Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 25 giugno 2019, n. 4371.

La massima estrapolata:

Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo e la mancata previsione esplicita di tale clausola nel contratto non ne pregiudica in alcun modo l’applicabilità, essendo principio consolidato il carattere imperativo della stessa, per cui un’eventuale clausola difforme dovrebbe ritenersi nulla. Tuttavia il riconoscimento, in concreto, del compenso revisionale, sottende però l’esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell’amministrazione nei confronti del privato contraente a cui viene riconosciuto solo il diritto all’avvio di un procedimento di verifica circa la spettanza del compenso revisionale.

Sentenza 25 giugno 2019, n. 4371

Data udienza 23 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7863 del 2018, proposto da
“La Pu.-Tr.” di Ti. Au. e An. S.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Stefano Martinelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico Umberto I, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Patrizia Bececco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 02667/2018, resa tra le parti, concernente richiesta compenso revisionale.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico Umberto I;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 maggio 2019 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati St. Ma. e Pa. Be.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con delibera n. 16 del 30 gennaio 1998 l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico Umberto I aggiudicava l’appalto per il servizio di pulizie dei propri locali e delle proprie aree a “La Pul-Tra” di Ti. Au. e An. S.a.s. Il contratto, di durata originariamente pari ad anni tre, formava poi oggetto di successive e reiterate proroghe e rinnovi.
In data 2 settembre 2015, allorquando il rapporto contrattuale era ancora in essere, la società chiedeva all’azienda ospedaliera il compenso revisionale, ai sensi dell’art. 115 del decreto legislativo n. 163 del 2006, per il periodo ricompreso tra aprile 2006 ed aprile 2012.
L’azienda ospedaliera, con nota del 13 ottobre 2015 rigettava la suddetta richiesta, dal momento che i prezzi contrattuali avrebbero dovuto in ogni caso formare oggetto di rinegoziazione, e dunque di revisione in riduzione, ai sensi dell’art. 15 del decreto-legge n. 95 del 2012 nonché degli artt. 9-bis ss. del decreto-legge n. 78 del 2015, secondo date percentuali di ribasso (dal 5% al 10% a seconda del periodo); con conseguente compensazione dell’invocato diritto alla revisione prezzi da parte della società ricorrente per il periodo indicato (2006 – 2012).
“La Pu.-Tr.” di Ti. Au. e An. S.a.s impugnava la citata nota dinanzi al TAR Lazio.
Il TAR respingeva il ricorso. Osservava, in particolare, il TAR che “l’amministrazione non ha negato in radice la sussistenza di un diritto alla revisione ma ha ponderato e confrontato tale situazione con quella correlata alla doverosa rinegoziazione dei termini del contratto per effetto del citato disposto normativo in materia di risparmio della spesa sanitaria: di qui la sostanziale compensazione tra le voci rispettivamente a favore del privato (compenso revisionale ex art. 115 cit.) e della PA (rinegoziazione contrattuale e connessa riduzione prezzi ex D.L. 95/2012 e D.L. 78/2015)”. Conseguentemente concludeva per il rigetto, evidenziando come la società ricorrente non avesse dimostrato “mediante dati e analisi di tipo contabile e finanziario, che il quantum dovuto a titolo di revisione prezzi (art. 115 cit.) sarebbe stato in ogni caso superiore rispetto al quantum derivante dall’abbattimento dei prezzi soggetti a riduzione mediante rinegoziazione coatta (DL 95/2012 e DL 78/2015”
La sentenza è stata gravata dall’originaria ricorrente.
La società appellante deduce, a supporto del gravame, che non vi era stata la rinegoziazione del rapporto contrattuale ai sensi del D.L. 95/12 perché mancavano i presupposti (in sostanza i prezzi pattuiti erano già in linea con i prezziari di riferimento), e in ogni caso, qualora pattuita, l’amministrazione non avrebbe comunque potuto comprimere il compenso revisionale maturato dalla appaltatrice nel periodo compreso tra il 16.04.06 ed il 15.04.12, ossia prima dell’entrata in vigore dei citati decreti legge. In sostanza il giudice di prime cure avrebbe erroneamente ritenuto che le disposizioni normative sulla spending review dettate dal D.L. 98/11 e dal D.L. 95/12, imponessero una rinegoziazione “doverosa” dei contratti di appalto per forniture e servizi in ambito sanitario con riduzione automatica del corrispettivo spettante alla ditta appaltatrice; soprattutto avrebbe errato nel ritenere che il contenimento della spesa pubblica previsto dalle suddette disposizioni normative – da conseguirsi tramite riduzione dei servizi e del corrispettivo e/o tramite rinegoziazione – potesse essere utilizzato per compensare dei crediti sorti a titolo di revisione prezzi ed in epoca antecedente rispetto alla emanazione dei decreti leggi sulla spending review.
Parimenti errata sarebbe la statuizione del TAR che ha imputato alla odierna appellante di non aver contestato con “allegazioni serie e circostanziate” la suddetta compensazione, tralasciando di considerare che il quantum dovuto a titolo di revisione prezzi avrebbe dovuto essere accertato dalla stazione appaltante nell’ambito di un apposito procedimento istruttorio, mai concretamente avviato.
Nel giudizio si è costituita l’amministrazione. La stessa ha insistito per la reiezione del gravame, segnalando altresì che le proroghe contrattuali disposte in passato dall’amministrazione in favore della società appellante, dovrebbero comunque ritenersi nulle ai sensi dell’art. 21septies della L. 7 agosto 1990, n. 241 in quanto costituenti affidamento “diretto”.
La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 23 maggio 2019.
Ritiene il Collegio che l’appello sia fondato, nei termini e nei limiti di seguito indicati.
L’art. 15, comma 13, del D.L. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 135/ 2012, prevede che: “gli importi e le connesse prestazioni relative a contratti in essere di appalto di servizi e forniture di beni e servizi, con esclusione degli acquisti dei farmaci, stipulati da aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale, sono ridotti del 5 per cento…. per tutta la durata dei contratti medesimi”.
Il Ministero della Salute, con circolare n. 106719 del 27 febbraio 2013 ha chiarito che “la norma è da interpretarsi nel senso che la prevista riduzione del 5 per cento degli importi dei contratti, per la fornitura di beni e l’appalto di servizi a favore degli enti ed aziende del Servizio sanitario nazionale, è da conseguirsi attraverso una corrispondente diminuzione del volume delle prestazioni contrattuali, cioè dei beni forniti o dei servizi resi da parte delle ditte titolari dei singoli contratti di fornitura o appalto”.
La disposizione, quindi, non impone la riduzione del corrispettivo tout court, a parità di prestazioni, ma impone la rinegoziazione dei contratti con possibilità di recesso da parte della stazione appaltante qualora il soggetto non sia disponibile alla rinegoziazione (così, da ultimo, Cons. Stato Sez. III, Sent. 20/8/2018, n. 4985).
Nel caso di specie, con il provvedimento impugnato l’amministrazione non ha proceduto alla rinegoziazione ma si è limitata ad affermare che: “I prezzi contrattuali, già ritenuti perfettamente allineati e quindi congrui ai prezzi riferimento ANAC (cfr. nota prot. n. 0038758 del 8.11.2012), devono intendersi ricondotti e pertanto revisionati in ottemperanza a quanto previsto dall’articolo 15 del D.L. 95/2012 convertito, con modificazioni, dalla legge 135/ 2012….”, intendendo la norma citata quale automatica decurtazione dei prezzi in grado di generare un credito oggetto di possibile compensazione.
Trattasi di un comportamento del tutto errato. Innanzitutto perché, come già sopra evidenziato, l’articolo 15 del D.L. 95/2012 ha riferimento al volume delle prestazioni contrattuali da erogare, e non al solo prezzo; e poi perché, anche ammesso per pura ipotesi che un qualche credito possa sorgere dall’applicazione del disposto normativo citato, in ogni caso la compensazione avrebbe dovuto preliminarmente passare per un previo procedimento di accertamento e liquidazione dei rispettivi crediti.
Così non è stato, poiché l’amministrazione, come condivisibilmente rilevato dall’appellante, ha fatto “confluire” nel procedimento istruttorio attinente il compenso revisionale le disposizioni normative dettate dal legislatore per attuare la spending review, considerandole erroneamente assorbenti.
La nota impugnata è quindi illegittima e dev’essere annullata.
Ciò chiarito, si pone l’esigenza di valutare l’an e il quantum del compenso revisionale spettante.
A ben vedere l’amministrazione non contesta la sussistenza dei presupposti negoziali e normativi per l’avvio di un procedimento di verifica che possa sfociare nell’eventuale quantificazione del compenso revisionale. Sul punto giova sottolineare che dell’art. 115 del D.Lgs. 163/06, e ancor prima, dell’art. 6 del D.Lgs. 537/93, normativa ratione temporis applicabile, “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5”.
La giurisprudenza ha chiarito che “la mancata previsione esplicita di tale clausola nel contratto non ne pregiudica in alcun modo l’applicabilità, essendo principio consolidato il carattere imperativo della stessa, per cui finanche un’eventuale clausola difforme dovrebbe ritenersi nulla” (da ultimo Cons. Stato Sez. III, Sent., 2/5/2019, n. 2841).
Sulla base di ciò, ma anche soprattutto in ragione dell’evidente tardività, deve respingersi l’eccezione di nullità del contratto, proposta, solo in sede d’appello, dall’amministrazione.
Da quanto sopra discende, con riferimento al caso di specie, il diritto dell’appaltatore all’avvio di un procedimento di verifica circa la spettanza del compenso revisionale.
La decisione non può che arrestarsi a questa soglia. Anche di recente la Sezione ha affermato che il riconoscimento, in concreto, del compenso revisionale, sottende l’esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell’amministrazione nei confronti del privato contraente (Cons. Stato Sez. III, Sent., 2/5/2019, n. 2841, cit.). Tale potere non è stato ancora concretamente esercitato nel caso di specie, posto che l’amministrazione, con atto sostanzialmente soprassessorio, si è limitata a richiamare la normativa sulla spending review.
Sul versante conformativo si precisa che l’amministrazione dovrà osservare, nel procedimento de quo, i seguenti principi affermati in giurisprudenza:
1) la determinazione della revisione prezzi viene effettuata dalla stazione appaltante all’esito di un’istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi, secondo un modello procedimentale volto al compimento di un’attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale;
2) la prevista periodicità della revisione non implica affatto che si debba azzerare o neutralizzare l’alea sottesa a tutti i contratti di durata, che impone alle parti di provare la sussistenza di eventuali circostanze imprevedibili che abbiano determinato aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, e che risulterebbe ben singolare un’interpretazione che esentasse del tutto, in via eccezionale, l’appaltatore dall’alea contrattuale, sottomettendo in via automatica ad ogni variazione di prezzo solo le stazioni appaltanti pubbliche, pur destinate a far fronte ai propri impegni contrattuali con le risorse finanziarie provenienti dalla collettività ;
3) allo stesso modo, alla luce della descritta finalità di contenimento delle conseguenze economiche derivanti dall’alea gravante su entrambe le parti dell’appalto pubblico in caso di variazione dei prezzi, a tutela del loro reciproco affidamento, non apparirebbe conforme né ai principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione, né ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità sanciti dall’ordinamento nazionale e comunitario, un’interpretazione che, una volta riconosciuta la revisione dei prezzi, dovesse parametrare i conseguenti effetti economici al dato del tutto astratto e teorico dell’aumento del prezzo delle materie prime, anziché al dato concreto e puntuale della spesa oggettivamente sostenuta per il loro acquisto nel periodo di riferimento, quali risultanti dalla relativa fatturazione del produttore o dell’intermediario;
4) nella quantificazione del compenso revisionale, fermi i principi sopra elencati, in mancanza delle rilevazioni semestrali di cui all’art. 6 del L. 537/1993 e ss. mm., deve essere considerato ogni elemento istruttorio utile, e può utilizzarsi l’indice FOI solo quale limite massimo oltre il quale non può spingersi il compenso revisionale.
Avuto riguardo alla peculiarità della questione appare equo compensare fra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie. Per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, accoglie il ricorso introduttivo di primo grado, nei limiti di quanto chiarito in motivazione.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere, Estensore
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere

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