La trasformazione di una società di persone in società di capitali

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 4 giugno 2019, n. 3767.

La massima estrapolata:

La trasformazione di una società di persone in società di capitali – e lo stesso è a dirsi in senso inverso (nei casi cioè di trasformazione, c.d. regressiva, di società di capitali in società di persone) – non dà luogo ad un nuovo ente, ma integra una mera mutazione formale di un’organizzazione, che sopravvive alla vicenda della trasformazione senza soluzione di continuità.

Sentenza 4 giugno 2019, n. 3767

Data udienza 16 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6579 del 2015, proposto dalla società Id. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ga. De Gi. Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ma. Ga. in Roma, via (…);
contro
Regione Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Is. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso gli uffici della delegazione romana della Regione Puglia in Roma alla via (…);
nei confronti
Comune di Lecce, in persona del legale rappresentante pro – tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, Sezione Seconda n. 00051/2015.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 maggio 2019 il Cons. Umberto Maiello e uditi per le parti gli avvocati Fr. Ca., su delega dell’avv. Ga. De Gi. Ce., e Ca. Ca. su delega dell’avv. Is. Fo.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La società Id. s.a.s. ha acquisito in godimento un immobile di proprietà della “Provincia San Giuseppe dei frati Minori” onde destinarlo a sede sia di una RSSA che di una RSA. In vista del rilascio delle necessarie autorizzazioni l’Ente proprietario aveva attivato (nel 2005), tramite il Comune di Lecce, il procedimento di verifica di compatibilità in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, che si perfezionava in favore del soggetto istante nel 2008 giusta determinazione dirigenziale n. 366 del 17 novembre 2008.
A valle del suddetto procedimento, con nota prot. 24/1522/2 del 31 marzo 2009, la Regione Puglia respingeva, però, l’istanza volta a conseguire la rettifica della intestazione della determinazione dirigenziale suddetta in favore dell’odierna appellante, locataria dell’immobile in argomento.
1.1. Il TAR per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, Sezione Seconda, adito dall’odierna appellante, con la sentenza n. 51/2015, ha parzialmente accolto il ricorso, rilevando che la verifica regionale di compatibilità, prevista dall’articolo 8 ter del d.lgs 502/1992 e dall’art. 7 della l.r. n. 8/2004, si era positivamente compiuta con riguardo all’istanza originariamente presentata dall’Ente proprietario (giusta determinazione regionale 366 del 17.11.2008) e che non emergevano elementi ostativi alla richiesta (veicolata dal Comune con nota del 21.1.2009 e dall’Ente proprietario con nota del 6.2.2009) di modifica del suddetto, precedente provvedimento riferendone, questa volta, l’intestazione soggettiva alla società Id. siccome locataria della struttura oggetto della predetta verifica.
1.2. Il giudice territoriale, al contempo, respingeva la pretesa risarcitoria, evidenziando che l’accoglimento della domanda cautelare, disposta con ordinanza n. 649/2009 e confermata in appello con ordinanza n. 5638/2009, non lasciava residuare un danno risarcibile.
2. Con il mezzo qui in rilievo la società Id. ha proposto appello avverso il capo della decisione di prime cure che ha respinto la domanda risarcitoria, all’uopo deducendo che:
a) la Regione Puglia, a fronte di un procedimento di verifica di compatibilità avente come durata ordinaria il tempo di 90 gg ex articolo 7 comma 2 della legge regionale n. 8/2004, ha impiegato tre anni (determina n. 366 del 17.11.2008) per rilasciare il parere favorevole alla Provincia di S. Giuseppe dei Frati Minori e ulteriori sei mesi per respingere la domanda di volturazione in favore dell’odierna appellante;
b) il suddetto comportamento avrebbe generato un danno da ritardo e da mancata attribuzione di un bene della vita in ragione del fatto che l’art. 3 comma 32 della legge regionale n. 40 del 31.12.2007, come modificato dall’articolo 5 comma 1 lettera q) della legge regionale n. 1/2008, aveva nel frattempo stabilito – in ossequio al disposto di cui all’articolo 1 comma 796 lettera u) della legge 296/2006 – la sospensione dei nuovi accreditamenti.
3. Resiste in giudizio la Regione Puglia, che eccepisce il difetto di legittimazione attiva dell’appellante posto che il precedente grado di giudizio era stato incardinato dalla società Id. s.a.s., mentre l’appello qui in rilievo risulta proposto dalla Id. s.p.a., nonché l’inammissibilità della domanda di condanna formulata in prime cure siccome priva della puntuale indicazione e quantificazione dei pregiudizi subiti.
Anche in considerazione di quanto fin qui opposto andrebbero, inoltre, dichiarate inammissibili, incorrendo nel divieto cd. dei nova, le argomentazioni incentrate sull’efficacia preclusiva rinveniente dall’art. 3 comma 32 della L. R. 40/2007 di sospensione dei nuovi accreditamenti di strutture private.
4. L’appello è infondato e, pertanto, va respinto.
Preliminarmente, va qui disattesa l’istanza di rinvio presentata dall’odierna appellante, in data 8.5.2019, dal momento che le ragioni ivi prospettate, correlate a sopravvenienze normative che lascerebbero presagire in tempi relativamente brevi la concreta possibilità di un accesso al sistema di accreditamento, non interferiscono con la res iudicanda, essendo questa incentrata sull’azionata pretesa al risarcimento di danni già maturati.
5. Orbene, va, anzitutto, disattesa l’eccezione formulata in rito dalla Regione Puglia secondo cui l’appello sarebbe inammissibile per difetto di legittimazione attiva a cagione della intervenuta trasformazione (rispetto al primo grado) della Id. s.a.s. in Id. s.p.a.
Sul punto, come efficacemente replicato dalla parte appellante, è sufficiente fare rinvio al consolidato principio giurisprudenziale a mente del quale la trasformazione di una società di persone in società di capitali – e lo stesso è a dirsi in senso inverso (nei casi cioè di trasformazione, c.d. regressiva, di società di capitali in società di persone) – non dà luogo ad un nuovo ente, ma integra una mera mutazione formale di un’organizzazione, che sopravvive alla vicenda della trasformazione senza soluzione di continuità (cfr. Cassazione civile sez. II, 18/09/2012, n. 15622; Cassazione civile, sez. trib., 23/04/2007, n. 9569).
6. Occorre, però, soggiungere che la legittimazione attiva dell’odierno appellante è contestata anche sotto distinto profilo, e cioè relativamente al fatto che, per il periodo pregresso al procedimento di rettifica e/o voltura, la titolarità della posizione soggettiva lesa dal contestato ritardo nello sviluppo dell’azione amministrativa si radicava solo in capo all’Ente proprietario del compendio immobiliare che aveva promosso, intestandolo a sé, il procedimento in argomento.
6.1. Sul punto, non ha, anzitutto, pregio l’eccezione dell’appellante che oppone la maturazione di irreversibili preclusioni alla possibilità di esplorare la suddetta tematica in assenza della formale proposizione di un appello incidentale avverso il capo della sentenza che (implicitamente) ha ritenuto ammissibile il ricorso.
E’, infatti, di tutta evidenza che la legittimazione attiva, in quanto condizione dell’azione, è qui sindacabile dal Collegio dal momento che i presupposti processuali o le condizioni dell’azione, se non è diversamente previsto dalla legge, sono rilevabili, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo. Ogni giudice, infatti, in qualsiasi stato e grado, ha il potere e il dovere di verificare se ricorrono le condizioni cui l’ordinamento subordina la possibilità che egli emetta una decisione nel merito. Si tratta, infatti, di condizioni all’esercizio del potere giurisdizionale che l’ordinamento normalmente prevede per la tutela di interessi di ordine pubblico, sottratti alla disponibilità delle parti, la cui tutela, pertanto, non può essere rimessa alla loro tempestiva e rituale eccezione” (cfr. ex multis Cons. Stato Sez. VI, 18-04-2013, n. 2152, principio di recente ribadito anche da Consiglio di Stato ad. plen., 26/04/2018, n. 4).
6.2 Orbene, mette conto evidenziare che la pretesa risarcitoria coltivata dalla società appellante muove dalla lesione delle aspettative connesse al tempestivo svolgimento del procedimento di verifica di compatibilità ex art. 8 ter del d.lgs n. 502/92 e art. 7 della l. r. n. 8/04 e, nel costrutto giuridico attoreo, il ritardo illegittimamente accumulato dalla Regione Puglia avrebbe comportato l’impossibilità di conseguire, ad oggi, il bene della vita, essendo preclusa, per legge, la possibilità di fruire dell’accreditamento.
Com’è noto, l’art. 8 ter prevede, al comma 1, che, la realizzazione di strutture e l’esercizio di attività sanitarie e sociosanitarie sono subordinate ad autorizzazione ed al successivo comma 3 che “per la realizzazione di strutture sanitarie e socio-sanitarie il comune acquisisce, nell’esercizio delle proprie competenze in materia di autorizzazioni e concessioni… la verifica di compatibilità del progetto da parte della regione. Tale verifica è effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, anche al fine di meglio garantire l’accessibilità ai servizi e valorizzare le aree di insediamento prioritario di nuove strutture”.
Da parte sua il legislatore regionale ha previsto, all’articolo 7, nella versione applicabile ratione temporis, che “…I soggetti pubblici e privati inoltrano al Comune competente per territorio istanza di autorizzazione alla realizzazione della struttura corredandola della documentazione prescritta. il Comune richiede alla Regione la prevista verifica di compatibilità, di cui all’articolo 8-ter del decreto legislativo, entro trenta giorni dalla data di ricevimento dell’istanza” (comma 1); il relativo parere “… è rilasciato, entro novanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di cui al comma 1” (comma 2).
6.3. E’, dunque, in relazione ed a fronte dell’esercizio del suddetto potere e nell’ambito del relativo procedimento che ha trovato la sua genesi la posizione soggettiva di interesse legittimo qui azionata e che risulterebbe oramai compromessa in ragione dell’impossibilità di conseguire tutte le ulteriori posizioni di vantaggio (id est accreditamento) che l’utile gestione del procedimento de quo avrebbe generato.
Tanto in ragione della sopravvenuta previsione di cui al comma 32 dell’articolo 3 della L.R. n. 40/2007, come integrato dall’articolo 5, comma 1, lettera q), della L.R. n. 1/2008 a mente del quale “Fino al completamento degli adempimenti di cui all’articolo 1, comma 796, lettera u), della L. n. 296/2006 e, comunque, fino a nuova disposizione da parte della Giunta regionale sono sospesi nuovi accreditamenti di strutture private, non accreditate transitoriamente alla data di entrata in vigore della presente legge, fatta eccezione di quelle previste nelle intese per la riconversione delle case di cura e per le strutture realizzate con finanziamenti pubblici. Sono fatte salve le istanze riguardanti le strutture che alla data di entrata in vigore della presente legge hanno già ottenuto il parere favorevole di compatibilità per la realizzazione secondo quanto disposto dalla normativa vigente”.
6.4. Pur tuttavia, rispetto al costrutto dell’appellante, deve rivelarsi una scissione tra la titolarità dell’azione spiegata in giudizio e quella della posizione giuridica soggettiva lesa.
Mette conto evidenziare che la “Provincia San Giuseppe dei frati Minori” è tuttora proprietaria del compendio immobiliare qui in rilievo rispetto al quale giammai vi è stata una vicenda traslativa che consenta di accreditare un automatico subentro dell’odierna appellante nei rapporti giuridici ad esso riconducibili. Ed, invero, la suddetta parte è semplicemente locataria del bene, senza peraltro che nel relativo titolo negoziale vi sia una specifica investitura al subentro nella gestione della procedura in argomento.
Occorre, altresì, soggiungere che il medesimo Ente ha attivato nel 2005 il procedimento autorizzatorio su cui si innesta il procedimento di verifica di compatibilità, che è rimasto sempre formalmente intestato, sotto il profilo soggettivo, e fino alla data della sua conclusione, alla “Provincia San Giuseppe dei frati Minori”.
La determinazione dirigenziale n. 366 del 17/11/2008 veniva, dunque, coerentemente adottata in favore della Provincia di San Giuseppe, in quanto proprietaria del bene e soggetto istante dell’autorizzazione alla realizzazione della RSA.
Ed, invero, solo nel 2009, successivamente cioè al perfezionamento di tale procedimento, intervenuto per effetto della richiamata determinazione dirigenziale n. 366 del 17 novembre 2008, il Comune di Lecce e l’Ente proprietario (rispettivamente, con nota del 21.01.2009 prot. n. 7027/09 e con nota prot. n. 6 del 06.02.2009) hanno formalmente ed ufficialmente comunicato alla Regione Puglia il subentro della società Id. nella posizione dell’originaria istante Provincia di San Giuseppe, all’uopo finanche evidenziandosi, nella nota comunale n. 7027/2009, che < per mero errore materiale> il subentro non era stato comunicato all’ente regionale.
Resta, dunque, confermato che, per la fase pregressa, la posizione legittimante – che qui si assume lesa da una gestione del procedimento scorretta e contra legem – è rimasta nella sfera giuridica dell’Ente proprietario, unico soggetto legittimato, pertanto, a poterne pretendere l’eventuale ristoro.
L’emersione della posizione dell’odierna appellante si è, invece, perfezionata solo a seguito della richiesta di voltura della determinazione dirigenziale n. 366 del 17 novembre 2008, quando cioè era già maturato il blocco normativo soprarichiamato.
In altri termini, i presunti danni posti a fondamento della pretesa azionata in giudizio risultano temporalmente ascrivibili ad una fase in cui l’odierna appellante non aveva, per le ragioni suesposte, alcuna legittimazione.
7. Peraltro, il rigetto dell’appello s’impone anche sotto distinto profilo.
Vale osservare che il ricorso di prime cure risultava prevalentemente incentrato sulla contestazione, affidata a diversi motivi di censura, del rifiuto opposto dalla Regione Puglia, con nota prot. 24/1522/2 del 31 marzo 2009, all’istanza volta a conseguire la rettifica della intestazione della determinazione dirigenziale n. 366 del 17 novembre 2008 che aveva positivamente concluso il procedimento di verifica della compatibilità della struttura con il fabbisogno regionale.
Di contro la domanda risarcitoria, articolata in via consequenziale rispetto a quella di annullamento, risultava affidata alle seguenti scarne considerazioni “Da quanto precede deriva il diritto al risarcimento del danno cagionato dall’atto impugnato, sia danno emergente, dato dagli enormi esborsi monetari richiesti per accogliere la struttura, quanto lucro cessante dovuto alla ritarda(ta) autorizzazione all’esercizio di una RSA con n. 30 p.l., di cui è fatta riserva di successiva specificazione e separata liquidazione, anche in via equitativa”.
Ed è in coerenza con tale impianto assertivo, peraltro evidentemente lacunoso, che si è sviluppata la pur sintetica decisione del TAR Lecce che, dopo aver dato atto del positivo sviluppo sortito dalla domanda cautelare tanto in primo che in secondo grado, ha evidenziato che “La concessione di una piena tutela cautelare alla ricorrente esclude la configurabilità di una danno risarcibile”.
Ed, invero, ad una piana lettura della domanda, sopra integralmente riportata, appare di tutta evidenza come nel costrutto giuridico attoreo i danni di cui si chiedeva il ristoro fossero indicati come danni derivati dall’atto impugnato (id est diniego della richiesta voltura) ed è sicuramente condivisibile rispetto all’impostazione privilegiata nel suddetto mezzo, che vincola la decisione del giudice in ossequio al principio dispositivo, la risposta compendiata nella sentenza qui gravata nella parte in cui evidenza che tali danni non sono evincibili dalle risultanze processuali anche perché sterilizzati in partenza dalla tempestiva adozione di misure cautelari.
7.1. Di contro, in sede di appello la domanda risarcitoria risulta sganciata dall’atto impugnato (diniego opposto dalla Regione alla voltura della verifica di compatibilità rilasciata nel 2009) e del tutto irritualmente riproposta, con palese violazione dell’articolo 104 c.p.a., come pretesa risarcitoria riferita questa volta all’illegittimo ritardo maturato fin dalla deccorrenza del termine di gg. 90 fissato dalla legislazione regionale per l’evasione della richiesta di rilascio del parere di compatibilità ed ancorata all’impossibilità di conseguire l’accreditamento per effetto del sopravvenuto blocco legislativo introdotto dal comma 32 dell’articolo 3 della L.R. n. 40/2007, come integrato dall’articolo 5, comma 1, lettera q), della L.R. n. 1/2008, evenienze queste giammai prima dedotte, essendo le deduzioni attoree rimaste agganciate al solo procedimento autorizzatorio senza nemmeno evocare la distinta procedura di accreditamento.
8. D’altronde, sotto ulteriore profilo, nemmeno può essere taciuta la sostanziale genericità che caratterizza sia l’individuazione sia la quantificazione delle singole voci di danno poste a fondamento della pretesa risarcitoria, dovendo la parte resistente essere messa in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento.
Nel rispetto del principio generale sancito dall’art. 2697 c.c., secondo il quale chi agisca in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda, il ricorrente, ai fini del risarcimento dei danni provocati da illegittimo esercizio del potere amministrativo, deve fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi invocare in proposito il c.d. principio acquisitivo, poiché il medesimo attiene allo svolgimento dell’istruttoria ma non anche all’allegazione dei fatti.
L’importanza dell’assolvimento dell’onere allegatorio è d’altra parte fondamentale, perché, se è vero che il diritto entra nel processo attraverso le prove, queste ultime devono però avere ad oggetto pur sempre dei fatti circostanziati.
E’, dunque, di tutta evidenza come solo in relazione ad un substrato fattuale compiutamente tracciato nella domanda di parte può innestarsi, in via di ausilio, ed in presenza di obiettive situazioni di difficoltà di misurazione dei danni, il ricorso alla liquidazione equitativa.
L’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare, dall’altro non ricomprende anche l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno, nè esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinché l’apprezzamento equitativo sia per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell’iter della determinazione dell’equivalente pecuniario del danno” (ex plurimis, Cass. Civ., II, 22.2.18, n° 4310).
8. Infine, nemmeno può essere qui obliato il fatto che, nel torno di tempo impiegato dalla Regione per definire il procedimento di sua competenza, la stessa appellante (direttamente o tramite l’Ente proprietario) è rimasta inspiegabilmente inerte evitando di compulsare la Regione Puglia, direttamente o tramite il Comune, affinchè il procedimento si svolgesse entro la prescritta tempistica.
E ciò inevitabilmente genera ricadute negative sulla predicabilità della pretesa qui coltivata, come di recente precisato da questo Consiglio nella parte in cui ha evidenziato che al danno che deriva da un comportamento inerte il giudice amministrativo può sopperire ordinando all’Amministrazione, all’esito di un giudizio accelerato, di provvedere, con i relativi poteri sostitutivi in caso di ulteriore inerzia, di guisa che la mancata attivazione di tale rimedio integra una condotta rilevante ai sensi dell’art. 30 c.p.a. tanto da consentire al giudice amministrativo di escludere “il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza” (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 02/01/2019 n. 18).
Tanto è sufficiente per il rigetto dell’appello in epigrafe.
Le spese, in ragione della peculiarità delle vicenda scrutinata, possono essere compensate

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Garofoli – Presidente
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere
Umberto Maiello – Consigliere, Estensore

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