Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 7 aprile 2020, n. 11561.
Massima estrapolata:
Integra il reato di cui all’art. 727 comma 2 cod.pen., l’utilizzo del collare elettrico, in quanto concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale. Inoltre, anche l’art. 7 della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia stabilisce che: “nessun animale da compagnia deve essere addestrato con metodi che possono danneggiare la sua salute ed il suo benessere, in particolare costringendo l’animale ad oltrepassare le sue capacità o forza naturale, o utilizzando mezzi artificiali che causano ferite o dolori, sofferenze ed angosce inutili”.
Sentenza 7 aprile 2020, n. 11561
Data udienza 16 gennaio 2020
Tag – parola chiave: Animali – Maltrattamenti – Cane – Colare elettrico – Condanna – Ratio
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente
Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere
Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere
Dott. GAI Emanuela – rel. Consigliere
Dott. REYNAUD Gianni Filipp – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/03/2019 del Tribunale di Siena;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FILIPPI Paola, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 18 marzo 2019, il Tribunale di Siena ha condannato (OMISSIS) perche’ ritenuto responsabile del reato di cui all’articolo 727 c.p., comma 2, per aver detenuto un cane in condizioni incompatibili con la natura dell’animale e produttive di gravi sofferenze, e segnatamente per avere utilizzato sul medesimo un collare elettrico marca Canicom 200 First produttivo di scosse elettriche trasmesse tramite comando a distanza, e lo ha condannato alla pena di 5.000 di ammenda. In (OMISSIS).
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in particolare:
– Violazione di legge per inosservanza del principio di determinatezza di cui all’articolo 25 Cost., comma 2, secondo il quale nessuno puo’ essere punito se non in forza di una legge entrate in vigore prima del fatto commesso, da cui il principio di determinatezza che impone che le norme penali debbano descrivere fatti suscettibili di essere accertati e provati nel processo.
Nel caso esame ad essere incriminata sarebbe la condotta di utilizzo da parte dell’imputato di un collare elettrico per l’addestramento del proprio cane, rispetto al quale, in assenza di normativa precisa che consenta di conoscere quali siano le condotte illecite e quelle lecite, tale principio non sarebbe rispettato.
Rileva il ricorrente che, ad oggi, sarebbero intervenute ordinanze del Tar Lazio di annullamento di provvedimenti in materia, sicche’ sarebbe venuto meno il divieto dell’uso del collare elettrico. Tale circostanza,, rileverebbe ai fini della sussistenza della consapevolezza che, secondo la sentenza della Corte Costituzionale n. 364 del 1988, deve investire tutti gli elementi significativi della fattispecie tipica tra cui anche la possibilita’ di conoscere la legge penale, possibilita’ che rappresenta ulteriore presupposto della rimproverabilita’ all’agente.
Sotto altro profilo, nel caso in esame, non sarebbe integrata la condotta di reato con riguardo all’utilizzo del collare elettrico, la cui immissione sul mercato ad oggi e’ pacificamente consentita. Dall’istruttoria dibattimentale, infine, non sarebbe emersa la prova della condotta di reato avendo l’utilizzo del collare una finalita’ educativa che non puo’ essere confusa con la condotta punita che deve essere generatrice di gravi sofferenze per l’animale.
– Violazione di legge e vizio di mancanza di motivazione in relazione all’applicazione dell’articolo 131-bis c.p., non avendo il Giudice valutato l’applicazione nel caso concreto della speciale causa di non punibilita’.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso e’ nel suo complesso inammissibile.
5. Il profilo di violazione dell’articolo 25 Cost., comma 2, e’ manifestamente infondato. Nessun profilo di violazione del principio di legalita’, come declinato dal ricorrente, puo’ prospettarsi.
Il principio espresso dall’articolo 25 Cost., di cui il ricorrente lamenta la lesione, secondo cui nessuno puo’ essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso, da cui la tassativita’ e determinatezza, che costituiscono il corollario del principio di legalita’, attiene alla descrizione della fattispecie normativa come delineata dal legislatore, nel senso che violerebbe la determinatezza e tipicita’ della fattispecie, e dunque il principio di legalita’, una legge che fosse generica nell’indicazione e descrizione delle condotte vietate.
Sotto questo profilo l’articolo 727 c.p., contiene una descrizione delle condotte vietate in termini chiari che non pongono profili di violazione di tassativita’ e determinatezza della fattispecie normativa. In ogni caso, rileva per inciso il Collegio, non sarebbe prospettabile il vizio di violazione di legge e di motivazione, semmai il diverso profilo della legittimita’ costituzionale di una fattispecie incriminatrice generica quanto all’individuazione delle condotte vietate.
Diversa e’ la questione della sufficiente determinatezza non gia’ della fattispecie incriminatrice, ma della singola condotta elevata nel capo di imputazione e sussunta nel paradigma normativo, rispetto alla quale viene in rilievo il diverso profilo della violazione delle norme del codice di procedura penale che impongono determinati requisiti di specificita’ del capo di imputazione nell’ottica di garanzia dell’esercizio del diritto di difesa.
Cosi’ precisati i termini della questione agitata dal ricorrente, risulta manifestamente infondata anche la censura che attinente alla descrizione della condotta contestata quale violazione dell’articolo 727 c.p., comma 2, al (OMISSIS), laddove il capo di imputazione fa espresso riferimento alla detenzione di un cane in condizioni incompatibili con la natura dell’animale e produttive di gravi sofferenze per avere utilizzato sul medesimo un collare che produce scosse e impulsi elettrici.
La condotta contestata al ricorrente rientra pienamente nel paradigma normativo dell’articolo 727 c.p., ed e’ specificatamente delineata laddove contesta l’aver prodotto sofferenze sul cane a seguito dell’uso del collare con le modalita’ accertate. Non viene in rilievo la condotta di utilizzo ex se, ma le conseguenze sull’animale ovvero le sofferenze a seguito dell’uso dello strumento usato per l’addestramento.
Cosi’ delineati i termini della censura difensiva, la sentenza impugnata, con accertamento di fatto insindacabile in questa sede, incontestato il fatto storico che il ricorrente era il padrone dell’animale sul quale i Carabinieri, durante un servizio di controllo venatorio, accertavano essere stato apposto un collare marca Canicom sul quale erano applicati due elettrodi posti a diretto contatto con la pelle dell’animale, in quanto privi dei prescritti tappi di copertura, mentre nella disponibilita’ del (OMISSIS) veniva trovato un telecomando, ha ritenuto dimostrato che l’utilizzo del collare, nella situazione descritta sopra, fosse produttivo di gravi sofferenze sull’animale, essendo irrilevante, ai fini dell’integrazione della fattispecie, la finalita’ di addestramento.
Non rileva tanto la finalita’ dell’utilizzo del collare elettrico, finalita’ educativa/addestramento, ma la circostanza che il detto collare produca gravi sofferenze che la norma penale incriminatrice e’ diretta a punire. Gravi sofferenze conseguenti all’uso del collare come nel caso concreto rilevato.
La giurisprudenza di legittimita’ ha chiarito che il suo utilizzo integra il reato di cui all’articolo 727 c.p., in quanto concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrita’ psicofisica dell’animale (cosi’ Sez. 3, n. 3290 del 03/10/2017, Diaco, non mass.; Sez. 3, n. 21932 del 11/02/2016, Bastianini, Rv. 267345; Sez. 3, n. 38034 del 20/06/2013, Tonolli, Rv. 257685; Sez. 3, n. 15061 del 24/01/2007, Sarto, Rv. 236335).
Nel caso in esame, il Tribunale ha dato atto che sul collare vi erano applicati due elettrodi posti a diretto contatto con la pelle dell’animale privi di tappi di copertura da cui la prova della sicura sofferenza in capo a questo. L’inflizione di scariche elettriche e’ produttiva di sofferenze e di conseguenze anche sul sistema nervoso dell’animale, in quanto volto ad addestrarlo attraverso lo spavento e la sofferenza.
La motivazione della sentenza e’ congrua e corretta a fronte della quale il ricorso e’ generico dal momento che sposta il thema sul versante della liceita’ dell’uso del collare come sarebbe confermato, a dire del ricorrente, da pronunce del TAR Lazio, situazione che integrerebbe la buona fede, ai sensi dell’articolo 5 c.p., in presenza di ignoranza inevitabile della legge penale.
Comunque sia, anche l’articolo 7 della Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia stabilisce che: “nessun animale da compagnia deve essere addestrato con metodi che possono danneggiare la sua salute ed il suo benessere, in particolare costringendo l’animale ad oltrepassare le sue capacita’ o forza naturale, o utilizzando mezzi artificiali che causano ferite o dolori, sofferenze ed angosce inutili”. Da qui la manifesta infondatezza della censura difensiva.
6. E’ inammissibile il secondo motivo di ricorso, con il quale si duole della mancata applicazione, da parte del giudice del merito, della speciale causa di non punibilita’ ex articolo 131-bis c.p..
Ed invero, deve rilevarsi che il motivo non e’ proponibile per la prima volta nel giudizio di cassazione, ostandovi il disposto di cui all’articolo 609 c.p.p., comma 3, in quanto il predetto articolo era gia’ in vigore alla data della deliberazione della sentenza impugnata.
Nel caso in esame, la sentenza impugnata e’ stata pronunciata in data 18 marzo 2019 e, dunque, successivamente alla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28 e il ricorrente non aveva chiesto l’applicazione in sede di conclusioni del giudizio di primo grado all’udienza del 18 marzo 2019 come risulta dalla sentenza (Sez. 6, n. 20270 del 27/04/2016 Gravina, Rv. 266678).
7. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’articolo 616 c.p.p.. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Motivazione semplificata.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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