Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 31 ottobre 2018, n. 49789.
Sentenza 31 ottobre 2018, n. 49789.
Data udienza 22 maggio 2018.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAVALLO Aldo – Presidente
Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere
Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere
Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 352/17 del Tribunale di Rieti del 14 giugno 2017;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa FILIPPI Paola, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14 giugno 2017 il Tribunale di Rieti ha assolto (OMISSIS) dai reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera c), e Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1, – per avere egli realizzato in un terreno di sua proprieta’, gravato da vincolo paesaggistico in quanto ricadente all’interno di bosco, una strada sterrata avente la lunghezza di 620 m e la larghezza media di 3 m, in assenza sia del necessario permesso a costruire sia della prescritta autorizzazione paesaggistica – avendo considerato il fatto di particolare tenuita’ ai sensi dell’articolo 131-bis c.p..
Avverso la predetta sentenza ha interposto ricorso per cassazione l’imputato, articolando 2 motivi di impugnazione.
Il primo di essi attiene alla violazione di legge ed al vizio di motivazione in relazione alla affermazione della penale responsabilita’ del (OMISSIS) in relazione al reato a lui ascritto.
Ha osservato il ricorrente che egli, indiscussa la titolarita’ del terreno alla societa’ la (OMISSIS), non ha mai rivestito la qualita’ di legale rappresentante della predetta compagine, essendo di essa il Presidente del Consiglio di amministrazione laddove la rappresentanza esterna di essa compete all’Amministratore delegato.
Il secondo motivo di impugnazione ha ad oggetto la violazione di legge in relazione all’affermazione della penale responsabilita’ dell’imputato non essendo stato considerato dal Tribunale il fatto che le opere di cui al capo di imputazione sono state eseguite dopo che, trattandosi di lavori di manutenzione di una preesistente opera di viabilita’ minore adibita a scopi agricoli, era maturato il silenzio assenso in ordine ad una richiesta di autorizzazione trasmessa al Comune di Longone Sabino, unico adempimento necessario stante la tipologia dell’opera in questione.
Con memoria depositata in data 8 maggio 2018 la difesa dell’imputato ha ulteriormente illustrato le proprie ragioni gia’ dedotte con il ricorso principale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ inammissibile.
Deve, in via preliminare, rilevarsi la impugnabilita’ delle sentenze con le quali e’ stata dichiarata la non punibilita’ del fatto stante la sua particolare tenuita’ ai sensi dell’articolo 131-bis c.p..
Osserva, infatti il Collegio – senza dovere entrare nel contrasto interpretativo esistente in ordine alla impugnabilita’ del provvedimento con il quale, rigettata la richiesta di decreto penale formulata dal Pm, e’ stata disposta dal Gip l’archiviazione del procedimento pendente stante la particolare tenuita’ del fatto, impugnabilita’ motivatamente esclusa, secondo un orientamento, apparentemente prevalente, dalla giurisprudenza di questa Corte sulla base del duplice rilievo della non definitivita’ del provvedimento di archiviazione e della sua non iscrivibilita’ nel casellario giudiziale (in tale senso, per tutte: Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 20 giugno 2017, n. 30685), ed invece affermata, secondo un’altra, sebbene isolata, indicazione giurisprudenziale, sulla base della sua ritenuta annotazione nel certificato giudiziale dell’interessato, fattore questo che costituirebbe per costui un elemento di pregiudizio (in tale senso, sebbene non sia stata massimata sul punto: Corte di cassazione, Sezione 5 penale, 5 settembre 2017, n. 40293) che, laddove si tratti di sentenza dibattimentale che abbia affermato la particolare tenuita’ del fatto ai sensi dell’articolo 131-bis c.p., la sicura annotazione nel certificato giudiziale di tale pronunzia (si veda, infatti, in tale senso quanto disposto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 313 del 2002, articolo 3, a seguito delle modifiche ad esso apportate dal Decreto Legislativo n. 28 del 2015, articolo 4, in base al quale e’ prevista l’iscrizione nel casellario giudiziale, in aggiunta ai “provvedimenti giudiziari definitivi che hanno prosciolto l’imputato o dichiarato non luogo a procedere per difetto di imputabilita’, o disposto una misura cautelare”, anche di “quelli che hanno dichiarato la non punibilita’ ai sensi dell’articolo 131-bis c.p.”), nonche’ la sua idoneita’, secondo i testuali termini di cui all’articolo 651-bis c.p.p., a spiegare effetti preclusivi e definitivi, in ipotesi pregiudizievoli a carico del soggetto interessato, nei giudizi civili ed amministrativi nei quali e’ dedotta la risarcibilita’ del danno derivante dal fatto ritenuto non punibile ex articolo 131-bis c.p., costituiscono elementi di indubbia valenza ai fini della affermazione della sussistenza di un interesse ad impugnare in capo al soggetto destinatario di una siffatta pronunzia.
Puo’, pertanto, tranquillamente affermarsi la possibilita’ di impugnare di fronte a questa Corte una sentenza del tipo di quella ora gravata.
Sempre in via preliminare osserva il Collegio come sia stata non puntuale, sebbene si tratti di una mera irregolarita’ di per se’ non incidente sulla legittimita’ della pronunzia impugnata, la formula assolutoria adottata dal Tribunale di Rieti.
E’, infatti, di tutta evidenza che l’applicazione della causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131-bis c.p. non comporta la assoluzione nel merito del prevenuto, come statuito dal Tribunale sabino con la sentenza impugnata, posto che la assoluzione e’ formula terminativa del giudizio che presuppone la non colpevolezza dell’imputato, sia essa dovuta alla carenza dell’elemento soggettivo ovvero alla carenza dell’elemento oggettivo del reato, mentre l’articolo 131-bis c.p. e’ disposizione che trova la sua applicazione nei casi in cui il fatto, sebbene sia stato tale da integrare il reato in tutte le sue componenti oggettive e soggettive (tanto che, come detto, la relativa pronunzia fa stato contra reum nei giudizi di danno), per la particolare tenuita’ della offesa arrecata al bene interesse tutelato dalla norma precettiva, sia, tuttavia, tale da non giustificare – ricorrendo anche le altre necessarie condizioni previste dal legislatore – la risposta dello Stato in termini di afflizione del responsabile del fatto.
Non si tratta, pertanto, di assoluzione in senso tecnico ma di semplice declaratoria di non punibilita’, la quale, a differenza della prima, lascia inalterato l’illecito penale nella sua materialita’ storica e giuridica (Corte di cassazione, Sezione VII penale, 11 settembre 2017, n. 41330).
Fatte queste premesse, e passando all’esame dei motivi di impugnazione dedotti dall’imputato, ne rileva la Corte la loro manifesta infondatezza.
Quanto al primo motivo, osserva il Collegio che risponde dei reati del tipo di quelli ascritti al (OMISSIS), laddove gli stessi abbiano avuto come loro teatro un fondo di proprieta’ di un soggetto impersonale, non tanto, o quanto meno non solo, il legale rappresentante del predetto soggetto, cui deve imputarsi, in funzione della qualifica rivestita, lo svolgimento della attivita’ di rilevanza esterna del predetto ente, ma anche chi, operando attraverso lo spiegamento di poteri di amministrazione di fatto abbia comunque disposto l’esecuzione dei lavori in questione pur in assenza delle prescritte formalita’.
Nel caso in esame che le opere in questione siano state disposte dal prevenuto, quanto meno in concorso con altre persone non identificate, e’ dato che il Tribunale ha legittimamente fatto discendere dalla circostanza che e’ stato il (OMISSIS) ad intrattenere con l’allora Corpo forestale dello Stato una corrispondenza, formata da diverse missive riguardanti la strada di cui al capo di imputazione; la paternita’ di tali missive, riferita all’imputato, appare essere stata ragionevolmente utilizzata dal giudice del merito onde affermare anche la paternita’ delle opere cui le missive stesse si riferivano.
Quanto alla astratta rilevanza penale delle opere in questione, osserva la Corte che, ad onta delle argomentazioni difensive svolte dal ricorrente, e’ agevole osservare in relazione ad esse che, a prescindere da ogni altra valutazione, la dedotta esistenza di fonti regolamentari in forze delle quali le opere eseguite non necessitavano di permesso a costruire non e’ fattore che possa, quand’anche sussistente, consentire la deroga alle legislazione nazionale – siccome costantemente interpretata da questa Corte – in tema di subordinazione delle opere di trasformazione del territorio al necessario rilascio del permesso a costruire e, se del caso, della autorizzazione paesaggistica.
Al riguardo, osserva in definitiva il Collegio che, premessa la generale esistenza del vincolo paesaggistico sui “territori coperti da bosco”, secondo la previsione di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 146, comma 1, lettera g), (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 25 settembre 2007, n. 35495; per la nozione di bosco penalmente rilevante, si veda anche: Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 10 luglio 2014, n. 30303; idem Sezione 3 penale, 29 luglio 2013, n. 32807), rientra fra le opere per le quali e’ necessario il preventivo rilascio del permesso a costruire e, ove si tratti di zona vincolata, anche del relativo nulla osta paesaggistico, l’ampliamento o anche il riordino di una preesistente strada di campagna, atteso che la realizzazione di tali opere comporta una modificazione di carattere stabile dell’assetto morfologico dei luoghi, incidente sul potenziale incremento del carico urbanistico, stante il verosimile aggravamento del carico urbanistico derivante dal potenziamento dell’utilizzo della predetta strada a seguito dell’avvenuto ampliamento di essa (per un’analoga fattispecie, cfr: Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 11 gennaio 2013, n. 1442; idem Sezione 3 penale, 2 agosto 2004, n. 33186).
Poiche’ nel caso di specie, secondo la non contestata descrizione delle opere contenuta nel capo di imputazione, esse hanno comportato, oltre al ripristino del preesistente tracciato viario, anche il compimento di talune opere di sbancamento dei lati della strada al fine di allargarne la sede transitabile, siffatti interventi appaiono rivestire tutte le descritte caratteristiche tali da imporre per essi il rilascio del permesso a costruire, da quanto sopra deriva che anche il secondo motivo di impugnazione proposto dal (OMISSIS) si palesi manifestamente infondato.
Pertanto, alla dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso fa seguito, visto l’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.
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