Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 5 dicembre 2018, n. 6898.
La massima estrapolata:
Il silenzio-assenso sulla domanda di condono non si perfezionava per il solo fatto dell’inutile decorso del termine perentorio a far data dalla presentazione della domanda di sanatoria e del pagamento dell’oblazione, occorrendo per contro anche l’acquisizione della prova della ricorrenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi stabiliti dalle specifiche disposizioni di settore, da verificarsi all’interno del relativo procedimento, in mancanza dei quali era inammissibile la domanda di accertamento della fondatezza della pretesa formulata in sede giudiziale avente ad oggetto il contegno silente del Comune.
Sentenza 5 dicembre 2018, n. 6898
Data udienza 12 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9503 del 2015, proposto dalla società Du. Im. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. St. Ri. ed El. St. Ri., con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, viale (…);
contro
Roma Capitale, non costituita in giudizio nel presente grado;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sede di Roma, Sezione Seconda-Quater, n. 5359/2015, resa tra le parti e concernente: in via principale, domanda di accertamento dell’avvenuto perfezionamento del silenzio-assenso ex art. 6 l. reg. – Lazio n. 12/2004 in ordine alle domande di concessione in sanatoria n. 553232, n. 553276 e n. 553318 del 9 dicembre 2004; in via subordinata, domanda di accertamento dell’obbligo di provvedere e declaratoria dell’illegittimità del silenzio serbato da Roma Capitale in ordine alle predette domande di concessione edilizia e conseguente pronuncia di emanazione dei provvedimenti richiesti; risarcimento danni;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 12 luglio 2018, il consigliere Bernhard Lageder e udito, per la parte appellante, l’avvocato Pa. St. Ri.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’odierna appellante Du. Im. S.r.l., con il ricorso n. 8432 del 2014 adì va il T.a.r. per il Lazio, Sede di Roma, esponendo che:
– essa ricorrente era proprietaria di un complesso immobiliare in Roma, via (omissis), a destinazione “prevalentemente” alberghiera, originato dall’abusivo ampliamento, ristrutturazione e mutamento di destinazione d’uso di un casale agricolo: abusi, per i quali nel 1991 era stata rilasciata concessione edilizia in sanatoria all’allora proprietario signor Pa. An.;
– successivamente il medesimo complesso immobiliare era stato oggetto di ulteriori trasformazioni abusive;
– in particolare, per quanto di interesse – tenuto conto dell’oggetto del ricorso -, si trattava degli abusi consistenti: A) nella realizzazione, al piano terra dell’immobile censito al sub 520, di un ripostiglio di mq 25; B) nella realizzazione, al piano terra dell’immobile censito al sub 519, di un magazzino di mq 38,22; C) nella realizzazione, al piano terra dell’immobile censito al sub 517, di un magazzino di mq 29,60;
– in ordine a ciascuno degli abusi sub A), B) e C) sopra descritti era stata presentata, ai sensi del d.-l. n. 269/2003, domanda di condono corredata di “tutta la documentazione richiesta” e accompagnata dalla corresponsione delle somme relative a titolo di oblazione e di oneri concessori (le domande risultano protocollate sub n. 553232, n. 553276 e n. 553318 del 9 dicembre 2004);
– inoltre, il 28 gennaio 2013 tutte le domande di condono erano state oggetto di una domanda di riunificazione e integrate col deposito di una perizia giurata;
– ancorché sulle domande in questione si fosse perfezionato il silenzio-assenso, Roma Capitale – con comunicazioni tutte in data 21 marzo 2013, inoltrate ai sensi dell’art. 10-bis l. n. 241/1990 – aveva preavvisato la ricorrente del relativo diniego, non avendo le opere di cui trattasi, come richiesto dall’art. 2, comma 1, lettera b), l. reg. – Lazio n. 12/2004, destinazione residenziale: comunicazione, cui la società destinataria aveva replicato facendo pervenire le proprie osservazioni in data 20 maggio 2013.
1.1. Sulla base di tali premesse in fatto, la società esponente, con il ricorso introduttivo del giudizio, notificato alla resistente Amministrazione il 12 giugno 2014, esercitava le seguenti azioni di accertamento:
(i) in via principale, chiedeva l’accertamento dell’avvenuto perfezionamento del silenzio-assenso in ordine alle menzionate istanze di concessione in sanatoria, invocando a sostegno della domanda l’art. 6, comma 3, l. reg. n. 12/2004 – per cui la presentazione della domanda e della relativa documentazione, il pagamento degli oneri concessori e dell’oblazione, la presentazione delle denunce di cui all’art. 32, comma 37, d.-l. n. 269/2003, con le modalità e nei termini previsti dalla normativa vigente, nonché la mancata adozione di un provvedimento negativo del Comune entro il termine di trentasei mesi decorrente dalla data di scadenza del versamento della terza rata relativa agli oneri concessori prevista dall’art. 7, comma 2, lettera b), numero 2) (nel caso di specie, dal 2 maggio 2006), equivalevano a titolo abilitativo edilizio in sanatoria -, in quanto l’ivi previsto termine, maturato il 2 maggio 2009, era ormai ampiamente scaduto, pur tenendo conto delle sospensioni dovute alle integrazioni istruttorie richieste dal Comune;
(ii) in via subordinata, proponeva domanda ex art. 31, comma 1, cod. proc. amm., chiedendo al T.a.r. adì to di pronunciarsi sulla (fondatezza della) pretesa sostanziale al rilascio dei titoli concessori ai sensi del comma 3 comma dell’articolo 31, trattandosi di attività vincolata, per la quale non erano più necessarie attività istruttorie.
1.2. Nelle more del giudizio, il Comune provvedeva definitivamente in ordine ad una sola delle tre domande di condono per cui è causa; e con precisione con riguardo alla domanda relativa alla realizzazione, al piano terra dell’immobile censito al sub 519, di un magazzino di mq 38,22, escludendone la sanabilità sul rilievo la natura non residenziale dell’opera.
Avverso tale provvedimento di diniego la ricorrente proponeva ricorso per motivi aggiunti deducendone l’illegittimità, in quanto il diniego, oltre che erroneo in diritto, non era stata preceduto dall’annullamento in autotutela del provvedimento di sanatoria formatosi per silentium.
2. Con la sentenza in epigrafe, il T.a.r. adì to pronunciava definitivamente sul ricorso come sopra proposto (integrato dai motivi aggiunti), provvedendo come segue:
(i) rilevava che, anche in ipotesi aderendo all’indirizzo giurisprudenziale e dottrinale favorevole all’ammissibilità nel processo amministrativo dell’azione generale autonoma di mero accertamento, restava nondimeno indubbio in giurisprudenza che nell’ambito di una controversia, quale quella corrente, involgente la questione della sussistenza dei requisiti per conseguire la regolarizzazione, o sanatoria, del rapporto amministrativo con l’amministrazione comunale, la posizione del privato si ricollegava non a un diritto soggettivo, ma era qualificabile come posizione di interesse legittimo, con la conseguente applicazione del principio affermato da Cons. Stato, Sez. VI, n. 717/2009, per cui, in siffatta fattispecie, anche l’azione di accertamento doveva ritenersi sottoposta allo stesso termine di decadenza (di sessanta giorni) previsto per l’azione di annullamento, dichiarando di conseguenza irricevibile la domanda sub 1.1.(i), essendosi il silenzio-accoglimento già formato alla data del 2 maggio 2009, sicché la decorrenza del termine per proporre l’azione de qua avrebbe dovuto individuarsi o in tale data o, tutt’al più, nella data in cui la società ricorrente aveva ricevuto dall’amministrazione la richiesta di integrazione documentale poi evasa con la perizia giurata (ex art. 35 comma 3, l. n. 47/1985) del 20 gennaio 2013, “essendo evidente che detta richiesta sottaceva implicitamente la mancata formazione del silenzio assenso sulle istanze di condono per cui è causa” (v. così, testualmente, l’impugnata sentenza), mentre il ricorso introduttivo era stato notificato all’amministrazione resistente soltanto il 12 giugno 2014;
(ii) affermava comunque anche l’infondatezza nel merito della domanda sub 1.1.(i), in quanto:
– secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, il silenzio-assenso sulla domanda di condono non si perfezionava per il solo fatto dell’inutile decorso (nell’inerzia del comune) del termine perentorio a far data dalla presentazione della domanda di sanatoria e del pagamento dell’oblazione, occorrendo per contro anche l’acquisizione della prova della ricorrenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi stabiliti dalle specifiche disposizioni di settore, da verificarsi all’interno del relativo procedimento, in mancanza dei quali era inammissibile la domanda di accertamento della fondatezza della pretesa formulata in sede giudiziale avente ad oggetto il contegno silente del Comune;
– in altri termini, per poter accertare la fondatezza della pretesa azionata in giudizio, la ricorrente avrebbe dovuto produrre copia (corredata di attestazione di conformità all’originale) di tutti gli atti e documenti custoditi nel fascicolo costituito presso l’Ufficio condono edilizio del Comune e documentarne la loro rispondenza a quelli prescritti dalla specifica normativa legislativa e regolamentare e dalla prassi vigente, ma un tanto non era avvenuto, essendosi la parte ricorrente limitata a esibire copia delle domande di condono, dei versamenti effettuati e della perizia di cui sopra si è detto, ed essendosi la stessa, per il resto, limitata a dichiarare che tutte le domande di condono sarebbero state corredate di “tutta la documentazione richiesta”, con ciò demandando al giudice adì to il controllo della documentazione e della sua completezza, e quindi “investendolo non solo della risoluzione di una situazione d’incertezza (sull’avvenuta formazione o meno del silenzio assenso) non eliminabile senza il suo intervento ma anche di una, non consentita e ad esso non pertinente attività di indagine istruttoria” (v. così, testualmente, l’impugnata sentenza);
(iii) dichiarava inammissibile la domanda sub 1.1.(ii), riferendosi l’art. 31, comma 1, cod. proc. amm. non al silenzio-assenso, ma al silenzio-inadempimento “concettualmente incompatibile con l’esito di natura provvedimentale che sopravviene al decorso del termine a provvedere nelle ipotesi tipiche di silenzio assenso” (v. così, testualmente, l’impugnata sentenza), a prescindere dal rilievo che l’azione avverso il silenzio avrebbe comunque dovuto essere proposta entro il termine decadenziale di un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento, quindi, nel caso di specie, entro il termine di un anno e 45 giorni con decorrenza dal 2 maggio 2009 o, rispettivamente, dal 20 gennaio 2013;
(iv) respingeva il ricorso per motivi aggiunti sub 1.2. – proposto avverso il provvedimento di rigetto della domanda di condono relativa al magazzino di mq 38,22 al piano terra dell’immobile censito al sub 519 -, sulla base dei seguenti rilievi:
– priva di fondamento era la censura di illegittimità del provvedimento di diniego per il mancato previo annullamento in autotutela del silenzio-accoglimento asseritamente formatosi sulla domanda di condono, non essendo nel caso di specie configurabile la formazione dell’atto di assenso per silentium per le ragioni esposte sopra sub 2.(ii);
– infondata era altresì la censura di violazione dell’art. 2, comma 1, lettera a), l. reg. n. 12/2004 – nella parte in cui consente la sanatoria delle opere abusive che non abbiano comportato un ampliamento del manufatto superiore al venti per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, superiore a 200 metri cubi -, dovendosi escludere la natura pertinenziale del magazzino in oggetto rispetto alla struttura alberghiera;
(v) dichiarava le spese di causa interamente compensate tra le parti.
3. Avverso tale sentenza interponeva appello l’originaria ricorrente, deducendo i motivi come di seguito rubricati:
a) “Erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non si è pronunciata in ordine alla ammissibilità della spiegata domanda di accertamento dell’avvenuto perfezionamento del silenzio-assenso previsto dall’art. 6 comma 3 della legge regionale Lazio n. 12/2004 e, comunque, ha concluso per la irricevibilità della stessa in quanto tardivamente proposta”;
b) “Erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto la domanda di accertamento dell’obbligo di provvedere, proposta ai sensi dell’art. 31, c. 1, c.p.a. e conseguentemente di accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato”;
c) “Erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto la domanda proposta con motivi aggiunti volti all’annullamento del provvedimento QI/1304/2014 del 15 settembre 2014 n. prot. QI/137033/2014, nonché della relazione di controdeduzioni prot. n. 14687 del 6.2.2014. Riproposizione della domanda di annullamento per violazione di legge, ed in particolare dell’art. 20, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché della L.R. Lazio 8 novembre 2004 n. 12, nonché eccesso di potere per erronea rappresentazione dei fatti ed erronea motivazione del provvedimento”.
La società appellante chiedeva pertanto, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado, compresi i motivi aggiunti e la domanda di risarcimento “del danno subito e subendo dalla ricorrente a causa dell’inosservanza del termine di conclusione del procedimento”.
4. Sebbene ritualmente evocata in giudizio, l’Amministrazione appellata ometteva di costituirsi nel presente giudizio di gravame.
5. All’udienza pubblica del 12 luglio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
6. L’appello è fondato parzialmente, entro i limiti di seguito esposti.
6.1. Destituito di fondamento è il primo motivo d’appello, di cui sopra sub 3.a).
Premesso che, in applicazione del c.d. principio della ragione più liquida (corollario del principio di economia processuale) che consente di derogare all’ordine logico di esame delle questioni, si ritiene opportuno di soprassedere all’esame della questione di irricevibilità, quale affrontata e decisa in primo grado e devoluta in appello, e di risolvere la lite nel merito, si osserva che deve essere confermata la statuizione sub 2.(ii), con la quale è stata dichiarata infondata la domanda principale sub 1.1.(i), vò lta all’accertamento della formazione del silenzio-assenso sulle domande di concessione in sanatoria n. 553232, n. 553276 e n. 553318 del 9 dicembre 2004, ai sensi dell’art. 6, comma 3, l. reg. – Lazio n. 12/2004.
Infatti, il giudice di prime cure si è attenuto al costante orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, Sez. IV, 11 ottobre 2017, n. 4703; Cons. Stato, Sez. IV, 26 aprile 2018, n. 2517) secondo cui, per la formazione del silenzio-assenso sull’istanza di condono edilizio, è necessario che ricorrano i requisiti sia dell’avvenuto pagamento dell’oblazione dovuta e degli oneri di concessione, che dell’avvenuto deposito di tutta la documentazione prevista per l’istanza di condono, affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica da parte dell’amministrazione comunale. Pertanto, l’assenza di completezza della domanda di sanatoria osta alla formazione tacita del titolo abilitativo, potendosi esso formare per effetto del silenzio-assenso soltanto se la domanda di sanatoria presentata possegga i requisiti soggettivi e oggettivi per essere accolta, rappresentando, il mero decorso del tempo, soltanto un elemento costitutivo, tra gli altri, della fattispecie autorizzativa.
Ebbene, nel caso di specie, la stessa circostanza che l’odierna appellante solo il 28 gennaio 2013 (in evasione della richiesta d’integrazione documentale dell’Amministrazione) aveva presentato, in sede procedimentale, perizia giurata ai sensi dell’art. 35, comma 3, l. n. 47/1985 – dichiaratamente vò lta a consentire una “migliore e regolare analisi” delle domande di condono edilizio presentate per il complesso immobiliare in questione e “una corretta istruttoria propedeutica al rilascio delle relative concessioni” (v. così, testualmente, l’incipit della dichiarazione di presentazione della documentazione aggiuntiva del 20 gennaio 2013, presentata il 28 gennaio 2013 dal tecnico incaricato) -, nonché la contestuale richiesta di valutazione congiunta delle domande di condono in oggetto, implica che solo da tale momento l’Amministrazione era stata posta in grado di verificare compiutamente la sussistenza, o meno, dell’integrazione dei requisiti soggettivi e oggettivi del condono edilizio in capo all’istante.
Ne consegue che, alla luce di una lettura sistematica dell’art. 6, comma 3, l. reg. n. 12/2004 in relazione agli artt. 35, comma 2, l. n. 47/1985 e 32, comma 35, d.-l. n. 269/2003, prima di tale data non era configurabile la formazione del silenzio-assenso sulle domande di condono (per l’impossibilità dell’Amministrazione di decidere sulla relativa fondatezza a cagione della lacunosità delle domande imputabile alla stessa parte istante), sicché, alla data di proposizione del ricorso di primo grado, non poteva ritenersi maturato il termine di trentasei mesi, decorrente dal 28 gennaio 2013, per la formazione del silenzio-assenso, con conseguente infondatezza nel merito della correlativa domanda di accertamento, correttamente disattesa dal T.a.r..
6.2. Privo di pregio è, altresì, il motivo d’appello sub 3.b), essendo al riguardo sufficiente rilevare l’inesperibilità del rimedio dell’azione ex art. 31 cod. proc. amm. nelle ipotesi tipizzate di silenzio-assenso, in quanto tale rimedio si riferisce alla diversa fattispecie del silenzio-inadempimento, con conseguente corretta adozione della statuizione d’inammissibilità, di cui sopra sub 2.(iii).
6.3. Merita, invece, accoglimento il terzo motivo d’appello, dedotto avverso la statuizione sub 2.(iv), reiettiva del ricorso per motivi aggiunti proposto avverso il provvedimento di diniego del condono relativo al magazzino di mq 38,22 al piano terra dell’immobile censito al sub 519.
Premesso che la motivazione del gravato provvedimento di diniego del 15 settembre 2014 è incentrata sul rilievo che si tratterebbe di nuova costruzione ad uso non residenziale, con conseguente esclusione dall’ambito oggettivo del d.-l. n. 269/2003 e della l. reg. n. 12/2004, si osserva che, ad un attento esame della documentazione versata in giudizio, tale motivazione incorre nei vizi di illegittimità per violazione della l. reg. n. 12/2014 e di eccesso di potere per erronea rappresentazione dei fatti ed erronea motivazione, dedotti nell’ambito del secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti proposto in primo grado (mentre correttamente è stato disatteso il primo motivo aggiunto, con cui era stata censurata la mancata previa adozione di un atto di annullamento d’ufficio del silenzio-assenso, dovendosi per le considerazioni svolte sopra sub 6.1. escludere l’integrazione di tale fattispecie di silenzio significativo).
Gli artt. 32, comma 25, d.-l. n. 269/2003, rispettivamente 2, comma 1, lettera b), l. reg. n. 12/2004 escludono il rilascio del condono limitatamente ai manufatti abusivi non residenziali che siano in toto di nuova costruzione. Per contro, gli ampliamenti di costruzioni esistenti, senza alcuna distinzione circa la loro destinazione d’uso, sono suscettibili di condono.
Infatti, l’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 4/2009 ha chiarito che:
– il legislatore del 2003, nel reiterare la normativa sul condono, ha inteso ridurne l’ambito di operatività, oltre che per preservare varie tipologie di vincoli posti a tutela del territorio, anche con riferimento alla destinazione del manufatto, nell’obiettivo di bilanciare l’interesse al recupero della legalità violata con le imponenti ragioni di finanza pubblica emergenti;
– le tipologie di ‘abusi minorà come definite dall’art. 32, comma 25, d.-l. n. 269/2003 non contemplano evidentemente, tra le fattispecie di abuso sanabili, le nuove costruzioni con destinazione non residenziale;
– nella stessa formulazione della norma è insito, per le nuove costruzioni abusive, il limite della destinazione residenziale, laddove, a un semplice raffronto con l’analoga disposizione di cui all’art. 39 l. n. 724/1994, balza evidente il requisito ulteriore e differente della residenzialità prescritto per le nuove costruzioni dalla norma del 2003 a differenza di quanto previsto nel 1994;
– ne discende che la condonabilità delle opere con destinazione non residenziale deve intendersi limitata dalla normativa alle sole ipotesi di opere realizzate “in ampliamento”, entro i limiti di cubatura ivi prescritti, proprio in quanto per tale ipotesi non v’è alcun discrimine con riferimento alla destinazione residenziale o non, a differenza di quanto avviene per le “nuove costruzioni”.
In linea di fatto, si osserva che, alla luce della documentazione acquisita al giudizio (v., in particolare, la perizia giurata e i relativi allegati prodotti in data 28 gennaio 2013 in sede procedimentale), il locale-magazzino realizzato al piano terra dell’immobile censito al sub 519, con una superficie di appena 38,22 mq, costituisce all’evidenza una costruzione pertinenziale a servizio del complesso immobiliare alberghiero avente una superficie complessiva di 2.106,10 mq e una cubatura di 9.069,03 mc, essendo privo di ogni autonomia funzione e utilizzabilità e di un autonomo valore di mercato, né apparendo ipotizzabile la sua vendita o concessione in godimento a terzi, trattandosi per contro di costruzione di superficie e volume di ridotte dimensioni, funzionalmente e strutturalmente destinata a servizio dell’edificio principale, con la precisazione che, a tal fine, non occorre la realizzazione del manufatto in aderenza all’edificio principale, essendo sufficiente la sua ubicazione nella stessa area di pertinenza (v., in tal senso, anche la circolare della Regione Lazio del 1° dicembre 2004, invocata dall’odierna appellante a suffragio della censura in esame).
La statuizione reiettiva del T.a.r. si basa, invece, sui dati meramente formali dell’accatastamento separato, della presentazione di separata domanda di condono e delle vicende contrattuali, nonché sulle circostanze, di per sé irrilevanti, della mancata costruzione in aderenza e della ubicazione all’esterno della sagoma dell’edificio principale, mentre resta trascurato il dato sostanziale dell’effettiva consistenza, funzionale e strutturale dell’opera in rapporto al complesso immobiliare, di cui costituisce intrinseco elemento pertinenziale. Né, nell’impugnata sentenza, si è tenuto conto della richiesta di unificazione istruttoria delle pratiche di condono edilizio, presentata il 28 gennaio 2013, costituente ulteriore indice della sostanziale unitarietà del relativo oggetto in rapporto al complesso immobiliare a destinazione alberghiera di proprietà dell’odierna appellante.
Ne consegue che, dovendosi il locale-magazzino in questione qualificare alla stregua di opera in ampliamento del complesso immobiliare di cui è parte (e non già di nuova costruzione), il manufatto in questione è condonabile entro i limiti volumetrici previsti dall’art. 2, comma 1, lettera a), l. reg. n. 132/2014, sicché, in riforma in parte qua dell’impugnata sentenza, s’impone l’annullamento del provvedimento di diniego di condono impugnato con i motivi aggiunti per i dedotti vizi di eccesso di potere per erronea rappresentazione dei fatti ed erronea motivazione e di conseguente violazione dell’art. 2, comma 1, lettera a), l. reg. n. 12/2014.
6.4. Infondata è la domanda di risarcimento dei danni asseritamente subiti dal mancato rispetto dei termini del procedimento, in quanto, per le ragioni esposte sopra sub 6.1. e 6.2., al momento della proposizione del ricorso giudiziale non era ancora maturato il termine per la formazione del silenzio-assenso per effetto della integrazione documentale delle domande di condono e della presentazione della richiesta di unificazione delle varie pratiche di condono, avvenute solamente in data 28 gennaio 2013, con conseguente imputabilità delle lungaggini del procedimento di sanatoria al comportamento della stessa società ricorrente, onerata di produrre tempestivamente la documentazione integrale che avesse permesso all’Amministrazione di valutare la sussistenza dei relativi requisiti soggettivi e oggettivi.
7. Tenuto conto della soccombenza reciproca, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del doppio grado di giudizio interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (ricorso n. 9503 del 2015), lo accoglie parzialmente, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, annulla il provvedimento di diniego del 15 settembre 2014; respinge l’appello nel resto; dichiara le spese del doppio grado di giudizio interamente compensate tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 12 luglio 2018, con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere, Estensore
Francesco Mele – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Italo Volpe – Consigliere
Leave a Reply