Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 28 agosto 2019, n. 5920.
La massima estrapolata:
Va esclusa l’esistenza di un potere regionale di “adattamento” dei valori soglia in funzione di una casistica valutazione delle caratteristiche dei fanghi ossia di una possibilità che essi siano “…riparametrati in aumento, sulla base delle competenze tecnico-discrezionali dell’Amministrazione e tenendo conto dell’ammissibilità di una maggiore concentrazione nei fanghi, rispetto al suolo, di sostanze inquinanti”. Tale potere non è in alcun modo riconducibile a quello disciplinato dall’art. 6 n. 2 del d.lgs. n. 99/1992, secondo cui le regioni “…stabiliscono ulteriori limiti e condizioni di utilizzazione in agricoltura per i diversi tipi di fanghi in relazione alle caratteristiche dei suoli, ai tipi di colture praticate, alla composizione dei fanghi, alle modalità di trattamento”, posto che esso si riferisce a limiti “ulteriori” e quindi semmai più restrittivi, e non consente di derogare alla disciplina nazionale necessariamente uniforme in ambito riservato all’esclusiva competenza legislativa statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s) Cost. (“tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”), che peraltro deve conformarsi a una disciplina eurounitaria.
Sentenza 28 agosto 2019, n. 5920
Data udienza 24 gennaio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8197 del 2018, proposto dalla Regione Toscana, in persona del Presidente in carica della Giunta Regionale, rappresentata e difesa dall”avv. Lu. Bo. dell’Avvocatura regionale, e elettivamente domiciliata in Roma, al piazzale (…), presso lo studio legale degli avvocati Se. Fi. e An. Gi., per mandato allegato all’appello, con indicazione di domicilio digitale l(…) e numero di telefax (…);
contro
Ec.-Ag. S.r.l., con sede in (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Al. Lo., e con questi elettivamente domiciliata in Roma, alla via (…), presso lo studio dell’avv. Fi. Ru., per mandato in calce all’atto di costituzione, con domicilio digitale (…) e numero di telefax 075-5099829;
nei confronti
Unione dei Comuni Amiata Val d’Orcia, costituita tra i Comuni di (omissis), in persona del Presidente in carica, non costituita nel giudizio di primo grado e nel giudizio d’appello;
Sportello Unico per le Attività Produttive – S.U.A.P. dell’Unione dei Comuni Amiata Val D’Orcia, in persona del responsabile pro-tempore, non costituito nel giudizio di primo grado e nel giudizio d’appello;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Toscana, Sezione 2^, n. 1078 del 25 luglio 2018, resa tra le parti, con cui, in accoglimento del ricorso in primo grado n. r. 6/2018, sono stati annullati la nota provvedimentale del responsabile del S.U.A.P. dell’Unione dei Comuni Amiata Val d’Orcia prot. 12048 del 3 ottobre 2017 e il presupposto decreto della Regione Toscana n. 13351 del 15 settembre 2017, recanti diniego di modifica sostanziale dell’autorizzazione unica ambientale dell’8 marzo 2016 per l’utilizzazione in agricoltura dei fanghi derivanti dal processo di depurazione delle acque ai fini dell’aumento della superficie utilizzabile e dell’inserimento di nuovi impianti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ec.-Ag. S.r.l.;
Visto l’appello incidentale proposto da Ec.-Ag. S.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2019 il Cons. Leonardo Spagnoletti e uditi per l’avv. St. Cr., per delega dell’avv. Lu. Bo., per la Regione Toscana e l’avv. Al. Lo. per Ec.-Ag. S.r.l.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.) La società Ec.-Ag. S.r.l., con sede in (omissis), è titolare di autorizzazione unica ambientale (d’ora innanzi a.u.c.) n. 231 del 25 febbraio 2016, rilasciata dall’allora competente Provincia di Siena per l’utilizzo in agricoltura dei fanghi rivenienti da impianti di depurazione delle acque, in particolare mediante spandimento dei fanghi sui terreni agricoli di proprietà dell’Azienda agricola “F.lli Go.”, siti nel territorio del Comune di (omissis).
1.1) Con istanza in data 24 aprile 2016, l’interessata ha chiesto una modifica sostanziale della suddetta a.u.c., ai fini dell’aumento della superficie di spandimento per ulteriori ha 157.40.81 e del numero degli impianti deputativi di provenienza dei fanghi, trasmessa mediante lo Sportello unico delle attività produttive (d’ora innanzi: S.U.A.P.) dell’Unione dei Comuni Amiata Val d’Orcia alla Regione Toscana, sottentrata nelle relative competenze alla Provincia di Siena.
1.2) La Regione Toscana, con nota interlocutoria n. 17835 del 19 ottobre 2016, ha richiesto documentazione integrativa in merito alla qualità dei fanghi destinati allo spandimento, per verificare l’assenza di sostanze contaminanti di natura industriale o antropica tali da renderli non assimilabili a quelli provenienti da impianti di trattamento di scarichi di esclusivo tipo civile, nonché la loro rispondenza, oltre che ai valori limite indicati nel d.lgs. n. 99/1992, altresì ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (csc) di cui alla tabella 1, colonna A, dell’allegato 5 alla Parte IV del d.lgs. 152/2006.
1.3) In riscontro, con nota del 16 dicembre 2016, Ec.-Ag. S.r.l., nel trasmettere la documentazione richiesta dal d.lgs. n. 99/1992, ha contestato l’applicabilità ai fanghi delle disposizioni del d.lgs. n. 152/2006 in materia di rifiuti, e in specie dei valori soglia di contaminazione (csc) che si riferiscono ai suoli da assoggettare a bonifica, richiamando anche due pareri dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
1.4) Con nota del 19 maggio 2017, sulla base dell’atto della Regione Toscana n. 337774 del 17 maggio 2017, il responsabile del S.U.A.P., ha comunicato i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza in relazione all’incompletezza della documentazione, come richiesta e non fornita.
1.5) Dopo le osservazioni dell’interessata, di cui alla nota del 25 maggio 2017 -che ribadivano l’ultroneità della documentazione richiesta ai sensi del d.lgs. n. 152/2006-, con decreto n. 13351 del 15 settembre 2017 la Regione Toscana ha ribadito l’incompletezza della documentazione ai fini di rilascio dell’a.u.c. (anche richiamando a sostegno l’orientamento della Corte di Cassazione, in sede penale, n. 27958 del 6 giugno 2017 circa l’applicabilità dei valori soglia di concentrazione a fanghi e suoli interessati allo spandimento), e con comunicazione definitiva del S.U.A.P. in data 3 ottobre 2017 è stato quindi espresso il diniego.
1.6) Con ricorso in primo grado n. r. 6/2018, Ec.-Ag. S.r.l. ha impugnato i suddetti provvedimenti, deducendo in sintesi le seguenti censure:
1) Violazione, falsa e/o erronea applicazione di legge in relazione al d.lgs. n. 99/1992 e all’art. 127 del d.lgs. n. 152/2006. Violazione del principio di legalità e dell’art. 97 Cost. Violazione dell’art. 41 Cost. Violazione degli artt. 7, 10, 10 bis della legge b. 241/1990. Eccesso di potere per manifesta irragionevolezza e illogicità, travisamento dei presupposti di fatto e sviamento
L’art. 127 del d.lgs. n. 152/2006 dispone che i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione, tenendo ferma però (“ferma restando”) la disciplina di cui al d.lgs. n. 99/1992.
Ne consegue che la sola e unica regolamentazione dei parametri analitici dei fanghi è quella contenuta negli allegati al d.lgs. n. 99/1992.
La Regione non può pertanto, imporre -peraltro al di fuori di ogni previa regolamentazione di carattere generale-, il rispetto di parametri analitici ulteriori e diversi, che peraltro attengono alla bonifica dei suoli inquinati.
Nessun sostegno alla tesi della Regione può, poi, ricavarsi dall’invocato indirizzo giurisprudenziale della Cassazione in sede penale, che si riferisce a fattispecie diversa (fanghi provenienti da impianti industriali e oggetto di miscelazione).
In ogni caso, il provvedimento di diniego è privo di idonea motivazione, né chiarisce per quali ragioni non sia sufficiente il rispetto dei parametri di cui agli allegati del d.lgs. n. 99/1992; tanto più che, con parere dell’I.S.P.R.A. n. prot. 17929 del 25 maggio 2011, specificamente richiamato in nota del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare n. prot. 173/RIN del 5 gennaio 2017 -di riscontro ad un quesito posto dalla stessa Regione-, era stata evidenziata la riferibilità dei parametri di cui ai valori soglia di concentrazione ai suoli, e in funzione della loro specifica destinazione d’uso, e non già ai fanghi quali rifiuti.
2) Violazione e/o falsa e/o erronea applicazione di legge in relazione al d.lgs, n. 99/1992, Violazione del principio di proporzionalità e non aggravamento del procedimento. Violazione, falsa e/o erronea applicazione di legge in relazione al principio di precauzione. Violazione degli artt. 7, 10 e 10 bis della legge n. 241/1990. Eccesso di potere per sviamento e travisamento dei presupposti di fatto
La richiesta di documentazione ulteriore, riferita ai valori csc, contrasta con le previsioni del d.lgs. n. 99/1992 e con il divieto di aggravamento del procedimento, ribadendosi, con riferimento alle integrazioni documentali richieste con nota n. 421435 del 19 ottobre 2016, che:
i fanghi provengono dal trattamento di acque reflue urbane (scarichi di insediamenti civili) e dal trattamento di reflui dell’industria agro-alimentare, con conseguente superfluità delle richieste informazioni circa “i diversi tipi di lavorazione degli insediamenti produttivi da cui derivano i reflui”;
non vi sono rifiuti liquidi in ingresso come extraflussi, con connessa superfluità della chiesta dichiarazione del responsabile dell’impianto in ordine all’autorizzazione dei rifiuti liquidi e di eventuali ricevuti come extraflussi;
le altre richieste istruttorie (descrizione ciclo fanghi e trattamenti di stabilizzazione, natura, composizione e quantità annua e tipologie di fanghi) sono state già esaudite con la documentazione allegata all’istanza di a.u.c. e quella successivamente prodotta, e in ogni caso i relativi dati erano agevolmente acquisibili dagli enti gestori degli impianti di depurazione;
quanto poi alla documentazione relativa ai fanghi e alla loro caratterizzazione, oltre che in relazione ai parametri di cui agli allegati al d.lgs. n. 99/1992, a una serie di altre sostanze (idrocarburi distinti nelle componenti leggera con C< -12 e pesante con C> 12; As, Se, TI e Crii, BTEX, IPA, PCB, PCDD/PCDF, Tricloroetilene, Tetracloroetitene), essa deve essere fornita dal produttore del rifiuto, e Ec.-Ag. ha fornito i dati analitici prodotti dagli impianti depurativi.
Infine affatto generico è il richiamo al principio di precauzione, trattandosi di attività regolamentata “…con conseguente inapplicabilità del principio di prevenzione che opera soltanto ove i rischi siano sconosciuti”.
1.7) Costituitasi in giudizio, la Regione Toscana ha, a sua volta, dedotto l’infondatezza del ricorso.
2.) Con sentenza n. 1078 del 25 luglio 2018, il T.A.R. per la Toscana ha accolto il ricorso nei sensi di seguito riportati testualmente:
“…la disciplina sull’utilizzazione dei fanghi in agricoltura di cui al d.lgs. 99/1992 non è esaustiva con riferimento all’elenco delle sostanze che prende in considerazione per evitare qualsiasi pericolo di deterioramento dell’ambiente ad opera dell’attività di spandimento dei fanghi. Esso in particolare non prende in considerazione diversi inquinanti, che pure risultano potenzialmente presenti nei fanghi per effetto del processo di depurazione dei reflui, i quali invece sono inclusi nell’elenco di cui alla tabella 1, colonna A, dell’allegato 5 alla parte quarta del d.lgs. 152/2006.
Legittimamente quindi la Regione ha ritenuto che per le sostanze non disciplinate dalla suddetta disciplina di settore occorresse fare rinvio ai valori limite suddetti in considerazione della commistione dei fanghi con il suolo cui sono destinati poiché, in effetti, è necessario integrare il testo del d.lgs. 99/1992 con la disciplina dei rifiuti. Tuttavia il collegamento tra l’attività di recupero dei fanghi mediante il loro utilizzo in agricoltura e la Tab. 1, colonna A, allegato 5, alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 deve essere rintracciato in via interpretativa e non è possibile l’applicazione alla fattispecie del D.M. del Ministero dell’ambiente 5 febbraio 1998. Poiché il fango è destinato ad essere miscelato con il suolo è corretto l’ancoraggio ai limiti di contaminazione di tale matrice ambientale e quindi anche a quelli previsti dalla tab. 1, colonna A dell’allegato 5, al titolo V, parte IV, D.lgs. n. 152 del 2006; tuttavia l’applicazione pura e semplice ai fanghi delle CSC stabilite per il suolo costituisce misura sproporzionata rispetto al fine da conseguire, ed irrazionale in quanto i fanghi, presentando normalmente concentrazioni medie di sostanze superiori rispetto al suolo, se valutati sulla base dei parametri previsti quest’ultimo non sarebbero mai utilizzabili in agricoltura.
Al fine del controllo di quelle sostanze potenzialmente inquinanti e/o contaminanti che non vengono espressamente disciplinate nel d.lgs. 99/1992 il potere precauzionale, reso necessario dall’evidenziata lacuna normativa può essere correttamente esercitato dall’Amministrazione regionale prendendo a riferimento, per le sostanze non considerate da quest’ultimo, i valori indicati dalla Tab. 1, colonna A dell’allegato 5, al titolo V, parte IV, D.lgs. 152/2006, che dovranno però essere riparametrati in aumento, sulla base delle competenze tecnico-discrezionali dell’Amministrazione e tenendo conto dell’ammissibilità di una maggiore concentrazione nei fanghi, rispetto al suolo, di sostanze inquinanti”.
3.) Con appello notificato il 15 ottobre 2018 e depositato in segreteria il 18 ottobre 2018, la Regione Toscana ha impugnato la predetta sentenza, deducendo, con unico articolato motivo, le seguenti censure, di seguito sintetizzate:
Erroneità, illogicità e contraddittorietà della sentenza, nella parte in cui ha annullato il provvedimento di diniego e tracciato le coordinate per la riedizione dell’attività amministrativa. Violazione ed errata applicazione degli artt. 127 e 184 ter commi 1, 2 e 3 del d.lgs. 152/2006. Violazione e errata interpretazione dell’art. 5, comma 2, lettera d bis) del DM 5 febbraio 1998. Violazione e falsa applicazione del principio di precauzione. Errata interpretazione della normativa di settore con conseguente errata individuazione della competenza della Regione a definire i criteri “End of Waste” in sede di rilascio delle autorizzazioni
Richiamata la disciplina di cui al d.lgs. n. 99/1992 -che già conteneva rinvio dinamico al d.P.R. 915/2982-, si ribadisce, in ciò concordando con il giudice di primo grado, che essa deve essere integrata con quella di cui al d.lgs. n. 152/2006, data la testuale qualificazione dei fanghi come rifiuti, contenuta non solo nell’art. 127, bensì anche nell’art. 184, comma 3, lettera g), del d.lgs. 152/2006.
Nondimeno, poiché l’utilizzazione agronomico dei fanghi costituisce attività di recupero dei rifiuti, e quindi cessazione della relativa qualità (end of waste), occorre aver riguardo al disposto del successivo art. 184 ter del d.lgs. n. 152/2006, che demanda alla determinazione di specifici criteri la cessazione della qualità di rifiuto, che in assenza di determinazioni comunitarie sono stabiliti “…caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare”, trovando applicazione, nelle more della loro adozione”…le disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio in data 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269 e l’art. 9-bis, lett. a) e b), del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210″.
Orbene, l’art. 5, comma 2, lett. d bis), del d.m. 5 febbraio 1998, quanto alle attività di recupero ambientale che prevedono l’utilizzo sul o nel suolo di un rifiuto classificate in R10 (in cui è ricompreso anche lo spandimento di fanghi in agricoltura), dispone che “…il contenuto dei contaminanti sia conforme a quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, in funzione della specifica destinazione d’uso del sito”, con trasparente rinvio, quindi, ai parametri di cui alla Tabella 1 dell’Allegato 5 alla parte quarta del d.lgs. 152/2006 n. 152 del 2006.
Né può pervenirsi a conclusioni diverse in relazione al sopravvenuto d.l. n. 109 del 28 settembre 2018, che, nel confermare i limiti di cui all’allegato 1b del d.lgs. n. 99/1992, si limita a individuare un valore limite per gli idrocarburi.
In definitiva la Regione non può procedere all’individuazione specifica di valori soglia di contaminazione, dovendo limitarsi a applicare la normativa statale, pena “…la violazione della ripartizione di competenze tra Stato e regioni, in quanto alle regioni nessuna competenza è attribuita in ordine alla determinazione delle caratteristiche dei rifiuti e dei prodotti ottenuti dal recupero dei medesimi, né in via generale, né, tanto meno, caso per caso”, secondo quanto peraltro evidenziato con sentenza di questa Sezione n. 1229 del 28 febbraio 2018.
E nemmeno essa potrebbe procedervi in base all’art. 6 del d.lgs. n. 99/1992 -che demanda alle regioni la eventuale individuazione di “ulteriori limiti e condizioni di utilizzazione in agricoltura” dei fanghi- perché la sopravvenuta riforma del titolo V della Costituzione demanda allo Stato la definizione di standard di tutela ambientali uniformi per l’intero territorio nazionale, onde tale potere normativo regionale può riguardare “…unicamente le modalità (limiti quantitativi, tecniche di spandimento, distanze, e così via) di utilizzazione dei fanghi in agricoltura, ma non anche l’introduzione di valori limite non previsti dalla normativa comunitaria e statale che vadano ad interferire con la definizione dei criteri “End of Waste””.
Peraltro, poiché l’utilizzazione dei fanghi di depurazione attiene soltanto a quelli provenienti da impianti depurativi di acque reflue domestiche o urbane o reflui assimilabili, non può non richiedersi una indicazione specifica in ordine ai reflui trattati, tenuto conto che nel sistema fognario urbano recapitano anche “scarichi misti derivanti da insediamenti industriali ed artigianali” e che taluni impianti sono autorizzati anche “al trattamento di rifiuti liquidi” (si richiama ancora una volta la sentenza della Cassazione penale n. 27958/2017).
Orbene, dalla documentazione prodotta dall’interessata in sede procedimentale “…si ricava unicamente che gli impianti di depurazione da cui derivano i fanghi oggetto dell’istanza di modifica dell’AUA, sono tutti a servizio della fognatura urbana mista su cui, come detto, possono insistere anche insediamenti industriali di varia natura”, ciò che giustifica le richieste integrazioni documentali; come pure è giustificata la richiesta certificazione di non pericolosità del rifiuto-fango, “…non valendo a tal fine l’attribuzione di un codice CER non pericoloso effettuata dal produttore sulla base: del settore industriale da cui origina il rifiuto (prima coppia di cifre); della specifica fase della attività produttiva che genera il rifiuto (seconda coppia di cifre); della tipologia di rifiuto (terza coppia di cifre)”.
3.1) Costituitasi in giudizio con atto depositato l’11 novembre 2018, Ec.-Ag. S.r.l., con appello incidentale notificato a mezzo di posta elettronica certificata il 14 dicembre 2018 e depositato il 20 dicembre 2018, ha a sua volta impugnato la sentenza in via incidentale, deducendo, con unico articolato motivo:
Errores in iudicando. Erroneità e ingiustizia della decisione. Illogicità e contraddittorietà della motivazione. Violazione, falsa e/o erronea applicazione di legge in relazione al D.lgs. 99/1992 e all’art. 127 del D.lgs. 152/2006. Violazione del principio di legalità e dell’art. 97 della Costituzione. Violazione dell’art. 41 della Costituzione. Violazione degli artt. 7, 10 e 10 bis l. 241/1990. Eccesso di potere per manifesta irragionevolezza e illogicità . Travisamento dei presupposti di fatto e sviamento
La sentenza ha erroneamente ritenuto che la Regione Toscana possa imporre l’applicazione dei limiti di cui alla tabella 1 colonna A dell’allegato 5 alla parte quarta del d.lgs. n. 152/2006, sul falso presupposto della non esaustività della disciplina recata dal d.lgs. n. 99/1992, come si evince dal disposto dell’art. 41 del d.l. 109/2018, convertito nella legge n. 130/2018.
A tutto concedere la Regione avrebbe potuto emanare un previo atto normativo di natura regolamentare.
D’altra parte proprio l’indicazione, da parte del giudice di primo grado, dell’esigenza di riparametrazione dei valori soglia di contaminazione attesta la sproporzionalità e irragionevolezza di una loro applicazione sic et simpliciter.
Si ripropongono, in via devolutiva, le censure dedotte con il secondo motivo del ricorso in primo grado, quanto alla pretesa carenza della documentazione presentata.
Si ripropone la censura di inammissibilità quale motivazione postuma del richiamo alla disciplina dell’art. 5 del d.m. 5 febbraio 1998, come già introdotta con memoria nel giudizio di primo grado.
3.2) Dopo il deposito di memorie difensive e di replica, l’appello principale e l’appello incidentale all’udienza del 24 gennaio 2019 sono stati discussi e riservati per la decisione.
4.) L’appello principale in epigrafe è fondato e deve essere accolto, mentre correlativamente devono rigettarsi l’appello incidentale, nonché i motivi non esaminati dal primo giudice e riproposti.
4.1) L’attività di utilizzazione in agricoltura dei fanghi rivenienti dai processi di depurazione di reflui è disciplinata dal d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 99 (recante “Attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura”), che definisce come fanghi (art. 1) quelli derivanti dai processi di depurazione di acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti civili (n. 1), o anche da insediamenti produttivi con caratteristiche sostanziali non dissimili ai primi (n. 2), o da insediamenti produttivi assimilabili ai primi (n. 3).
L’utilizzazione a fini agricoli mediante spandimento o altre applicazioni su suolo e sottosuolo è consentito con riferimento ai soli fanghi trattati, ai sensi dell’art. 3 comma 1 lettera a) (tali essendo quelli “sottoposti a trattamento biologico, chimico o termico, a deposito a lungo termine ovvero ad altro opportuno procedimento, in modo da ridurre in maniera rilevante il loro potere fermentiscibile e gli inconvenienti sanitari della loro utilizzazione”: art. 1 lettera b), che, oltre a essere “idonei a produrre un effetto concimante e/o ammendante e correttivo del terreno” (art. 3 comma 1 lettera b), non devono contenere “sostanze tossiche e nocive e/o persistenti, e/o bioaccumulabili in concentrazioni dannose per il terreno, per le colture, per gli animali, per l’uomo e per l’ambiente in generale” (art. 3 lettera c).
E’ importante considerare che già l’art. 3, comma 2, richiede che il suolo di spandimento o comunque di recapito del fango deve presentare peculiari caratteristiche, ossia non deve presentare “…concentrazione di uno o più metalli pesanti nel suolo non superi i valori limite fissati nell’allegato I A”, e comunque tali valori soglia non devono essere superati “…a motivo dell’impiego dei fanghi”.
Tale rilievo è essenziale, perché individua l’esigenza di una valutazione analitica non solo dei fanghi, bensì anche dei suoli cui essi sono destinati, e in definitiva dei valori complessivi delle concentrazioni nel suolo in funzione dell’utilizzazione dei fanghi.
A loro volta i fanghi sono utilizzabili, ai sensi dell’art. 3, comma 3, solo se “non superino i valori limite per le concentrazioni di metalli pesanti e di altri parametri stabiliti nell’allegato I B”.
La richiamata tabella I B indica valori limite di concentrazione nel suolo -e in virtù del predetto rinvio anche nei fanghi- di alcune sostanze espressi in mg/Kg SS (Cadmio 1,5; Mercurio 1; Nichel 75; Piombo 100; Rame 100; Zinco 300).
Tale indicazione non può però ritenersi esaustiva, perché l’art. 4 del d.lgs. n. 99/1992 vieta l’utilizzazione “…dei fanghi tossici e nocivi in riferimento alle sostanze elencate nell’allegato al decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915 con le concentrazioni limite stabilite nella delibera del 27 luglio 1984, anche se miscelati e diluiti con fanghi rientranti nelle presenti disposizioni”.
4.2) Il rinvio alla disciplina di cui al d.P.R. n. 915/1982 (recante “Attuazione delle direttive (CEE) numero 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e numero 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi”) trova ragione e giustificazione nella specifica qualificazione, ivi contenuta, all’art. 2, comma 4, n. 5), quali rifiuti speciali dei “residui dell’attività di trattamento dei rifiuti e quelli derivanti dalla depurazione degli effluenti”, laddove la qualificazione quali rifiuti tossici e nocivi – e quindi anche dei fanghi secondo il richiamato art. 4 del d.lgs. n. 99/1992- si caratterizza in funzione della presenza di sostanze, elencate nell’allegato al d.P.R. “…in quantità e/o in concentrazione tali da presentare un pericolo per la salute e l’ambiente” (art. 2 comma 5).
Tale allegato presenta un cata ben più ampio di quello della tabella IB del d.lgs. n. 99/1992, perché include 28 diversi tipi di sostanze (1) Arsenico e suoi composti; 2) Mercurio e suoi composti; 3) Cadmio e suoi composti; 4) Tallio e suoi composti; 5) Berillio e suoi composti; 6) Composti di cromo esavalente; 7) Piombo e suoi composti; 8) Antimonio e suoi composti; 9) Fenoli e loro composti; 10) Cianuri, organici ed inorganici; 11) Isocianati; 12) Composti organoalogenati esclusi i polimeri inerti e altre sostanze considerate nel presente elenco; 13) Solventi clorurati; 14) Solventi organici; 15) Biocidi e sostanze fitofarmaceutiche; 16) Prodotti a base di catrame derivanti da procedimenti di raffinazione e residui catramosi derivanti da operazioni di distillazione; 17) Composti farmaceutici; 18) Perossidi, clorati, perclorati e azoturi; 19) Eteri; 20) Sostanze chimiche di laboratorio non identificabili e/o sostanze nuove i cui effetti sull’ambiente non sono conosciuti; 21) Amianto (polveri e fibre); 22) Selenio e suoi composti; 23) Tellurio e suoi composti; 24) Composti aromatici policiclici (con effetti cancerogeni); 25) Metalli carbonili; 26) Composti del rame solubili; 27) Sostanze acide e/o basiche impiegate nei trattamenti in superficie dei metalli; 28) Policloro difenili, policlorotrifenili e loro miscele).
I valori limite sono stati poi definiti con deliberazione del Comitato interministeriale 27 luglio 1984, e in specie con le tabelle 1.1 e 1.2 ivi riportate.
4.3) Il successivo d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (recante “Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio”), nel novellare organicamente la disciplina dei rifiuti, ha confermato la classificazione quali rifiuti speciali, tra gli altri, dei “…fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue…” (art. 7 comma 3 lettera g), che nell’allegato A sono individuati con il codice 19 08 00 “rifiuti da impianti di trattamento delle acque reflue non specificati altrimenti”, con i sottocodici 19 08 04 per i “fanghi dal trattamento delle acque reflue industriali” e 19 08 05 per i “fanghi di trattamento delle acque reflue urbane” e che a seguito delle modifiche introdotte dalla normativa comunitaria al cata europeo dei rifiuti, hanno assunto rispettivamente i codici 19 08 12 (i primi, con vari sottocodici), mentre i secondi hanno conservato il codice 19 08 05.
4.4) Anche il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (recante “Norme in materia ambientale”, ossia il c.d. codice dell’ambiente), ha confermato, ovviamente, la qualificazione come rifiuti speciali dei “…i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue…” (art. 184 comma 3 lettera g), peraltro a specificazione di quanto già stabilito dal precedente art. 127 comma 1, ai sensi del quale “Ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione”.
4.2) Orbene, dalla delineazione del quadro normativo di riferimento, è agevole ribadire, secondo quanto osservato dal giudice di primo grado, che le disposizioni del d.lgs. n. 99/1992 non esauriscono la disciplina applicabile ai fanghi derivanti dagli impianti di depurazione, sia di reflui civili che di reflui agro-alimentari o addirittura industriali.
In altri termini, non può essere sufficiente, ai fini del rilascio dell’autorizzazione all’utilizzazione dei fanghi, la sola verifica dell’assenza, nel suolo destinato alle operazioni di spandimento o nei fanghi, delle sole sostanze e nei limiti di concentrazione indicati, rispettivamente, nelle tabelle IA e IB allegate al suddetto testo normativo.
Infatti, la espressa classificazione dei fanghi come rifiuti implica anche la consentanea applicazione della disciplina propria dei rifiuti, come originariamente contenuta nel d.P.R. n. 915/1982, quindi nel d.lgs. n. 22/1997 e ora nel d.lgs. n. 152/2006.
4.3) Nella delineata prospettiva è quindi infondata la prospettazione contenuta nel primo motivo del ricorso in primo grado, secondo la quale la sola e unica regolamentazione dei parametri analitici dei fanghi è quella contenuta negli allegati al d.lgs. n. 99/1992.
4.4) Orbene, dovendo la gestione di ogni sorta di rifiuto, e quindi anche dei fanghi derivanti da impianti di depurazione, conformarsi “… ai principi di precauzione, di prevenzione, di sostenibilità, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione…” (art. 178 comma 1 d.lgs. n. 152/2006), il coordinamento esegetico tra la disciplina concernente l’utilizzazione in agricoltura dei fanghi e quella relativa ai rifiuti, finalizzata alla più ampia protezione dell’ambiente, implica inevitabilmente un’indagine analitica accurata che escluda il rischio di contaminazioni delle matrici ambientali, e segnatamente dei suoli, e verifichi se questi ultimi non siano già, a loro volta, connotati da contaminazioni rilevanti.
4.5) In tale prospettiva risulta quindi razionale e affatto corretto il riferimento ai valori soglia di concentrazione di cui alla tabella 1, colonna A, allegato 5, alla parte IV del d.lgs. n. 152/2006, perché essi individuano le sostanze e le soglie massime di concentrazione in funzione delle quali la matrice ambientale non può considerarsi idonea a ricevere ulteriori sostanze contaminanti e semmai deve essere assoggettata a bonifica; e ciò a prescindere dall’applicabilità del d.m. 5 febbraio 1998, invocata dall’appellante principale e contestata dall’appellante incidentale.
4.6) D’altro canto, proprio l’art. 41 del d.l. 28 settembre 2018, n. 119, convertito nella legge 16 novembre 2018, n. 130 (c.d. decreto Genova) in effetti conferma l’applicabilità di quei valori, posto che se esso tiene ferma “…ai fini dell’utilizzo in agricoltura dei fanghi…i limiti dell’Allegato IB del predetto decreto…”, nondimeno, nell’indicare nuovi specifici limiti per talune sostanze elencate nella tabella 1 dell’allegato 5 al titolo V della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, evidentemente ribadisce e conferma l’applicabilità della suddetta tabella.
4.6) Non può invece condividersi l’assunto del giudice di primo grado in ordine all’esistenza di un potere regionale di “adattamento” dei valori soglia in funzione di una casistica valutazione delle caratteristiche dei fanghi ossia di una possibilità che essi siano “…riparametrati in aumento, sulla base delle competenze tecnico-discrezionali dell’Amministrazione e tenendo conto dell’ammissibilità di una maggiore concentrazione nei fanghi, rispetto al suolo, di sostanze inquinanti”.
4.7) Tale potere non è in alcun modo riconducibile a quello disciplinato dall’art. 6 n. 2 del d.lgs. n. 99/1992, secondo cui le regioni “…stabiliscono ulteriori limiti e condizioni di utilizzazione in agricoltura per i diversi tipi di fanghi in relazione alle caratteristiche dei suoli, ai tipi di colture praticate, alla composizione dei fanghi, alle modalità di trattamento”, posto che esso si riferisce a limiti “ulteriori” e quindi semmai più restrittivi, e non consente di derogare alla disciplina nazionale necessariamente uniforme in ambito riservato all’esclusiva competenza legislativa statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s) Cost. (“tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”), che peraltro deve conformarsi a una disciplina eurounitaria (nel senso che spetta allo Stato l’individuazione di “…una disciplina unitaria ed omogenea che superi gli interessi locali e regionali, stabilendo “standard minimi di tutela”, volti ad assicurare una tutela “adeguata e non riducibile dell’ambiente”, “non derogabile dalle Regioni” neppure se a statuto speciale, o dalle Province autonome”, vedi Cons. Stato, Sez. IV, 16 dicembre 2016, n. 5340;, sulla scorta peraltro di quanto più volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale, su cui vedi tra le tante e più recenti Corte Cost., 10 aprile 2015, n. 58).
4.8) I rilievi che precedono danno quindi conto anche dell’infondatezza degli ulteriori profili di doglianza dedotti con il primo motivo del ricorso in primo grado circa l’illegittimità delle richieste di integrazioni documentali in difetto di una previa “regolamentazione generale” in ordine ai parametri analitici, che non si sarebbe potuta emanare se non in violazione della competenza legislativa statale esclusiva, oltre che delle censure dedotte con l’appello incidentale.
4.9) Non sono fondate, da ultimo, le censure dedotte con il secondo motivo del ricorso in primo grado, come riprodotte nell’appello incidentale, posto che le richieste istruttorie risultano inscrivibili nel quadro della richiesta dimostrazione dell’assenza nei fanghi di sostanze inquinanti riconducibili alle sostanze di cui alla tabella 1 dell’allegato 5 al titolo V della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e non introducono oneri di documentazione eccessivi o sproporzionati.
5.) In conclusione, l’appello principale in epigrafe deve essere accolto, mentre l’appello incidentale deve essere rigettato, onde, in riforma della sentenza gravata, deve rigettarsi il ricorso prodotto in primo grado.
6.) La peculiarità e novità delle questioni esaminate giustifica l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. r. 8197 del 2018, come in epigrafe proposto, così provvede:
1) accoglie l’appello principale e rigetta l’appello incidentale, e per l’effetto, in riforma della sentenza del T.A.R. per la Toscana, Sezione 2^, n. 1078 del 25 luglio 2018, rigetta il ricorso proposto in primo grado;
2) dichiara compensate per intero tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Leonardo Spagnoletti – Consigliere, Estensore
Daniela Di Carlo – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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