Si ha convivenza more uxorio, rilevante anche ai fini della risarcibilita’ del danno subito da un convivente in caso di perdita della vita dell’altro

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La prova presuntiva (o indiziaria) esige che il giudice prenda in esame tutti i fatti noti emersi nel corso dell’istruzione, valutandoli nel loro insieme e gli uni per mezzo degli altri. E’, pertanto, erroneo l’operato del giudice di merito il quale, al cospetto di plurimi indizi, li prenda in esame e li valuti singolarmente, per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi assurga, autonomamente, a dignita’ di prova (v. Cass. n. 7303 del 2012; v. anche Cass. n. 26022 del 2011, recentemente richiamata da Cass. n. 12022 del 2017; v. anche Cass. n. 5374 del 2017).

L’errore in cui cade il giudice di appello nel caso in esame consiste proprio nella valutazione frazionata dell’insieme degli indizi pur raccolti e sottoposti al suo esame. La prova presuntiva, difatti, nella sua innegabile delicatezza, postula, quale prius operazionale del procedimento logico che la assiste, un’analisi dei singoli fatti sottoposti all’esame del giudice di tipo “composito”, di tipo, cioe’, sinergico/valutativo, e non una scomposizione disgregata di tipo meramente addizionale e atomistica dei fatti medesimi.

Se infatti il singolo elemento, atomisticamente considerato, puo’ non essere idoneo e sufficiente a costituire piena prova di un fatto ignoto (nel nostro caso, l’esistenza di una vera e propria convivenza tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS)), la concorrenza e concordanza degli indizi puo’ far si’ che essi si saldino l’uno con l’altro per formare il quadro complessivo dal quale emerge come provato nella sua esistenza, il fatto ignoto.

La corte d’appello ha invece adottato l’opposto procedimento logico valutativo del frazionamento o della parcellizzazione: essa ha prima “scomposto” il coacervo indiziario in svariati momenti distinti, per poi inferirne che nessuno di questi segmenti, valutati inter se distantibus, assurgesse a necessaria dignita’ probatoria sotto il profilo della certezza, gravita, concordanza. E’ il criterio stesso della concordanza che impone la valutazione complessiva del materiale probatorio, allo scopo di ricostruire se i vari frammenti probatori fossero atti a ricostruire, se collegati, un’unica immagine.

4. La nozione giuridicamente rilevante della convivenza di fatto e il rilievo recessivo della coabitazione.

Il secondo errore, in diritto nel quale e’ incorsa la corte d’appello, ricade sulla nozione di convivenza di fatto giuridicamente rilevante e meritevole di tutela anche sotto il profilo risarcitorio.

La corte d’appello, nel rigettare la domanda risarcitoria, pur formalmente richiamando la giurisprudenza di questa Corte che ha elaborato la nozione di convivenza di fatto, l’ha di fatto svuotata dall’interno, escludendo che vi fosse un supporto probatorio idoneo ad attestare le caratteristiche di continuita’ e stabilita’ della convivenza richieste dalla giurisprudenza di legittimita’ a fronte del fatto, cui attribuisce rilevanza dirimente, che la residenza del de cuius fosse rimasta fino al momento della morte in Legnano, ovvero in luogo diverso da quello di residenza della (OMISSIS).

E’ noto che si riconosce al convivente di fatto il diritto, in caso di perdita del convivente, ad una uguale tutela rispetto al soggetto coniugato in caso di perdita del coniuge, e tuttavia che, per non estendere indefinitamente le maglie delle situazioni risarcibili fino a ricomprendervi legami labili e non sufficientemente stabilizzati e meritevoli di tutela, questa Suprema Corte ha negli anni elaborato una nozione di famiglia di fatto, o di convivenza tutelabile, all’interno della quale all’elemento soggettivo della relazione affettiva stabile si accompagni l’elemento oggettivo della reciproca, spontanea assunzione di diritti ed obblighi.

Come questa Corte ha avuto gia’ modo di affermare, infatti, “Il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito concretatosi in un evento mortale va riconosciuto – con riguardo sia al danno morale, sia a quello patrimoniale, che presuppone, peraltro, la prova di uno stabile contributo economico apportato, in vita, dal defunto al danneggiato – anche al convivente “more uxorio” del defunto stesso, quando risulti dimostrata tale relazione caratterizzata da tendenziale stabilita’ e da mutua assistenza morale e materiale; a tal fine non sono sufficienti ne’ le dichiarazioni rese dagli interessati per la formazione di un atto di notorieta’, ne’ le indicazioni dai medesimi fornite alla P.A. per fini anagrafici” (Cass. n. 23725 del 2008). In altri casi si e’ affermato che “Il risarcimento del danno da uccisione di un prossimo congiunto spetta non soltanto ai membri della famiglia legittima della vittima, ma anche a quelli della famiglia naturale, come il convivente “more uxorio” ed il figlio naturale non riconosciuto, a condizione che gli interessati dimostrino la sussistenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra essi e la vittima assimilabile al rapporto coniugale”. (Cass. n. 12278 del 2011).

Deve sottolinearsi che, nell’illustrazione degli elementi identificativi della convivenza di fatto, all’interno della giurisprudenza della Corte, se la coabitazione e’ stata finora indicata come un indice rilevante e ricorrente dell’esistenza di una famiglia di fatto, individuando l’esistenza di una casa comune all’interno della quale si svolge il programma di vita comune, non e’ stato peraltro ritenuto un elemento imprescindibile, la cui mancanza, di per se’, fosse determinante al fine di escludere la configurabilita’ della convivenza.

Giova richiamare, in particolare, il principio di diritto affermato da Cass. n. 7128 del 2013, in base al quale integra di per se’ un danno risarcibile ex articolo 2059 c.c., giacche’ lede un interesse della persona costituzionalmente rilevante, ai sensi dell’articolo 2 Cost. – il pregiudizio recato al rapporto di convivenza, da intendere quale stabile legame tra due persone connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti, anche quando non sia contraddistinto da coabitazione.

Deve aggiungersi che e’ anche necessario prendere atto del mutato assetto della societa’, collegato alle conseguenze di una prolungata crisi economica ma non originato soltanto da queste, dal quale emerge che ai fini della configurabilita’ di una convivenza di fatto, il fattore coabitazione e’ destinato ad assumere ormai un rilievo recessivo rispetto al passato. Non puo’ non considerarsi infatti che: -la scelta del luogo di abitazione talvolta non puo’ essere conforme alle preferenze delle persone o alle loro scelte affettive ma puo’ essere necessitata dalle circostanze economiche; – la impossibilita’ dello Stato di mantenere tutte le provvidenze dello stato sociale porta talora gli individui a doversi attivare in supplenza del supporto assistenziale mancante, e a sostenere degli spostamenti o a scegliere il luogo di abitazione per accudire le persone del proprio nucleo familiare che ne abbiano bisogno, o comunque privilegiando le necessita’ di accudimento piuttosto che le esigenze della vita affettiva; – il mercato del lavoro non garantisce una regolare coincidenza del luogo di svolgimento del rapporto lavorativo con il luogo di abitazione familiare; la ricerca della miglior collocazione lavorativa porta a prescindere dalla provenienza geografica e a spostarsi con maggiore facilita’ in un luogo diverso da quello di provenienza o anche da quello ove si ha il proprio centro affettivo, per migliori prospettive di carriera o per realizzare un progetto che nella propria citta’ o nel proprio paese sarebbe impossibile realizzare. A cio’ si aggiunga, come ulteriore componente di cambiamento del modo di vivere e di concepire sia i rapporti sociali in generale che le relazioni interpersonali, la maggiore facilita’ ed economicita’ sia dei contatti telefonici e a video che dei trasporti.

Tutti questi fattori di un cambiamento sociale che e’ ormai verificato nella societa’ comportano che si instaurino e si mantengano rapporti affettivi stabili a distanza con frequenza molto maggiore che in passato (non solo nella famiglie di fatto ma, ugualmente, anche all’interno delle famiglie fondate sul matrimonio) e devono indurre a ripensare al concetto stesso di convivenza, la cui essenza non puo’ appiattirsi sulla coabitazione.

Sono tutte situazioni in cui puo’ esistere una famiglia di fatto o una stabile convivenza, intesa come comunanza di vita e di affetti, in un luogo diverso rispetto a quello in cui uno dei due conviventi lavori o debba, per suoi impegni di cura e assistenza, o per suoi interessi personali o patrimoniali, trascorrere gran parte della settimana o del mese, senza che per questo venga meno la famiglia.

Esistono anche realta’ in cui le famiglie, siano esse di fatto o fondate sul matrimonio, si formano senza avere neppure, per un periodo di tempo piu’ o meno lungo, una casa comune, intesa come casa dove si svolge la vita della famiglia, in quanto ognuno dei due partners e’ tenuto per i propri impegni professionali o per particolari esigenze personali, a vivere o a trascorrere la gran parte della settimana o del mese in un luogo diverso dall’altro.

Alla luce di tutti questi elementi non ha piu’ alcun senso appiattire la nozione di convivenza sulla esistenza di una coabitazione costante tra i partners, lasciando fuori dai margini della tutela ogni altra relazione, che pur sia stabile sia affettivamente sia sotto il profilo della reciproca assunzione di un impegno di assistenza e di collaborazione all’adempimento degli obblighi economici, ma sia dotata di un assetto organizzativo della vita familiare diverso da quello tradizionale.

Negare tutela a tutte queste molteplici situazioni vorrebbe dire perdere il contatto tra la necessita’, esistente ed insopprimibile, di delimitare la sfera della risarcibilita’ alle situazioni giuridicamente meritevoli di tutela, e la necessita’, di non inferiore dignita’, di tutelare tutte le situazioni meritevoli di tutela senza trascurarne alcuna.

Il dato della coabitazione, all’interno dell’elemento oggettivo della convivenza e’ quindi attualmente un dato recessivo. Esso deve essere inteso come semplice indizio o elemento presuntivo della esistenza di una convivenza di fatto, da considerare unitariamente agli altri elementi allegati e provati e non come elemento essenziale di essa, la cui eventuale mancanza, di per se’, possa legittimamente portare ad escludere l’esistenza di una convivenza.

La nozione di convivenza di fatto, intesa come un rapporto di fatto che si caratterizzi, oltre che per l’esistenza di una relazione affettiva consolidata, per la spontanea assunzione di diritti ed obblighi, tali da darle una stabilita’ assimilabile a quella coniugale, peraltro trova ora il suo supporto normativo nella L. n. 76 del 2016, che all’articolo 1, definisce i conviventi di fatto come “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinita’ o adozione, da matrimonio o da un’unione civile, individuando sempre l’elemento spirituale, il legame affettivo, e quello materiale o di stabilita’, la reciproca assistenza morale e materiale, fondata in questo caso non sul vincolo coniugale e sugli obblighi giuridici che ne scaturiscono, ma sull’assunzione volontaria di un impegno reciproco.

Colpisce che questa realta’ non sia stata colta affatto nella sentenza impugnata, che esclude da ogni forma di tutela la (OMISSIS) negandone la qualita’ di convivente di fatto, dopo aver passato in rassegna una sequela di indici pur esistenti, per il solo fatto, ritenuto dirimente, che il S. avesse lasciato la propria residenza anagrafica nel Comune dove vivevano il figlio e il nipote.

Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere pertanto cassata e la causa rinviata per un nuovo esame alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione che decidera’ anche sulle spese del presente giudizio e si atterra’ ai seguenti principi di diritto:

– si ha convivenza more uxorio, rilevante anche ai fini della risarcibilita’ del danno subito da un convivente in caso di perdita della vita dell’altro, qualora due persone siano legate da un legame affettivo stabile e duraturo, in virtu’ del quale abbiano spontaneamente e volontariamente assunto reciproci impegni di assistenza morale e materiale:

– ai fini dell’accertamento della configurabilita’ della convivenza more uxorio, i requisiti della gravita’, della precisione e della concordanza degli elementi presuntivi, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi (quali, a titolo meramente esemplificativo, un progetto di vita comune, l’esistenza di un conto corrente comune, la compartecipazione di ciascuno dei conviventi alle spese familiari, la prestazione di reciproca assistenza, la coabitazione), i quali devono essere valutati non atomisticamente ma nel loro insieme e l’uno per mezzo degli altri.

Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimita’ la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

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