Il CTU può acquisire tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|6 marzo 2024| n. 5997.

Il CTU può acquisire tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli

In materia di consulenza tecnica d’ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti – non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico – tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio (Nel caso di specie, relativo ad una controversia insorta in materia di appalto, la Suprema Corte, dando continuità all’enunciato principio, ha confermato la sentenza di merito la quale aveva ritenuto che il CTU, al fine di accertare con precisione le opere oggetto del contratto e quelle invece eseguite extra capitolato, legittimamente aveva assunto informazioni mediante l’esame degli elaborati progettuali e dai calcoli strutturali elementi facilmente acquisibili presso i competenti uffici tecnici) (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile III, ordinanza 7 settembre 2023, n. 26144; Cassazione, sezioni civili unite, ordinanza 7 settembre 2023, n. 26144).

Ordinanza|6 marzo 2024| n. 5997. Il CTU può acquisire tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli

Data udienza 22 febbraio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Appalto privato – Prova civile – CTU – Consulente tecnico nominato dal giudice – Acquisizione di tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli – Art. 194 c.p.c. – Limiti

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere –

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 31805/2018 R.G. proposto da:

Ma.Lo. rappresentata e difesa dagli avvocati RE.CO. e EN.VI.

– ricorrente –

contro

Ma.Ri., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’avvocato GI.SA. che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PI.CI.

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 1734/2018 depositata il 18/07/2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/02/2024 dal Consigliere LUCA VARRONE;

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FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione la F.lli (…) Snc conveniva in giudizio Ma.Lo., chiedendo la condanna al pagamento del saldo delle opere eseguite in forza di contratto di appalto e delle opere eseguite extra capitolato; in particolare la società chiedeva il riconoscimento di lavori per Euro 117.783,85 (Lire 228.061.344.) di cui Euro 57.917,79 (Lire 112.144.400.) in virtù del contratto intercorso ed Euro 59.866,11 (Lire 115.916.944.) per opere extra capitolato. L’attrice chiedeva la condanna della convenuta al pagamento di Euro 60.834,44 oltre IVA avendo già ricevuto in pagamento Euro 56.949,40.

La società sosteneva che, nel corso di esecuzione di un appalto avente ad oggetto la ristrutturazione di un immobile posto in V, fraz. S, alla via L n. 117, di proprietà di Ma.Lo., le erano state commissionate oltre alle opere originariamente previste anche opere extra capitolato comprovate da una serie di ordini di lavoro.

2. Si costituiva Ma.Lo., la quale disconosceva gli “ordini di lavoro”, in quanto privi di sottoscrizione, rilevava come i prezzi dell’originario capitolato fossero stati unilateralmente modificati e contestava le richieste avanzate ed eccepiva di aver già corrisposto somme in relazione alle opere eseguite (Euro 56.949,41). In via riconvenzionale chiedeva la condanna a risarcire i danni subiti pari ad Euro 7.436,97 per non aver goduto dei benefici fiscali a causa della controparte.

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3. Il Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Empoli, rigettava la domanda della società così come la domanda riconvenzionale di risarcimento danni proposta dalla convenuta. Rilevava il primo Giudice che: a) il contratto in questione era qualificabile come di appalto; b) le opere eseguite ammontanti ad Euro 56.949,41 non erano contestate; c) non era stata fornita prova da parte della società delle opere extra del capitolato in quanto gli ordini di lavoro erano stati predisposti unilateralmente dalla stessa, nonché il computo metrico riportava correzioni a mano.

Per il primo Giudice, l’unico capitolato stipulato e concordato dalle parti era quello privo delle correzioni e non era emersa alcuna prova che fosse intervenuto un successivo accordo in ordine alla modifica dei prezzi, né che i lavori descritti fossero stati ordinati dalla committenza. In particolare, dalla C.T.U. espletata non era emerso alcun elemento atto a sostenere la domanda della società. La consulenza, in ordine ai lavori, aveva quantificato in Euro 47.602,30 (più precisamente Euro 47.602,83) i lavori effettuati a fronte di acconti corrisposti pari ad Euro 56.949,41, con un credito di Ma.Lo. pari ad Euro 9.347,11 (più precisamente Euro 9.346,58).

4. La Fratelli (…) Snc proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

5. Si costituiva Ma.Lo., contrastando l’appello e proponendo appello incidentale, eccependo che la società era stata cancellata dal Registro delle Imprese il 16 gennaio 2016 e chiedendo la condanna al risarcimento danni, quantificato in Euro 7.436,97, avendo la società rifiutato un pagamento a mezzo bonifico bancario per cui non aveva potuto usufruire delle detrazioni fiscali accordate in sede di ristrutturazione di cui all’art. 1, co. 3, legge n. 449/1997.

6. Si costituiva la “Ditta Individuale Ma.Ri.” a seguito della cessione delle quote della società “Fratelli (…) Snc di Ma.Da. e Ma.Ri.” da parte di Ma.Da. in favore di Ma.Ri. e della mancata ricostituzione della compagine sociale.

7. La Corte d’Appello di Firenze accoglieva il gravame e in riforma della sentenza di primo grado condannava Ma.Lo. a corrispondere a Ma.Ri. la somma di Euro 35.169,42 oltre IVA, da incrementarsi degli interessi al tasso legale dalla domanda.

Preliminarmente la Corte territoriale evidenziava che la società “Fratelli (…) Snc di Ma.Da. e Ma.Ri.” era composta da due soci, Ma.Da. e Ma.Ri. e che, con atto di cessione di quota del 15.12.2016 per notaio (…) di E, Ma.Da. aveva ceduto, quietanzando il pagamento, l’intera quota di partecipazione nella società a Ma.Ri. Questi aveva manifestato la volontà di non ricostituire la compagine societaria e di proseguire l’attività in forma individuale. Dunque, i rapporti giuridici facenti capo alla società si erano consolidati nella sua sfera patrimoniale.

Secondo il giudice del gravame, conformemente alla giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 3670/2007), nella fattispecie, si era realizzata una successione tra soggetti distinti, ossia tra colui che aveva conferito l’azienda (la società di persone) e la persona fisica che ne era beneficiaria (il socio superstite), in quanto a seguito del recesso del socio Ma.Da. dalla società in nome collettivo composta da due soli soci, il socio superstiteMa.Ri. non aveva ricostituito la pluralità della compagine sociale, avendo deciso di continuare l’attività aziendale come impresa individuale, in questo modo si era determinato lo scioglimento della società (art. 2272 n. 4 c.c.) e non si era realizzata una trasformazione societaria (art. 2498 c.c.).

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Quanto al merito, la Corte territoriale osservava che era pacifico che Ma.Lo. avesse affidato, nei primi mesi dell’anno 2001, alla società l’incarico di procedere ai lavori di ristrutturazione interna e di manutenzione del proprio edificio in V come sopra indicato; altrettanto pacifico era che l’attuale appellata avesse sia accettato i lavori realizzati, sia corrisposto somme per complessivi Euro 56.949,41 oltre lva. Dagli accordi intercorsi era emerso che i lavori da capitolato ammontavano ad Euro 57.917,79 oltre lva.

Le circostanze confermate in parte anche dai testi che la società aveva realizzato opere presso la proprietà di Ma.Lo. e anche opere extra capitolato, dimostravano che vi era un contratto di appalto tra la società e Ma.Lo. che era stato oggetto di modifica in corso di realizzazione. La mancanza di elementi certi aveva reso difficoltoso, per il C.T.U. nominato, accertare con precisione le opere oggetto dell’appalto e quelle extra capitolato. Anche i testi escussi non avevano fornito rilevanti elementi probatori sul punto; pertanto, il consulente, a giudizio della Corte, correttamente aveva assunto informazioni sia dagli elaborati progettuali che dai calcoli strutturali che erano stati forniti dai tecnici di parte e che erano elementi facilmente acquisibili presso i competenti uffici tecnici.

Tale acquisizione era consentita ed era stata utilmente condotta al fine di accertare quanto più possibile l’attività svolta dalla società in favore di Ma.Lo., in conformità ai principi espressi dalla Sezioni Unite n. 8256 del 1987.

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Secondo la Corte d’Appello non era credibile la ricostruzione proposta da Ma.Lo. che aveva negato di aver dato incarico per l’esecuzione delle opere extra capitolato anche perché il marito aveva dichiarato di aver seguito i lavori, dunque risultava provato, anche in via presuntiva, che le variazioni erano state richieste dalla committente non essendo necessaria in tal caso la prova scritta.

La verifica dei lavori realizzati dalla società era stata svolta dal C.T.U. sia tramite la consultazione della documentazione allegata agli atti, sia dalla verifica sul posto avvenuta il 25.11.2004; il consulente, inoltre, aveva rilevato che per le opere extra capitolato il tecnico di Ma.Lo., Geom. (…), aveva quantificato le stesse in Euro 14.166,58 (Lire 27.430.325.), quindi era stato riconosciuto che erano state realizzate opere extra contratto.

L’appello incidentale era inammissibile, in quanto la società aveva fissato nell’atto di citazione in appello l’udienza del 15 dicembre 2001 e il Presidente della Corte con provvedimento emesso ai sensi dell’art. 168 bis, co. 5, c.p.c. il 9 agosto 2011, aveva differito la data della prima udienza al 14 ottobre 2014 e Ma.Lo. si era costituita il 23 gennaio 2017 allorché era decaduta dalla facoltà di proporre appello incidentale.

8. Ma.Lo. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di nove motivi di ricorso.

9. Ma.Ri. ha resistito con controricorso.

10. Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Falsa applicazione dell’art. 2272 c.c. e dell’art. 2498 c.c. e violazione dell’art. 2495, secondo comma, c.c., in quanto, con la cancellazione dal Registro delle Imprese della F.lli (…) Snc, era venuta meno la capacità processuale della predetta e soprattutto la sua pretesa si era estinta, senza alcun fenomeno successorio – violazione di legge ex art. 360, n. 3, c.p.c.: la Corte di Appello avrebbe erroneamente applicato la normativa in tema di scioglimento e liquidazione delle società, senza tenere conto che la Cancellazione della Società di persone dal Registro delle imprese, ex art. 2495 c.c., ha effetto estintivo della società e vale quale rinuncia implicita alle pretese azionate in giudizio.

1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.

La Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione dei principi consolidati in tema di cancellazione di società di persone dal registro delle imprese e successione nei rapporti in corso. Deve ribadirsi, infatti, che: “Nel caso di recesso di un socio da una società in nome collettivo composta da due soli soci, qualora quello superstite non abbia ricostituito la pluralità della compagine sociale decidendo al contempo di continuare l’attività aziendale come impresa individuale – così determinandosi lo scioglimento della società, a norma dell’art. 2272, n. 4, cod. civ. -, non si realizza una trasformazione societaria ai sensi dell’art. 2498 cod. civ., ma solo una successione tra soggetti distinti, ossia tra colui che conferisce l’azienda (la società di persone in liquidazione) e la persona fisica che ne è beneficiaria (il socio superstite)” (Sez. 1, Sentenza n. 496 del 2015).

In tali casi, infatti, si è detto che la disciplina di riferimento per la cancellazione delle società di persone va rinvenuta nell’articolo 2312 cod. civ., da leggersi in combinato disposto con l’articolo 2324 cod. civ., nel caso delle società in accomandita semplice. La differenza rispetto alla disciplina dell’articolo 2495 cod. civ., in tema di società di capitali, è sostanziale, in quanto, in quest’ultimo caso, in linea con l’autonomia patrimoniale perfetta che connota questa categoria di società, è disposto che i creditori sociali potranno esigere le pretese rimaste insoddisfatte nei confronti degli ex soci solamente nei limiti di quanto ad essi attribuito dal bilancio finale di liquidazione, mentre nelle società in accomandita semplice il limite di quanto ottenuto dalla liquidazione vale esclusivamente per i soci accomandanti (articolo 2324 cod. civ.), essendo gli accomandatari illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali. Se, quindi, in forza del combinato disposto degli articoli 2312 e 2324 cod. civ., in seguito alla cancellazione dal registro delle imprese di una società in accomandita semplice, i creditori sociali potranno far valere, con le modalità appena accennate, le loro pretese residue direttamente nei confronti degli ex soci, la legittimazione passiva di questi ultimi non può essere posta in discussione per il solo fatto che essa è conseguenza necessaria della norma in esame. Da ciò deriva, inevitabilmente, che al caso della cancellazione di una società dal registro delle imprese ed a fortiori nei confronti dei soci illimitatamente responsabili nell’ambito delle società di persone, deve ritenersi pienamente applicabile la disciplina dell’articolo 110 cod. proc. civ., sia perché, essendosi estinta la società, il giudizio non potrà proseguire tra le parti originarie, come previsto dal primo comma dell’articolo 111 cod. proc. civ., in quanto la soggettività dell’ente è venuta meno, sia perché la posizione del socio, sotto il profilo considerato, deve ritenersi analogicamente assimilabile a quella del successore a titolo universale e non già a titolo particolare per atto inter vivos.

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La diversa conclusione prospettata dalla ricorrente comporterebbe, infatti, l’inaccettabile conseguenza che una sentenza pronunciata nei confronti di una società e dalla stessa impugnata possa essere eseguita nei confronti dei soci, che tuttavia non potrebbero neanche proseguire il giudizio già incardinato perdendo la possibilità di difendere la posizione in cui sono subentrati (2017, n. 13183; Cass., Sez. Lav., 4 agosto 2017, n. 19580, Cass. civ. sez. trib., 11 febbraio 2021, n. 3454).

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: “passaggio in giudicato della statuizione inerente la nullità della CTU per omessa specifica impugnazione della sentenza di primo grado in parte qua: violazione dell’art. 99 c.p.c., e dell’art. 342 c.p.c. e nullità del procedimento in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c.”: in atto di appello la F.lli (…) Snc non aveva impugnato la statuizione del giudice di prime cure inerente la nullità della CTU per violazione degli art. 184 e 194 c.p.c. per tardiva ed illegittima acquisizione documentale, per cui tale statuizione era divenuta definitiva e la CTU non avrebbe potuto essere utilizzata. La Corte di Appello, anziché rilevare tale vizio procedimentale, ha utilizzato sic et simpliciter tale CTU per quantificare le spettanze della appaltatrice.

2.1 Il secondo motivo è manifestamente infondato.

L’erronea statuizione del giudice di primo grado circa la nullità della CTU costituiva specifico motivo di appello come risulta ex actis a pag. 6 della sentenza impugnata dove si legge che il secondo motivo di appello attiene alla presunta nullità e inutilizzabilità della CTU.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: “Nullità del procedimento in relazione all’art. 112 c.p.c. – omessa pronuncia su una eccezione espressamente proposta da Ma.Lo. in ordine al passaggio in giudicato della statuizione inerente la nullità della CTU in primo grado e ciò in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.”: la allora appellata Ma.Lo. aveva eccepito, sin dalla comparsa di costituzione in appello, la nullità della impugnazione in relazione alla statuizione di nullità della CTU: la Corte Territoriale ha tuttavia omesso di pronunciare su tale eccezione che ben avrebbe potuto condurre alla declaratoria di inammissibilità dell’appello.

3.1 Il terzo motivo di ricorso è infondato.

La Corte d’Appello ha ritenuto che la CTU si sia svolta correttamente anche in accoglimento del motivo di appello proposto dalla società (…), dunque, non vi è stata alcuna omessa pronuncia ma, al più, un rigetto implicito dell’eccezione di giudicato, posto che sul punto vi era stato specifico motivo di appello.

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4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: “Acquisizione di documenti da parte del CTU dopo la scadenza dei termini di legge ed illegittimità della attività istruttoria posta in essere dal CTU e nullità dell’elaborato peritale: violazione degli art. 184 e 194 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.: la Corte di Appello ha ritenuto la validità della CTU, nonostante l’illegittima acquisizione di documenti, utilizzando principi e citando giurisprudenza relativi a fattispecie antecedenti alla novellazione dell’art. 184 c.p.c.: così facendo ha violato l’art. 184 c.p.c. nel testo vigente ratione temporis, (ed in particolare le decadenze ivi previste): da tanto la ribadita nullità della CTU pedissequamente utilizzata dalla Corte Territoriale e quindi della sentenza.

4.1 Il quarto motivo di ricorso è infondato.

Il consulente tecnico d’ufficio, ai sensi dell’art. 194 c.p.c., può acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori, rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza e costituenti il presupposto necessario per rispondere ai quesiti formulati, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse.

Il Collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: “In materia di consulenza tecnica d’ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti – non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico -, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio” (Sez. 3 – , Ordinanza n. 26144 del

07/09/2023, Rv. 669081 – 01 conforme a Sez. U, Sentenza n. 3086 del 01/02/2022, Rv. 663786 – 02).

Nella specie il consulente ha solo accertato l’esecuzione dei lavori anche mediante l’esame degli elaborati progettuali e dai calcoli strutturali elementi facilmente acquisibili presso i competenti uffici tecnici, inoltre il fatto principale allegato dalla parte riguardava la richiesta o approvazione da parte di Ma.Lo. delle opere extra capitolato, i cui lavori quest’ultima negava di aver commissionato.

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 2702 C.C. per aver ritenuto provata la quantificazione delle opere sulla base di documenti privi di valore probatorio e per non aver valutato le dichiarazioni dello stesso CTU, da cui emergeva la inattendibilità dell’elaborato peritale, e ciò in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.

La Corte territoriale ha ritenuto fondata la domanda dell’appaltatore utilizzando, all’uopo, documenti privi di valenza probatoria, ovvero un capitolato corretto unilateralmente dall’appaltatore e disconosciuto dall’appaltante ed ordini di lavoro privi di qualsivoglia sottoscrizione: trattandosi di atti privi di valenza probatoria ex art. 2702 c.c., inopponibili all’appaltante, la Corte avrebbe dovuto non tenerne conto a fini di decisione.

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5.1 Il quinto motivo di ricorso è infondato.

La Corte ha giudicato in base alle complessive risultanze dell’istruttoria, compresa la prova presuntiva desunta dalla accertata presenza sul luogo di svolgimento dei lavori del marito della ricorrente, che dunque era certamente a conoscenza degli ulteriori lavori che la ditta appaltatrice stava eseguendo.

Dunque, la censura è infondata in quanto la decisione della Corte d’Appello non si è fondata sul capitolato corretto unilateralmente della ditta appaltatrice quanto piuttosto sulla consulenza tecnica e sulla prova presuntiva che le variazioni e i lavori extra capitolato erano stati richiesti o accettati dalla committente, anche perché il marito seguiva l’andamento dei lavori.

6. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: In relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, per omesso esame di fatto decisivo, in relazione alla mancanza di dati oggettivi ed alla irrilevanza della “esperienza” su cui è fondata la CTU, fatto sottoposto alla discussione delle parti, ed alle dichiarazioni del CTU in sede di chiamata a chiarimenti”: lo stesso CTU, in corso di giudizio di primo grado, aveva ammesso di essersi servito di documenti inopponibili all’appaltante, di aver utilizzato parametri non oggettivi (la propria “esperienza”) e di non essere stato in grado di verificare la realizzazione di parte delle opere extra capitolato: tuttavia la Corte di Appello, senza esaminare e valutare tali dichiarazioni, ha ritenuto attendibile la CTU.

7. Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: “violazione dell’art. 1657 c.c. per indeterminabilità del compenso spettante alla appaltatrice in assenza di prova specifica delle opere eseguite, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.”: la Corte Territoriale ha ritenuto provata la domanda e liquidato il compenso asseritamente di spettanza dell’appaltatore, senza che vi fosse prova certa delle opere eseguite, con violazione dell’art. 1657 c.c.

7.1 Il sesto e il settimo motivo di ricorso sono inammissibili.

In realtà la Corte d’Appello ha esaminato compiutamente l’elaborato peritale e ne ha tratto la conclusione motivata anche in relazione alle ulteriori risultanze istruttorie complessivamente considerate della realizzazione di opere extra capitolato da parte dell’appaltatore.

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Infatti, come si è detto, il giudice del gravame ha ritenuto provati i lavori come accertati dal consulente tecnico anche sulla base degli elaborati progettuali e dei calcoli strutturali che erano stati forniti dai tecnici di parte e che erano elementi facilmente acquisibili presso i competenti uffici tecnici. Peraltro, la verifica dei lavori realizzati dalla società era stata svolta dal C.T.U. oltre che tramite la consultazione della documentazione allegata agli atti, anche in virtù di una verifica sul posto avvenuta il 25.11.2004; il consulente, inoltre, aveva rilevato che per le opere extra capitolato il tecnico di Ma.Lo., Geom. (…), aveva quantificato le stesse in Euro 14.166,58 (Lire 27.430.325.), quindi era stato riconosciuto che erano state realizzate opere extra contratto.

Risulta, pertanto, del tutto priva di fondamento la doglianza della ricorrente circa il fatto che non vi fosse prova dei lavori effettivamente svolti extra capitolato da parte della ditta appaltatrice.

Peraltro, le censure si risolvono nella contestazione delle conclusioni che la Corte ha tratto dalle risultanze della suddetta consulenza tecnica con richiesta di rivalutazione delle stesse sulla base di una diversa lettura della consulenza. Dunque, non si è in presenza di un errore di percezione delle risultanze della CTU e neanche in un caso di omesso esame di un fatto oggetto di discussione tra le parti.

In altri termini, quel che emerge è che le conclusioni della Corte d’Appello non dipendono da un’erronea valutazione della prova e tantomeno da un suo travisamento quanto piuttosto dall’aver attribuito maggiore rilevanza ad alcuni elementi rispetto ad altri. Deve ribadirsi in proposito che: “nel giudizio di cassazione, la parte non può dolersi del modo in cui il giudice di merito ha compiuto le proprie valutazioni discrezionali, in ordine ai diversi significati in astratto ricavabili dai mezzi di prova acquisiti al giudizio, mentre l’illegittima utilizzazione di prove inesistenti, perché riferite a fonti mai dedotte in giudizio oppure a informazioni probatorie prive di alcuna possibile o immaginabile connessione con le fonti appartenenti al processo, è sindacabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in quanto integrante violazione dell’art. 115 c.p.c., ma non rileva quale errore revocatorio ex art. 395, n. 4, c.p.c., trattandosi di un fatto su cui il giudice si è espressamente pronunciato (Nella specie, la S.C. ha ritenuto inammissibile la doglianza con cui si lamentava il travisamento, da parte del giudice di merito, della consulenza tecnica d’ufficio, senza tuttavia prospettare l’assoluta e radicale impossibilità logica di trarre quelle conclusioni che il predetto aveva tratto)” (Sez. 3 – , Sentenza n. 13918 del 03/05/2022, Rv. 666484 – 02).

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8. L’ottavo motivo di ricorso è così rubricato: In relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per nullità del procedimento per violazione degli art. 99 c.p.c. e 346 c.p.c., in relazione alla condanna al pagamento degli interessi legali, non oggetto di specifica istanza o riproposizione in atto di appello”: la Corte di Appello ha condannato la appaltante a corrispondere anche gli interessi legali sul capitale, laddove tale istanza non era stata reiterata in sede di appello, con conseguente violazione del disposto dell’art. 346 c.p.c. (dovendosi tale richiesta intendersi rinunciata in base a tale norma).

8.1 L’ottavo motivo è infondato.

La rivalutazione monetaria e gli interessi costituiscono una componente dell’obbligazione di risarcimento del danno e possono essere riconosciuti dal giudice anche d’ufficio ed in grado di appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi devono ritenersi compresi nell’originario petitum della domanda risarcitoria, ove non ne siano stati espressamente esclusi” (Sez. 3, Sentenza n. 26374 del 16/12/2014, Rv. 633761 – 01).

9. Il nono motivo di ricorso è così rubricato: “Nullità del procedimento ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 166 e 168, quinto comma, c.p.c.

La Corte di Appello ha ritenuto tardivo l’appello incidentale della appaltante, nonostante la udienza ex art. 168 bis, quinto comma, c.p.c. fosse stata a sua volta rinviata d’ufficio e, un anno prima che spirassero i termini per la costituzione dell’appellato era intervenuto un nuovo rinvio di ufficio da intendersi anch’esso ex art. 168 bis, comma 5, c.p.c. e, dunque, l’appellata si era costituita nel termine di venti giorni da tale ultima udienza fissata.

La società aveva fissato la citazione in appello all’udienza del 15 dicembre 2011, il Presidente l’aveva differita ex art. 168 bis, quinto comma, c.p.c., al 14 ottobre 2014, mentre Ma.Lo. si era costituita in appello solo il 23 gennaio 2017.

In tema di appello incidentale, il differimento del termine, ai sensi dell’art. 168 – bis, quinto comma, c.p.c., per la tempestiva proposizione del gravame, nel caso in cui nel giorno fissato con l’atto di citazione il giudice non tenga udienza, non si applica ove il rinvio della prima udienza sia stato disposto direttamente dal Presidente di sezione, avendo la richiamata disposizione natura eccezionale e non essendo, pertanto, suscettibile di applicazione analogica (Sez. 2 -, Ordinanza n. 8638 del 07/05/2020, Rv. 657693 – 01).

9.1 Il nono motivo di ricorso è infondato.

Deve premettersi che: “Ai sensi dell’art. 343, comma 1, c.p.c., l’appello incidentale si propone, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, e poiché tale costituzione deve avvenire almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione, ovvero differita d’ufficio dal giudice giusta l’art. 168 – bis, quinto comma, c.p.c., ove il giudice si avvalga di tale facoltà di differimento il termine per la proposizione dell’appello incidentale va calcolato assumendo come riferimento la data dell’udienza differita, e non quella originariamente indicata nell’atto di citazione” (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3081 del 06/02/2017, Rv. 642747 – 01).

Nella specie è avvenuto un primo differimento ex art. 168 – bis, quinto comma, c.p.c. al 14 ottobre 2014 e poi, con un successivo decreto presidenziale, un secondo rinvio al 14 febbraio 2017 per un’udienza deputata alla precisazione delle conclusioni. Dunque, solo il primo differimento dell’udienza ha procrastinato il termine per la proposizione dell’appello incidentale con riferimento alla data dell’udienza differita, mentre non può dirsi altrettanto in relazione al successivo rinvio di ufficio da parte del Presidente. Infatti, proprio in base alla differenza esistente tra le due ipotesi di differimento, del resto, questa Corte ha recentemente ribadito (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8638 del 07/05/2020, Rv. 657693; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17032 del 23/06/2008, Rv. 604025; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20667 del 05/10/2010, Rv. 614845; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1127 del 22/01/2015, Rv. 633990) che l’appello incidentale – analogamente a quanto previsto per la domanda riconvenzionale in prime cure – va proposto, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, da depositare almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione, ovvero differita d’ufficio dal giudice giusta l’art. 168 – bis, comma 5, c.p.c. (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 3081 del 06/02/2017, Rv. 642747). Quando invece il differimento dell’udienza di comparizione sia disposto ai sensi dell’art. 168 bis, quarto comma, c.p.c., perché nel giorno fissato con l’atto di citazione il giudice non tenga udienza, il differimento del termine non si applica (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28571 del 20/12/2013, Rv. 629294), essendo la norma di cui al quinto comma dell’art. 168 bis, c.p.c., disposizione di natura eccezionale non suscettibile di applicazione analogica. Di conseguenza, l’appello incidentale proposto nei venti giorni antecedenti all’udienza di comparizione rinviata ai sensi dell’art. 168 bis, quarto comma, c.p.c., è inammissibile perché tardivo (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9351 del 11/06/2003, Rv. 564137; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20319 del 20/10/2005, Rv.584202) mentre è tempestivo l’appello incidentale proposto nei venti giorni antecedenti all’udienza di comparizione rinviata ai sensi dell’art. dell’art. 168 bis, quinto comma, c.p.c., proprio in ragione della natura eccezionale di tale specifica disposizione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8897 del 27/04/2005, Rv. 581888).

10. Il ricorso è rigettato.

11. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

12. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Il CTU può acquisire tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in Euro 5000, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;

ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13, se dovuto;

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2° Sezione civile in data 22 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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