Rito del lavoro e la riformulazione dei capitoli di prova testimoniale

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 marzo 2024| n. 6470.

Rito del lavoro e la riformulazione dei capitoli di prova testimoniale

Nel rito del lavoro, la riformulazione dei capitoli di prova testimoniale, attività funzionale ad emendare un’irregolarità che non consente l’ammissione delle istanze istruttorie, è possibile, previa assegnazione del termine perentorio di cinque giorni anteriore all’udienza di discussione ex art. 420, comma 6, c.p.c., la cui inosservanza comporta la decadenza dalla richiesta prova testimoniale.

 

Ordinanza|12 marzo 2024| n. 6470. Rito del lavoro e la riformulazione dei capitoli di prova testimoniale

Data udienza 21 dicembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Inps – Contributi – Rito del lavoro – Atto introduttivo del giudizio contenente i capitoli di prova testimoniale – Omessa enunciazione delle persone da interrogare – Decadenza dalla relativa istanza istruttoria – Esclusione – Mera irregolarità – Onere del giudice di indicare un termine perentorio per la regolarizzazione dell’omissione

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente
Dott. CAVALLARO Luigi – Rel. Consigliere

Dott. GNANI Alessandro – Consigliere

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere

Dott. CERULO Angelo – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso 10526-2019 proposto da:

Lo.An., elettivamente domiciliato in Roma, (…), presso lo studio dell’avvocato Da. Le., rappresentato e difeso dall’avvocato Ca. Go.;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – Istituto Nazionale Previdenza Sociale, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Cesare Beccaria 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati An. Sg., Le. Ma., Em. De. Ro., Ca. Da., Gi. Ma., Es. Ad.Sc.;

– controricorrente –

nonché contro

(…) s.c.a.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 257/2018 della Corte d’Appello di Campobasso, depositata il 23/01/2019 R.G.N. 286/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/12/2023 dal Consigliere Dott. Luigi Cavallaro.

Rito del lavoro e la riformulazione dei capitoli di prova testimoniale

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 23.1.2019, la Corte d’appello di Campobasso, in riforma della pronuncia di primo grado e previa ammissione delle prove orali rigettate dal primo giudice, ha rigettato l’opposizione proposta da Lo.An., in proprio e n.q. di legale rapp.te di (…) s.c. a r.l. avverso l’atto di diffida e il verbale di accertamento con cui l’INPS gli aveva richiesto il pagamento di contributi omessi in danno di taluni lavoratori;

che avverso tale pronuncia Lo.An. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura, successivamente illustrati con memoria;

che l’INPS ha resistito con controricorso;

che (…) s.c.a r.l. è rimasta intimata;

che, chiamata la causa all’adunanza camerale del 21.12.2023, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (articolo 380-bis.1, comma 2°, c.p.c.);

Rito del lavoro e la riformulazione dei capitoli di prova testimoniale

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo di censura, il ricorrente denuncia violazione degli artt. 420 e 421 c.p.c. per avere la Corte di merito ritenuto che avesse errato il primo giudice nel dichiarare l’INPS decaduto dalla prova per testi sul presupposto che non potesse assegnarsi, per la riformulazione dei capitoli di prova, un termine perentorio superiore a quello di cinque giorni di cui all’art. 421 comma 2° c.p.c.;

che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta omesso esame della censura di genericità del verbale di accertamento, già sollevata in prime cure e riproposta in appello, per essersi l’ispettore limitato ad un elenco generico delle diverse fonti tipiche su cui può basarsi l’ispezione senza precisare quale fosse l’elemento cruciale da cui aveva ritratto il suo convincimento in ordine alla sussistenza degli addebiti;

che, con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. per avere la Corte di merito fatto acriticamente proprie le risultanze del verbale ispettivo, “stante l’intervenuta decadenza dell’INPS dalla prova articolata nel corso del giudizio di primo grado e considerata la conseguente inutilizzabilità delle testimonianze erroneamente riammesse” in sede di appello, “pure in assenza di uno specifico potere di reviviscenza in grado di appello di un diritto ormai definitivamente estinto” (così espressamente il ricorso per cassazione, pag. 16);

che, con riguardo al primo motivo, va premesso che, con ordinanza del 17.4.2014, il primo giudice ordinò all’INPS “ai sensi dell’art. 421 c.p.c. di riformulare e depositare entro 10 giorni prima dell’udienza capitoli di prova articolati in circostanze precise, tali da consentire il regolare svolgimento dell’istruttoria” (così il verbale d’udienza, debitamente trascritto a pag. 6 del ricorso per cassazione) e che, con successiva ordinanza del 12.6.2014, dichiarò l’INPS decaduto dalla prova per aver depositato “le note istruttorie contenenti i capitoli di prova orale in ritardo (ovvero, il 3.6.2014) rispetto al termine concesso (di 10 giorni prima dell’udienza del 12.6.2014)” (così la sentenza di primo grado, debitamente trascritta ibid., pag. 8);

che, nel riformare in parte qua la decisione di prime cure, i giudici territoriali hanno rilevato come avesse errato il primo giudice a fissare per la riformulazione dei capitoli di prova un termine perentorio pari a dieci giorni, dovendo in specie applicarsi la previsione dell’art. 421 comma 2° c.p.c. e segnatamente il rinvio che tale disposizione opera nei confronti dell’art. 420, comma 6°, c.p.c., che indica un termine perentorio “non superiore a cinque giorni prima dell’udienza di rinvio”, che l’INPS, in concreto, aveva pienamente rispettato (così l’ordinanza della Corte d’appello del 16.2.2018, debitamente trascritta a pag. 9 del ricorso per cassazione);

Rito del lavoro e la riformulazione dei capitoli di prova testimoniale

che, alla stregua delle anzidette premesse in fatto, dev’essere finalmente vagliata la censura di parte ricorrente secondo cui i giudici territoriali avrebbero erroneamente applicato il termine previsto dall’art. 421 comma 2° c.p.c. per l’ammissione di nuove prove ad un caso che, invece, era qualificarsi in termini di “integrazione e sanatoria delle richieste istruttorie già articolate”, ex art. 421 comma 1° c.p.c. (così il ricorso per cassazione, pag. 10);

che questa Corte, al riguardo, ha già chiarito che, nel rito del lavoro, qualora la parte abbia, con l’atto introduttivo del giudizio, proposto capitoli di prova testimoniale, specificamente indicando di volersi avvalere del relativo mezzo in ordine alle circostanze di fatto ivi allegate, ma omettendo l’enunciazione delle generalità delle persone da interrogare, tale omissione non determina decadenza dalla relativa istanza istruttoria, ma concreta una mera irregolarità, che abilita il giudice all’esercizio del potere-dovere di cui all’art. 421, comma 1°, c.p.c., con la conseguenza che, in sede di pronuncia dei provvedimenti istruttori di cui all’art. 420, il giudice, ove ritenga l’esperimento del detto mezzo pertinente e rilevante ai fini del decidere, deve indicare alla parte istante la riscontrata irregolarità, che allo stato non consente l’ammissione della prova, assegnandole termine per porvi rimedio ed applicando, a tal fine la particolare disciplina dettata dal sesto comma della norma ult. cit., col corollario della decadenza nella sola ipotesi di mancata ottemperanza allo spirare di questo termine, espressamente dichiarato perentorio dal medesimo comma (così Cass. S.U. n. 262 del 1997, seguita da innumerevoli successive conformi);

che, coerentemente con tale principio, si è ritenuto che, poiché nel rito del lavoro i fatti da allegare devono essere indicati in maniera specifica negli atti introduttivi, il giudice, nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 421 comma 1° c.p.c., può assegnare alle parti un termine anche per rimediare alle irregolarità eventualmente rilevate nella capitolazione della prova testimoniale (così Cass. n. 19915 del 2016 e, più recentemente, Cass. n. 48 del 2024);

Rito del lavoro e la riformulazione dei capitoli di prova testimoniale

che la contraria opinione espressa al riguardo da Cass. n. 5950 del 2014, secondo la quale la possibilità di emendare ad una difettosa deduzione della prova testimoniale non sussisterebbe più in ragione dell’avvenuta abrogazione del terzo comma dell’art. 244 c.p.c. ad opera dell’art. 89, L. n. 353/1990, non merita di essere condivisa, avendo le Sezioni Unite di questa Corte ilio tempore precisato che la peculiare combinazione propria del rito del lavoro tra principio dispositivo, che obbedisce alla regola formale di giudizio fondata sull’onere della prova, e principio inquisitorio, che tende alla ricerca della verità reale mediante una rilevante partecipazione ed un’efficace azione del giudice nel processo, suggerisce “un criterio ermeneutico generale per l’identificazione dell’esatta portata del sistema delle preclusioni, nel senso di riconoscere l’attenuazione rispetto ad adempimenti di ordine formale che presuppongano già assolti tempestivamente gli oneri di allegazione immediatamente funzionali all’esigenza, tutelata dal sistema stesso, di una precisa delimitazione, prima dell’udienza di discussione, dei termini oggettivi della controversia e delle relative necessità istruttorie”, con la conseguenza che la possibilità di porre rimedio a lacune formali nella deduzione della prova per testi deve reputarsi “tutt(a) intern(a) al sistema del rito speciale e perciò senza che sia necessario ipotizzare l’operatività del terzo comma dell’art. 244 c.p.c., che, abrogato dall’art. 89, l. n. 353/1990, prevedeva la possibilità che il giudice istruttore concedesse alla parte istante un termine perentorio per l’integrazione dell’istanza di ammissione della prova testimoniale” (così, in motivazione, Cass. S.U. n. 262 del 1997, cit.);

che deve pertanto ritenersi che anche la riformulazione dei capitoli di prova, in quanto attività funzionale ad emendare una irregolarità che non consente allo stato l’ammissione della prova, possa essere consentita previa assegnazione del termine di cinque giorni prima dell’udienza di discussione previsto al comma 6° dell’art. 420 c.p.c., col corollario della decadenza della parte dalla prova nella sola ipotesi di mancata ottemperanza allo spirare di quel termine, ivi espressamente dichiarato perentorio;

Rito del lavoro e la riformulazione dei capitoli di prova testimoniale

che, conseguentemente, il giudice d’appello, al quale venga denunciata l’illegittima sanzione di decadenza dall’istanza di prova testimoniale pronunciata in violazione dell’anzidetto principio, ove riscontri l’effettiva sussistenza del vizio, deve, coerentemente con l’effetto devolutivo del gravame e con la regola della conversione dell’invalidazione nell’impugnazione, trattenere la causa e provvedere sull’istanza di prova testimoniale, ammettendo, ove ricorra ogni altro necessario requisito, la prova stessa e disponendone l’assunzione conformemente al disposto dell’art. 437, 1° e 2° comma c.p.c. (così, in termini, Cass. S.U. n. 262 del 1997, più volte cit.);

che, corretta negli anzidetti termini la motivazione della sentenza impugnata, il primo motivo deve ritenersi infondato; che l’infondatezza del primo motivo reca con sé l’assorbimento del terzo, siccome fondato sull’erroneo presupposto dell’intervenuta decadenza dell’INPS dalla prova articolata nel corso del giudizio di primo grado e della conseguente inutilizzabilità delle testimonianze ammesse in sede di appello;

che il secondo motivo è invece inammissibile per difetto di specificità, atteso che il verbale di accertamento di cui parte ricorrente lamenta la genericità (rectius: di cui parte ricorrente lamenta che i giudici territoriali non abbiano rilevato la genericità) non è stato trascritto nel ricorso per cassazione, nemmeno nella parte idonea a offrire alla censura un non opinabile fondamento fattuale, né si dice in quale luogo del fascicolo processuale e/o di parte esso sarebbe in atto rinvenibile, in spregio dell’art. 366 nn. 4 e 6 c.p.c.;

che il ricorso, pertanto, va conclusivamente rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità in favore della parte controricorrente, giusta il criterio della soccombenza;

che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;

Rito del lavoro e la riformulazione dei capitoli di prova testimoniale

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore della parte controricorrente, che si liquidano in Euro 4.700,00, di cui Euro 4.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 21 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2024.

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