Rifiuto di autotutela fondato per inoppugnabilità del provvedimento

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 7 gennaio 2019, n. 159.

La massima estrapolata:

A fronte di un rifiuto di autotutela fondato sul rilievo dell’inoppugnabilità del provvedimento e sulla inidoneità dei fatti sopravvenuti a determinarne l’inefficacia, la situazione giuridica soggettiva tutelabile in capo a chi si dolga del diniego non muta per effetto della presentazione dell’istanza di autotutela (non assume perciò consistenza di interesse legittimo), ma rimane quella configurabile in ordine al bene della vita finale cui aspira il soggetto.

Sentenza 7 gennaio 2019, n. 159

Data udienza 25 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3323 del 2018, proposto da
-OMISSIS-in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato En. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gr. e As. S.r.l. in Roma, corso (…);
contro
Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali – Ispettorato Repressioni Frodi Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, anche domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente diniego autotutela su ordinanza-ingiunzione di pagamento;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali -Ispettorato Repressioni Frodi Roma;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2018 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti l’avvocato En. Fo. e l’avvocato dello Stato Da. Gi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. A seguito di accertamenti della Guardia di Finanza, l’Ispettorato centrale repressione frodi del MIPAAF ha emesso nei confronti della -OMISSIS-(d’ora in poi,-OMISSIS-), odierna appellante, l’ordinanza-ingiunzione n. -OMISSIS-, a titolo di sanzione amministrativa per aver concorso ai sensi dell’art. 5 della legge 689/1981 nell’indebita percezione di premi comunitari da parte della cooperativa -OMISSIS-(la quale, negli anni 1991-1993, avrebbe emesso in favore di alcune società fatture false per operazioni inesistenti al fine di conseguire indebitamente aiuti per la trasformazione e commercializzazione del tabacco).
2. Il Tribunale di -OMISSIS-, con sentenza n. -OMISSIS-, ha rigettato l’opposizione avverso la predetta ordinanza-ingiunzione. La Cassazione ha respinto il ricorso avverso detta pronuncia, con sentenza n. -OMISSIS-.
3. Il pagamento delle relative somme è avvenuto, a partire dal 2010, nell’ambito della procedura concordato preventivo per cessione di beni della società, definita presso il Tribunale di Chieti.
4. Tuttavia, le ordinanze-ingiunzioni emesse per gli stessi motivi nei confronti di altre società destinatarie delle fatture della suddetta cooperativa (-OMISSIS-e -OMISSIS-) sono state annullate in sede giurisdizionale dal Tribunale competente; con sentenza n. -OMISSIS-, il Tribunale di -OMISSIS- ha assolto i rappresentanti legali della cooperativa per insussistenza del fatto contestato; in data -OMISSIS-, AGEA ha archiviato il procedimento di recupero delle somme che erano state ritenute indebitamente percepite dalla cooperativa.
5. In data -OMISSIS-,-OMISSIS- ha chiesto al Ministero l’annullamento o la revoca in autotutela dell’ordinanza-ingiunzione n. -OMISSIS-, in ragione della necessaria riconsiderazione degli elementi in fatto e in diritto alla base della sanzione (l’insussistenza del fatto illecito accertata in sede penale impedirebbe anche in sede amministrativa ogni ragionevole ipotesi di concorso nello stesso fatto), con conseguente restituzione delle somme versate a titolo di sanzione amministrativa.
6. Il Ministero, in esito ad un lungo procedimento ed acquisito anche un parere dell’Avvocatura dello Stato, con provvedimento in data -OMISSIS-ha negato l’intervento in autotutela. In particolare, sottolineando che l’art. 3 della legge 898/1986, in tema di indebita percezione di aiuti comunitari in agricoltura “prevede per la medesima fattispecie rispettivamente un illecito penale e uno amministrativo e quindi un’ipotesi di doppia punibilità alla quale deve essere applicato un cumulo materiale tra sanzioni di diversa specie”, e facendone discendere che “la definizione del procedimento amministrativo sanzionatorio può ben concretarsi nell’adozione di un provvedimento difforme nei contenuti rispetto alla decisione adottata in sede penale, come nel caso di specie, in cui il procedimento penale e quello amministrativo coinvolgono di fatto soggetti diversi seppur corresponsabili nella stessa condotta illecita”.
7.-OMISSIS- ha pertanto impugnato il diniego dinanzi al TAR del Lazio, chiedendone l’annullamento e chiedendo la declaratoria del proprio diritto alla restituzione delle somme indebitamente versate a titolo di sanzione amministrativa.
A tal fine, ha in sostanza lamentato:
– che il Ministero non abbia valutato il mutamento della-situazionedi fatto a seguito dell’evoluzione del contenzioso; mentre invece, a fronte di un’istanza di ritiro di un provvedimento amministrativo, avrebbe avuto l’obbligo (quantomeno) di prendere in considerazione tutte le questioni prospettate, dandone atto nella motivazione del provvedimento;
– che la motivazione del diniego sia illogica e contraddittoria, in quanto l’istanza non tendeva ad affermare l’efficacia diretta della sentenza di proscioglimento in relazione alla vicenda amministrativa ma era mirata a conseguire la rivalutazione della posizione dell’istante alla luce di un accertamento giurisdizionale che riguardava un profilo determinante nella vicenda (di pretesa appropriazione di finanziamenti comunitari, che è alla base sia del giudizio penale che del procedimento concluso con la sanzione amministrativa).
8. Il TAR, con la sentenza appellata (II-ter, n. -OMISSIS-), ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
Nella sentenza viene in particolare affermato, sulla base del criterio generale di riparto, che “la causa petendi della controversia esonda in particolare nella diretta cognizione della-situazionedella posizione soggettiva da condursi sull’accertamento (con potenziale efficacia di giudicato) di un proprio diritto (ossia quello alla restituzione, per effetto delle sopravvenute pronunce giurisdizionali, delle somme già versate quale sanzione amministrativa), la cui tutela non è dunque riconducibile alla giurisdizione amministrativa”.
9. Nell’appello, si contesta la decisione sulla giurisdizione, sostenendo in sintesi che:
– la-situazionegiuridica soggettiva azionata non è il diritto soggettivo alla restituzione delle somme pagate a titolo di sanzione amministrativa, bensì l’interesse legittimo connesso all’esercizio del potere di autotutela della p.a.;
– si tratta di un interesse legittimo pretensivo all’adozione di provvedimento che ponga rimedio alla-situazioneparadossale in cui versa l’appellante (che solo la p.a. può rimuovere, stante la insindacabilità dinanzi al giudice amministrativo delle sanzioni pecuniarie, ed il giudicato formatosi dinanzi al giudice civile sulla ingiunzione), e infatti nessun motivo di ricorso riguarda la legittimità dell’ordinanza-ingiunzione, ma il ricorso è rivolto a contestare la legittimità del diniego di autotutela opposto all’istanza;
– l’effetto conformativo dell’accoglimento del ricorso sarebbe soltanto l’obbligo di adottare un provvedimento motivato sull’istanza di autotutela.
10. Resiste per il Ministero l’Avvocatura Generale dello Stato, insistendo per la conferma della decisione del TAR.
11. L’appello deve essere respinto.
A ben vedere, la nota prot. -OMISSIS-in data -OMISSIS-, impugnata in primo grado (unitamente agli atti presupposti), si limita a precisare l’autonomia rispetto al giudizio penale del procedimento amministrativo concluso con l’adozione della sanzione a carico di-OMISSIS- (ciò, in quanto il sistema è caratterizzato dalla doppia punibilità e dalla possibilità di un cumulo di sanzioni), e l’esistenza di un giudicato civile sull’ordinanza ingiunzione che ha disposto la restituzione delle somme, per concludere di non poter restituire le somme versate a titolo di sanzione.
Al di là delle espressioni testuali utilizzate, non è quindi qualificabile come un diniego di annullamento o di revoca in autotutela, motivato con la mancanza dei necessari presupposti (vizio di legittimità del provvedimento, interesse pubblico diverso ed ulteriore rispetto a quello al ripristino della legalità violata, recessività degli interessi al mantenimento della-situazionedeterminata dal provvedimento illegittimo, etc.), quanto propriamente di un rifiuto, per mancanza della volontà, prima che della possibilità giuridica di intervenire in autotutela.
E’ pacifico che, in simili casi, pur in presenza di elementi sopravvenuti potenzialmente idonei a mettere in discussione i presupposti alla base di un provvedimento divenuto inoppugnabile, non vi è un obbligo di adottare un provvedimento di autotutela. Soltanto qualora l’Amministrazione abbia concretamente riesaminato il merito della pretesa, per poi negare discrezionalmente l’autotutela per mancanza dei relativi presupposti, è possibile attivare il sindacato del giudice per far valere l’erroneità di detta valutazione.
L’appellante ha impostato il proprio gravame in questa direzione.
Tuttavia, per quanto sopra esposto, manca il presupposto fondamentale per poter sindacare quello che risulta essere un rifiuto, più che un diniego di autotutela.
In altri termini, a fronte di un rifiuto di autotutela fondato sul rilievo dell’inoppugnabilità del provvedimento e sulla inidoneità dei fatti sopravvenuti a determinarne l’inefficacia, la-situazionegiuridica soggettiva tutelabile in capo a chi si dolga del diniego non muta per effetto della presentazione dell’istanza di autotutela (non assume perciò consistenza di interesse legittimo), ma rimane quella configurabile in ordine al bene della vita finale cui aspira il soggetto.
12. In conclusione, è corretta la valutazione operata dal TAR, che ha qualificato la causa petendi azionata in relazione al diritto soggettivo alla restituzione di quanto indebitamente pagato a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria, soggetta alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell’art. 22 della legge 689/1981.
13. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la società appellante al pagamento in favore del Ministero appellato della somma di euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre agli accessori di legge, per le spese del grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la società appellante e le altre imprese menzionate nella sentenza.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Umberto Realfonzo – Consigliere
Pierfrancesco Ungari – Consigliere, Estensore
Stefania Santoleri – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere

Avv. Renato D’Isa

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