Locazione la eventuale non conformità dell’immobile locato alla disciplina edilizia e urbanistica non determina l’illiceità dell’oggetto del contratto

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 aprile 2023| n. 9766.

Locazione l’eventuale non conformità dell’immobile locato alla disciplina edilizia e urbanistica non determina l’illiceità dell’oggetto del contratto

La eventuale non conformità dell’immobile locato alla disciplina edilizia e urbanistica non determina l’illiceità dell’oggetto del contratto, atteso che il requisito della liceità dell’oggetto previsto dall’articolo 1346 del Cc, è da riferire alla prestazione, ovvero al contenuto del negozio e non al bene in sé, né può far ritenere illecita la causa, ai sensi dell’articolo 1343 del Cc, perché locare un immobile costruito senza licenza, né condonato, non è in contrasto con l’ordine pubblico, da intendere come il complesso dei principi e dei valori che contraddistinguono l’organizzazione politica ed economica della società in un determinato momento storico. Il carattere abusivo di una costruzione, mentre può senz’altro costituire fonte di responsabilità dell’autore nei confronti dello Stato, non comporta, dunque, l’invalidità del contratto di locazione della costruzione stipulato tra privati, trattandosi di rapporti distinti e regolati ciascuno da proprie norme.

Ordinanza|12 aprile 2023| n. 9766. Locazione la eventuale non conformità dell’immobile locato alla disciplina edilizia e urbanistica non determina l’illiceità dell’oggetto del contratto

Data udienza 21 febbraio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Locazione – Immobile – Regolarità urbanistica ed edilizia – Difetto – Impedimento al rilascio delle autorizzazioni necessarie allo svolgimento dell’attività commerciale – Articolo 1578 c.c. – Risoluzione del contratto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – rel. Consigliere

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24803/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante, (OMISSIS) e (OMISSIS), tutti rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. (OMISSIS) e domiciliati per legge in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore, rappresentata e difesa, giusta delega in calce al controricorso, dall’avv. (OMISSIS) e domiciliata per legge in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Cagliari n. 439/2019, pubblicata in data 17 maggio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 febbraio 2023 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina A. P..

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FATTI DI CAUSA

1. La societa’ (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono, con tre motivi, nei confronti della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, per la cassazione della sentenza n. 439/2019 della Corte d’appello di Cagliari che, in parziale accoglimento del gravame, ha condannato la societa’ (OMISSIS) s.r.l. alla corresponsione della somma di Euro 103.200,00, oltre interessi di mora, in favore della (OMISSIS) s.r.l., confermando nel resto la sentenza impugnata.
Questi i fatti di causa.
La (OMISSIS) s.r.l., esponendo di avere stipulato con la societa’ (OMISSIS) s.r.l. contratto di cessione di azienda, avente ad oggetto l’attivita’ di ristorante e pizzeria, esercitata dalla cedente in virtu’ di autorizzazione amministrativa per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande – rilasciata dal Comune di Carloforte in data 23 febbraio 1999, che prevedeva che la “concessione del rinnovo delle licenze amministrative prescritte per l’esercizio dell’azienda” avrebbero costituito condizione di efficacia della cessione – e di avere stipulato contratto di locazione dell’immobile con (OMISSIS) e (OMISSIS), soci della societa’ cedente (OMISSIS) s.r.l. e proprietari del locale, i quali avevano dato atto della regolarita’ urbanistica ed edilizia dell’immobile locato, li conveniva in giudizio al fine di ottenere la risoluzione dei due contratti collegati, la restituzione delle somme pagate ed il risarcimento dei danni subiti, nonche’ il rimborso delle spese affrontate per gli investimenti inutilmente effettuati per l’acquisto di attrezzature.
Deduceva a sostegno delle domande che aveva iniziato ad esercitare l’attivita’ fin dagli ultimi giorni del maggio 2003, in occasione della manifestazione turistica ” (OMISSIS)”, e che l’esercizio era rimasto operativo sino al settembre 2003 quando, in occasione della esecuzione di alcuni lavori di adeguamento delle attrezzature, consistenti nella rimozione del forno e del barbecue esistenti nelle cucine del locale, il Comune gli aveva comunicato la chiusura del locale, chiedendo di aggiornare l’autorizzazione sanitaria, con l’eliminazione delle attrezzature che intendeva sostituire e l’inserimento delle nuove, e segnalando di non avere rinvenuto alcuna autorizzazione sanitaria a nome della societa’ convenuta. Al fine di ottenere una nuova autorizzazione sanitaria, stante la necessita’ di attestare al Comune la conformita’ dei luoghi e delle attrezzature alla situazione rappresentata negli atti depositati dai precedenti titolari, a seguito di una verifica dei locali, aveva scoperto l’esistenza di numerose irregolarita’ igienico-sanitarie; poiche’ la (OMISSIS) s.r.l., seppure invitata ad eliminarle, ne aveva negato l’esistenza e considerato che anche i locatori erano rimasti inerti, il Comune, con ordinanza del 16 gennaio 2004, aveva disposto la chiusura dell’esercizio commerciale.
Evidenziava pure che aveva contestato numerosi altri inadempimenti ai locatori e che a causa di irregolarita’ urbanistiche dell’immobile (esistenza di una tettoia abusiva, mancato rispetto delle distanze prescritte tra l’edificio e la strada provinciale), questo era rimasto chiuso anche nella stagione estiva del 2004.
L’attrice introduceva inoltre un procedimento per accertamento tecnico preventivo, finalizzato a verificare lo stato dei luoghi, mentre i locatori intimavano alla conduttrice sfratto per morosita’, in ragione del mancato pagamento dei canoni a far data dal mese di luglio 2005.
Il Tribunale, riunite le cause, all’esito dell’espletamento di consulenze tecniche d’ufficio, dichiarava risolto per inadempimento delle parti convenute il contratto di cessione di azienda ed il contratto di locazione e condannava la societa’ (OMISSIS) s.r.l. alla restituzione, in favore della parte attrice, della somma di Euro 106.137,00, quale acconto sul corrispettivo della cessione, nonche’ tutti i convenuti al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio.
2. La Corte d’appello di Cagliari, per quanto ancora rileva in questa sede, accogliendo parzialmente il gravame proposto dalla societa’ (OMISSIS) s.r.l., da (OMISSIS) e (OMISSIS), ha ritenuto pacifico il collegamento funzionale del contratto di cessione di azienda e del contratto di locazione, accertando che il bene concesso in locazione, sin dalla stipula dei contratti, non era idoneo, da un punto di vista urbanistico e sanitario all’esercizio dell’attivita’, cosicche’ le necessarie autorizzazioni amministrative non avrebbero mai potuto essere concesse. Ha, inoltre, osservato che era del tutto irrilevante la circostanza che nelle more del giudizio fosse stata rilasciata la concessione in sanatoria, in quanto questa, da un lato, certificava l’irregolarita’ originaria dell’immobile e, dall’altra, palesava l’impossibilita’ di ottenere le necessarie autorizzazioni per avviare l’attivita’ di ristorazione; ha poi affermato che la causa dell’inadempimento del contratto di locazione doveva essere rinvenuta nel fatto che i locatori avevano concesso in locazione “delle mura con profonde irregolarita’ urbanistico/sanitarie inidonee fin dall’origine a far svolgere un’attivita’ di ristorazione e dunque a far ottenere le necessarie autorizzazioni”.
3. (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione resiste con controricorso.
4. La trattazione e’ stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 380-bis.1. c.p.c..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
In prossimita’ dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, deducendo “Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1578 c.c. la’ ove la Corte d’Appello individua l’inadempimento dei locatori nel fatto che l’immobile locato presentava rilevanti vizi urbanistici che precludevano il rilascio di autorizzazioni amministrativo/sanitarie. Art. 360 c.p.c., n. 3”, i ricorrenti evidenziano che i giudici di appello ricollegano l’inadempimento dei locatori al solo fatto che i locali concessi in locazione presentavano vizi urbanistici che impedivano il rilascio delle autorizzazioni necessarie allo svolgimento dell’attivita’ commerciale, in tal modo incorrendo nella violazione della norma evocata in rubrica e ponendosi in contrasto con la giurisprudenza di legittimita’ che esclude che il vizio urbanistico, anche ove sia originario, possa determinare la responsabilita’ contrattuale del locatore.
Dopo aver precisato che la “tettoia abusiva” non faceva parte dell’immobile locato, tanto che non era indicata nel contratto di locazione, richiamano pronunce di questa Corte, evidenziando che: a) la presenza di abusi edilizi puo’ costituire fonte di responsabilita’ del locatore/proprietario nei confronti dello Stato, ma non comporta l’invalidita’ del contratto; b) il mancato rilascio di autorizzazioni o concessioni o licenze amministrative relative alla destinazione d’uso dei beni immobili non e’ di ostacolo alla valida costituzione di un rapporto locatizio, tanto piu’ la’ dove, come nel caso di specie, vi sia stata concreta utilizzazione del bene locale secondo la destinazione pattuita; c) solo se il locatore ha assunto con espressa pattuizione l’obbligazione di garantire il pacifico godimento dell’immobile in funzione della specifica destinazione d’uso prevista in contratto, l’impedimento all’esercizio dell’attivita’ svolta dal conduttore per difetto di rilascio (o di rinnovo) delle autorizzazioni amministrative puo’ determinare il colpevole inadempimento del locatore e quindi la sua responsabilita’ ai fini della risoluzione del contratto. Da tali premesse i ricorrenti fanno discendere che, pur in presenza delle denunciate difformita’ edilizie, il contratto di locazione doveva intendersi validamente stipulato, che il conduttore aveva comunque accertato e accettato lo stato dell’immobile e lo aveva utilizzato per un certo tempo in conformita’ alla sua destinazione e che i locatori non avevano contrattualmente assunto l’obbligo di ottenere il rilascio o il rinnovo delle autorizzazioni, cosicche’ non potevano essere considerati inadempienti. Aggiungono che al momento della stipula del contratto l’autorizzazione sanitaria era valida ed attiva, per cui non sussisteva un impedimento al rilascio degli atti amministrativi necessari allo svolgimento dell’attivita’ commerciale.
2. Con il secondo motivo – rubricato: “Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 7 del contratto di cessione di azienda ai fini dell’asserita responsabilita’ contrattuale di (OMISSIS) – articolo 360 c.p.c., n. 3 – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ai fini dell’asserita responsabilita’ contrattuale di (OMISSIS) – articolo 360 c.p.c., n. 5” – i ricorrenti contestano alla Corte d’appello di avere erroneamente fatto derivare la responsabilita’ della societa’ cedente l’azienda dall’articolo 7 del relativo contratto che si limitava a stabilire: “… le parti convengono che la presente cessione e’ subordinata alla concessione del rinnovo delle licenze amministrative prescritte per l’esercizio dell’azienda e si intendera’ pertanto, come non avvenuta nel caso in cui, per cause indipendenti dalla volonta’ delle parti, venissero a mancare le necessarie autorizzazioni”. Tale previsione, lungi dall’avere un contenuto obbligatorio a carico della cedente, costituiva un elemento accidentale del contratto, piu’ precisamente una mera condizione risolutiva idonea a determinare la caducazione del contratto, cosicche’ nell’ipotesi di avveramento della condizione (ossia la mancata concessione del rinnovo delle licenze amministrative) la cessione d’azienda doveva intendersi “…come non avvenuta…”.
Sotto altro profilo, i ricorrenti sostengono che la decisione impugnata e’ carente per omesso esame di un fatto decisivo, “ossia circa il sindacato sul rispetto (o meno) delle obbligazioni che stavano ex lege ed ex contractu, in capo alla cedente (OMISSIS)”. Segnatamente, spiegano che in primo grado il Tribunale aveva ritenuto sussistente l’inadempimento della societa’ cedente poiche’ la cessionaria (OMISSIS), “per irregolarita’” della licenza sanitaria e per la conseguente ordinanza di chiusura del 16 gennaio 2004, non aveva piu’ avuto la possibilita’ di proseguire l’attivita’ imprenditoriale; ribadiscono che detta autorizzazione era stata rilasciata in data 23 febbraio 1999 a (OMISSIS), precedente titolare dell’azienda, a seguito di sopralluogo effettuato dall’Autorita’ competente e che, in forza della L. n. 287 del 1991, articolo 7, era sufficiente la mera cessione dell’azienda affinche’ si producesse l’automatico trasferimento (o meglio, subingresso) della relativa autorizzazione sanitaria in capo alla (OMISSIS). In difetto di modifiche alle strutture, l’autorizzazione sanitaria concessa conservava la sua validita’, per cui non era configurabile in capo alla cedente alcun profilo di violazione contrattuale e di inadempimento rispetto al contratto di cessione d’azienda, dato che la (OMISSIS) aveva potuto iniziare l’attivita’ dell’azienda acquistata ed avrebbe potuto continuare proficuamente ad utilizzarla ad libitum in forza ed in vigenza di una autorizzazione sanitaria pienamente valida, se non avesse, da un lato, omesso di richiedere l’intestazione a proprio nome dell’autorizzazione e, dall’altro, se non avesse dato corso ai lavori di modifica strutturale e di sostituzione delle attrezzature. Cio’ trovava, peraltro, conferma, secondo i ricorrenti, nel fatto che l’ordinanza di chiusura dei locali assunta dal Comune con provvedimento del 16 gennaio 2004 poggiava non gia’ sui profili di abusivismo che caratterizzavano in parte i locali, bensi’ sul diverso fatto che detti locali risultavano non operativi e che la societa’ titolare dell’esercizio non aveva provveduto ad attivarsi per regolarizzare la posizione relativa all’autorizzazione sanitaria.

Locazione l’eventuale non conformità dell’immobile locato alla disciplina edilizia e urbanistica non determina l’illiceità dell’oggetto del contratto

3. Con il terzo motivo si denuncia “Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1578 c.c. e dell’articolo 12 del contratto di locazione ai fini dell’individuazione della responsabilita’ contrattuale dei sigg.ri (OMISSIS)- (OMISSIS). Art. 360 c.p.c., n. 3”. I ricorrenti assumono che i giudici di merito, nel sottolineare l’autonomia funzionale dei due contratti (locazione e cessione d’azienda), si sono limitati ad affermare, da un lato, che il contratto di locazione era subordinato non gia’ al contratto di cessione, bensi’ all’ottenimento delle autorizzazioni di legge necessarie allo svolgimento dell’attivita’ commerciale, e, dall’altro, come il venir meno di tale presupposto fosse la causa stessa dell’inadempimento dei locatori; cosi’ facendo, secondo i ricorrenti, la Corte, pur non indicandoli esplicitamente, si e’ riferita all’articolo 1578 c.c. ed all’articolo 12 del contratto di locazione (che prevedeva: “…si dichiara che motivo di recesso potra’ essere il diniego delle autorizzazioni o concessioni richieste dalle vigenti leggi ai fini dello svolgimento dell’attivita’ del conduttore”). Assumono che anche tale ultima previsione si riferisce ad una mera potesta’ facoltativa in capo alla conduttrice, ossia quella di recedere liberamente dal contratto “…nell’ipotesi di diniego delle autorizzazioni o concessioni richieste…”, per cui la Corte d’appello avrebbe errato nell’individuare l’inadempimento e la responsabilita’ contrattuale dei locatori in tale clausola contrattuale.
4. Il primo motivo e’ inammissibile.
4.1. Con tale doglianza i ricorrenti esordiscono evocando genericamente la sentenza impugnata ed affermando che “la Corte territoriale, piu’ volte, nei passi sopra citati (quelli riprodotti in precedenza a pag. 9 del ricorso) conferma e ricollega l’inadempimento dei locatori al fatto che i locali concessi in locazione presentavano rilevanti vizi urbanistici che impedivano il rilascio delle autorizzazioni necessarie allo svolgimento dell’attivita’ commerciale a cui erano destinati”. La motivazione che si dovrebbe criticare e’ attinta per relationem con il detto rinvio. Tuttavia, nello svolgimento della critica, le argomentazioni di cui alla pag. 9 del ricorso – peraltro riportate mediante estrapolazione di piu’ ampie enunciazioni e anche senza rispettare del tutto la consequenzialita’ espositiva, non vengono mai evocate, dato che la critica stessa si svolge evocando risultanze fattuali delle quali non si fornisce l’indicazione specifica, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e senza alcun raccordo con la motivazione, in tal modo rimettendo a questa Corte l’onere di individuare la correlazione delle argomentazioni alla motivazione della sentenza qui impugnata.
Il motivo e’, quindi, inammissibile per inidoneita’ al raggiungimento dello scopo proprio di un motivo di ricorso per cassazione, perche’ non si confronta, considerandola e criticandola, con la motivazione della sentenza, mediante richiamo ai passaggi ai quali si riferisce la critica.
Il motivo, inoltre, sempre sulla base dell’inammissibile evocazione di risultanze fattuali, si diffonde in argomentazioni che rimandano alla giurisprudenza di questa Corte sull’articolo 1578 c.c., ma senza espressa considerazione di quanto motivato dalla corte territoriale.
Peraltro, la violazione dell’articolo 1578 c.c. e’ stata prospettata all’esito di una ricostruzione delle emergenze fattuali evocate, sicche’ il motivo deduce prima una ricostruzione della quaestio facti, cosi’ che quella prospettazione e’ soltanto derivata, in thesi, da essa.

Locazione l’eventuale non conformità dell’immobile locato alla disciplina edilizia e urbanistica non determina l’illiceità dell’oggetto del contratto

4.2. Se si dovesse procedere, comunque, all’esame delle argomentazioni svolte con il motivo qui in esame, occorre preliminarmente osservare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, l’eventuale non conformita’ dell’immobile locato alla disciplina edilizia e urbanistica non determina l’illiceita’ dell’oggetto del contratto, atteso che il requisito della liceita’ dell’oggetto previsto dall’articolo 1346 c.c., e’ da riferire alla prestazione, ovvero al contenuto del negozio e non al bene in se’ (Cass., sez. 3, 15/12/2003, n. 19190), ne’ puo’ far ritenere illecita la causa, ai sensi dell’articolo 1343 c.c., perche’ locare un immobile costruito senza licenza, ne’ condonato, non e’ in contrasto con l’ordine pubblico, da intendere come il complesso dei principi e dei valori che contraddistinguono l’organizzazione politica ed economica della societa’ in un determinato momento storico (Cass., sez. 3, 28/04/1999, n. 4228). Il carattere abusivo di una costruzione, mentre puo’ senz’altro costituire fonte di responsabilita’ dell’autore nei confronti dello Stato, non comporta, dunque, l’invalidita’ del contratto di locazione della costruzione stipulato tra privati, trattandosi di rapporti distinti e regolati ciascuno da proprie norme (Cass., sez. 3, 27/05/2009, n. 12275; Cass., sez. 3, 22/03/2004, n. 5672; Cass., sez. 3, 28/04/1999, n. 4228; Cass., sez. U, n. 2034 del 20/03/1985; Cass., sez. 3, n. 583 del 29/01/1982).
Esclusa l’incidenza del carattere abusivo dell’immobile locato sul piano della validita’ negoziale, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, costituiscono vizi della cosa locata, agli effetti dell’articolo 1578 c.c. – la cui presenza non configura un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte ai sensi dell’articolo 1575 c.c., ma altera l’equilibrio delle prestazioni corrispettive, incidendo sull’idoneita’ all’uso della cosa stessa, consentendo la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo – quelli che investono la struttura materiale della cosa, alterandone l’integrita’ in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se eliminabili e manifestatisi successivamente alla conclusione del contratto di locazione (Cass., sez. 3, 21/11/2011, n. 24459; Cass., sez. 3, 15/05/2007, n. 11198; Cass., sez. 3, 18/04/2006, n. 8942).
Proprio la diretta inerenza della nozione di “vizio” della cosa locata (ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 1578 c.c.) alla struttura materiale del bene, ha portato questa Corte a escludere, dal discorso sui vizi della cosa (oltre che da quello sulla validita’ contrattuale), tutti i casi in cui il bene concesso in godimento sia privo dei titoli amministrativi necessari o indispensabili ai fini dell’utilizzazione della stessa cosa, in se’ considerata (ossia, secondo la propria intrinseca destinazione economica), o in conformita’ all’uso convenuto tra le parti, dovendo tale questione integralmente risolversi sul terreno dell’adempimento delle obbligazioni reciprocamente assunte dai contraenti (Cass., sez. 3, n. 20796 del 20/08/2018; Cass., sez. 3, n. 15377 del 26/07/2016; Cass., sez. 3, 21/08/2020, n. 17557).
Riportando, dunque, la questione della natura abusiva dell’immobile nell’ambito dei possibili inadempimenti delle parti, si e’ chiarito che puo’ individuarsi un eventuale inadempimento del locatore solo la’ dove il carattere abusivo dell’immobile concesso in godimento abbia in qualche misura inciso su un qualche concreto profilo di interesse del conduttore (Cass., sez. 3, 21/08/2020, n. 17557, cit.), con la precisazione che finche’ nessuna limitazione, contestazione o turbativa del godimento abbia condizionato la sfera del conduttore, spetta a quest’ultimo allegare e fornire la prova del concreto pregiudizio subito per effetto di tale particolare caratteristica giuridica del bene, dovendosi escludere l’inadempimento del locatore, in ragione della mera circostanza, in se’, del carattere abusivo dell’immobile locato, non costituente, in quanto tale, un pregiudizio in re ipsa per il conduttore.
Nella specie, del tutto correttamente la Corte territoriale ha ritenuto sussistente l’inadempimento dei locatori, avendo la societa’ conduttrice allegato e dimostrato il pregiudizio ad essa derivato dalla natura abusiva del locale concesso in locazione, essendo pacifico in fatto che il Comune di Carloforte ha disposto la chiusura del locale in data 16 gennaio 2004 proprio in ragione delle irregolarita’ urbanistiche riscontrate a seguito della comunicazione inviata dalla conduttrice ai competenti uffici amministrativi per l’esecuzione dei lavori di adeguamento ed ammodernamento dei locali.
In particolare, i giudici di merito, partendo dalla considerazione che si era, nel caso di specie, in presenza di una ipotesi di collegamento negoziale del contratto di locazione e di quello di cessione d’azienda, hanno accertato che il bene locato “non fosse idoneo, sin dall’origine, da un punto di vista urbanistico/sanitario all’esercizio dell’attivita’” e di conseguenza che “le necessarie autorizzazioni non sarebbero mai potuto essere concesse”, in tal modo sottolineando che la natura abusiva del locale non avrebbe consentito alla (OMISSIS), che pure aveva inizialmente avviato l’attivita’ commerciale, di continuare ad esercitarla nei locali oggetto di locazione.
Cio’ porta ad escludere le violazioni di legge denunciate.
I giudici di merito hanno chiaramente ricollegato l’inadempimento dei locatori, che avevano assunto obbligazioni del tutto autonome da quelle derivanti in capo alla societa’ (OMISSIS) dal contratto di cessione d’azienda, alle “profonde irregolarita’ urbanistiche/sanitarie inidonee sin dall’origine a far svolgere un’attivita’ di ristorazione e dunque a far ottenere le necessarie autorizzazioni”, in esito all’esame delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, che aveva posto in rilevo non solo che “tutta la costruzione e’ (era) frutto di abusivismo”, tanto che gia’ nel 1998 era stato richiesto il rilascio di concessione edilizia in sanatoria, ma anche che la situazione dei luoghi riscontrata in sede di sopralluogo si presentava sostanzialmente differente rispetto a quella rappresentata nella domanda per il rilascio della sanatoria del 1998, tanto che l’ufficio tecnico comunale, proprio in ragione di tale diversita’, aveva negato le autorizzazioni richieste.
5. Il secondo motivo e’ inammissibile per inosservanza del principio di autosufficienza di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, giacche’ non si localizza il contratto cui si fa riferimento.
In chiusura del ricorso si indica la produzione dei “fascicoli atti e documenti (cfr. indici interni)”, ma si omette di precisare se il contratto e’ presente ed in quale di tali fascicoli e di indicare il numero dell’indice pertinente, in tal modo non adempiendo all’onere di localizzazione imposto dalla citata norma (secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte: ex multis, Cass., sez. U, 02/12/2008, n. 28547; Cass., sez. U, 25/03/2010, n. 7161).
Inoltre, i ricorrenti, prendendo le mosse dal presupposto che la Corte d’appello avrebbe desunto la responsabilita’ della societa’ (OMISSIS) s.r.l. dall’articolo 7 del contratto di cessione di azienda, che non prevedeva alcun obbligo a carico della cedente, muovono in realta’ critiche al percorso argomentativo su cui poggia la decisione ed alla valutazione delle risultanze istruttorie operata dai giudici di merito, tanto che richiamano vicende fattuali che hanno interessato l’autorizzazione sanitaria al fine di sostenere, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di appello, che l’autorizzazione sanitaria, originariamente rilasciata alla precedente titolare dell’azienda ( (OMISSIS)), al momento della cessione dell’azienda fosse pienamente valida ed efficace, con conseguente esclusione di inadempimento contrattuale in capo alla societa’ cedente.
Al di la’ del difetto di specificita’ della contestazione mossa, il vizio denunziato si traduce nella critica alla complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimita’ degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito e addivenire ad un apprezzamento delle prove difforme da quello dato dal giudice di appello (Cass., sez. 5, 28/11/2014, n. 25332; Cass., sez. 1, 06/03/2019, n. 6519).
La rivalutazione degli elementi probatori gia’ infruttuosamente sottoposti al vaglio della Corte territoriale, che ha riconosciuto sussistente l’inadempimento della societa’ (OMISSIS) s.r.l. per avere ceduto una azienda sprovvista della autorizzazione sanitaria indispensabile per l’attivita’ di ristorazione, equivale a postulare una rinnovazione del giudizio afferente ad un accertamento di fatto che risulta, seppure in modo sintetico, congruamente motivato e che non e’ percio’ e’ suscettibile di rimeditazione nei limiti del controllo che puo’ aver luogo in questa sede.
Peraltro, la doglianza neppure e’ riconducibile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione introdotta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis, in quanto detto vizio puo’ essere dedotto soltanto in caso di omesso esame di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo piu’ consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali, acquisiti al rilevante probatorio, ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass., sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass., sez. U, 22/09/2014, n. 19881; Cass., sez. 3, 10/06/2016, n. 11892; Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940).
6. Anche il terzo motivo e’ inammissibile, sia perche’ viola, per le ragioni in precedenza indicate, l’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, sia perche’ non si confronta con la ratio decidendi della pronuncia e si risolve in una riproposizione di argomenti gia’ esposti con il primo motivo, pur avendo la Corte d’appello, come gia’ detto, individuato la causa della risoluzione del contratto di locazione proprio nella impossibilita’, per il conduttore, in ragione delle violazioni urbanistiche rilevate, di conseguire le autorizzazioni di legge necessarie allo svolgimento dell’attivita’ commerciale.
7. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 8.500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis se dovuto.

 

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