Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 26 maggio 2020, n. 3330.
La massima estrapolata:
Se l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio viene annullato giudizialmente per difetto di motivazione, la pubblica amministrazione può ricorrere di nuovo all’autotutela, purché motivi in modo adeguato l’interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento del permesso di costruire.
Sentenza 26 maggio 2020, n. 3330
Data udienza 9 aprile 2020
Tag – parola chiave: Edilizia – Permesso di costruire – Annullamento – Autotutela – Annullamento giurisdizionale -Difetto di motivazione – Nuovo annullamento in autotutela – Ammissibilità – Ordinanza di demolizione – Inottemperanza – Acquisizione gratuita al patrimonio comunale – Mancanza di previsione espressa – Irrilevanza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 4612 del 2014, proposto dalla società La Pi. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Or. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
sul ricorso in appello numero di registro generale 7749 del 2015, proposto dalla società La Pi. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
quanto al ricorso n. 4612 del 2014:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, sede di Catanzaro, Sezione prima, n. 997 del 13 novembre 2013, resa tra le parti, concernente l’annullamento di un permesso di costruire relativo ad un immobile da destinarsi ad attività commerciale e magazzini;
quanto al ricorso n. 7749 del 2015:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, sede di Catanzaro, Sezione seconda, n. 142 del 22 gennaio 2015, resa tra le parti, concernente la demolizione di opere edili e il ripristino dello stato dei luoghi.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio, in entrambi gli appelli, del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 aprile 2020, svoltasi in video conferenza, ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge n. 18 del 2020, convertito dalla legge n. 27 del 2020, il consigliere Nicola D’Angelo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con sentenza n. 997 del 2013 il Tar di Catanzaro ha respinto il ricorso presentato dalla società La Pi. contro il provvedimento n. 7983 del 4 giugno 2012 con il quale il Responsabile del Settore Urbanistica del Comune di (omissis) aveva annullato il permesso di costruire n. 2284 del 30 dicembre 2009, rilasciato alla stessa società, per la costruzione di un fabbricato in località (omissis) ad uso attività commerciale e magazzini.
2. In particolare, nell’ambito dello stesso compendio, con concessione edilizia n. 1094 del 13 dicembre 1999, rilasciata ad istanza dei signori Ro. Pa. Fe. e Fr. Fe., il Comune di (omissis) aveva assentito la costruzione di 17 villette, sulla base di una convenzione di lottizzazione che tra l’altro prevedeva la realizzazione delle opere di urbanizzazione a scomputo. Con atto del 5 aprile 2001, i signori Fe. vendevano poi alla società La Pi. parte dell’appezzamento di terreno interessato dalla stessa concessione edilizia.
2.1. Il contratto di compravendita consentiva alla società la presentazione di un progetto in variante ai fini della realizzazione, al posto di undici villette ricadenti nell’appezzamento acquistato, di un unico corpo di fabbrica, con volumetria complessiva invariata, ferma restando la realizzazione delle rimanenti sei villette da parte dei signori Fe. sulla porzione di terreno residua risultante dal frazionamento conseguente alla compravendita.
2.2. Il 30 giugno 2005 veniva quindi rilasciato alla La Pi. il permesso di costruire in variante n. 1752 per la costruzione di un unico corpo di fabbrica, in sostituzione delle 11 villette previste dalla concessione edilizia n. 1094 del 1999.
2.3. Tuttavia, con provvedimento del 15 giugno 2006 n. 13044, l’Amministrazione comunale di (omissis) annullava il menzionato permesso di costruire in variante n. 1752 del 2005, a causa della mancata realizzazione delle opere di urbanizzazione previste e del posizionamento del fabbricato su parte della viabilità interna, da realizzare nel quadro delle opere di urbanizzazione.
2.4. La società La Pi. richiedeva quindi un nuovo permesso in variante, che il Comune rilasciava il 30 dicembre 2009 (n. 2284). Anche questo titolo edilizio, con provvedimento n. 14978 dell’8 settembre 2010 veniva annullato d’ufficio in quanto “… il progetto non descrive correttamente la realtà perché negli elaborati planimetrici non è stato indicato il vero confine di proprietà tra il suolo della soc. PI. SRL ed il suolo limitrofo della ditta ricorrente nel tratto della corte sul lato nord del fabbricato di quest’ultimo, quindi, il fabbricato in progetto della soc. PI. srl, risulta per una parte da edificarsi sul confine di proprietà e non posizionato correttamente alla distanza dai confini di mt 5,00 per come prescritto dalle NTA del vigente PRG, ed inoltre la strada e la rampa di accesso al piano seminterrato del fabbricato da costruire non possono essere previsti ricadenti nel cortile del fabbricato di proprietà del ricorrente invece che nella proprietà della soc. PI. srl….”.
2.5. La società impugnava l’annullamento dinanzi al Tar per la Calabria, sede di Catanzaro, che, anche all’esito di una verificazione, con sentenza n. 1697 del 31 dicembre 2011 accoglieva il ricorso, rilevando il difetto di motivazione del provvedimento impugnato.
2.6. Con provvedimento n. 7983 del 4 giugno 2012 il Responsabile del Settore Urbanistica del Comune di (omissis), a seguito di un sopralluogo effettuato in data 7 marzo 2012, disponeva un nuovo annullamento d’ufficio del permesso di costruire in variante n. 2284 del 30 dicembre 2009, sulla base delle seguenti motivazioni:
– “…Verificata l’inosservanza delle distanze per come riconosciuto dalla sentenza citata;
– Rilevato, inoltre, che l’iniziativa edilizia di cui al detto permesso di costruire andrebbe ad occupare una striscia di suolo sottoposta a vincolo di inedificabilità poiché destinata a viabilità (per come statuito nell’atto di impegno per l’assunzione dei vincoli per la densità edilizia e per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione ex art. 11 L. n. 10/77, rogato in data 4/11/1999 rep. 2327 e registrato in (omissis) il 5/11/1999 n. 620 serie 1), si precisa che la società Pi. Srl è sempre stata a conoscenza del suddetto vincolo di in edificabilità, per come risulta, anche, dall’atto di compravendita del 5/4/2001 Rep. 35168 rogato dal Notaio Ma. De Vi. da (omissis) con allegata planimetria allega.
– Constatato altresì che in base al rilievo, effettuato, misurando dalle fondamenta coi richiami dei pilastri, (realizzati dalla soc. Pi. srl in base a precedente permesso di costruire n. 1752 del 30.6.2005, poi annullato con provvedimento prot. 13044 del 15/6/2006), è emerso che non vengono rispettate le distanze di distacco tra i fabbricati, posti sul lato sud est, poiché inferiori a mt. 10,00 ed in contrasto con le prescrizioni dell’art. 18 delle N.T.A. del PRG secondo cui nelle zone di completamento b2 deve essere rispettato – nella costruzione di un nuovo fabbricato – un distacco dai fabbricati contermini di mt. 10,00…”.
2.7. Quest’ultimo provvedimento è stato oggetto della sentenza del Tar di Catanzaro n. 997 del 2013. Nella stessa decisione il Tribunale ha ritenuto infondate le censure relative alla correttezza del sopralluogo effettuato e al potere dell’Amministrazione di pronunciarsi nuovamente sulla vicenda mediate l’esercizio ripetuto del potere di autotutela. Ha poi rilevato fondate le giustificazioni poste alla base del provvedimento di annullamento della variante con riferimento alla circostanza che il corpo di fabbrica finiva per occupare una striscia di suolo sottoposta a vincolo di in edificabilità poiché destinata a viabilità dalla convenzione di lottizzazione a suo tempo stipulata. Ha invece ritenuto di condividere la censura della società ricorrente relativa all’asserita violazione della distanza della costruzione della Pi. dal confine.
3. Con la sentenza n. 142 del 2015 il Tar di Catanzaro ha poi respinto il ricorso avverso l’ordinanza di demolizione del 31 marzo 2014, con cui il Comune di (omissis) ha imposto il ripristino dello stato dei luoghi in relazione ad opere edili realizzate in conseguenza del permesso di costruire annullato.
3.1. Il Tar ha rigettato il gravame, considerando la sua precedente pronuncia n. 997 del 2013 (non sospesa in sede cautelare dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 2774 del 2014).
3.2. In sostanza, il giudice di primo grado ha rilevato la “natura strettamente vincolata e necessitata, costituendo, in definitiva, conformazione, da parte dell’autorità amministrativa, ad una pronuncia giurisdizionale esecutiva”.
4. Contro le predette pronunce del Tar di Catanzaro, la società Pi. ha proposto due distinti appelli.
4.1. Con il primo, n. r.g. 4612 del 2014, ha impugnato la sentenza del Tar n. 997 del 2013, relativa al provvedimento di annullamento in autotutela del permesso di costruire in variante, sulla base di otto autonomi motivi di gravame (lettere da A a H, pagine da 15 a 38) che ripropongono, nella sostanza, le sette censure mosse con il ricorso di primo grado, di seguito indicate e che delimitano il thema decidendum del presente giudizio.
4.1.1. Il sopralluogo sulla cui base è stato emesso il provvedimento impugnato sarebbe avvenuto in data antecedente all’adozione dello stesso, non consentendosi un’effettiva partecipazione della ricorrente al procedimento.
4.1.2. Il provvedimento, emesso a seguito di pronuncia del giudice amministrativo che aveva riconosciuto l’illegittimità di un precedente atto di annullamento (sentenza n. 1697/2011), si sarebbe basato su una motivazione contraddittoria, ispirata dalla volontà di impedire la realizzazione del progetto della società. Il comportamento dell’Amministrazione comunale sarebbe stato quindi contrario al principio di imparzialità e frutto di ostilità, tanto più grave in presenza di un giudicato di annullamento del precedente provvedimento.
4.1.3. Il potere di autotutela non avrebbe potuto essere esercitato prescindendo da un esame complessivo dell’atto oggetto di ritiro ed enucleando di volta in volta diversi profili di illegittimità.
4.1.4. Non sarebbe stata esatta l’affermazione del provvedimento impugnato secondo cui la sentenza del Tar n. 1697/2011 avrebbe riconosciuto un’inosservanza delle distanze. In ogni caso il posizionamento di corpi di fabbrica sul confine, senza il rispetto della distanza di 5 metri dallo stesso, ricalcherebbe quanto già previsto dall’originaria concessione edilizia e sarebbe espressamente consentito dall’atto di compravendita.
4.1.5. Non vi sarebbe alcuna occupazione di suolo destinato a viabilità, in quanto la Pi. avrebbe concordato con l’assessore all’Urbanistica in carica nel 2009 di cedere solo una parte del terreno destinato a strada dall’originaria convenzione urbanistica. Nel progetto della Pi. la strada sarebbe spostata a monte. Quanto al distacco tra fabbricati, inferiore a dieci metri, al più esso avrebbe potuto rilevare come abuso edilizio e non già quale motivo di annullamento del permesso di costruire in variante.
4.1.6. Il provvedimento impugnato sarebbe motivato in maniera inadeguata e comunque non sussisterebbe un interesse pubblico attuale all’annullamento del permesso di costruire in sanatoria, tenuto anche conto del tempo trascorso;
4.1.7. Non sarebbe stata comunque espletata una fase preliminare finalizzata alla eliminazione degli eventuali vizi, onde consentire la conservazione dell’atto.
4.2. Con un secondo ricorso, n. r.g. 7749 del 2015, la società Pi. ha poi impugnato (articolando un unico complesso motivo) la sentenza del Tar n. 142 del 2015, relativa alla conseguente ordinanza di demolizione, lamentando che essa sarebbe erronea nella parte in cui ha ritenuto che il provvedimento impugnato avesse natura di atto meramente confermativo e come tale fosse sostanzialmente inoppugnabile, mentre avrebbe dovuto considerare la possibilità di applicare misure sanzionatorie ai sensi dell’art. 38 TU edilizia.
Il Tar avrebbe quindi omesso di esaminare e valutare nel merito gli otto motivi del ricorso di primo grado, riproposti in appello e di seguito sintetizzati, che delimitano il thema decidendum anche di questo secondo giudizio.
4.2.1. L’Amministrazione avrebbe applicato l’art. 31 invece che l’art. 38 del TU edilizia (d.P.R. n. 380/2001).
4.2.2. Ci sarebbe stata una mancata valutazione di misure diverse rispetto a quelle sanzionatorie a seguito dell’intervenuto annullamento del permesso di costruire.
4.2.3. La sentenza del Tar n. 997/2013 non avrebbe accertato il mancato rispetto delle distanze dal confine.
4.2.4. L’atto sarebbe stato adottato pur in pendenza del giudizio di appello sulla stessa sentenza n. 997/2013.
4.2.5. Sarebbe mancato l’invio della comunicazione di avvio del procedimento relativo all’ordine di demolizione.
4.2.6. L’operato dell’Amministrazione sarebbe stato contraddittorio.
4.2.7. Sarebbe mancata l’indicazione dell’esatta entità dell’area da acquisire al patrimonio comunale in caso di inottemperanza.
4.2.8. Non è stata specificata l’esatta entità dell’area che sarebbe acquisita al patrimonio comunale in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione.
5. In entrambi i ricorsi in appello si è costituito il Comune di (omissis), chiedendo il rigetto degli stessi.
6. In relazione al ricorso n. 4612 del 2014, questa Sezione, con ordinanza cautelare n. 2274 del 25 giugno 2014, ha respinto l’istanza di sospensione degli effetti della sentenza impugnata.
7. Con ordinanza collegiale n. 2912 del 7 maggio 2019, resa in entrambi i giudizi chiamati all’udienza pubblica del 30 aprile 2019, la Sezione dopo avere disposto la riunione dei due appelli (n. 4612/2914 e n. 7794/2015), ha chiesto al Comune il deposito in giudizio della copia conforme del permesso di costruire n. 1886 del 27 ottobre 2006 e della connessa convenzione.
8. L’Amministrazione comunale ha adempiuto il suddetto incombente istruttorio il 14 marzo 2020, giustificando, senza opposizione sul punto, la tardività del deposito rispetto al termine assegnato (31 ottobre 2019).
9. Sia il Comune che la società appellante hanno depositato ulteriori documenti e memorie in entrambi i giudizi, rassegnando brevi note ex art. 84, comma 5, del decreto legge n. 18 del 2020.
10. I due ricorsi sono stati, infine, trattenuti in decisione – alla luce della istanza presentata da tutte le parti costituite, ex art. 84, comma 2, primo periodo, del decreto legge n. 18 del 2020 – nell’udienza pubblica tenutasi in video conferenza il 9 aprile 2020.
11. Preliminarmente, il Collegio conferma la riunione degli appelli indicati in epigrafe (n. 4612/2914 e n. 7794/2015), ai sensi dell’art. 70 c.p.a., in ragione della loro connessione soggettiva e parzialmente oggettiva.
12. Il primo ricorso in appello (n. r.g. 4612/2014) è infondato.
13. Oggetto del giudizio, come sopra indicato, è la determinazione n. 7983 del 4 giugno 2012 del Comune di (omissis) recante l’annullamento in autotutela del permesso di costruire n. 2284 del 30 dicembre 2009 rilasciato in favore della società Pi. per la costruzione di un edificio destinato a uso commerciale e magazzino.
12.1. L’annullamento in autotutela è stato adottato per due autonome ragioni consistenti:
a) nella violazione delle distanze dai fabbricati limitrofi e dal confine con la proprietà dei signori Fe.;
b) nel mantenimento, nell’interesse pubblico generale, della regolare disciplina della viabilità quale risultante dalla convenzione in data 4 novembre 1999 (stipulata fra il Comune di (omissis) e i germani Fe., danti causa della ditta Pi., proprietari del lotto unico da cui è stato scorporato, per atto di compravendita notaio Ma. De Vi. del 5 aprile 2001, quello nella titolarità della società medesima) e dalla concessione edilizia in data 13 dicembre 1999.
12.2. Il provvedimento di annullamento del permesso di costruire è stato impugnato dalla società Pi. dinanzi al Tar per la Calabria, sede di Catanzaro.
12.3. Il Tar, con la sentenza n. 997 del 2013, ha rigettato i sette motivi di ricorso coma sopra indicati. Segnatamente, il primo, il secondo, il terzo e la parte del sesto motivo riguardante le difformità della viabilità, mentre ha condiviso la doglianza relativa alla distanza dal confine del fabbricato contenuta nel quarto e quinto motivo, respingendo però la parte delle stesse censure relative al posizionamento dell’immobile sul tracciato della strada prevista dalla convenzione di lottizzazione. Ha poi assorbito l’esame del settimo motivo, respingendo quindi la domanda di annullamento e compensando le spese.
13. Ciò premesso, i motivi di appello, che come detto ripropongono espressamente le doglianze di primo grado – e che sono esaminati limitatamente a quelli disattesi dall’impugnata sentenza – sono infondati.
13.1. Innanzitutto, non può essere condivisa la tesi di parte appellante in ordine alla violazione delle garanzie procedimentali di cui agli artt. 7 e ss. della legge n. 241/1990 (la comunicazione di avvio del procedimento sarebbe stata inviata successivamente all’effettuazione del sopralluogo del 7 marzo 2012 senza specificare che il procedimento riguardava l’annullamento in autotutela del permesso di costruire). Il sopralluogo, come correttamente rilevato dal Tar, ha infatti una funzione ricognitiva e non presuppone necessariamente l’instaurazione di un contraddittorio. L’Amministrazione ne ha comunque comunicato l’effettuazione mettendo in condizione l’interessata di accedere agli atti relativi ed eventualmente contestarli.
13.2. Non può poi ritenersi fondata l’ipotesi mossa da parte della società appellante relativamente ad una volontà costante del Comune di individuare profili di illegittimità del titolo edilizio. La sentenza del Tar di Catanzaro n. 1697/2011, cui fa riferimento la ricorrente per dimostrare la predeterminazione delle intenzioni dell’Amministrazione, ha riguardato l’annullamento d’ufficio di un precedente titolo edilizio fondato sul rilievo di un suo difetto di motivazione. Il Comune ha dunque conservato il potere di intervenire nuovamente, fermo restando l’obbligo di conformarsi alla sentenza sul piano dell’adeguatezza della motivazione. Peraltro, come evidenziato, dal giudice di primo grado, l’eventuale sviamento nell’esercizio del potere di autotutela avrebbe dovuto essere provato dalla ricorrente sulla base di indizi idonei e comunque l’Amministrazione, contrariamente a quanto dedotto, ha individuato ulteriori profili di illegittimità (posizionamento su un area destinata a viabilità pubblica).
13.3. Non appare dunque sussistere nessuna violazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 in ordine alle modalità di esercizio del potere di autotutela, potendo, come detto, l’Amministrazione nuovamente intervenire sulla base di una adeguata motivazione che desse conto dell’interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento del permesso di costruire.
13.4. Il provvedimento impugnato, in concreto, riporta la seguente motivazione: “…Valutata la preminenza dell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica ed al ripristino della legalità nel caso di specie palesemente violata.
Evidenziata, in particolare, l’esistenza del superiore interesse pubblico al mantenimento di viabilità di lottizzazione nonché al rispetto della normativa urbanistica sopra evidenziata posto che l’esecuzione di un edificio a distanza dal confine e tra i fabbricati inferiore a quella prescritta configura una illiceità per contrasto con una norma inderogabile posta a tutela dell’interesse pubblico a un prefigurato modello urbanistico…”. In questo quadro, come ha rilevato il Tar “le doglianze della ricorrente sarebbero condivisibili in relazione a quella parte della motivazione in cui si fa astratto riferimento al rispetto della disciplina urbanistica e della legalità, nonché al rispetto delle norme sulle distanze”. Ma ciò non è sufficiente. La stessa motivazione richiama infatti anche un aspetto di maggiore rilevanza connesso alla contrarietà dell’intervento alle previsioni della lottizzazione in particolare sulla viabilità. Sotto questo profilo, sussiste dunque l’attualità e la concretezza dell’interesse relativo al rispetto delle previsioni della stessa lottizzazione nella quale si colloca l’intervento assentito alla società appellante.
13.5. D’altra parte, trattandosi di provvedimenti in materia di pianificazione urbanistica del territorio, il relativo onere motivazionale risulta anche caratterizzato dalla “rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati, al punto che nelle ipotesi di maggiore rilievo potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possono integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio dello ius poenitendi” (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., n. 8 del 2017). E tra gli interessi pubblici “autoevidenti” vi è sicuramente quello all’ordinato assetto urbanistico assicurato dalla stabilità della pianificazione attuativa (nel caso di specie il piano di lottizzazione), rispetto al quale l’eventuale affidamento dell’interessato deve essere considerato recessivo.
13.6. Anche i profili di censura relativi alla giustificazione su cui si basa il provvedimento impugnato non sono condivisibili. Come correttamente ha rilevato il Tar, la questione relativa alla distanza della costruzione della La Pi., posta sul confine ad una distanza inferiore a cinque metri in violazione dell’art. 18 delle N.T.A., non è stata acclarata dalla citata sentenza dello stesso Tribunale n. 1697/2011 (in cui sono riportate le risultanze di una verificazione che non sono poi poste a base della stessa decisione), essendo invece conseguente al frazionamento derivante dalla compravendita di parte di un appezzamento originariamente appartenente ad un unico proprietario.
13.7. Sono congrue le ulteriori motivazioni poste a base del provvedimento di annullamento. Queste ultime riguardano, in particolare, la circostanza che il corpo di fabbrica unico progettato dalla La Pi. andava ad occupare una striscia di suolo sottoposta a vincolo di inedificabilità perché destinata a viabilità (cfr. prima parte della motivazione del provvedimento n. 7983 del 4 giugno 2012, sopra riportata). L’originaria concessione edilizia rilasciata ai proprietari danti causa della ricorrente ha avuto come premessa la stipula di un atto convenzionale con il Comune (depositato in giudizio a seguito dell’incombente istruttorio disposto con ordinanza di questa Sezione n. 2912 del 7 maggio 2019) nel quale era contenuto l’impegno degli stessi di realizzare direttamente le opere di urbanizzazione a scomputo totale dei contributi sugli oneri di urbanizzazione.
13.8. Su questo obbligo nessun rilievo può avere quanto affermato da parte dell’appellante sulla sua esclusiva proprietà della strada in conseguenza di un accordo che sarebbe intercorso con un assessore del Comune. Rimasto indimostrato tale accordo, come correttamente rilevato dal Tar invece: “ne consegue che l’intervento proposto dalla Pi., che implica l’esclusiva proprietà di essa del tratto di strada su cui verrebbe a sorgere l’edificio e, quindi, l’esclusione della cessione al Comune, presuppone necessariamente la modifica della convezione”.
13.9. Quanto, infine, alla doglianza addotta dalla ricorrente che non sarebbe stata comunque espletata una fase preliminare finalizzata alla eliminazione degli eventuali vizi, onde consentire la conservazione dell’atto, va rilevato che anche se fossero stati presenti tutti gli elementi formali e sostanziali per l’esercizio di tale potere (alternativo a quello dell’annullamento in autotutela), la scelta di convalidare l’atto attiene comunque al merito dell’azione amministrativa e come tale si sottrae al sindacato di legittimità, salvo le macroscopiche ipotesi di arbitrarietà, illogicità, irrazionalità, irragionevolezza e/o travisamento dei fatti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 agosto 2016, n. 3674) che nel caso in esame certamente non ricorrono.
14. Il secondo ricorso in appello (n. r.g. 7749/2015), con il quale la società Pi. ha impugnato l’ordine di demolizione conseguente al provvedimento di annullamento del permesso di costruire, è certamente fondato nella parte in cui contrasta la statuizione del Tar che ha ritenuto non impugnabile il provvedimento di demolizione perché meramente confermativo di un inesistente precedente atto comunale.
A tanto consegue il doveroso esame dei motivi di primo grado non valutati dal Tar.
14.1. Giova evidenziare sin da ora che sono infondati i motivi di censura diversi dalla lamentata omessa applicazione dell’art. 38 del TU edilizia (motivi 3°, 4°, 5°, 6°, 7° e 8°del ricorso introduttivo del giudizio).
15. In particolare, va innanzitutto osservato che, contrariamente a quanto affermato dall’appellante (motivi 3° e 6° di primo grado), il provvedimento demolitorio ha natura vincolata e dunque non sussisteva in capo all’Amministrazione comunale un obbligo di comunicare preventivamente l’avvio del relativo procedimento.
15.1. Come ha avuto modo di rilevare la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. Ad. plen. n. 9 del 2017), l’ordine di demolizione è un atto vincolato ancorato esclusivamente alla sussistenza di opere abusive e non richiede una motivazione del concreto interesse pubblico. In sostanza, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l’Amministrazione ha il dovere di adottarlo, essendo la relativa ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore. In ragione della natura vincolata dell’ordine di demolizione, non è pertanto necessaria la preventiva comunicazione di avvio del procedimento (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 5595 del 2017 e n. 2799 del 2018), né una particolare motivazione dello stesso.
15.2. Relativamente alla mancata indicazione dell’area oggetto di un eventuale provvedimento di acquisizione in caso di inottemperanza all’ordine demolitorio (motivo 8°), va poi sottolineato che “l’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione è normativamente configurato alla stregua di un atto ad efficacia meramente dichiarativa, che si limita a formalizzare l’effetto (acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale) già verificatosi alla scadenza del termine assegnato con l’ingiunzione stessa. La giurisprudenza ha pacificamente confermato tale lettura, affermando che l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere edilizie abusivamente realizzate è una misura di carattere sanzionatorio che consegue automaticamente all’inottemperanza dell’ordine di demolizione” (cfr. ex multis, Cons. di Stato, Sez. IV, 27 luglio 2017, n. 3728). Ne consegue, data la natura dichiarativa dell’accertamento dell’inottemperanza, che la mancata indicazione dell’area nel provvedimento di demolizione può comunque essere colmata con l’indicazione della stessa nel successivo procedimento di acquisizione.
15.3. L’individuazione dell’area da acquisirsi non deve infatti essere necessariamente contenuta nel provvedimento di ingiunzione di demolizione, a pena di illegittimità dello stesso, ben potendo essere riportata nel momento in cui si procede all’acquisizione del bene. L’omessa indicazione nell’ordinanza di demolizione dell’area che viene acquisita di diritto e gratuitamente al patrimonio del Comune ai sensi dell’art. 31, comma 3, del TU edilizia per il caso di inottemperanza all’ordine di demolizione non costituisce ragione di illegittimità dell’ordinanza stessa giacché la posizione del destinatario dell’ingiunzione è tutelata dalla previsione di un successivo e distinto procedimento di acquisizione dell’area, rispetto al quale, tra l’altro, assume un ruolo imprescindibile l’atto di accertamento dell’inottemperanza nel quale va indicata con precisione l’area da acquisire al patrimonio comunale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 755/2018).
15.4. Quanto alla contestata mancanza nella sentenza n. 997/2013 di un accertamento sulla reale distanza del fabbricato della ricorrente (motivo 4° del ricorso di primo grado), la censura:
a) è inammissibile perché riferita a provvedimento oggetto di un diverso giudizio oltretutto definito in senso sfavorevole all’interessato;
b) infondata in fatto perché, come sopra indicato, la circostanza non ha rilievo essendo il provvedimento di annullamento presupposto, sorretto in via autonoma e sufficiente, dall’ulteriore spunto motivazionale relativo all’occupazione dell’area da destinare a strada secondo il piano di lottizzazione.
15.5. Altrettanto infondati sono poi gli ulteriori profili di gravame (motivi 5° e 7° del ricorso di primo grado) sull’adozione del provvedimento impugnato in costanza di appello della sentenza n. 997/2013 (la stessa, come sopra indicato, non è stata sospesa) e sul provvedimento contraddittorio dell’Amministrazione (profilo semmai riguardante il provvedimento di autotutela e non quello di demolizione).
16. Passando all’esame dei primi due motivi del ricorso originario – relativi nella sostanza all’omessa applicazione dell’art. 38 del TU edilizia – occorre preliminarmente evidenziare che:
a) è rimasto confermato il provvedimento di autotutela all’esito della reiezione dell’appello sulla sentenza n. 997/2013 e si è quindi consolidata anche la motivazione della demolizione incentrata sulla violazione della disciplina urbanistica concernente la viabilità;
b) tale violazione è certamente di carattere sostanziale perché incide sull’ordinato assetto del territorio;
c) il Comune, con l’ordinanza demolitoria, ha inteso aderire in modo implicito, ma univoco alla tesi che l’art. 38 non trovi applicazione per le violazioni c.d. sostanziali della disciplina urbanistica;
d) in ordine alla possibilità che il più volte menzionato art. 38 trovi, invece, applicazione anche per questo tipo di violazioni, questa Sezione ha di recente deferito la questione all’Adunanza plenaria, con ordinanza n. 1735 dell’11 marzo 2020.
16.1. Ciò premesso, risulta con evidenza che l’eventuale accoglimento dei primi due motivi dipende dai principi che saranno elaborati sul punto dall’Adunanza plenaria. Per questa ragione, il Collegio ritiene di sospendere in parte qua il giudizio in attesa della decisione della stessa Adunanza, ai sensi del combinato disposto degli articoli 79, comma 1, c.p.a. e 75, comma 3, c.p.p., ricorrendo i presupposti per la c.d. “sospensione impropria” del processo amministrativo (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. n. 28 del 2014; Sez. III, n. 8204 del 2019 e Sez. IV, n. 3339 del 2016).
16.2. Resta fermo che il termine per la prosecuzione del giudizio sospeso è quello sancito dall’art. 80, comma 1, c.p.a. relativo a tutte le ipotesi di sospensione del processo amministrativo (novanta giorni), termine decorrente, nel caso di specie, dalla data pubblicazione della decisione della Adunanza plenaria (notoriamente accessibile dal sito internet della Giustizia Amministrativa).
17. Per le ragioni sopra esposte, va quindi respinto il ricorso n. r.g. 4612/2014 e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata.
17.1. Quanto al ricorso n. 7749/2015 – accolto il primo mezzo di gravame che ha assodato l’erroneità della statuizione di inammissibilità della sentenza del Tar – nel merito, vanno respinti tutti i motivi articolati in prime cure e riproposti in questa sede, ad eccezione di quelli relativi all’applicazione dell’art. 38 TU edilizia (motivi 1° e 2° del ricorso di primo grado) in relazione ai quali il giudizio è sospeso nei termini sopra indicati.
18. Le spese di giudizio relative ai riuniti ricorsi sono riservate alla definizione della controversia, fermo restando che ai fini del pagamento del contributo unificato in primo e secondo grado per il ricorso n. r.g. 4612/2014 è soccombente la società La Pi..
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), in relazione ai ricorsi riuniti, come in epigrafe proposti:
a) definitivamente pronunciando sul ricorso n. r.g. 4612/2014, lo respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza del Tar per la Calabria, sede di Catanzaro, sezione prima, n. 997 del 6 febbraio 2013;
b) non definitivamente pronunciando sul ricorso n. r.g. 7749/2015:
b1) respinge i motivi di appello che ripropongono il 3°, 4°, 5°, 6°, 7° e 8° motivo del ricorso di primo grado;
b2) in relazione ai motivi di appello che ripropongono il 1° e 2° motivo del ricorso di primo grado, sospende il giudizio nei termini di cui in motivazione;
c) riserva alla definizione della lite la regolazione delle spese dei giudizi riuniti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2020, svoltasi da remoto in audio conferenza, ai sensi dell’art. 84, comma 6, del decreto legge n. 18 del 2020, convertito dalla legge n. 27 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere, Estensore
Silvia Martino – Consigliere
Roberto Proietti – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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