Consiglio di Stato, Sentenza|3 agosto 2021| n. 5719.
Soggiorno da tirocinio di studio formativo a lavoro subordinato.
Nel caso di extracomunitari che abbiano fatto ingresso in Italia con un permesso per tirocinio formativo di inserimento lavorativo previsto dalla Regione, tirocinio, poi, effettivamente svolto, sia pure con una qualità del servizio opinabile e non corrispondente agli impegni sottoscritti, senza tuttavia poi ottenere l’impiego dal datore di lavoro inizialmente previsto per fatto addebitabile allo stesso datore di lavoro e non ai tirocinanti, deve trovare applicazione, in mancanza di profili di pericolosità sociale, la ormai consolidata giurisprudenza, che in tali fattispecie ritiene necessario il rilascio di un permesso per attesa occupazione, salvo che nelle more non sia stata comunque reperita dall’interessato un’occupazione che consenta il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, a seguito di una positiva valutazione del possesso dei necessari requisiti in chiave prospettica.
Sentenza|3 agosto 2021| n. 5719. Soggiorno da tirocinio di studio formativo a lavoro subordinato
Data udienza 24 giugno 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Immigrazione – Stranieri – Permesso di soggiorno da tirocinio di studio formativo a lavoro subordinato – Conversione – Diniego – Possibile sfruttamento del lavoro di cittadini extracomunitari – Percorso formativo – Mancato raggiungimento del risultato – Responsabilità – Non sussiste
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2633 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avvocato Da. As., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Modena, corso (…);
contro
Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 giugno 2021 il Cons. Raffaello Sestini e dato atto della presenza, ai sensi di legge, degli avvocati delle parti come da verbale dell’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 – Viene in esame l’appello proposto dal Signor -OMISSIS-e da altri sei appellanti avverso la sentenza che ha respinto il loro ricorso avverso il diniego conversione del permesso di soggiorno da tirocinio di studio formativo a lavoro subordinato.
2 – In sede di sommaria delibazione il TAR aveva già respinto la domanda di sospensione del provvedimento impugnato, con ordinanza cautelare peraltro riformata da questa Sezione del Consiglio di Stato, che ha poi accolto la domanda cautelare degli odierni appellanti di sospensione della sentenza appellata, prima con decreto presidenziale inaudita altera parte e poi con ordinanza collegiale, ai fini di un riesame delle loro domande, riesame che non risulta, peraltro, essere stato finora compiuto.
3 – Ai fini della decisione di merito, considera il Collegio che i numerosi appellanti, cittadini extracomunitari cingalesi, appellano la sentenza che ha respinto il loro ricorso avverso il rigetto dell’istanza di conversione del permesso di soggiorno per tirocinio di studio formativo in permesso per lavoro subordinato;
4 – L’appellata sentenza ha respinto il ricorso in quanto, dalle indagini ispettive compiute dal Nucleo Carabinieri – Ispettorato del Lavoro, sarebbe risultata l’assenza dei presupposti legittimanti sia per il primo ingresso dei ricorrenti nel territorio italiano per motivi di studio-tirocinio formativo, sia per le successive istanze di conversione del permesso da studio a lavoro subordinato. Infatti, la società da ultimo indicata come possibile datore di lavoro, peraltro non iscritta nell’Albo tenuto dal Ministero del Lavoro delle società autorizzate ad effettuare ricerca e selezione del personale, avrebbe in realtà posto in essere, per conto della società che aveva avviato la formazione in base ad una convenzione con la Regione, una vera e propria attività abusiva di ricerca di manodopera a basso costo, da dedicare a compiti elementari e ripetitivi non necessitanti di formazione professionale, conclusasi con l’impiego in attività di bassa manovalanza degli odierni appellanti. Secondo il TAR, neppure potrebbero assumere rilievo gli accadimenti che hanno visto il reperimento di impieghi lavorativi successivamente all’emissione del provvedimento impugnato.
5 – Peraltro, considera il Collegio che i ricorrenti hanno, comunque, regolarmente fatto ingresso in Italia ai fini di un tirocinio formativo di inserimento lavorativo previsto dalla Regione, tirocinio che hanno, poi, effettivamente svolto, sia pure con una qualità del servizio opinabile e non corrispondente agli impegni sottoscritti, e non hanno poi ottenuto l’impiego dal datore di lavoro inizialmente previsto per fatto addebitabile allo stesso datore di lavoro e non ai tirocinanti, dovendo quindi trovare applicazione, in mancanza di profili di pericolosità sociale, la ormai consolidata giurisprudenza, anche di questa Sezione, che in tali fattispecie ritiene necessario il rilascio di un permesso per attesa occupazione, salvo che nelle more non sia stata comunque reperita dall’interessato un’occupazione che consenta il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, a seguito di una positiva valutazione del possesso dei necessari requisiti in chiave prospettica.
6 – Nella fattispecie in esame, che impinge in vicende non eclatanti di possibile sfruttamento del lavoro di cittadini extracomunitari nell’ambito di un previsto tirocinio formativo regionale, ed in disparte le responsabilità che potranno essere accertate al riguardo in altre sedi, gli appellanti si sono regolarmente sottoposti al previsto percorso formativo di inserimento al lavoro, e non hanno potuto ottenere il risultato sperato per fatto non riconducibile alla loro responsabilità bensì a quella del supposto datore di lavoro, e quindi ad essi non imputabile.
7 – La tutela della legittima aspettativa lavorativa maturata dai predetti soggetti, che non possono essere chiamati a rispondere delle responsabilità del supposto datore di lavoro alla stregua di un generalissimo criterio di buona fede e di tutela dell’affidamento, si salda con l’interesse generale all’impiego di risorse ormai avviate al lavoro in Italia, discendendone l’accoglimento dell’appello e, per l’effetto l’accoglimento, in riforma della sentenza appellata del TAR, del ricorso di primo grado, ai fini dell’annullamento degli atti impugnati e del tempestivo riesame delle domande presentate dai medesimi appellanti.
8 – L’amministrazione dovrà dunque procedere al conseguente rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione, ove nelle more gli interessati non abbiano reperito una occupazione che consenta il rilascio del titolo per motivi di lavoro a seguito di una valutazione prospettica dei necessari requisiti, e sempreché non emergano motivate ragioni ostative diverse da quelle considerate dai provvedimenti annullati.
9 – le spese seguono la soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado ai fini del rilascio del titolo per attesa occupazione ovvero per motivi di lavoro, ai sensi e per gli effetti e nei limiti di cui in motivazione.
Condanna l’amministrazione al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate in Euro 1.000,00 (mille), oltre ad IVA, CPA ed accessori di legge, per ciascuna delle persone appellanti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone appellanti.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 giugno 2021 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere, Estensore
Umberto Maiello – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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