Solo il proprietario del fondo dominante è legittimato ad effettuare le opere necessarie per la conservazione della servitù

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|11 aprile 2023| n. 9613.

Solo il proprietario del fondo dominante è legittimato ad effettuare le opere necessarie per la conservazione della servitù

Solo il proprietario del fondo dominante è legittimato, nel rispetto delle modalità di cui all’art. 1069 c. c., ad effettuare le opere necessarie per la conservazione della servitù; deve, quindi, escludersi che una tale facoltà possa essere esercitata da terzi (locatari, affittuari o comodatari) i quali, pur aventi un interesse alla buona conservazione della servitù, dovranno rappresentare la necessità di un tale intervento al proprietario del fondo dominante loro legato dal rapporto obbligatorio.

Ordinanza|11 aprile 2023| n. 9613. Solo il proprietario del fondo dominante è legittimato ad effettuare le opere necessarie per la conservazione della servitù

Data udienza 10 marzo 2023

Integrale

Tag/parola chiave: SERVITU’ – ESERCIZIO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

Dott. CAPONI Remo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso R.G. 30955-2018 proposto da:
(OMISSIS) S.R.L., rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.R.L., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 3222-2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 11/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/03/2023 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Solo il proprietario del fondo dominante è legittimato ad effettuare le opere necessarie per la conservazione della servitù

Osserva

1. La s.r.l. (OMISSIS) cito’ in giudizio la s.r.l. (OMISSIS) chiedendo che fosse dichiarata l’illiceita’ e l’abusivita’ delle opere effettuate dalla convenuta su un ponticello di proprieta’ dell’attrice, sul quale esercitava diritto di servitu’ di passaggio pedonale e carraio la s.a.s. (OMISSIS), dell’immobile della quale era locataria la convenuta.
2. Il Tribunale rigetto’ la domanda.
3. La Corte d’appello di Milano, in accoglimento dell’appello principale della s.r.l. (OMISSIS) e rigettato quello incidentale delle (OMISSIS), in parziale riforma della sentenza di primo grado, condanno’ (OMISSIS) a pagare alla (OMISSIS) la somma di Euro 8.800,00, oltre accessori, al fine di ripristinare lo stato dei luoghi, ai sensi dell’articolo 936 c.c., per le opere non autorizzate effettuate dal terzo.
4. (OMISSIS) s.r.l. ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di sei motivi. L’intimata resiste con controricorso.
5. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la carenza di legittimazione ad agire della controparte, mancando la prova che costei fosse proprietaria del ponticello di cui qui si discute.
5.1. Il motivo e’ infondato.
La Corte locale sulla base delle emergenze di causa (mappe e dati catastali e risultanze della c.t.u.) afferma la piena titolarita’ del ponticello in capo all’appellante (si veda, in ispecie, pag. 6).
Costituisce principio di legittimita’ consolidato quello secondo il quale nel giudizio di risarcimento dei danni derivati ad un bene immobile da un illecito comportamento del convenuto, atteso che oggetto della pretesa azionata e’, non gia’ il diretto e rigoroso accertamento della proprieta’ del fondo, bensi’ l’individuazione del titolare del bene avente diritto al risarcimento, non e’ richiesta la prova rigorosa della proprieta’ (cd. “probatio diabolica”), potendo il convincimento del giudice in ordine alla legittimazione alla pretesa risarcitoria formarsi sulla base di qualsiasi elemento documentale e presuntivo sufficiente ad escludere un’erronea destinazione del pagamento dovuto (Sez. 1, n. 18841, 26/09/2016, Rv. 641827; conf., Cass. n. 9711-2004).
Il convincimento espresso dalla Corte milanese, peraltro adeguatamente argomentato, non e’, pertanto, in questa sede criticabile.
6. Con il secondo e il terzo motivo, unitariamente esposti, la ricorrente denuncia la violazione degli articoli 163 c.p.c., 2938 e 2969 c.c..
Si assume che la Corte locale aveva reputato che l’omessa specificazione in citazione della causa petendi attorea sarebbe stata sanata con la memoria di cui all’articolo 183, comma 6, n. 1, c.p.c., con la quale avrebbe “precisato la propria intenzione di proporre azione di natura petitoria e a tutela della proprieta’ ex articolo 934 e ss. c.c.”. Al contrario di quanto affermato dalla sentenza, secondo la ricorrente, la precisazione non appariva idonea a individuare in concreto l’azione intrapresa, tra quelle astrattamente volte a tutela della proprieta’ e pertanto la domanda era rimasta indeterminata, con la conseguenza che aveva impedito alla convenuta di tempestivamente eccepire “eventuali decadenze e prescrizioni”, stante che solo nella sentenza di primo grado l’azione era stata ricondotta all’articolo 936 c.c., ed essendo decorsi ben oltre sei mesi “tra la notizia dell’esecuzione delle costruzioni e la prima formulazione della richiesta di rimozione delle stesse”.
6.1. Il complesso censuratorio e’ infondato.
Per un verso, il giudizio espresso dalla Corte locale in ordine alla determinatezza della domanda, a seguito della precisazione, non appare in questa sede censurabile, trattandosi di un apprezzamento riservato al giudice del merito. Invero, l’erronea interpretazione delle domande e delle eccezioni non e’ censurabile ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), perche’ non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, puo’ essere esaminato in sede di legittimita’ soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato e’ ancora consentito dal vigente articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (Sez. 6, n. 31546, 03/12/2019, Rv. 656493). Giudizio che non puo’ prescindere dal complessivo contenuto della prospettazione delineata dalla narrazione dei fatti salienti di causa, da apprezzarsi nel loro concreto e specifico significato.
Sotto altro profilo, non ha fondamento il prospettato “vulnus difensivo”, stante che proprio dalla sufficiente determinatezza della domanda, a seguito della precisazione, la convenuta era stata posta in grado di esperire le difese del caso.
7. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione degli articoli 115, 116 c.p.c., 936 e 1069 c.c..
Assume la ricorrente che dalle risultanze istruttorie era emerso che l’intervento si era reso necessario per il degrado del ponticello ed era consistito in riparazioni e conseguenti modifiche, non gia’ in addizioni, rese necessarie al fine di conservare la servitu’, ai sensi dell’articolo 1069 c.c..
7.1. Il motivo e’ in parte inammissibile e per altra parte infondato.
Quanto al primo profilo, deve osservarsi che la sentenza impugnata, sulla base delle emergenze di causa, ha escluso la sussistenza di uno stato di decadimento tale da giustificare l’intervento, quanto piuttosto effettuato al fine di rendere piu’ agevole la fruizione della servitu’ da parte del locatario del fondo dominante.
La doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’articolo 116, c.p.c., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. non puo’ porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299). Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite in epoca recente (sent. n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016-2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’articolo 116 c.p.c. e’ ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura e’ ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimita’ sui vizi di motivazione (Rv. 659037). E inoltre che per dedurre la violazione dell’articolo 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio), mentre e’ inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ valutativa consentita dall’articolo 116 c.p.c. (Rv. 659037).
E’ del tutto palese che attraverso la denunzia di violazione di legge il ricorrente sollecita – non determinando essa, nel giudizio di legittimita’ lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente – un improprio riesame di merito (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459).
L’evocazione, poi, dell’articolo 1069 c.c. non e’ comunque condivisibile, stante che la disposizione in parola legittima il proprietario del fondo dominante, e non altri, pur aventi un interesse al mantenimento in buono stato della servitu’, ad effettuare “le opere necessarie per conservare la servitu'”.
Sul punto appare utile enunciare, pertanto, il seguente principio di diritto: “Solo il proprietario del fondo dominante e’ legittimato, nel rispetto delle modalita’ di cui all’articolo 1069 c.c., ad effettuare le opere necessarie per la conservazione della servitu’; deve, quindi, escludersi che una tale facolta’ possa essere esercitata da terzi, quali locatari, affittuari o comodatari, pur aventi un interesse alla buona conservazione della servitu’, soggetti i quali dovranno rappresentare la necessita’ di un tale intervento al proprietario del fondo dominante, loro legato dal rapporto obbligatorio”.
8. Il quinto e il sesto motivo, con i quali, rispettivamente, la ricorrente lamenta il mancato rimborso, ai sensi dell’articolo 1069 c.c., di una parte delle somme spese, e la mancata condanna al risarcimento del danno derivante da atti emulativi (articoli 833 e 2043 c.c.), restano ovviamente assorbiti (in senso improprio) dal rigetto degli altri motivi.
vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualita’ della causa, nonche’ delle svolte attivita’, siccome in dispositivo.
10. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente (cfr. Cass. nn. 1343/2019, 18348/2017), di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ in favore della controricorrente, che liquida in Euro 4.000,00, per compensi, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;
da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

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