Dalla adozione di un rito errato non deriva alcuna nullità

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|11 aprile 2023| n. 9628.

Dalla adozione di un rito errato non deriva alcuna nullità

Dalla adozione di un rito errato non deriva alcuna nullità, né la stessa può essere dedotta quale motivo di impugnazione, a meno che l’errore di rito non abbia inciso sul contraddittorio o sull’esercizio del diritto di difesa o non abbia, in generale, cagionato un qualsivoglia altro specifico pregiudizio processuale alla parte. (Nella specie, in tema di procedimento disciplinare a carico di un geologo, il ricorrente per cassazione deduceva la violazione degli articoli 6, comma 7, legge n. 339 del 1990 nonché degli articoli 135 e 737, atteso che la Corte di appello, in sede di impugnazione del provvedimento del Tribunale che aveva rigettato il ricorso avverso la pronunzia del Consiglio Nazionale di Disciplina dei Geologi, doveva rendere la propria decisione sotto forma di decreto e non di sentenza. La Suprema Corte ha disatteso tale motivo in forza del principio riassunto sopra evidenziando che al ricorrente non era derivato alcun pregiudizio dalla circostanza che il provvedimento della Corte territoriale – emesso all’esito di un rito svolto in forma camerale – fosse stato emesso sotto forma di sentenza).

Sentenza|11 aprile 2023| n. 9628. Dalla adozione di un rito errato non deriva alcuna nullità

Data udienza 28 settembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: ARTI E PROFESSIONI INTELLETTUALI – GIUDIZI DISCIPLINARI

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

Dott. POLETTI Dianora – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al R.G.N. 2622-2021 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta procura speciale in atti, dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO NAZIONALE DEI GEOLOGI, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in atti;
– controricorrente –
nonche’ contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI PALERMO;
– intimato –
avverso la sentenza n. 8/2020 della CORTE DI APPELLO DI PALERMO, depositata il 08/06/2020;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. POLETTI DIANORA;
lette le conclusioni scritte del P.M., redatte dal Sostituto Procuratore Generale Dott. TRONCONE FULVIO, che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilita’ o per il rigetto del ricorso.

Dalla adozione di un rito errato non deriva alcuna nullità

FATTI DI CAUSA

1. In data 23 giugno 2014 il Consiglio dell’Ordine dei Geologi della Calabria irrogava al Dott. (OMISSIS) la sanzione disciplinare di sospensione dall’esercizio della professione di geologo per 40 giorni; tale sanzione veniva impugnata dal Dott. 1Scaravilli dinanzi al Consiglio Nazionale di Disciplina presso il Consiglio Nazionale dei Geologi (di seguito “CDN”) poi presso il Tribunale di Catanzaro, dando cosi’ avvio a un procedimento pendente avanti questa Corte (iscritto al R.G. n. 32697/2019).
2. Per i medesimi fatti, ma per differenti violazioni, l’Ordine dei Geologi della Sicilia (di seguito “OR Sicilia”), avviava, con delibera n. 312/2014, un ulteriore procedimento disciplinare nei confronti del Dott. (OMISSIS), al cui esito veniva irrogata la sanzione di sospensione di 8 mesi dall’attivita’ professionale, che veniva impugnata innanzi al CDN con ricorso L. n. 339 del 1990, ex articolo 6 presentato in data 10.08.2015.
Poiche’ nelle more era pendente avanti il Tribunale di Palermo, per i fatti oggetto di sanzione, un procedimento penale a carico del Dott. (OMISSIS), in attesa dell’esito, il CDN sospendeva il procedimento disciplinare e l’efficacia della sanzione con delibera n. 2/2016.
3. Tale delibera veniva impugnata presso il Tribunale di Palermo, che con decreto dichiarava improcedibile il ricorso per mancanza della necessaria integrazione del contraddittorio nei confronti del Consiglio Nazionale dei Geologi (di seguito “CNG”); il Dott. (OMISSIS) provvedeva alla riassunzione del giudizio presso lo stesso Tribunale di Palermo, che con decreto n. 647/2019 dichiarava cessata la materia del contendere, stante il fatto che nelle more era stato definito il procedimento disciplinare sospeso con la delibera 2/2016.
4. Il Dott. (OMISSIS) ricorreva in appello, chiedendo l’annullamento/riforma della decisione del CDN n. 2/2016 e degli atti presupposti del Consiglio dell’OR Sicilia. Eccepiva il difetto di legittimazione passiva del CNG/CDG e dell’OR Sicilia e il difetto di capacita’ processuale del difensore di controparte presso il Tribunale di Palermo; chiedeva altresi’ che fosse ordinato al P.M. della procura di Enna o a quello competente di inoltrare il provvedimento all’OR Sicilia per l’avvio di procedimento disciplinare verso altro collega, nonche’ nei confronti dei componenti del Consiglio dell’ordine della Sicilia per violazione del codice deontologico. Sollevava numerose eccezioni pregiudiziali e articolati rilievi di merito attinenti alla legittimita’ dell’iter relativo al procedimento disciplinare contro di lui intrapreso.
Il CNG si costituiva eccependo l’inammissibilita’ dell’appello proposto dal geom. (OMISSIS), asserendo che la delibera oggetto di appello (2/2016) era stata comunque superata da altra delibera conclusiva del procedimento disciplinare (1/2018).

 

Dalla adozione di un rito errato non deriva alcuna nullità

5. Con sentenza n. 8/2020, la Corte territoriale rigettava l’appello, confermando la correttezza della sentenza di primo grado.
La Corte di Appello di Palermo, in particolare:
– premetteva che, sebbene il giudice di prime cure avesse dichiarato cessata la materia del contendere in ragione dell’adozione ad opera del CD/CNG della delibera n. 1/2018, che ha dichiarato espressamente cessata l’efficacia della delibera n. 2/2016 oggetto dell’impugnazione e avesse ritenuto inammissibile il ricorso per carenza di interesse, il Dott. (OMISSIS) ha impugnato la decisione rilevando la sussistenza del proprio interesse connesso ad evitare che il procedimento amministrativo e, segnatamente, quello disciplinare, fosse sospeso sine die;
– affermava che, contrariamente a quanto censurato dall’appellante, l’esame dovesse essere circoscritto alla sola delibera n. 2/2016, atteso che la delibera n. 1/2018, conclusiva del procedimento disciplinare, gli atti presupposti e gli atti successivi risultavano oggetto di altro procedimento di impugnazione, deciso dal Tribunale di Palermo e pendente avanti la stessa Corte;
– statuiva che la decisione del Consiglio di Disciplina Nazionale del Consiglio Nazionale dei Geologi n. 2/2016 non poteva essere impugnata avanti l’A.G.O., trattandosi di decisione che disponeva la sospensione del procedimento disciplinare intrapreso nei confronti dell’incolpato, nonche’, al contempo, dell’efficacia della sanzione disciplinare inflitta, in attesa dell’esito del parallelo procedimento penale relativo ai medesimi fatti e che essa non poteva avere nessuna influenza negativa sullo svolgimento dell’attivita’ professionale dell’impugnante;
– specificava al riguardo che la decisione che aveva disposto la sospensione del procedimento disciplinare intrapreso nei confronti dell’incolpato rappresentava un segmento del procedimento concluso con la delibera n. 1/2018, la quale ha definito il procedimento disciplinare, rivedendo parzialmente, in senso favorevole all’incolpato, la delibera n. 206/2015 del Consiglio dell’Ordine della Regione Sicilia, riducendo la sospensione da 8 mesi a 4 mesi ed e’ stata autonomamente impugnata;
– riteneva recessivo l’interesse propugnato dall’iscritto ad una celere definizione del procedimento disciplinare rispetto al superiore interesse dell’ordinamento di evitare il contrasto tra decisioni giurisdizionali penali amministrative e disciplinari a tutela dell’ordine stesso, come previsto dallo stesso articolo 12 del codice disciplinare dei geologi, che prevede la sospensione del procedimento disciplinare fino a sentenza definitiva.
6. Avverso tale decisione il Dott. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sei motivi.
7. Ha resistito con controricorso il Consiglio Nazionale dei Geologi, eccependo l’inammissibilita’ del ricorso per violazione del principio di autosufficienza e l’infondatezza dei motivi di ricorso.
8. La causa e’ stata trattata in camera di consiglio senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.

 

Dalla adozione di un rito errato non deriva alcuna nullità

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo il Dott. (OMISSIS) deduce la violazione della L. n. 339 del 1990, articolo 6, comma 7, nonche’ la violazione degli articoli 135 e 737 c.p.c. e la falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Contesta il ricorrente la forma rivestita dal provvedimento impugnato, asserendo che questo, a seguito della trattazione in camera di consiglio, avrebbe dovuto essere reso sotto forma non gia’ di sentenza, ma di decreto, ai sensi dell’articolo 737 c.p.c. e articolo 135 c.p.c. e che conseguentemente, in base all’articolo 741 c.p.c., la semplice proposizione del ricorso per cassazione ne impedirebbe l’efficacia.
2.- Il secondo motivo censura la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 10 in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1: secondo il ricorrente la sentenza gravata sarebbe errata la’ dove ha previsto, con il rigetto dell’appello, la corresponsione di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, posto che, ai sensi di quanto previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 10, il procedimento in questione e’ esente da tale versamento.
3.- Con il terzo mezzo il ricorrente si duole della falsa applicazione della L. n. 339 del 1990, articolo 6, comma 6, della violazione degli articoli 112, 158 e 737 c.p.c., articolo 738 c.p.c., comma 1 e della violazione dell’articolo 113 disp. att. c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-4-5, censurando la nomina da parte del CNG dei componenti geologi integranti i collegi delle sezioni specializzate, stante la pronuncia della Corte Costituzionale (n. 83/1998) che ha ritenuto illegittimo la L. n. 339 del 1990, articolo 6, comma 6, avente ad oggetto tale previsione. Ritiene il ricorrente che la Corte di appello avrebbe dovuto conseguentemente pronunciare la nullita’ del decreto appellato, disponendo la rinnovazione degli atti. Deduce inoltre l’omesso esame da parte della Corte distrettuale delle contestazioni sull’inesistenza della notifica della delibera OR Sicilia 312/14 contenente l’accusa disciplinare e sulla violazione del principio del “ne bis in idem” circa i medesimi fatti oggetto di altro procedimento disciplinare.

 

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4.- Il quarto motivo e’ cosi’ rubricato: “Error in iudicando. Violazione del principio di soccombenza virtuale. Violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 3”.
Con tale mezzo si insiste per la cassazione della sentenza di appello perche’ la stessa non ha rilevato i vizi del decreto del Tribunale, giuridicamente inesistente e comunque affetto da radicale nullita’ per contrasto tra motivazione e dispositivo e per omessa pronuncia sulla delibera 2/2016.
5.- Il quinto motivo deduce la violazione della L. n. 339 del 1990, articolo 6, comma 7, degli articoli 136 e 158 c.p.c., dell’articolo 117 c.p.c., dell’articolo 738 c.p.c., comma 2 e dell’articolo 3 disp. att. c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 4.
A detta del ricorrente, la sentenza della Corte palermitana sarebbe stata adottata in violazione di legge per aver invertito le audizioni del PM e dell’interessato, perche’ il PG non sarebbe stato sentito, perche’ il ricorrente non ha conosciuto le conclusioni del PM/PG del 18.04.2019 alla udienza del 27.11.2019, nonche’ per la violazione di altre norme procedurali nella fase del contraddittorio, ivi compresa la mancata estromissione del CNG intervenuto e la conseguente condanna alle spese legali sostenute dal CNG.
6. – Il sesto e ultimo motivo contesta la violazione degli articoli 112, 132 e 737 c.p.c., nonche’ la falsa applicazione dell’articolo 12 del Codice disciplinare dei Geologi in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

 

Dalla adozione di un rito errato non deriva alcuna nullità

Il ricorrente lamenta l’omessa pronuncia del Tribunale e di riflesso del giudice di seconda istanza su tutti i vizi formali e sostanziali eccepiti, compreso quello assorbente riguardante il difetto assoluto di attribuzione e competenza della CDN, nonche’, nel merito, l’omessa pronuncia sulle delibere dell’OR Sicilia (206/15 e 312/14), sia pure estranee al procedimento incardinato a seguito dell’impugnazione della delibera 2/2016.
7.- Il ricorso non merita accoglimento, risultando le censure rivolte alla sentenza impugnata prive di fondamento giuridico.
8.- Il primo motivo e’ infondato in quanto l’errata applicazione del rito non e’ causa di nullita’ o motivo di impugnazione, qualora sia rispettato il contraddittorio e sia consentita la possibilita’ difensiva.
Il principio e’ stato piu’ volte affermato da questo Giudice, che ha statuito come dall’adozione di un rito errato non derivi alcuna nullita’, “ne’ la stessa puo’ essere dedotta quale motivo di impugnazione, a meno che l’errore di rito non abbia inciso sul contraddittorio o sull’esercizio del diritto di difesa o non abbia, in generale, cagionato un qualsivoglia altro specifico pregiudizio processuale alla parte” (Cass. n. 19136/2005 e, piu’ di recente, Cass. 12567/2021).
Posto che la L. n. 339 del 1990, articolo 6, comma 7, stabilisce che il tribunale e la corte d’appello provvedono in camera di consiglio sentito il pubblico ministero e l’interessato, il ricorrente sostiene che la redazione dell’atto conclusivo sotto forma di sentenza renda comunque applicabile l’articolo 741 c.p.c., che prevede l'”acquisto di efficacia” dei decreti quando sono decorsi i termini di cui agli articoli precedenti senza che sia stato proposto reclamo: la presentazione del ricorso per Cassazione dovrebbe intendersi come reclamo proposto avverso il decreto e ne dovrebbe quindi impedire l’effetto.
La tesi e’ priva di pregio e contrasta anche con il tenore del comma 8 dell’articolo 6 sopra citato, secondo il quale avverso la decisione della corte d’appello e’ proponibile ricorso per cassazione dall’interessato o dal procuratore generale presso la corte d’appello, nel termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione. Dimentica altresi’ il ricorrente, a volere seguire la sua impostazione, come evidenziato dal controricorrente, che l’articolo 741 c.p.c. stabilisce che non e’ ammesso reclamo contro i decreti della corte di appello, di guisa che il giudizio in questione non avrebbe potuto essere incardinato.

 

Dalla adozione di un rito errato non deriva alcuna nullità

Nessun pregiudizio processuale e’ dunque al medesimo derivato per essere stato il provvedimento della Corte territoriale – emesso peraltro all’esito di un rito svolto in forma camerale, come risulta dalla parte della decisione impugnata che riporta lo svolgimento del processo pronunziato – sotto forma di sentenza.
9.- Il secondo motivo e’ inammissibile per difetto di interesse, posto che l’obbligo di versare un importo ulteriore del contributo unificato e’ normativamente dipendente – ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, del 115/2002 – dalla sussistenza dell’obbligo della parte impugnante di versare il contributo unificato ed e’ parametrato al quantum dello stesso, per cui se nulla e’ dovuto a titolo di contributo unificato, nulla sara’ dovuto a titolo di raddoppio dello stesso.
Questa Corte a Sezioni Unite (n. 4315/2020) ha al riguardo affermato che “la debenza di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione e’ normativamente condizionata a “due presupposti”, il primo dei quali – di natura processuale – e’ costituito dall’avere il giudice adottato una pronuncia di integrale rigetto o di inammissibilita’ o di improcedibilita’ dell’impugnazione, mentre il secondo – appartenente al diritto sostanziale tributario – consiste nella sussistenza dell’obbligo della parte che ha proposto impugnazione di versare il contributo unificato iniziale con riguardo al momento della iscrizione della causa al ruolo. L’attestazione del giudice dell’impugnazione ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, secondo periodo T.U.S.G., riguarda solo la sussistenza del primo presupposto, mentre spetta all’amministrazione giudiziaria accertare la sussistenza del secondo”.
Posto che l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato che la parte impugnante e’ obbligata a versare, allorquando ricorrano i presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2012, articolo 13, comma 1-quater, ha natura di debito tributario, come affermato da questo Giudice con tale decisione, “la questione circa la sua debenza e’ estranea alla cognizione della giurisdizione civile ordinaria, spettando invece alla giurisdizione del giudice tributario”, si’ che anche sotto tale aspetto il ricorso non supera la soglia della ammissibilita’.
10.- Il terzo motivo e’ anch’esso inammissibile, perche’ prospetta in maniera affastellata una pluralita’ di vizi tra loro neanche compatibili, scontrandosi con il principio ripetutamente affermato da questa Corte in base al quale in tema di ricorso per cassazione “e’ inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorieta’ della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimita’ il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’articolo 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, cosi’ attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimita’ il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse” (Cass., Sez. 1, n. 26874/2018; Cass., Sez. 1, n. 36881/2021; Cass., Sez. 2, n. 2611/2021).
Ad ogni buon conto, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, la Corte distrettuale non ha “omesso qualsiasi tipo di esame” delle questioni sollevate dall’appellante, mancando di analizzare gli altri motivi di ricorso, ma li ha dichiarati assorbiti, concentrando le sue argomentazioni decisorie sulla ragione piu’ liquida, ossia, come sopra riportato, sulla circostanza che la delibera n. 2/2016 non era impugnabile avanti all’A.G.O. perche’ non rientrante tra quelle a carattere decisorio, presentando la stessa un mero carattere endoprocedimentale, non incidente su posizioni di diritto soggettivo perfetto.
Il punto non risulta peraltro essere stato fatto oggetto di motivi di ricorso per cassazione, tanto che lo stesso appare ormai coperto dal giudicato.
Si puo’ aggiungere che il motivo e’ anche diretto su taluni profili ad ottenere una non consentita riconsiderazione del merito della causa, come risulta dallo stesso tenore del ricorso, che a pag. 12 fa riferimento alle narrative in fatto che la Corte dovrebbe riesaminare.
11.- Il quarto motivo e’ inammissibile perche’ privo di specificita’ quanto alla dedotta inesistenza/nullita’ del decreto del Tribunale, non riportando, per le doglianze di omessa pronuncia, i motivi di gravame fatti valere, per consentire il debito riscontro a questo Collegio.
Lo stesso si presenta inammissibile anche per difetto di interesse, posta la gia’ segnalata natura endoprocedimentale del provvedimento impugnato, privo di efficacia lesiva per il ricorrente, avendo questa decisione sospeso, unitamente alla sospensione del procedimento disciplinare, anche l’efficacia della sanzione originariamente inflitta.
Come puntualizzato dal CNG nel controricorso, la circostanza che dall’annullamento della delibera n. 2/2016 nessun vantaggio avrebbe potuto derivare al ricorrente e’ dallo stesso riconosciuta: a pag. 12 del ricorso si afferma testualmente che “la decisione CDN n. 1/2018 aveva inconfutabilmente determinato la cessazione della materia del contendere nell’ambito del processo definito dal Tribunale, avendo riformato in melius le decisioni OR Sicilia nn, 312/2014 e 206/2015”.
La dedotta violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., infine, compare nella sola rubrica del mezzo di impugnazione ma non e’ sviluppata nel corpo dello stesso.
12.- Il quinto motivo e’ infondato quanto alla lamentata inversione tra PM e interessato e quanto all’audizione dei soli procuratori delle parti, dato che la L. n. 339 del 1990 neppure prevede l’obbligo di sentire personalmente l’interessato, nonche’ quanto al fatto che il PG non sarebbe stato sentito, posto che questo ha presentato le sue conclusioni (e’ lo stesso ricorrente a dichiarare che nel fascicolo telematico risulta l’annotazione “ritorno atti dal PG/PM con parere negativo”, che sconfessa anche il fatto che il ricorrente avrebbe avuto conoscenza del parere negativo del PM solo con la decisione impugnata).
E’ parimenti infondato anche sul punto della pretesa estromissione del CNG, incentrata per analogia sul CNF, organo di tipo diverso perche’ giurisdizionale e non amministrativo (da cio’, l’inconferente richiamo alla decisione n. 16993/2017 delle S.U. che si legge a pag. 16 del ricorso).
Come affermato da Cass. n. 568/2004, “nel procedimento giurisdizionale previsto dalla L. 12 novembre 1990, n. 339, articolo 6 per il sindacato sui provvedimenti in materia disciplinare nei confronti dei geologi, il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Geologi e’ contraddittore necessario, essendo destinatario della pretesa del privato diretta all’annullamento della deliberazione da esso Consiglio nazionale adottata”.
13.- Il sesto mezzo, per come articolato, incorre negli stessi rilievi di inammissibilita’ che sono stati avanzati rispetto al quarto motivo, cui e’ in parte sovrapponibile.
Esso imputa nuovamente alla decisione di non avere esaminato i vizi formali e sostanziali dedotti, chiedendo il riesame del merito, anche di altre delibere che dichiaratamente sono al vaglio di altri giudici.
Anche al riguardo possono essere riproposte le considerazioni formulate con riferimento al quarto motivo, cui si puo’ aggiungere l’infondatezza del motivo riguardo alla dedotta ultrapetizione della sentenza impugnata, che, anziche’ pronunciare la nullita’ del decreto del primo giudice – a detta del ricorrente – ha individuato la norma che legittima la sospensione del giudizio sull’impugnativa nell’articolo 12 del codice disciplinare dei geologi, che regola i diversi rapporti tra procedimento penale e quello disciplinare.
Il motivo erra nel denunciare il vizio di ultrapetizione, che ricorre (e non e’ questo il caso di specie) “quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalla parti ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato” (Cass. n. 11304/2018) e non coglie comunque la ratio della decisione, che ha richiamato questa norma non gia’ quale snodo fondante della sua decisione, ma solo per suffragare, nel bilanciamento tra l’interesse generale e pubblico ad evitare il contrasto tra decisioni giurisdizionali penali e decisioni amministrative disciplinari e l’interesse privato alla celere definizione del procedimento disciplinare, il sacrificio di quest’ultimo.
14.- In conclusione, il ricorso va rigettato.
15.- Le spese seguono la soccombenza e possono essere liquidate come in dispositivo.
16.- Stante l’esito del ricorso, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13 comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condannando il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 5.000,00, oltre a 200,00 per esborsi, al 15% di rimborso delle spese generali forfettarie e agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

 

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