Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 26 novembre 2018, n. 6661.
La massima estrapolata:
Nel rilascio delle autorizzazioni devono tenersi presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere. Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale.
Sentenza 26 novembre 2018, n. 6661
Data udienza 25 settembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2602 del 2012, proposto da
Ma. Lu. Sa. Titolare Esercizio Farmaceutico, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato An. La., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale dei (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Ga. Pa., con domicilio eletto presso lo studio La. Cu. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Quinta n. 5639/2011, resa tra le parti, con cui era respinto il ricorso per l’annullamento dell’ordinanza n. 02/a.p. del 7 febbraio 2011, avente ad oggetto la chiusura della farmacia sita in Comune di (omissis) alla via (omissis), angolo via (omissis);
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 settembre 2018 il Cons. Solveig Cogliani e uditi per l’Amministrazione l’Avvocato Pa. Su. su delega di Ga. Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I – Con il ricorso in appello indicato in epigrafe, l’istante – premesso di essere titolare della prima Sede farmaceutica del Comune di (omissis) con esercizio in via (omissis) – esponeva di aver ricevuto in data 8 febbraio 2011 la comunicazione dell’ordinanza a recante la chiusura della farmacia per mancanza del certificato di agibilità .
Avverso tale provvedimento, l’odierna appellante proponeva ricorso.
Il giudice di primo grado respingeva il gravame sulla base delle seguenti considerazioni:
“Dalla acquisita documentazione (non gravata né censurata con motivi aggiunti o ulteriori contestazioni successive al deposito in giudizio) è emerso che la giustificazione del censurato atto risiede nell’accertata assenza del certificato di agibilità ex art. 24 T.U. n. 380/2001 e del permesso di costruire, in quanto oggetto di annullamento con provvedimento del Comune di (omissis) n. 58 del 14.10.2009”. Precisava che: “non può revocarsi in dubbio che il legittimo esercizio dell’attività farmaceutica – connotata da peculiare esigenze di spiccata ed accurata idoneità anche sul versante della regolarità dei locali ove si svolge – sia ancorato, per l’intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali stessi.
Del pari non possono trovare accoglimento le censure di ordine formale incentrate sulla violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale ex L. 241/1990”.
Il ricorso in appello è affidato ai seguenti motivi:
a) violazione dell’art. 21, l. 6 dicembre 1971 N. 1034, violazione degli artt. 1, 3 e 7 l. n. 241/90, eccesso di potere per violazione dei principi di trasparenza e partecipazione amministrativa error in iudicando; secondo la prospettazione di parte appellante, infatti, il primo giudice non avrebbe tenuto in considerazione le violazioni contestate con riferimento all’aggravamento del procedimento ed all’omesso preavviso pur in presenza di una situazione che perdurava da anni;
b) violazione dell’art. 21 l. 6 dicembre 1971, n. 1034, violazione e falsa applicazione dell’art. 24 del T.U. 380/2001, violazione e falsa applicazione della nota del N.A.S. Comando Carabinieri per la Tutela della Salute di Caserta N. 33/39 che il Comune di (omissis) afferma di aver ricevuto in data 1 dicembre 2010, error in iudicando, poiché l’appellante era stata autorizzata al trasferimento nei locali indicati con decreto del dirigente del settore tecnico amministrativo dei Caserta dell’Area Generale e coordinamento ed assistenza sanitaria della Regione Campania n. 26 del 6 marzo 2009.
Si è costituito il Comune per resistere.
All’udienza del 25 settembre la causa è stata trattenuta in decisione.
II – L’appello è infondato.
Osserva il Collegio che l’agibilità dei locali attesta non solo la salubrità degli ambienti ma anche la conformità dell’opera realizzata rispetto al progetto approvato (Cons. Stato, Sez. V, n. 3212/18).
Orbene, la costante giurisprudenza amministrativa è nel senso di ritenere che nel rilascio delle autorizzazioni devono tenersi presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere (Cons. Stato, sez. IV, 14 ottobre 2011, n. 5537). Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale (cfr. Cons. Stato, VI, 23 ottobre 2015, n. 4880).
Nel caso in esame, constatata la carenza del presupposto di cui in argomento, il Comune non avrebbe potuto fare altro che impedire lo svolgimento dell’attività mediante l’adozione di un provvedimento di natura doverosa e vincolata, che, perciò, resiste anche alla (ulteriormente dedotta) censura di omessa preavviso.
III – Per quanto sin qui evidenziato, l’appello deve essere respinto. La parte appellante deve essere condannata al pagamento a favore del Comune resistente, delle spese del presente grado di giudizio che sono determinate in complessivi euro 1500,00 (millecinquecento/00).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto, conferma la sentenza n. 5639 del 2011.
Condanna la parte appellante al pagamento a favore del Comune appellato, delle spese del presente grado di giudizio che sono determinate in complessivi euro 1500,00 (millecinquecento/00). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere, Estensore
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