto motivo di ricorso censura il capo dell’ordinanza di appello relativo alla liquidazione delle spese processuali, che si lamenta fatta applicando uno scaglione di valore della causa superiore all’importo risultante dal decisum.

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Il motivo è fondato.

La Corte di appello ha liquidato le spese del grado in euro 7.085,00, dichiarando di applicare lo scaglione previsto dalla tabelle ministeriali da euro 52.001,00 a euro 260.000,00, laddove in base al criterio del decisum, ai sensi dell’art. 5, comma 1, d.m. n. 55 del 2014, in forza del quale il valore della causa deve determinarsi con riferimento alla somma attribuita alla parte vincitrice (Cass. n. 3903 del 2016), nella specie pari a euro 51.276,80 con interessi a decorrere dalla sentenza di primo grado, avrebbe dovuto applicare lo scaglione inferiore.

6. In conclusione, va accolto il sesto motivo di ricorso, rigettati gli altri. La sentenza è quindi cassata in relazione al motivo accolto e, sussistendone le condizioni, la causa va decisa nel merito, riducendo la somma liquidata per le spese del giudizio di appello in favore del Fallimento all’importo di euro 4.000,00.

Le spese dl presente giudizio, in ragione del solo parziale accoglimento del ricorso e della riconosciuta prevalente soccombenza della ricorrente, si dichiarano compensate nella misura di un quarto, con condanna della ricorrente al pagamento dei restanti tre quarti.

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P.Q.M.

accoglie il sesto motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna la parte appellante al pagamento delle spese in favore della parte appellata liquidate nell’importo di euro 4.000,00, oltre accessori di legge e spese generali.

Compensa per un quarto le spese del presente giudizio, liquidate per intero in euro 6.300,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali, e condanna la ricorrente al pagamento dei restanti tre quarti.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’8 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2024.

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