Il tuffo in piscina che causa un incidente in quanto il livello dell’acqua è più basso di quello presunto

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 13 giugno 2019, n. 15880.

La massima estrapolata:

Il tuffo in piscina che causa un incidente in quanto il livello dell’acqua è più basso di quello presunto non determina automaticamente la responsabilità del titolare della piscina, in modo particolare quando ci sia un cartello che indichi le modalità di utilizzo della piscina stessa.

Ordinanza 13 giugno 2019, n. 15880

Data udienza 26 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28044-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente-
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS) SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1768/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 28/10/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/03/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

RILEVATO

che:
(OMISSIS) convenne in giudizio (OMISSIS), titolare dell’ (OMISSIS) (corrente in (OMISSIS) ed esercente attivita’ di agriturismo), per sentirlo condannare, ai sensi dell’articolo 2050 c.c. o dell’articolo 2043 c.c., al risarcimento dei danni che aveva riportato battendo la testa, in occasione di un tuffo, contro il pavimento della piscina della struttura, la cui profondita’ era risultata inferiore a quella ordinaria;
il convenuto resistette alla domanda, sostenendo – fra l’altro – che nella struttura erano presenti cartelli che vietavano i tuffi nella piscina, e chiamo’ in causa, per l’eventuale manleva, la (OMISSIS);
la terza chiamata si costitui’ in giudizio contestando la domanda di garanzia per difetto di una polizza intercorrente con l’ (OMISSIS);
il Tribunale di Firenze, Sez. Dist. di Empoli, accerto’ la responsabilita’ del convenuto ai sensi dell’articolo 2043 c.c. e, riconosciuto un concorso colposo del (OMISSIS) nella misura del 50%, condanno’ il (OMISSIS) al pagamento della somma di 13.552,34 Euro (oltre accessori), con compensazione delle spese; inoltre, rigettata la domanda di manleva, condanno’ il (OMISSIS) al pagamento delle spese di lite in favore della compagnia assicurativa;
la Corte di Appello di Firenze ha riformato la sentenza, rigettando la domanda del (OMISSIS) e condannandolo alla restituzione delle somme riscosse nonche’ al pagamento delle spese del doppio grado in favore del (OMISSIS) e della (OMISSIS) s.p.a.;
ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), affidandosi a sei motivi illustrati da memoria; ha resistito il (OMISSIS) a mezzo di controricorso.

CONSIDERATO

che:
col primo motivo, si denuncia la “nullita’ della sentenza per “contrasto irriducibile fra affermazioni contenute in motivazione” e/o per “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, rendendosi impossibile l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito”: il ricorrente rileva che la Corte ha utilizzato due motivazioni fra loro autonome per escludere l’attendibilita’ della teste (OMISSIS) (l’una basata sul fatto che la stessa era la fidanzata dell’attore al momento del fatto e successivamente ne era divenuta moglie e l’altra fondata sull’assunto che la teste aveva “rappresentato una realta’ avversata da tutto il contesto probatorio”), sicche’ “resta del tutto incerto se tale ritenuta inattendibilita’ sia dipesa dal primo motivo (…) oppure dal secondo”;
il motivo e’ infondato: la Corte fiorentina ha basato l’affermazione dell’inattendibilita’ della teste su due elementi che non vanno necessariamente letti come disgiunti, giacche’ il giudizio non puo’ che costituire il risultato della loro valutazione contestuale, si’ che deve escludersi che ricorra il “contrasto irriducibile” evidenziato dal (OMISSIS);
il secondo motivo denuncia la violazione degli articoli 112 e 113 c.p.c. nonche’ degli articoli 1218 e 2697 c.c. “per avere la Corte di Appello di Firenze erroneamente omesso di applicare le norme in tema di responsabilita’ contrattuale” a fronte del rapporto di alloggio/albergo instauratori fra l’Azienda del (OMISSIS) e il (OMISSIS);
la censura e’ infondata: premesso che lo stesso attore ha formulato la domanda in chiave di responsabilita’ extracontrattuale, invocando l’applicazione dell’articolo 2043 o dell’articolo 2050 c.c. (cfr. pag. 6 del ricorso) e che la mancata valutazione della vicenda in termini di responsabilita’ contrattuale non ha costituito oggetto di gravame, deve escludersi la possibilita’ del (OMISSIS) di dolersi per la prima volta in sede di legittimita’ dell’omesso esame della propria domanda sotto il profilo della responsabilita’ contrattuale (cfr. Cass. n. 19938/2008); peraltro, il ricorrente non ha neppure individuato il concreto interesse a far valere la responsabilita’ contrattuale del (OMISSIS) giacche’, a fronte dell’accertata esclusione di qualunque profilo di colpa a carico del convenuto, l’esito della lite non sarebbe stato diverso anche applicando il criterio dell’inversione dell’onere probatorio previsto dall’articolo 1218 c.c. (destinato a risolvere i casi di dubbio o di “stallo” probatorio col porne le conseguenze sul debitore onerato della prova liberatoria, ma del tutto ininfluente laddove si accerti l’assenza di colpa);
il terzo motivo deduce la violazione o falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c. per avere la Corte “fatto cattivo uso del prudente apprezzamento, con effetti decisivi sulla ricostruzione del fatto e quindi sull’applicazione dell’articolo 2043 c.c., sancendo in modo logicamente insostenibile ed irragionevole (…) che un tuffo dal bordo di una piscina (…) integri condotta addirittura “tale da doversi considerare, da sola, assorbente ed esclusiva” ai fini dell’imputazione della responsabilita’”, e cio’ con considerazioni che “non trovano riscontro nella realta’ di cio’ che accade di norma in frangenti simili, proprio secondo l’id quod plerumque accidit”;
col quarto motivo, viene dedotta (in riferimento a cinque profili indicati con le lettere da “a” ad “e”) la violazione o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte “fatto cattivo uso del prudente apprezzamento, con effetti decisivi sulla ricostruzione del fatto e quindi sull’applicazione dell’articolo 2043 c.c., una volta ritenuta l’inattendibilita’ della teste attorea”;
il terzo e il quarto motivo – che possono essere esaminati congiuntamente – sono inammissibili in quanto la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. non risulta dedotta in conformita’ ai parametri individuati da Cass., S.U. n. 16598/2016 e da Cass. n. 11892/2016: infatti, un’eventuale erronea valutazione del materiale istruttorio non determina, di per se’, la violazione o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., che ricorre solo allorche’ si deduca che il giudice di merito abbia posto alla base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso (valutandole secondo il suo prudente apprezzamento) delle prove legali oppure abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr. Cass. n. 27000/2016); le censure risultano volte -nella sostanza- a contestare la valutazione delle testimonianze (e dell’attendibilita’ dei testi) e le considerazioni svolte dalla Corte per ritenere provata l’affissione del regolamento d’uso della piscina e per individuare nell’imprudenza del (OMISSIS) la causa esclusiva dell’infortunio, risolvendosi pertanto in un’inammissibile sollecitazione ad una diversa lettura di merito in sede di legittimita’ (cfr. Cass. n. 21412/2006);
il quinto motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c., per avere la Corte, “abusando del principio di disponibilita’ delle prove”, attribuito rilevanza alla circostanza che non si avesse notizia di incidenti similari per tutto il periodo in cui l’Azienda era rimasta aperta al pubblico, cosi’ assumendo “illegittimamente ed acriticamente al rango di elemento valutativo un rilievo che non ha mai costituito oggetto di puntuale riscontro in causa”, dovendosi peraltro escludere la possibilita’ di fare rientrare tale elemento (estraneo al potere di controllo della difesa del (OMISSIS)) fra i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita o fra le nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza;
a prescindere dalla condivisibilita’ del rilievo circa il fatto che l’assunto della Corte non risultava puntualmente riscontrato in causa (ne’ poteva essere considerato fatto notorio o non contestato), il motivo risulta privo di concreto interesse giacche’ investe una considerazione “aggiuntiva” la cui erroneita’ non incide sulla complessiva ratio decidendi;
col sesto motivo – che deduce la “violazione o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. (essendone derivata una pronuncia ex articolo 91 c.p.c. senza l’esame della questione giuridica sottoposta in esame, censurabile ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, il ricorrente si duole della condanna al pagamento delle spese di lite in favore della compagnia assicuratrice chiamata in causa: il (OMISSIS) assume che la Corte territoriale ha omesso qualunque motivazione sul motivo di appello con cui il (OMISSIS) aveva censurato la sua condanna alle spese in favore della (OMISSIS) (a fronte della ritenuta inoperativita’ della polizza) e che cio’ ha determinato una immotivata condanna dell’odierno ricorrente al pagamento delle spese della terza chiamata, giacche’ la sentenza impugnata ha applicato “le ordinarie regole previste in tema di soccombenza (…) come se la polizza fosse stata accertata e dichiarata operativa”;
il motivo e’ inammissibile o, comunque, infondato:
solo la parte che ha proposto un motivo di appello puo’ dolersi del suo mancato scrutinio e non e’ consentito all’odierno ricorrente di veicolare una censura sulle spese di lite tramite la deduzione di un error in procedendo (relativo all’articolo 112 c.p.c.) che non era legittimato a far valere;
quand’anche si volesse ritenere ammissibile la censura (in quanto diretta -nella sostanza- a contestare il riparto delle spese di lite), la stessa risulterebbe infondata, giacche’ non sono stati forniti elementi idonei a suffragare l’assunto che la domanda di garanzia fosse palesemente infondata, si’ da giustificare -in deroga al principio di causalita’- la condanna alle spese a carico del convenuto che abbia arbitrariamente chiamato in causa il terzo anziche’ dell’attore a sua volta soccombente nei confronti del medesimo convenuto (cfr. Cass. n. 10070/2017, Cass. n. 8363/2010 e Cass. n. 7431/2012);
in considerazione dell’esito alterno dei giudizi di merito, sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese di lite (ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, nel testo -applicabile ratione tamporis- anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 263 del 2005);
sussistono le condizioni per l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese di lite.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

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