L’uso pubblico di una strada

Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 13 gennaio 2020, n. 275

La massima estrapolata:

L’uso pubblico di una strada è determinato alla sussistenza di tre concorrenti elementi, costituiti: a) dall’esercizio del passaggio e del transito iuris servitutis publicae da una moltitudine indistinta di persone qualificate dall’appartenenza ad un ambito territoriale; b) la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, le esigenze di carattere generale e pubblico; c) un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, il quale può identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile (comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione di esercitare il diritto d’uso della strada).

Sentenza 13 gennaio 2020, n. 275

Data udienza 17 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 9613 del 2010, proposto da
Vi. Na. e Do. Ma. D’A., rappresentati e difesi dall’avvocato Vi. Sa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ar. Ca. in Roma, piazza (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ro. Sa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ar. Pr. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata, sezione prima, n. 743/2010, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 17 ottobre 2019 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati Vi. Sa. e Ro. Sa.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

Gli odierni appellanti impugnavano con autonomi ricorsi e motivi aggiunti innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata le ordinanze del Sindaco del Comune di (omissis) nn. 26/2007 e 30/2007, la prima istitutiva del divieto di sosta permanente, con previsione di rimozione forzata, su ambo i lati di via (omissis) della frazione di (omissis), strada adiacente alla loro abitazione, la seconda recante nei confronti di uno di essi l’ordine di rimozione dalla carreggiata della stessa via di materiale edilizio e di una autovettura. L’impugnazione veniva estesa agli atti presupposti.
L’adito Tribunale, nella resistenza del predetto Comune, con sentenza n. 743/2010 della sezione prima:
– in via preliminare, riuniva i ricorsi perché soggettivamente e oggettivamente connessi e respingeva l’eccezione di difetto di giurisdizione a favore del giudice ordinario spiegata dalla difesa comunale, osservando che il petitum sostanziale della fattispecie atteneva non all’accertamento della proprietà pubblica o privata della strada, bensì all’esercizio del potere autoritativo di disciplina del suo uso;
– nel merito, sulla base degli elementi prodotti dall’amministrazione, anche all’esito di istruttoria, riteneva che la strada in parola, ancorchè originariamente destinata all’esclusivo servizio dei proprietari frontisti, soprattutto in funzione di collegamento con la strada comunale, fosse utilizzata da lungo tempo dall’intera collettività quale strada aperta al pubblico transito, sicchè l’amministrazione ben poteva disciplinarne la circolazione e inibirne l’abusiva occupazione;
– respingeva pertanto i ricorsi riuniti, condannando i ricorrenti alle spese di giudizio.
Avverso la predetta sentenza gli interessati hanno proposto appello, con cui, nel concludere per la riforma della sentenza gravata e l’annullamento degli atti impugnati in primo grado, deducono: 1) Eccesso di potere, violazione e falsa applicazione di legge, norme e regolamenti, erroneità nei presupposti, difetto di istruttoria, sviamento dell’azione amministrativa; 2) Eccesso di potere, violazione e falsa applicazione di legge, difetto di istruttoria, sviamento dell’azione amministrativa e del giusto procedimento; 3) Violazione di legge, difetto di istruttoria sviamento dell’azione amministrativa, eccesso di potere, violazione e falsa applicazione del giusto procedimento, contraddittorietà .
Il Comune di (omissis) si è costituito in resistenza, domandando con memoria di stile la reiezione dell’appello e la conferma della sentenza appellata.
Gli appellanti hanno depositato una memoria difensiva e una perizia di parte a sostegno dell’inesistenza dell’uso pubblico della strada.
La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 17 ottobre 2019.

DIRITTO

1. In via preliminare si rileva che con memoria difensiva depositata il 13 settembre 2019 gli appellanti hanno riferito che l’ordine di rimozione adottato dal Comune di (omissis) con la gravata ordinanza n. 30/2007 è stato rinnovato con ordinanza n. 29/2010, e che quest’ultimo provvedimento è stato poi revocato con la successiva ordinanza n. 33/2010 “per il venir meno delle motivazioni che ne avevano giustificato l’adozione”.
Il mutato quadro provvedimentale di cui sopra rende certa e definitiva l’inutilità di una pronunzia giudiziale in ordine all’ordinanza n. 30/2007 a suo tempo gravata dagli appellanti e ritenuta legittima dal primo giudice, in quanto anche il suo eventuale annullamento non sarebbe idoneo ad arrecare agli interessati una utilità maggiore di quella già assicurata dall’Amministrazione con l’atto di autotutela adottato nelle more del giudizio.
Limitatamente alla ordinanza n. 30/2007 deve pertanto dichiararsi l’improcedibilità dell’appello per sopravvenuto difetto di interesse alla sua decisione, ai sensi dell’art. 35, comma 1, lettera c) del Codice del processo amministrativo.
2. L’appello si rivela invece infondato per quanto attiene all’ordinanza sindacale n. 26/2007, che ha istituito il divieto di sosta permanente, con previsione di rimozione forzata, su ambo i lati di via (omissis) della frazione di (omissis) del Comune di (omissis), adiacente all’abitazione degli appellanti, ritenuta legittima dal primo giudice ad avviso del quale l’amministrazione ben poteva disciplinare la circolazione sulla predetta via, trattandosi di strada aperta al pubblico transito.
3. Proprio detta qualificazione è oggetto del primo motivo di appello.
Gli appellanti, posto in evidenza che, come accertato anche dalla sentenza appellata, la strada per cui è causa era originariamente posta a esclusivo servizio dei proprietari frontisti, soprattutto in funzione di collegamento con la strada comunale, negano che essa sia stata successivamente assoggettata all’uso pubblico. A loro avviso la strada è stata utilizzata da sempre, o comunque in modo prevalente, dai proprietari dei fondi adiacenti e il primo giudice, nel pervenire alla impugnata conclusione, sarebbe stato tratto in inganno dall’elevato numero dei residenti della strada (17 nuclei familiari, per un totale di 41 abitanti), risultanti dalla certificazione anagrafica depositata dall’amministrazione comunale, identificando tali residenti con la collettività della predetta frazione.
L’argomentazione è destituita di fondamento
3.1. Secondo la prevalente (e condivisibile) giurisprudenza l’uso pubblico di una strada è determinato alla sussistenza di tre concorrenti elementi, costituiti: a) dall’esercizio del passaggio e del transito iuris servitutis publicae da una moltitudine indistinta di persone qualificate dall’appartenenza ad un ambito territoriale; b) la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, le esigenze di carattere generale e pubblico; c) un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, il quale può identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile (comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione di esercitare il diritto d’uso della strada). Della sussistenza di tali elementi il Comune (interessato a far valere l’uso pubblico della via) deve dare idonea dimostrazione, salvo che la strada non sia inserita nell’elenco delle strade comunali, ciò rappresentando una presunzione (semplice) di appartenenza della stessa all’ente ovvero del suo uso pubblico (Cass., SS. UU., 16 febbraio 2017, n. 713; Cons. Stato, IV, 10 ottobre 2018, n. 5820; 19 marzo 2015, n. 1515; VI, 20 giugno 2016, n. 2708).
Il Comune ha fornito adeguata dimostrazione della presenza dei predetti elementi nel caso di specie e proprio di tanto ha tenuto conto la sentenza appellata, che infatti, oltre a rilevare che “dalla certificazione rilasciata dall’anagrafe comunale… si evince che in via (omissis) risiedono 17 nuclei familiari, per un totale di 41 abitanti”, ha altresì riferito che, alla luce di quanto comprovato dal Comune resistente anche mediante “la documentazione acquisita in sede cautelare a seguito di incombenti istruttori”:
– via (omissis) è quotidianamente percorsa dallo scuolabus adibito al servizio di trasporto scolastico;
– sussistono “verbali di contravvenzione elevati dai vigili urbani, per esempio per la sosta indiscriminata che su di essa viene effettuata”;
– “la strada in parola è sita all’interno del perimetro urbano della frazione (omissis) e, stando alla tavola 3 del Regolamento urbanistico approvato con delibera consiliare n. 14/07, collega viale (omissis) con via (omissis), soddisfacendo esigenze di interesse generale della collettività quale strada di fatto adibita al pubblico transito e continuativamente utilizzata a tale titolo da molto tempo”;
– “già nel 1979 erano stati previsti lavori di sistemazione e completamento di detta strada, documentati dall’amministrazione (laddove in alcun modo la pretesa manutenzione svolta dalla ricorrente è stata provata)”;
– “già con delibera consiliare n. 187 del 9/12/82 essa figurava nella toponomastica stradale delle strade comunali della frazione di (omissis) appunto come via (omissis)”, ciò che ai sensi dell’art. 20 legge n. 2248/1865 allegato F, “costituisce presunzione iuris tantum del diritto di pubblico transito sulla strada”.
A tali elementi, che depongono tutti univocamente e inequivocabilmente per l’uso pubblico della strada, gli appellanti non hanno opposto convincenti argomentazioni di segno contrario.
In particolare:
– la “vetustà ” dei provvedimenti comunali volti alla sistemazione della strada (illuminazione e asfaltatura) attesta non già l’inesistenza dell’uso pubblico, quanto piuttosto la sua risalenza al tempo immemorabile considerato dal primo giudice;
– la mancata acquisizione della strada al patrimonio comunale non rende recessiva la sua adibizione all’uso pubblico, che è desumibile sia “quando il tratto viario, per le sue caratteristiche, assuma una esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone” sia “quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l’asservimento del bene da parte del proprietario all’uso pubblico di una comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale”(Cons. Stato, IV, 21 ottobre 2013, n. 5116; 25 giugno 2012, n. 3531, per le quali “affinché un’area possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico è necessario oltreché l’intrinseca idoneità del bene, che l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse”;
– non rileva la circostanza che lo scuolabus nel 2007 non fosse più in grado di transitare sulla strada, atteso che gli stessi appellanti riferiscono espressamente (pag. 7) che ciò è avvenuto solo “a seguito del deposito dei materiali effettuato dall’appellante”, mentre la ventilata possibilità che il servizio sia stato istituito solo per le famiglie dei residenti della strada si rivela una mera apodittica affermazione, priva del necessario supporto probatorio anche solo indiziario, vieppiù intimamente stridente con il riconoscimento che il deposito dei materiali appena citato è avvenuto proprio a opera di uno degli odierni appellanti, ovvero di un soggetto che, essendo ricompreso nel novero della citata categoria, non avrebbe avuto, in tesi, alcun concreto interesse a ostacolarlo o comunque a non favorirne lo svolgimento, e ciò neanche per realizzare i lavori edilizi regolarmente autorizzati menzionati a pag. 11 dell’appello;
– l’avvenuta deliberazione dei lavori di realizzazione della rete fognaria è elemento che non esaurisce e anzi si aggiunge ai molteplici indici rivelatori dell’uso pubblico sopra elencati – tra cui figurano quelli di particolare significatività costituiti dall’inclusione della via nell’elenco delle strade comunali, sia pur iuris tantum, e dell’insistenza, sulla predetta via, della pubblica illuminazione (Cons. Stato, IV, 10 ottobre 2018, n. 5820) – rendendo pertanto ininfluente che la relativa deliberazione è stata assunta solo nel 2007.
3.2. Il primo motivo di appello deve pertanto essere respinto.
4. Stessa sorte seguono il secondo e il terzo motivo.
4.1. Con il secondo motivo gli appellanti affermano che il primo giudice, anziché rilevare che l’Amministrazione comunale non era stata in grado di provare in giudizio l’avvenuto mutamento della natura del bene attraverso l’uso pubblico della strada protratto da tempo immemorabile, avrebbe invertito l’onere della prova, attribuendo a essi il compito di dimostrare la sua insussistenza.
La doglianza è fuori centro, involvendo nella mera pretesa a che il giudizio di primo grado si dovesse concludere con un accertamento favorevole agli appellanti.
La sentenza appellata ha valutato le censure proposte dagli odierni appellanti, tenendo conto degli elementi forniti dal Comune, e ha concluso che l’Amministrazione avesse documentato l’apertura al pubblico transito di via (omissis), mentre i rilievi degli appellanti erano privi di consistenza.
Tale iter argomentativo, pienamente corrispondente alla dinamica propria della decisione giudiziale conclusiva del processo amministrativo, si rivela privo di mende logiche e procedurali, mentre la relativa statuizione di merito ha trovato, come visto, piena conferma, avendo fatto corretta applicazione dei consolidati indirizzi giurisprudenziali sopra richiamati.
4.2. Con il terzo motivo gli appellanti, sul presupposto dell’erroneità della sentenza appellata nel ritenere che la via (omissis) fosse soggetta a servitù di uso pubblico, affermano l’erroneità della stessa sentenza nell’aver ritenuto la legittimità degli atti gravati.
La censura, sempre per quanto attiene all’ordinanza n. 26/2007, va respinta per gli stessi motivi di cui al par. 3.
5. Gli appellanti ripropongono infine le censure già formulate in primo grado “eventualmente ritenute assorbite nella sentenza” appellata.
Tali censure hanno a oggetto: a) la riproposizione della tesi della natura privata della strada; b) il difetto di motivazione degli atti gravati; c) la violazione dell’art. 2, 4 e 5 del Codice della Strada; d) la contraddittorietà tra l’ordinanza sindacale n. 26/2007 e la precedente ordinanza sindacale n. 127/1997.
Nessuna di tali doglianze può condurre agli effetti sperati.
In particolare, la sentenza appellata non ha assorbito né la censura sub a), avendo motivatamente respinto la tesi della natura privata della strada con motivazioni qui infruttuosamente contestate dagli interessati, né le censure sub b) e d), avendo pure motivatamente respinto nella prima parte dell’esame del merito dei ricorsi riuniti (per quanto attiene all’ordinanza n. 26/1997 qui in esame) anche le doglianze di difetto di motivazione e di contraddittorietà formulate dagli interessati nel ricorso introduttivo del giudizio.
Quanto alla censura sub c), essa si basa sempre sulla tesi della natura privata della strada, sicchè va respinta per le stesse ragioni con cui si è dianzi esclusa la fondatezza della stessa tesi.
6. Infine deve rilevarsi che nulla aggiungono alle questioni come sopra trattate le ulteriori difese formulate dagli appellanti in vista della trattazione del merito dell’appello.
Tra esse, peraltro, si segnala l’affermazione degli interessati, corroborata da una relazione peritale, secondo cui, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, la strada per cui è causa non sarebbe un congiungimento tra due strade principali, trattandosi di strada “a vicolo cieco”.
Il rilievo non è persuasivo.
Basti al riguardo osservare che il primo giudice ha desunto la funzione di collegamento viario della strada in parola dal sopra citato regolamento urbanistico, mentre la contraria affermazione della relazione peritale, che si profila, nel suo insieme, piuttosto scarna, non poggia su alcuna prova documentale, essendo correlata a non meglio chiariti “accertamenti” del professionista incaricato.
7. L’appello deve pertanto essere dichiarato in parte improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse e respinto per il restante.
Le spese di giudizio del grado possono essere compensate, tenuto conto della mancata formulazione di difese da parte dell’Amministrazione comunale, pure costituita in giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, in parte lo dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse e per il restante lo respinge.
Compensa tra le parti le spese del grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Fabio Franconiero – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere
Alberto Urso – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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