Il riesame di un provvedimento

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 3 marzo 2020, n. 1542.

La massima estrapolata:

Il riesame di un provvedimento costituisce espressione di un potere discrezionale anche a fronte di istanze dei privati, le quali hanno valore di mere denunce, con funzione sollecitatoria.

Sentenza 3 marzo 2020, n. 1542

Data udienza 20 febbraio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2844 del 2014, proposto da
Sa. Se., rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Va., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
COMUNE DI PARMA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ad. Ro., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (…);
nei confronti
CA. DI RI. DI PA. E PI. S.P.A. ed altri non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, sezione di Parma, n. 255 del 2013;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Parma;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2020 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Fr. Va. e Ad. Ro.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Ritenuto che il giudizio può essere definito con sentenza emessa ai sensi dell’art. 74 c.p.a.;
Rilevato in fatto che:
– in data 28 marzo 1989, i coniugi Se. acquistavano da Fe. Gu. una unità immobiliare in Parma, in via (omissis) n. (omissis);
– nell’atto notarile la venditrice dichiarava che “sono state presentate al Comune di Parma, a norma dell’art. 35 della L. n. 47/1985, domanda di sanatoria in data 26 settembre 1986 prot. 73210 a riguardo delle parti condominiali dell’edificio nonché domanda di sanatoria presentata al Comune di Parma pure in data 26 settembre 1986 prot. 73215 […] inerente all’unità immobiliare compravenduta”;
– il Comune di Parma accoglieva le istanze di condono, con provvedimenti del 23 marzo 1989 n. 7183 (istanza 73210/86) e 14 novembre 1992 n. 6810 (istanza 73215), i quali si consolidavano per mancata impugnazione;
– i coniugi Se., a questo punto, inviavano agli uffici comunali richiesta di riesame dei provvedimenti di sanatoria, ma il Comune, con provvedimento in data 21 aprile 2011, prot. n. 73046, comunicava l’intenzione di non procedere all’annullamento in autotutela, rilevando quanto segue: “a riscontro delle Sue innumerevoli sollecitazioni per l’annullamento dei condoni di cui alloggetto, come già più volte ribadito, codesta Amministrazione ritiene di aver fatto tutto ciò che potesse rientrare nelle sue competenze, avendo portato a conoscenza delle Sue segnalazioni le autorità competenti. Non si ritiene di dover agire nella direzione da Lei auspicata in quanto, a distanza di tanti anni non si rilevano più i presupposti. Data l’annosità della questione, ci è parso opportuno riesaminare la questione al fine di provare la totale dedizione alle Sue richieste nonché l’interesse di codesta Amministrazione a procedere per la soluzione della problematica. La verifica dei documenti in nostro possesso nonché di quelli trasmessi dalle controparti, di cui i nostri uffici non erano nemmeno a conoscenza (come ad es. sent. Tribunale di Parma n. 304/2007), ha contribuito a perfezionare la successiva istruttoria sul rilascio e sull’eventuale annullamento dei condoni di cui alloggetto. Ciò ha portato alla totale definizione delle incertezze da Lei continuamente insinuate. Non sussistono i presupposti per ritenere illegittimi i provvedimenti de quo, né un interesse pubblico tale da rimuovere gli effetti che i condoni hanno stabilito, stante il lungo lasso di tempo intercorso e le memorie ricevute nonché le varie decisioni dei Giudici aditi. Conseguentemente, nonostante le innumerevoli richiesti in tal senso, non si rilevano i motivi per procedere all’annullamento dei condoni n. 6810 e n. 7183/86. Si sottolinea che abbiamo prontamente risposto a tutte le Autorità da Lei interpellate adducendo le stesse motivazioni di cui alla presente. Stante quanto esposto, La invitiamo a prendere in considerazioni le motivazioni esposte e a valutare l’opportunità di non continuare ad inviare richiami e lagnanze avanzati pubblicamente sulla qualità del lavoro di codesta Amministrazione”;
– il signor Se. impugnava il diniego di autotutela, sollevando le seguenti censure:
a) difetto di motivazione: l’Amministrazione non avrebbe esaminato e comunque adeguatamente motivato il diniego di autotutela con riguardo a tutti i vari profili di illegittimità denunziati;
b) difetto di istruttoria e contraddittorietà : l’Amministrazione, dopo avere manifestato propensione all’accoglimento delle sollecitazioni dell’istante, le avrebbe poi disattese senza esplicitare le ragioni per le quali determinate attività istruttorie non erano state compiute (in particolare, la richiesta di parere legale);
c) violazione degli articoli 27 e 51 del d.P.R. n. 380 del 2001: basandosi i provvedimenti di condono rilasciati su false attestazioni, l’Amministrazione avrebbe dovuto esercitare i poteri repressivi previsti dalla legge;
– il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna, con sentenza n. 255 del 2013, disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalle controparti, respingeva il ricorso con condanna del ricorrente alle spese di lite;
– avverso la predetta sentenza, ha proposto appello il signor Sa. Se., riproponendo in sostanza i motivi già sollevati in primo grado, sia pure adattati all’impianto motivazionale della pronuncia gravata;
– in particolare, l’appellante ha sostenuto che:
i) nel caso di annullamento d’ufficio di un titolo abilitativo edilizio consequenziale ad una falsa o comunque erronea rappresentazione dello stato di fatto preesistente al suo rilascio, l’interesse pubblico all’esercizio della potestà di autotutela sussisterebbe in re ipsa e non necessiterebbe di alcuna motivazione ulteriore sul punto;
ii) il decorso di un lungo lasso di tempo, nel caso di specie, sarebbe imputabile unicamente all’inerzia ingiustificata dell’Amministrazione;
iii) per via delle iniziative intraprese dall’appellante per la tutela dei propri interessi, non avrebbe potuto reputarsi sussistente un affidamento dei controinteressati circa la legittimità di quanto effettuato;
iv) contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, un volta rinnovato il procedimento non vi sarebbe alcun motivo di ritenere che l’Amministrazione sia esentata dall’obbligo di fornire una puntuale ed esaustiva motivazione sui punti che sono stati oggetto di contestazione;
v) la sentenza impugnata non avrebbe preso in considerazioni: le raccomandate inviate dal Comune ai controinteressati, nel 2008 e 2009, con le quali si evidenziavano le irregolarità e falsità lamentate nei vari esposti da parte del Se. relativamente alle pratiche di condono riguardanti anche il condominio sito sulla Via (omissis), ai numeri civici 22 e 24; ) la raccomandata del giugno 2009 dello stesso servizio comunale, in risposta a segnalazione dello stesso appellante, con cui si rilevava, attesa la complessità delle questioni sollevate, l’esigenza di “acquisizione di autorevole parere legale” che poi non era stato mai raccolto;
vi) lamentando la violazione degli artt. 27 e 51 del d.P.R. n. 380 del 2001, egli avrebbe inteso, non solo provocare la rimozione d’ufficio delle concessioni in sanatoria rilasciate a favore dei controinteressati, ma anche piuttosto stimolare l’adozione dei doverosi provvedimenti sanzionatori, atteso che le domande di condono erano basate su falsi presupposti accertati tramite consulenze raccolte in sede penale;
– si è costituito in giudizio il Comune, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello;
Considerato in diritto che:
– la sentenza di primo grado deve essere integralmente confermata;
– l’interessato non ha proposto impugnazione avverso gli atti asseritamente illegittimi, di cui aveva avuto piena conoscenza (come si ricava dal contenuto dall’atto pubblico in cui era intervenuto);
– il provvedimento impugnato – con il quale l’amministrazione ha riscontrato le numerose istanze proposte dall’odierno appellante, affermando l’insussistenza dei presupposti per ritenere illegittimi i provvedimenti di condono e di un interesse pubblico al loro annullamento – va qualificato in termini di atto di conferma in senso proprio (e, dunque, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini), in quanto preceduto dall’espressa riconsiderazione degli elementi di fatto e di diritto implicati nella fattispecie considerata;
– il riesame di un provvedimento costituisce espressione di un potere discrezionale anche a fronte di istanze dei privati, le quali hanno valore di mere denunce, con funzione sollecitatoria;
– nel caso in esame, il diniego di autotutela conteneva una motivazione sintetica ma molto chiara: alla luce della documentazione acquisita e delle sentenze passate in giudicato emesse dai giudici civili nelle controversie promosse dallo stesso appellante nei confronti dei controinteressati condomini (in particolare, la sentenza n. 307 del 2007 del Tribunale di Parma, che aveva affermato la regolarità delle distanze e delle altezze delle opere condonate), doveva escludersi la sussistenza nei provvedimenti di condono delle irregolarità lamentate dall’istante;
– è dirimente considerare che l’appellante non ha mosso alcuna specifica censura avverso questo capo della motivazione del diniego di autotutela;
– nel caso in cui il provvedimento impugnato si fondi su una pluralità di ragioni autonome, il giudice, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell’atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità, ha la potestà di respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo, con assorbimento delle censure dedotte avverso altri capi del provvedimento, in quanto la conservazione dell’atto implica la perdita di interesse del ricorrente all’esame delle altre doglianze;
– deve poi aggiungersi che l’istante non ha dato alcuna prova delle falsità asseritamente commesse dai controinteressati;
– in questo contesto, l’Amministrazione ha legittimamente tenuto conto anche della durata del tempo trascorso – quasi dieci anni a fronte di titoli edilizi rilasciati nel 1989 e nel 1992 -, tra gli elementi di comparazione tra l’interesse attuale all’eliminazione dell’atto (rispetto al quale, come si è detto, non era neppure emersa alcuna anomalia viziante) e la contrapposta posizione consolidata;
– l’appello va dunque integralmente respinto;
– le spese del secondo grado di lite, seguono la soccombenza secondo la regola generale;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 2844 del 2014, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l’appellante al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio in favore dell’Amministrazione comunale costituita, che si liquidano in Euro 3.500,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere, Estensore
Giordano Lamberti – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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