Separazione dei coniugi ove uno di essi sia affetto da una patologia psichiatrica

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 10711

Separazione dei coniugi ove uno di essi sia affetto da una patologia psichiatrica

In tema di separazione dei coniugi, ove uno di essi sia affetto da una patologia psichiatrica che non comporti un’effettiva incapacità di intendere e volere, il giudice, ai fini della pronunzia di addebito, non è esonerato dalla verifica e valutazione dei comportamenti coniugali allo scopo di accertare l’eventuale violazione dei doveri di cui all’art. 143 c.c. e la loro efficacia causale nella crisi coniugale.

Ordinanza|| n. 10711. Separazione dei coniugi ove uno di essi sia affetto da una patologia psichiatrica

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Tag/parola chiave: Separazione e divorzio – Artt. 156 cc e 3 e 4 l. n. 898/1970 – Disturbi psicologici – Valida ragione per considerare intollerabile la convivenza – Giudice – Accertamento che la “fuga” non sia un modo per venire meno al dovere di solidarietà assunto con il matrimonio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere

Dott. RUSSO Rita Elvira Anna – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28832-2021 R.G. proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS)) rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS) ( (OMISSIS)), (OMISSIS) ( (OMISSIS));

– ricorrente –

contro

(OMISSIS);

– intimata –

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 1197-2021 depositata il 15/04/2021.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/03/2023 dal Consigliere GIULIA IOFRIDA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 1197-2021, pubblicata il 15/4/21, in giudizio promosso nel 2014 da (OMISSIS), cittadino danese, nei confronti di (OMISSIS), cittadina dell’Azerbaijan, per sentire pronunciare la separazione giudiziale dei coniugi, unitisi in matrimonio nel 2002 in Azerbaijan (dalla quale unione erano nate, nel (OMISSIS) e nel (OMISSIS), due figlie) e stabilitisi in Italia dal 2010, ha confermato la sentenza del 2019 del Tribunale di Como, con la quale, a seguito di sentenza parziale di separazione del 2018, preso atto della pendenza concomitante del procedimento di divorzio, instaurato nel 2018, e’ stata respinta la domanda di addebito formulata dal marito, sulla base delle risultanze di una consulenza tecnica d’ufficio, che aveva evidenziato una grave patologa della moglie, gia’ insorta nel 2005, con una severa depressione, poi sfociata in disturbo bipolare e presentazione di equilibri psicologici molto instabili, contraddistinti da continui alti e bassi, agitazione motoria ed alterazione del pensiero, ritenendosi riconducibili a alla patologia psichiatrica riscontrata le persistenti condotte disfunzionali dalla stessa agite ed escludendosi che tale patologia, in quanto esistente dal 2005 potesse rappresentare la causa della frattura del matrimonio avvenuta nel 2014, nonche’ e’ stato fissato un assegno di mantenimento della moglie, a carico del marito, di Euro 1.000,00 mensili.

I giudici di appello, in particolare, hanno respinto tutti i motivi di gravame dell’ (OMISSIS), rilevando: a) quanto alla questione dell’addebito, non si poteva attribuire alla patologia psichiatrica della moglie, da tempo insorta ed accettata dal marito la ragione del venir meno dell’affectio coniugalis, che, gia’ alla data del deposito del ricorso per separazione, nel novembre 2014, avevano avviato nuove relazioni sentimentali, consolidatesi, quanto all’ (OMISSIS), con la nascita del terzo figlio, dalla relazione con una nuova compagna, e peraltro tale patologia rendeva la moglie neppure in grado di comprendere a pieno l’inadeguatezza dei propri comportamenti nei confronti del marito e delle figlie, il che avrebbe dovuto essere compreso dal marito alla luce dei doveri di solidarieta’ umana che contraddistinguono il fondamento dell’unione matrimoniale, tra i quali va inclusa, con carattere di priorita’, la tutela della condizione di malattia del coniuge; b) era poi corretta la previsione di un contributo al mantenimento della moglie, di Euro 1.000,00 mensili, in considerazione dell’evidente disparita’ reddituale esistente tra le parti (l’ (OMISSIS), ingegnere specializzato in petrolchimico, si occupa di progettazione di impianti petroliferi, ha reperito dal 2018 una nuova attivita’ in Malesia, ove si e’ trasferito con le figlie, gode di un salario annuo di UDS 215.000,00, oltre il 30% di incentivi sullo stipendio, di una serie di benefit mensili sui costi dell’affitto dell’abitazione) e dell’assenza in capo alla moglie (la quale, in assenza di una stabile attivita’ lavorativa in ragione della grave patologia psichiatrica di cui era afflitta, era stata costretta a trasferirsi in Azerbaijan, non potendo permettersi il pagamento di un affitto in Italia, andando a vivere nel monolocale di sua proprieta’ in (OMISSIS), con conseguente perdita anche degli introiti derivanti dalla relativa messa a reddito) di mezzi sufficienti a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, comunque assestato su livelli medio alti; c) alcun contributo al mantenimento delle figlie poteva essere posto a carico della madre, in condizioni precarie condizioni economiche; d) la decorrenza dell’assegno di mantenimento fissato in Euro 1.000,00 doveva ritenersi dal momento della pubblicazione della decisione di primo grado, mentre doveva confermarsi il maggiore importo di Euro 2.000,00 mensili, per i periodi pregressi, considerato che la situazione reddituale dell’ (OMISSIS), per gli anni di imposta dal 2015 al 2020, era stato sempre di un certo rilievo ed anzi negli ultimi anni significativamente migliorata; e) non ricorrevano i presupposti per la revoca del sequestro conservativo, disposto nel corso del giudizio di primo grado, sull’immobile in (OMISSIS) di sua proprieta’, ai sensi dell’articolo 156, comma 6 c.c., persistendo il pericolo, in ragione del perdurante inadempimento della parte obbligata ad adempiere all’obbligo di versamento dell’assegno di mantenimento.

Avverso la suddetta pronuncia, (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, notificato il 12/11/2021, affidato a dodici motivi, nei confronti di (OMISSIS) (che non svolge difese). Il ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, degli articoli 143, 151, comma 2, 2727 e 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c., in relazione al mancato addebito della separazione alla moglie; b) con il secondo motivo, la violazione, es articolo 360 c.p.c., n. 3, degli articoli 147 e 151, comma 2, c.c., 115 e 116 c.p.c., in relazione alla mancata considerazione del grave pregiudizio per l’educazione dei figli, avendo la (OMISSIS) “maltrattato e violentato le figlie”, presupposto sufficiente per la pronuncia di addebito; c) con il terzo motivo, la violazione, ex rt.360 n. 3 c.p.c., degli articoli 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte d’appello travisato la prova della capacita’ di intendere e di volere della moglie, risultante dai certificati medici in atti, con conseguente piena imputabilita’ alla stessa dei comportamenti contrari ai doveri coniugali che hanno reso intollerabile la convivenza; d) con il quarto motivo, la violazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, della l. 898 del 1970, articoli 156 cc. e 3 e 4, per avere la Corte d’appello, nel ritenere corretta la corresponsione di un contributo al mantenimento della moglie, tenendo in considerazione i redditi percepiti dall’ (OMISSIS) nell’attualita’ (2020-2021), esorbitato dai propri poteri, quale giudice della separazione personale, essendo la potestas iudicandi limitata alle statuizioni economiche da adottare fino al momento della comparizione dei coniugi davanti al giudice del divorzio e quindi fino al 21/2/2019, data di pronuncia dei provvedimenti provvisori presidenziali in sede di divorzio; e) con il quinto motivo, la violazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, degli articoli 2697, 2727 e 2729 c.c. e 115 -116 c.p.c., in punto di affermata indigenza economica della (OMISSIS), mai dimostrata; f) con il sesto motivo, la violazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, della Cost., articoli 29 e 116 c.p.c., per mancata valutazione dell’omessa disclosure della situazione reddituale da parte della (OMISSIS), la quale aveva ignorato i molteplici ordini giudiziali di prodizione di documentazione reddituale; g) con il settimo motivo, la violazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, degli articoli 2697, 2727 e 2729 c.c. e 115-116 c.p.c., in punto di travisamento della prova secondo cui la moglie non potrebbe lavorare a causa della patologia psichiatrica che l’affligge; h) con l’ottavo motivo, la violazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, degli articoli 115 e 116 c.p.c., per non avere la Corte d’appello compreso che gli appartamenti di proprieta’ della (OMISSIS) in (OMISSIS) sono due, di cui uno sarebbe sicuramente affittato; i) con il nono motivo, la violazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, della Cost., articoli 30, 147, 148, 316 bis, 337 ter c.c. e 3 e 4 l.898/1970, in punto di esonero della madre anche da una minima contribuzione per il mantenimento delle figlie, in quanto il mantenimento dei figli costituisce dovere inderogabile di entrambi i genitori; l) con il decimo motivo, l’apparente e contraddittoria motivazione in punto di decorrenza dell’assegno di mantenimento dal 2016 o quantomeno dal febbraio 2018, in quanto i presupposti per la riduzione sussistevano gia’ da prima dell’epoca di pubblicazione della decisione di primo grado; m) con l’undicesimo motivo, la violazione dell’articolo 709 ter c.p.c., comma 4, per travisamento della prova costituita dalle dichiarazioni dei redditi 2016-2017-2018, sussistendo i presupposti per la riduzione dell’assegno di mantenimento gia’ dal 2017-2018; n) con il dodicesimo motivo, la violazione dell’articolo 156 comma 6 c.c., in punto di mancata revoca del sequestro conservativo sull’immobile di proprieta’ del ricorrente, non essendoci piu’ pagamenti da garantire.

2. Il ricorrente, con nota del 30/11/2021, ha dato atto dell’avvenuta notifica, in data 12/11/2921, di un ricorso “per revocazione” della sentenza della Corte d’appello di Milano, qui impugnata, con ricorso per cassazione e si sono prodotte le sole relate di notifica. Ora solo la avvenuta revocazione della sentenza di appello determina l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione per difetto di interesse (Cass. 9201/2021), che allo stato, quindi, sussiste, avendo in memoria il ricorrente insistito per la cassazione della sentenza di appello.

3. Le prime tre censure, da trattare unitariamente in quanto connesse, essendo tutte relative al rigetto della domanda di addebito della separazione, sono fondate.

3.1. L’ (OMISSIS) – come si desume dalla stessa impugnata sentenza (pag. 3) – con il primo motivo di appello avverso la decisione di primo grado, aveva dedotto che la moglie – come dimostrato dalle diverse certificazioni mediche in atti “dei terapeuti Dott. (OMISSIS) e (OMISSIS)”, e dalle “valutazioni psicologiche effettuate nelle espletate c.t.u.” – era affetta da un disturbo bipolare che non aveva condizionato la sua capacita’ di intendere e di volere e che, per questo, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, tale disturbo non le impediva di rendersi conto della gravita’ dei suoi comportamenti nei confronti del marito e dei figli, che avevano reso intollerabile la prosecuzione della convivenza coniugale. Le continue scenate e scatti di collera, gli allontanamenti dalla residenza coniugale, la mancanza di collaborazione e di assistenza familiare, la denuncia per il gravissimo episodio di abuso sessuale nei confronti delle figlie, avevano – ad avviso dell’appellante – evidenziato come la separazione fosse causalmente riconducibile alle condotte poste in essere dalla (OMISSIS) in violazione dei doveri coniugali.

A fronte di tale censura, la Corte d’appello ha ritenuto di escludere l’addebito alla moglie della separazione personale a fronte, essenzialmente, della non imputabilita’ al coniuge dei comportamenti contrari ai doveri coniugali contestati alla stessa, rilevando che, dalla documentazione anche medica in atti, emergeva sia che la patologia psichiatrica della moglie, da tempo insorta ed accettata dal marito, non aveva costituito la ragione del venir meno dell’affectio coniugalis, atteso che, gia’ alla data del deposito del ricorso per separazione, nel novembre 2014, i coniugi avevano avviato nuove relazioni sentimentali, consolidatesi, quanto all’ (OMISSIS), con la nascita del terzo figlio, dalla relazione con una nuova compagna, sia che tale patologia rendeva la moglie neppure in grado “di comprendere a pieno” l’inadeguatezza dei propri comportamenti nei confronti del marito e delle figlie.

Piu’ precisamente, la decisione della Corte d’appello si fonda: a) sul rilievo che la patologia, da cui la (OMISSIS) era affetta fin dal 2005, non aveva impedito ai coniugi di continuare a vivere insieme fino al 2014 (anno della separazione), pur nella piena consapevolezza, da parte dell’ (OMISSIS), della condizione di fragilita’ psichica della moglie, che aveva – nella sostanza – accettato, modificando il proprio assetto di vita e l’organizzazione lavorativa e familiare; b) sulla considerazione che la patologia da cui era affetta la (OMISSIS) la aveva resa “fragile, instabile, e soprattutto scarsamente in grado di comprendere a pieno l’inadeguatezza dei propri comportamenti” (come si desumerebbe dalla relazione del 2 luglio 2018, a firma della Dott.ssa (OMISSIS)) nei confronti delle figlie e del marito, il quale – anziche’ stigmatizzare tale condizione – avrebbe dovuto comprendere la moglie, alla luce del dovere di solidarieta’ e della assistenza morale e materiale che il matrimonio impone ai coniugi; c) sul rilievo che la causa della rottura dell’unione coniugale sarebbe, per contro, attribuibile al fatto che “la coppia aveva verosimilmente gia’ avviato nuove relazioni sentimentali”, che, quanto meno per l’ (OMISSIS) si consolidavano con la nascita di un terzo figlio, dopo la separazione dalla moglie.

3.2. Orbene, in tema di separazione personale dei coniugi, questa Corte ha affermato che la dichiarazione di addebito implica la prova che l’irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento di uno o di entrambi i coniugi, “consapevolmente e volontariamente contrario” ai doveri nascenti dal matrimonio, ovverosia che sussista un nesso di causalita’ tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’intollerabilita’ dell’ulteriore convivenza (cfr. Cass., n. 40795/2021; Cass. 14840/2006; Cass. n. 12383/2005).

Sin dagli anni âEuroËœ90 (Cass. 961/1992) si e’ affermato che “In tema di separazione personale dei coniugi, l’indagine sulla intollerabilita’ della convivenza e sulla addebitabilita’ – che e’ riservata al giudice del merito e, se sorretta da congrua motivazione, non e’ censurabile in Cassazione – non puo’ basarsi sull’esame di singoli episodi di frattura (che possono essere anche successivi al verificarsi della situazione di intollerabilita’ della convivenza e possono incidere sul giudizio di addebitabilita’ quale causa concorrente alla definitiva rottura) ma deve derivare dalla valutazione globale dei reciproci comportamenti, quali emergono dal processo; ne consegue che la violazione del dovere di fedelta’ puo’ non giustificare, da sola, la pronuncia di separazione con addebito al coniuge adultero”. Da ultimo (Cass. 2960/2017) il principio e’ stato ribadito: “in tema di separazione personale dei coniugi, l’indagine sulla responsabilita’ di uno o di entrambi i coniugi nella determinazione dell’intollerabilita’ della convivenza e’ riservata al giudice del merito ed e’, quindi, censurabile in sede di legittimita’ nei limiti previsti dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.”.

Ancora, va richiamato il principio espresso da Cass. 18074-2014 (in termini anche Cass. 16691-2020): “In tema di separazione personale, la pronuncia di addebito non puo’ fondarsi sulla sola violazione dei doveri posta dall’articolo 143 c.c. a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione, lungi dall’essere intervenuta quando era gia’ maturata ed in conseguenza di una situazione di intollerabilita’ della convivenza, abbia, viceversa, assunto efficacia causale nel determinarsi della crisi del rapporto coniugale. L’apprezzamento circa la responsabilita’ di uno o di entrambi i coniugi nel determinarsi della intollerabilita’ della convivenza e’ istituzionalmente riservato al giudice di merito e non puo’ essere censurato in sede di legittimita’ in presenza di una motivazione congrua e logica”.

3.3. Nella specie, nei motivi in esame si prospetta, tuttavia, proprio l’omesso esame di fatti decisivi, laddove si contesta, come travisamento della prova, l’esame ed interpretazione operato dalla Corte di merito del contenuto delle certificazioni mediche e della consulenza tecnica d’ufficio in punto di capacita’ psichiche della (OMISSIS).

In tema di scrutinio del ragionamento probatorio seguito dal giudice di merito, l’errore di valutazione nell’apprezzamento dell’idoneita’ dimostrativa del mezzo di prova non e’ sindacabile in sede di legittimita’ se non si traduce in un vizio di motivazione costituzionalmente rilevante, mentre deve ritenersi censurabile, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’articolo 115 del medesimo codice, l’errore di percezione che sia caduto sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti (Cass. 37382/2022).

Orbene, non puo’ revocarsi in dubbio che – al di la’ della rubrica, di per se’ non significativa e non vincolante per la qualificazione del vizio denunciato, poiche’ e’ solo la esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass. 7981/2007; Cass. 5848/2012; Cass. 14026/2012; Cass.S.U. 17931/2013; Cass. 23381/2017) – il ricorrente si dolga della carenza totale di motivazione dell’impugnata sentenza, quanto all’omesso esame delle certificazioni dei Dott.ri (OMISSIS) e (OMISSIS), dai quale si desumeva – in maniera inequivocabile – che la (OMISSIS) aveva evidenziato “buona capacita’ di critica e di giudizio”, un adeguato “compenso psichico”, essendo perfino “in condizioni psichiche idonee per valutare, comprendere il significato e il valore di un atto notarile”. La (OMISSIS) era “parsa sempre lucida ben orientata nel tempo e nello spazi”, e non aveva “dato segni di alterazioni deliranti o formali del pensiero: il pensiero e’ risultato coeso e privo di polarizzazioni a carattere psicopatologico”.

3.4. Ebbene, tali certificazioni – sebbene – come si evince dalla stessa sentenza impugnata – fossero state prodotte in giudizio, non sono state in alcun modo considerate dalla Corte.

Il mancato esame di un documento puo’ essere denunciato per cassazione nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilita’, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimita’ deve contenere, a pena di inammissibilita’, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (Cass., 26/06/2018, n. 16812; Cass., 28/09/2016, n. 19150).

Quanto alle risultanze della c.t.u. e’ evidente che la Corte e’ incorsa nel vizio motivazionale dedotto sul contenuto della stessa, avendo omesso di considerare – con riferimento alla consulenza (OMISSIS) citata dalla stessa Corte – che la patologia della quale era portatrice la (OMISSIS) non involveva “alcuna valutazione circa le facolta’ mentali”, essendo apparsa la medesima “lucida, ben orientata nel tempo e nello spazio (…) le capacita’ mnestiche, attentive e di concentrazione appaiono nella norma”, e che la medesima “non ha mostrato segni di alterazioni deliranti o formali del pensiero”. Se ne deve inferire che la sentenza impugnata, laddove ha concluso che la donna era “scarsamente in grado di comprendere a pieno l’inadeguatezza dei propri comportamenti nei confronti del marito e delle figlie”, e’ del tutto apodittica, e priva di motivazione, non confrontandosi neppure con il quadro probatorio in atti.

Tanto piu’ che la capacita’ di intendere e di volere della moglie era confermata anche dal fatto che la medesima, nel maggio 2014, aveva sottoscritto una scrittura con il marito, con la quale si regolavano le condizioni che avrebbero dovuto consentire una prosecuzione della convivenza.

3.5. In ogni caso, va osservato che, in tema di separazione personale, il grave stato di infermita’ di uno dei coniugi, perdurante nel tempo e non reversibile, puo’ costituire, per le modalita’ in cui si manifesti e per le implicazioni nella vita degli altri componenti il nucleo familiare, specialmente se investa la sfera psichica della persona precludendo ogni possibilita’ di comunicazione o di intesa, un elemento di cosi’ grave alterazione dell’equilibrio coniugale, da determinare di per se stesso un’oggettiva impossibilita’ di prosecuzione della convivenza: In siffatta ipotesi, ove l’altro coniuge non adempia ai doveri di assistenza morale e materiale (fatto imputato, nella specie, dalla Corte all’ (OMISSIS)), ai fini della eventuale pronuncia di addebito, la violazione di tale dovere non puo’ essere riguardata di per se stessa, ma occorre invece accertare in concreto – con riferimento a tutte le circostanze del caso concreto ed alla successione temporale degli avvenimenti – se la condotta del coniuge rifletta un atteggiamento di mero rifiuto dell’impegno solidaristico assunto con il matrimonio, con efficacia diretta sulla definitiva dissoluzione del vincolo matrimoniale, o non costituisca piuttosto una presa d’atto di una non superabile e gia’ maturata situazione di impossibilita’ della convivenza (Cass. 13021-1995).

Tale principio, nella sostanza, e’ stato, di recente, confermato da questa Corte, laddove ha statuito che le reiterate violenze fisiche e morali inflitte da un coniuge all’altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per se’ sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilita’ della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilita’ all’autore di esse. Il loro accertamento esonera il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravita’, sono comparabili solo con comportamenti omogenei (Cass. 31351/2022; Cass. 3925/2018).

3.6. Nel caso di specie – come si desume dalla stessa sentenza impugnata – il ricorrente aveva evidenziato (pag. 3) le “scenate e atti di collera” posti in essere dalla moglie nei confronti del marito e delle figlie, che avevano indotto l’ (OMISSIS) a chiedere e ad ottenere (qualche mese prima della separazione) un provvedimento ex articolo 342 bis c.c. – trascritto, nella parte essenziale nel ricorso, e la cui allegazione agli atti del giudizio di primo grado e’ stata indicata, nel rispetto del principio di autosufficienza – che conteneva l’ordine alla moglie di “cessare immediatamente i comportamenti violenti descritti nel ricorso, nonche’ di allontanarsi immediatamente dall’abitazione familiare”.

Ne’ assume rilievo alcuno – al contrario di quanto affermato dalla Corte d’appello – la tolleranza del marito, che avrebbe sopportato tale situazione dal 2005 (anno dell’insorgenza della patologia) al 2014 (anno della separazione).

Questa Corte ha, invero, ripetutamente affermato che e’ irrilevante, ai fini dell’addebito della separazione, l’eventuale tolleranza di un coniuge rispetto alla violazione di tali doveri da parte dell’altro, vertendosi in materia in cui diritti e doveri sono indisponibili, non essendo configurabile un’esimente oggettiva, che faccia venire meno l’illiceita’ del comportamento, ne’ una rinuncia tacita all’adempimento dei doveri coniugali, aventi carattere indisponibile (Cass. 5762/1997; Cass. 19450/2007; Cass. 25966/2022).

In definitiva, la sola patologia psichiatrica di cui sia affetto uno dei coniugi, laddove non comporti una effettiva incapacita’ di intendere e di volere, non esime il giudice, ai fini della chiesta pronuncia sull’addebito della separazione personale tra i coniugi, dalla verifica e valutazione dei comportamenti coniugali in rapporto alla eventuale violazione dei doveri di cui all’articolo 143 c.c., ed alla loro efficacia causale nel determinarsi della crisi del rapporto coniugale. 3.7. Assume anche rilievo, ai fini della intollerabilita’ della prosecuzione della convivenza anche nei confronti dei figli (articolo 151 c.c.), l’episodio, dedotto dal ricorrente nella sentenza di appello (pag. 3), della denuncia penale nei confronti della moglie per il gravissimo fatto degli abusi sessuali sulle figlie minori, per il quali (come da memoria) la medesima sarebbe stata condannata a quattro anni di reclusione (con pronuncia di decadenza dalla responsabilita’ genitoriale della stessa, in sede di divorzio e di appello). Tale episodio e’ avvenuto nel 2018, durante il corso del giudizio di separazione, per cui poteva essere considerato sia dal giudice di primo che da quello di secondo grado, al quale era stato riproposto.

La tempestiva proposizione della domanda di addebito, invero, non impedisce che la stessa sia pronunciata anche per fatti sopravvenuti, o comunque conosciuti nel corso del giudizio di separazione (Cass. 1919/1984). In tal senso si e’, altresi’, affermato che “il coniuge che proponga domanda di separazione con pronuncia di addebito all’altro coniuge puo’ dedurre perfino in appello nuovi fatti verificatisi nel corso del giudizio di appello in aggiunta a quelli fatti valere in primo grado, in quanto la nuova deduzione non immuta ne’ il petitum, ne’ la causa petendi della domanda” (Cass. 5020/1990). Nel caso di specie, la violenza sessuale sulle figlie non mutava la causa petendi dell’addebito, fondata sulla violazione del dovere di assistenza nei confronti del marito e delle figlie, essendosi solo ulteriormente dedotto l’aspetto specifico della condotta del genitore causa di grave pregiudizio sui figli.

Quanto, infine, alle relazione extraconiugali, che peraltro avrebbero riguardato entrambi i coniugi, la Corte territoriale si e’ espressa in termini di “verosimiglianza”, laddove il nesso causale tra la relazione extraconiugale e la rottura dell’unione coniugale va accertato dal giudice con rigorosa ricostruzione dei fatti (Cass. 20866/2021).

3.8. La sentenza deve pertanto essere cassata.

4. Le restanti censure, attinenti alla questione dell’assegno di mantenimento richiesto dalla moglie, sia in relazione al periodo di riferimento (stante la contemporanea pendenza del giudizio di divorzio instaurato tra le parti nel maggio 2018) ed alla documentazione reddituale da prendere in esame al momento della decisione, sia con riguardo ai presupposti per il riconoscimento, nonche’ alle questioni del contributo della madre al mantenimento delle figlie (negato dal giudice del merito sulla sola base delle precarie condizioni economiche della stessa), della anticipazione della decorrenza (dall’ottobre 2016, data di presentazione dell’istanza ex articolo 709 ter c.p.c. dell’ (OMISSIS) o dal marco 2018 data di presentazione di istanza di modifica) della riduzione disposta in corso di causa dell’assegno di mantenimento e di revoca del sequestro ex articolo 156, comma 6, c.c. disposto a carico dell’ (OMISSIS) a garanzia dell’adempimento dell’obbligo di versamento dell’assegno di mantenimento, sono di conseguenza assorbite.

La Corte d’appello, all’esito della valutazione dell’an (ove venga respinta la richiesta di addebito della separazione alla moglie, condizione ostativa all’attribuzione dell’assegno in suo favore), dovra’ verificare, per il periodo in cui, nella contemporanea pendenza del giudizio di divorzio, i rapporti economici tra le parti continuano ad essere regolati dai provvedimenti emessi nel giudizio di separazione (Cass. 3852/2021; Cass. 7547/2020; Cass. 27205/2019; Cass. 24991/2010), le condizioni economiche dei coniugi, avuto riguardo alla necessita’ di mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (cfr. Cass. 12196/2017; conf. Cass. 16809/2019; Cass.4327 /2022) ed al particolare dovere di collaborazione processuale che, nel procedimento di separazione personale e in quello di divorzio, e’ imposto a entrambi i coniugi, in deroga alla disciplina ordinaria dell’onere della prova, lasciata di regola alla libera iniziativa delle parti interessate (Cass. 22616/2022).

5. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento dei primi tre motivi di ricorso, assorbiti i restanti, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.Il giudice del rinvio provvedera’ alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.

Dispone che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 198 del 2003, articolo 52 siano omessi le generalita’ e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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