Corte di Cassazione, penale, Sentenza|3 giugno 2021| n. 21882.
Stupefacenti e rideterminazione della pena in sede esecutiva.
In tema di stupefacenti, le modifiche apportate all’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, dal d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, in quanto introduttive di un regime sanzionatorio più favorevole, integrano un fenomeno di successione nel tempo di leggi penali, sicchè, ai fini della rideterminazione della pena in sede esecutiva, le stesse non possono trovare applicazione qualora la sentenza di condanna riguardi un fatto commesso anteriormente al 23 dicembre 2013, dovendosi in tal caso considerare la cornice edittale prevista dalla norma nel testo precedente le modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, dichiarate incostituzionali dalla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014.
Sentenza|3 giugno 2021| n. 21882. Stupefacenti e rideterminazione della pena in sede esecutiva
Data udienza 18 marzo 2021
Integrale
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIANI Vincenzo – Presidente
Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere
Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere
Dott. SANTALUCIA Giuseppe – Consigliere
Dott. ALIFFI Frances – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 28/07/2020 del GUP PRESSO TRIB.MINORI di BOLOGNA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FRANCESCO ALIFFI;
lette le conclusioni del PG Dott. ROMANO GIULIO, che ha chiesto il rigetto.
Stupefacenti e rideterminazione della pena in sede esecutiva,
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Bologna, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta, avanzata alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 23 gennaio 2014, di rideterminazione del trattamento sanzionatorio inflitto a (OMISSIS), con sentenza della Corte di appello di Bologna in data 19.7.2013 (divenuta irrevocabile il 31.10.2013), determinato in sede di cognizione in anni 1 di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5.
A ragione della decisione osservava che la rivalutazione della pena non era necessaria, neanche alla luce della interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata dell’articolo 673 c.p.p. proposta dalla Sezioni unite della Corte di cassazione, atteso che la pena irrogata dal giudice della cognizione era complessivamente adeguata e proporzionata, anche alla luce della nuova cornice edittale introdotta dalla L. n. 79 del 2014.
2. Ricorre il (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia (OMISSIS), chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione di legge e vizio della motivazione. Lamenta, in particolare, che il giudice dell’esecuzione non abbia tenuto conto della consumazione del reato durate la vigenza dei parametri edittali dichiarati incostituzionali dalla sentenza n. 32 del 2014 e fa presente che i coimputati del condannato nella medesima posizione hanno ottenuto la chiesta rideterminazione della pena.
Stupefacenti e rideterminazione della pena in sede esecutiva,
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ fondato per le ragioni che seguono.
1. Con la sentenza del 12 febbraio 2014, n. 32, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale del Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272, articoli 4 bis e 4 vicies ter, aggiunti dalla Legge di conversione 21 febbraio 2006, n. 49. Tali articoli sono stati censurati dal Giudice delle Leggi perche’ in conflitto con l’articolo 77 Cost., comma 2, il quale “istituisce un nesso di interrelazione funzionale tra decreto legge (…) e legge di conversione”, sicche’ quest’ultima “rappresenta una legge “funzionalizzata e specializzata” che non puo’ aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore, anche nel caso di provvedimenti governativi ab origine eterogenei (…), ma ammette soltanto disposizioni che siano coerenti con quelle originarie o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico”.
Mentre la formulazione originaria del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 prevedeva la bipartizione del trattamento sanzionatorio a seconda che il reato avesse riguardato sostanza stupefacente cosi’ detta “leggera” (reclusione da anni 2 ad anni 6 e multa da Lire 10 milioni a Lire 150 milioni) o cosi’ detta “pesante” (reclusione da anni 8 ad anni 20 e multa da lire 50 milioni a lire 500 milioni), le modifiche apportate dalla L. n. 49 del 2006 hanno eliminato la distinzione, sanzionando ogni fatto illecito sussumibile nella previsione all’articolo 73 cit., con esclusione di quelli di “lieve entita’” con la reclusione da 6 a 20 anni e con la multa da Euro 26.000 ad Euro 260.000.
L’intervento della Corte Costituzionale ha comportato il ritorno alla vigenza della risalente normativa contenuta nel previgente testo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e la rinnovata necessita’, in punto di commisurazione della pena, di tenere in considerazione la citata bipartizione sanzionatoria tra droghe leggere e droghe pesanti, tenuto conto della efficacia irretroattiva propria delle sentenze dichiarative della illegittimita’ costituzionale nei termini espressamente previsti dalla L. n. 87 del 1953, articolo 30 in attuazione dell’articolo 136 Cost..
Stupefacenti e rideterminazione della pena in sede esecutiva,
La reviviscenza dei trattamenti sanzionatori differenziati produce conseguenze diverse. Coloro che hanno commesso, prima della pubblicazione della sentenza della Consulta e sotto la vigenza della legge dichiarata incostituzionale, un fatto concernente una droga “pesante”, potrebbero continuare a beneficiare della disciplina dichiarata incostituzionale introdotta dalle L. n. 49 del 2006, anche se condannati con sentenza irrevocabile potendo gli effetti in “malam partem” della declaratoria di illegittimita’ costituzionale operare, per il divieto di cui all’articolo 25 Cost., comma 2, esclusivamente in relazione alle condotte successive all’intervento del giudice delle leggi, con la conseguenza che la norma attinta continua ad applicarsi, ove piu’ favorevole al reo, alle condotte commesse nella sua vigenza (cfr. Sez. 4, n. 46415 del 22/06/2018 Rv. 273990). Nei confronti di coloro che, nella medesima condizione, abbiano commesso un fatto concernente una droga “leggera” trova, invece, applicazione la disciplina piu’ favorevole tornata in vigore a seguito della caducazione di quella dichiarata incostituzionale, anche se e’ intervento il giudicato in quanto “pena illegale, e cio’ anche nel caso in cui la pena concretamente applicata sia compresa entro i limiti edittali previsti dall’originaria formulazione del medesimo articolo, prima della novella del 2006, rivissuto per effetto della stessa sentenza di incostituzionalita’ (Sez.U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon, Rv.264857).
2. I medesimi principi trovano applicazione anche laddove il fatto commesso prima della pubblicazione della sentenza della Consulta (6 marzo 2014) e sotto la vigenza della legge dichiarata incostituzionale sia stato ritenuto di lieve entita’ con conseguente applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5.
Va, pero’, tenuto conto che tale norma e’ stata interessata, oltre alla declaratoria di incostituzionalita’ della sentenza n. 32 del 2014 – che come ricordato ha interessato nel suo complesso la novella introdotta dal Decreto Legge n. 272 del 2005, articoli 4 bis e 4 vicies ter nell’originario testo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 – anche da modifiche legislative intervenute in epoca precedente e successiva alla sentenza in esame.
Stupefacenti e rideterminazione della pena in sede esecutiva,
E’ bene, a questo proposito ricordare che prima delle modifiche introdotte dal Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272, articolo 4-bis l’articolo 73, comma 5, cit. prevedeva per fatti di lieve entita’ pene diverse a seconda se avessero ad oggetto sostanze stupefacenti o psicotrope “di tipo pesante” di cui alle tabelle I e III – pena della reclusione da 1 a 6 anni e della multa da Lire cinque milioni a lire cinquanta milioni – o sostanze “di tipo leggero” cui alle tabelle II e IV – pena da 6 mesi a 4 anni e lire due milioni a Lire venti milioni.
L’articolo 4 bis cit. ha, anche per i fatti di lieve entita’, eliminato la distinzione tra droghe “leggere” e “pesanti”, prevedendo un’unica sanzione, detentiva uguale a quella originariamente prevista per le droghe “pesanti” ossia la reclusione da 1 a 6 anni e multa da Euro 3.000 a Euro 26.000.
Il Decreto Legge 23 dicembre 2013, n. 146, articolo 2, convertito dalla L. 21 febbraio 2014, n. 10, senza modifiche in parte qua, oltre a trasformare l’attenuante in una ipotesi criminosa autonoma, ha rimodellato la forbice edittale portandola da 1 a 5 anni di reclusione e da 3.000 a 26.000 Euro di multa.
Infine, il Decreto Legge 20 marzo 2014, n. 36 convertito con modificazioni dalla L. 16 maggio 2014, n. 79 ha introdotto il testo attualmente in vigore che, ferma restando la natura automa e non circostanziale della fattispecie incriminatrice dei fatti di lieve entita’, ha modificato il trattamento sanzionatorio, prevedendo la pena da 6 mesi a 4 anni di reclusione e da 1.032 a 10.329 Euro di multa.
Non vi e’ dubbio che la nuova disciplina introdotta dal Decreto Legge 20 marzo 2014, n. 146 del 2013, poi modificata dal Decreto Legge n. 36 del 2014, non e’ stata “caducata a cascata” dalla declaratoria di illegittimita’ costituzionale della sentenza n. 32 del 2014. E’ quest’ultima pronuncia che lo ha escluso espressamente sottolineando che “gli effetti del presente giudizio di legittimita’ costituzionale non riguardano in alcun modo la modifica disposta con il Decreto Legge n. 146 del 2013, sopra citato, in quanto stabilita con disposizione successiva a quella qui censurata e indipendente da quest’ultima” (cfr. par. 3 delle considerazioni in diritto della sentenza).
E, pero’, altrettanto pacifico che, per effetto della citata sentenza della Corte costituzionale, la previsione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, illegittimamente abrogato dal Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272, nel periodo compreso tra l’entrata in vigore della legge di conversione che ha inserito nell’ordinamento le modifiche dichiarate incostituzionali (28 febbraio 2006) e l’entrata in vigore del Decreto Legge n. 146 del 2013 (23 dicembre 2013), che ha innovato la struttura ed il trattamento sanzionatorio della fattispecie incriminatrice avente ad oggetto i fatti di lieve entita’, deve comunque considerarsi norma penale vigente combinandosi con il testo risultante dai precedenti quattro commi nella versione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 previgente alla riforma del 2006.
Stupefacenti e rideterminazione della pena in sede esecutiva,
3. Alla luce della delineata successione tra norme, con specifico riferimento ai fatti di lieve entita’ deve ritenersi che:
– per quelli inerenti a droghe “pesanti” e “leggere” commessi a partire dal 24 dicembre 2013, la declaratoria di incostituzionalita’ di cui alla sentenza n. 32 del 2014 non produce alcun effetto; per essi, infatti, trova applicazione il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, nella formulazione del Decreto Legge n. 146 del 2013 se commessi fino al 20 marzo 2014, se commessi successivamente trova applicazione il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, nella formulazione del Decreto Legge n. 36 del 2014;
– per quelli commessi prima del 23 dicembre, e dunque nella vigenza Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272 come modificato dalla Legge di conversione n. 49 del 2006, non potendo trovare applicazione l’articolo 73, comma 5, nella formulazione del Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272 a seguito della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale 32 del 2014 ed in diretta applicazione della L. n. 87 del 1953, articolo 30, comma 3 (a mente del quale “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”), deve considerarsi “legge vigente al momento del fatto” il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, nella formulazione di cui all’originario testo precedente alle modifiche del 2006.
Conseguentemente, cosi’ come il giudice della cognizione, a fronte del novum legislativo rappresentato dal Decreto Legge n. 146 del 2013 (fino al 20 marzo 2014) e dal Decreto Legge n. (dal 21 marzo 2014), sara’ tenuto ad applicare, ai sensi dell’articolo 2 c.p., comma 4, la norma piu’ favorevole per l’imputato scegliendola, tenendo conto delle circostanze del caso concreto (verificando, quindi, oltre ai limiti edittali l’eventuale presenza di aggravanti e la loro eventuale incidenza a seconda della natura autonoma o circostanziale della fattispecie incriminatrice), tra quella vigente al momento del fatto (e cioe’ l’articolo 73, comma 5, nella formulazione precedente alla novella del 2006) e quella vigente al momento del giudizio (e cioe’ l’articolo 73 nella formulazione attualmente vigente introdotta dal Decreto Legge n. 36 del 2014), il giudice dell’esecuzione, investito dalla richiesta del condannato di rideterminazione della pena per fatti commessi nella vigenza della norma dichiarata incostituzionale dalla sentenza della Corte costituzionale 32 del 2014, dovra’ provvedervi nei termini chiariti dalla gia’ citata sentenza a sezioni Unite Marcon, quindi parametrandola ai limiti edittali dell’unica norma incriminatrice a tutti gli effetti vigente al momento del fatto ossia l’articolo 73, comma 5, nella formulazione antecedente alla novella del 2006, senza prendere in considerazione le modifiche apportate dal Decreto Legge n. 146 del 2013 e dal Decreto Legge n. 36 del 2014, che certamente non potranno essere retroattivamente applicate (nemmeno se piu’ favorevoli) a fatti gia’ giudicati in via definitiva, stante lo sbarramento rappresentato dall’articolo 2 c.p., comma 4, (Sez. 1, n. 40317 del 13/07/2015, Testagrossa, Rv. 265129).
4. Tanto posto, risulta erroneo l’assunto del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i Minorenni di Bologna secondo cui non era necessaria la rideterminazione della pena richiesta dal condannato in applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, atteso che si tratta di conseguenza imposta dall’efficacia retroattiva di detta ultima pronuncia e dalla sopravvenuta illegalita’ della pena commisurata sulla base di una cornice edittale incostituzionale, a prescindere dal fatto che la pena sia stata determinata in termini conformi alla cornice edittale ritenuta costituzionalmente corretta (Sez. Un. 26.2.2015, Marcon; Sez. Un. 26.2.2015, Jazouli; Sez. Un. 26.2.2015, Sebbar). La commisurazione della pena e’, infatti, finalizzata ad individuare, nell’ambito che il legislatore ha rimesso alla discrezionalita’ del giudice, la pena giusta in relazione ai parametri di cui all’articolo 133 c.p., condizione necessaria per assicurare il rispetto del principio della personalita’ della responsabilita’ penale.
La pronuncia costituzionale ha determinato la reviviscenza dei limiti edittali anche per i fatti di lieve entita’ commessi prima del 23 dicembre 2013 aventi ad oggetto, come nel caso in verifica, stupefacenti inclusi nella tabella II, ed in tal modo ha dichiarato la incostituzionalita’ di un parametro legale (il minimo ed il massimo edittale da 1 a 6 anni e multa da Euro 3.000 a Euro 26.000), individuandone un altro (quello da 6 mesi a 4 anni e Lire due milioni a Lire venti milioni di cui all’articolo 73, comma 5, nel testo precedente alle modifiche del 2006), diverso e piu’ favorevole, conforme ai principi costituzionali. Tanto basta per rendere necessaria la rideterminazione in melius della pena inflitta, da parte del giudice dell’esecuzione. In siffatta ipotesi e’ evidente che il giudizio compiuto in sede di cognizione, parametrato su un dato normativo incostituzionale, non assicura la necessaria proporzione tra gravita’ del fatto e profilo soggettivo del reo, da una parte, e misura della pena, dall’altra.
Cio’ che conta, in definitiva, non e’ la congruita’ tra la pena irrogata dal giudice della cognizione e la nuova cornice edittale come successivamente modificata dal legislatore, peraltro in termini sovrapponibili a quella da considerare vigente al momento del fatto in luogo di quella caducata dalla declaratoria di incostituzionalita’, ne’ l’adeguatezza rispetto alla gravita’ del fatto, ma che in sede cognitiva la pena e’ stata determinata in applicazione di una cornice edittale non solo illegale, per essere stata eliminata retroattivamente dalla Consulta, ma anche piu’ sfavorevole all’imputato rispetto a quella reintrodotta.
5. L’ordinanza impugnata, di conseguenza, va annullata con rinvio per nuovo giudizio al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Bologna che – in applicazione dei superiori principi – dovra’ procedere alla riduzione della pena in favore del condannato a fronte del “nuovo” minimo edittale reintrodotto dalla sentenza della Corte costituzionale 32 del 2014, ferma restando la sua piena liberta’ di quantificare la pena, secondo i criteri di cui agli articoli 132 e 133 c.p..
6. A norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge vanno omesse in caso di diffusione del presente provvedimento le generalita’ e gli altri dati identificativi.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Bologna. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto disposto d’ufficio e/o imposto dalla legge.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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