La ricorrente che impugna la propria esclusione dalla gara

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 23 agosto 2019, n. 5834.

La massima estrapolata:

La ricorrente che impugna la propria esclusione dalla gara, e, solo di riflesso, l’aggiudicazione della commessa ad un terzo, non deve superare la cd. prova di resistenza: ai fini della dimostrazione del proprio interesse a ricorrere è infatti sufficiente che la ricorrente esclusa alleghi doglianze tali da poter astrattamente condurre alla soddisfazione della pretesa che anche la propria offerta di gara formi oggetto di valutazione in comparazione con le altre.

Sentenza 23 agosto 2019, n. 5834

Data udienza 20 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 10046 del 2018, proposto da
Sc. Co. s.r.l.s, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Fr. An. Ca., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Sa. Ga. Co. a.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ar. Pr. e La. Fa., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via (…);
nei confronti
Ministero della difesa – Aeronautica Militare – 2° Reparto Genio A.M., in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via (…), è elettivamente domiciliato;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Prima n. 06691/2018, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della difesa e di Sa. Ga. Co. a.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 giugno 2019 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Fr. Ca. ed Ar. Pr., nonché l’avvocato dello Stato Eu. De Bo.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Risulta dagli atti che la società cooperativa Sa. Ga. partecipava ad una procedura negoziata indetta dal Ministero della Difesa – Aeronautica Militare – 2° Reparto Genio A.M. per l’affidamento di interventi di manutenzione ordinaria della rete idrica potabile nella Zona Logistica – Prog 2/2018/0711, dichiarando nella propria offerta tecnica di avvalersi della SO. de. Ve. Co. s.r.l., indicata quale impresa ausiliaria, relativamente alla categoria OG 6, classifica III).
Il relativo contratto di avvalimento veniva stipulato in data 13 settembre 2018.
In data 19 settembre 2018, però, la stazione appaltante ne disponeva l’esclusione per mancanza dell’attestazione SOA in capo alla ditta ausiliata.
All’esito delle operazioni di gara risultava migliore offerente la concorrente Sc. Co. s.r.l., in favore della quale veniva disposta l’aggiudicazione in data 1° ottobre 2018.
Avverso la propria esclusione, contro la lex specialis di gara e nei confronti del provvedimento di aggiudicazione in favore della Sc. Co. s.r.l., la Sa. Ga. s.c.a.r.l. ricorreva al Tribunale amministrativo della Campania, chiedendone l’annullamento previa concessione di idonee misure cautelari.
In ordine ai profili di gravame dedotti, con un primo motivo la ricorrente lamentava l’illegittimità dell’esclusione, atteso che il ricorso all’istituto dell’avvalimento era espressamente consentito dalla lex specialis; peraltro, anche ove si fosse voluta ritenere a tal fine ostativa la previsione di cui all’art. 20 del bando (che imponeva ai concorrenti che ricorrono all’avvalimento, a pena esclusione, di possedere una propria attestazione SOA), nel caso di specie tale regola avrebbe dovuto essere disapplicata, in quanto di dubbia interpretazione e contraddittoria, in attuazione del principio del favor partecipationis.
Con il secondo motivo veniva invece proposta azione di nullità della clausola di cui all’art. 20 del bando, in quanto contraria al principio di tassatività delle clausole di esclusione di cui all’art. 83, comma 8 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, non figurando l’obbligo di possesso di un’attestazione SOA in capo all’ausiliata quale condizione per il ricorso all’avvalimento nell’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Costituitasi in giudizio, la Sc. Co. s.r.l. eccepiva l’irricevibilità del ricorso per mancata tempestiva impugnazione del bando, da ritenersi immediatamente lesivo in quanto contenente una clausola ostativa della partecipazione, rispetto alla cui applicazione la stazione appaltante era vincolata.
Si costituiva in giudizio anche il Ministero della difesa, concludendo per l’infondatezza del gravame.
Con sentenza 19 novembre 2018, n. 6691, resa in forma semplificata, il giudice adito accoglieva il ricorso, annullando la clausola dell’art. 20 del bando di gara, conseguentemente annullando il provvedimento di esclusione della società ricorrente e tutti i successivi atti del procedimento di gara, compresa l’aggiudicazione in favore della Sc. Co. s.c.a.r.l.
Quest’ultima società, a tal punto, interponeva appello avverso detta decisione, deducendo i seguenti motivi di impugnazione:
1) Error in procedendo e in iudicando dei primi giudici per non aver assunto dato certatorio ed accertatorio sulla effettività del bene della vita oggetto della legittimazione pretensiva di cui all’instaurato giudizio. Violazione dell’art. 100 c.p.c., in forza dell’espresso richiamo di cui all’art. 39, comma 1 c.p.a., attesa la mancata verifica in termini, ex art. 35, comma 1, lett. b) c.p.a.
2) Error in procedendo e in iudicando dei primi giudici con relativo sviamento ed eccesso di potere giurisdizionale per aver asserito la sussistenza di un vizio di nullità rapportandolo ad un potere esercitato praeter legem, mentre invece trattasi, a tutto voler concedere, di un’ipotesi violativa contra legem. Originaria carenza di interesse per omessa ed immediata impugnativa della clausola autonomamente lesiva della lex specialis, per inutile decorso del relativo termine processuale. Inammissibilità del ricorso originario.
3) Conseguente error in procedendo e in iudicando dei primi giudici per violazione dell’art. 100 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 35, comma 1 lett. b) c.p.a., atteso il decorso dei termini perentoriamente stabiliti dall’art. 120, comma 5 c.p.a. Preclusa possibilità di impugnare il vincolato atto consequenziale (i.e.: esclusione dalla gara) per omessa impugnazione dell’atto presupposto a palese incidenza lesiva. Inammissibilità del ricorso originario.
4) Conseguente error in procedendo e in iudicando dei primi giudici per non aver considerato la possibilità di prevedere (comunque illegittimamente) la specifica prerogativa di gara, nel solco della decisione dell’intestato Tribunale, Sez. V, n. 1772/13. Ancora eccesso di potere giurisdizionale per sviamento e difetto di puntuale approfondimento sulle motivazioni addotte in sede di (ri)verifica dalla S.A.
Costituitasi in giudizio, la Sa. Ga. s.c.a.r.l. concludeva per l’infondatezza del gravame, chiedendo che fosse respinto.
Anche il Ministero della difesa si costituiva con comparsa di stile, chiedendo invece l’accoglimento dell’appello.
Successivamente le parti ulteriormente ribadivano le proprie tesi difensive ed all’udienza del 20 giugno 2019, dopo la rituale discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Con il primo motivo di appello si contesta l’inammissibilità del ricorso originariamente proposto da Sa. Ga. s.c.a.r.l. per difetto di interesse, dal momento che non sarebbe stata fornita adeguata prova di resistenza tesa ad appurare che, effettivamente, “l’eventuale riammissione in gara dell’impresa concorrente, comporterebbe l’aggiudicazione in suo favore perché la Sa. Ga. ha offerto un prezzo pari al ribasso del 34.480%”, come sostenuto dalla controinteressata.
Il motivo non è fondato.
Va infatti ribadito (ex multis, Cons. Stato, V, 17 novembre 2014, n. 5632) che la ricorrente che impugna la propria esclusione dalla gara (e, solo di riflesso, l’aggiudicazione della commessa ad un terzo) non deve superare la cd. prova di resistenza: ai fini della dimostrazione del proprio interesse a ricorrere è infatti sufficiente che la ricorrente esclusa alleghi doglianze tali da poter astrattamente condurre alla soddisfazione della pretesa che anche la propria offerta di gara formi oggetto di valutazione in comparazione con le altre.
Più nello specifico, la ricorrente – con l’avversare la propria esclusione dalla gara (e solo di riflesso l’aggiudicazione della commessa ad un terzo) – fa valere in giudizio il proprio interesse alla riammissione alla procedura e, pertanto, la pretesa che anche la propria offerta di gara formi oggetto di valutazione da parte della Commissione di gara, in comparazione con le altre.
Con il secondo motivo di appello viene invece dedotto che l’illegittimità ravvisata dal primo giudice erroneamente sarebbe stata qualificata in termini di “nullità “, al più integrando un’ipotesi di annullabilità, con conseguente onere di autonoma e tempestiva impugnazione della relativa disposizione della lex specialis di gara.
Sostiene l’appellante che, “dal momento che è oggetto di indagine l’inibizione a potersi avvalere della cat. SOA OG61, laddove l’art. 89, comma 11 D.Lgs. 50/16, come integrato dal D.M. 248/16 […], indica le perimetrazioni dell’istituto dell’avvalimento nel senso che determinate tipologie di lavori consentono alla S.A. di eluderlo e la possibilità di “pretendere” che la SOA di riferimento sia tanto in capo all’ausiliato concorrente, quanto in capo ad (eventuale) ausiliario, significa travalicare (in asserito eccesso) la disposizione di legge e quindi modulare i dati partecipativi in sproporzione e non che la specifica in contestazione non sia affatto contemplata.
Di talché si è in presenza, semmai, di una ragione di annullabilità, con quanto ne consegue sull’imputazione di carenza di interesse, negletta dai Primi Giudici, rispetto ad un vulnus non gravato nei termini”.
Neppure questo motivo è fondato.
Ai sensi dell’art. 83, comma 8 (ult. cpv) del d.lgs. n. 50 del 2016, “I bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
Nel caso di specie, la clausola del bando oggetto di contestazione (l’art. 20), se da un lato riconosceva che “I concorrenti possono soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale richiesti nel presente bando di gara, avvalendosi dell’attestazione SOA di altro soggetto ad esclusione delle categorie di cui all’art. 2, comma 1 del Decreto ministeriale 10 novembre 2016, n. 248, ai sensi del comma 11 dell’art. 89 del Codice”, al successivo comma secondo aggiungeva però che “Ai sensi del combinato disposto degli articoli 84 e 89, comma 1 del Codice i concorrenti che ricorrono all’istituto dell’avvalimento devono, pena esclusione, essere in possesso di propria attestazione SOA da attestare secondo le modalità indicate nel precedente punto 17 […]”.
Alla luce della complessiva istruttoria di causa ritiene il Collegio, superando quanto rilevato nella precedente ordinanza cautelare 25 gennaio 2019, n. 344, che quest’ultima disposizione non tanto si limiti a disciplinare la modalità di esercizio dell’avvalimento, ma direttamente ne limiti il ricorso.
Invero, la ratio dell’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016 deve essere interpretata alla luce della giurisprudenza amministrativa e comunitaria, garantendo la più ampia partecipazione delle imprese alle gare pubbliche; ciò in conformità all’orientamento della giurisprudenza amministrativa consolidatasi in seguito alla decisione dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio 4 novembre 2016, n. 23, secondo cui l’avvalimento è stato introdotto nell’ordinamento nazionale “in attuazione di puntuali prescrizioni dell’ordinamento UE”, al fine di consentire “l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile”, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione (da ultima, Corte giust. UE, 7 aprile 2016, in causa C-324/14 – Partner Apelski Dariusz), anche con riferimento all’impossibilità di fissare a priori limiti specifici alla possibilità di avvalimento.
Neppure, a rigore, troverebbe applicazione la previsione di cui all’art. 89, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016, per cui la lex specialis potrebbe disporre che taluni compiti essenziali siano svolti direttamente dall’offerente, poiché se anche la disposizione della lex specialis oggetto dell’attuale controversia non vieta l’avvalimento in relazione ad attività ed a compiti specifici, di fatto pone in essere un limite generale al suo ricorso.
Del resto, il testo dell’art. 89 cit. non consente alle stazioni appaltanti di porre limitazioni all’utilizzo dell’avvalimento o di conformare il suo utilizzo, se non nei limiti di cui alle previsioni dei commi 3 e 4 del medesimo art. 89 (ipotesi non ricorrenti, nel caso di specie).
La nullità (vizio il cui rilievo giudiziale non è subordinato al rispetto degli ordinari termini di impugnazione) della disposizione discende dal fatto che la lex specialis di gara – interpretata come fatto dalla stazione appaltante – in sostanza prescriveva che, per poter partecipare alla procedura competitiva fosse necessario disporre comunque di un’attestazione SOA, tant’è che i concorrenti, per potersi eventualmente avvalere di quella di un altro operatore economico, avrebbero in ogni caso dovuto possederne una in proprio.
Una clausola di tal natura dev’essere considerata nulla, non trattandosi di semplice clausola “escludente” (quest’ultima, da impugnare nei termini ordinari di legge): invero, quella delineata dall’art. 20 del bando non era una disciplina, sia pur restrittiva, delle “modalità ” con cui ricorrere all’avvalimento, ma un vero e proprio divieto (di fatto) di ricorrere a tale istituto, incompatibile con la norma cogente attualmente prevista all’art. 89 del Codice dei contratti pubblici.
Più nello specifico, si è evidentemente in presenza di un potere esercitato (dalla stazione appaltante) praeter legem, nel richiedere dei requisiti non contemplati dalla norma codicistica ed il cui effetto sarebbe quello di vanificare la stessa ratio applicativa di quest’ultima.
Con il terzo motivo di appello viene dedotto che in ogni caso, anche a voler ritenere nulla la clausola di cui all’art. 20 del bando di gara, troverebbe comunque applicazione la regola processuale stabilita al quinto comma dell’art. 120 Cod. proc. amm., per cui la suddetta clausola, in quanto “autonomamente lesiva”, avrebbe comunque dovuto essere impugnata nel termine di trenta giorni “dalla pubblicazione di cui all’articolo 66, comma 8, dello stesso decreto” (id est, l’art. 76, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016), con conseguente inammissibilità dell’introduttivo gravame.
Neppure questo motivo può essere accolto, anche alla luce delle considerazioni svolte in ordine al precedente.
Invero, la clausola “escludente” cui si riferisce l’art. 120 comma 5 del Cod. proc. amm. è una clausola affetta da vizio di legittimità “ordinario”, ossia “annullabile”, in grado cioè di produrre validamente effetti sin tanto che la sua invalidità non venga accertata dal giudice amministrativo (e, quindi, rimossa con sentenza), cui si correla il preciso onere per l’interessato di proporre da subito specifica e tempestiva azione di annullamento; per contro, nel caso di previsione nulla – in quanto tale insuscettibile di produrre validamente effetti – trova applicazione la speciale disciplina processuale dell’all’art. 31, comma 4 Cod. proc. amm., per cui “la domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di centottanta giorni. La nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice […]”. Trattasi cioè di azione non costitutiva, bensì di mero accertamento.
Il termine di 180 giorni risulta essere stato rispettato, nel caso di specie.
Infine, con il quarto motivo di appello viene dedotto che l’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016 attribuirebbe alle stazioni appaltanti, in sede di definizione della lex specialis di gara, la possibilità di contenere la portata del ricorso all’avvalimento in relazione alla natura o all’importo dell’appalto, purché tale possibilità sia esercitata indicando espressamente nel bando di gara gli eventuali limiti.
Il motivo non può trovare accoglimento, sia per la sua evidente genericità, sia per la palese contraddizione con i principi generali di matrice eurounitari in materia. Al riguardo, si richiamano le considerazioni svolte – da ultimo – nel precedente di Cons. Stato, V, 23 luglio 2018, n. 4440, a mente del quale “l’avvalimento è stato introdotto nell’ordinamento nazionale “in attuazione di puntuali prescrizioni dell’ordinamento UE”, al fine di consentire “l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile”, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE (da ultimo: Corte di Giustizia, sentenza 7 aprile 2016 in causa C-324/14 – Partner Apelski Dariusz), anche con riferimento all’impossibilità di fissare a priori limiti specifici alla possibilità di avvalimento, anche frazionato, delle capacità di soggetti terzi (cfr. Corte Giust. UE, Sez. VI, 2 giugno 2016, C-27/15, punto 33). La facoltà di ricorrere all’avvalimento, sancito agli articoli 47, paragrafo 2, e 48, paragrafo 3 della citata direttiva, tenuto conto dell’importanza che esso riveste nell’ambito della normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici, pone una regola generale di cui le Amministrazioni aggiudicatrici devono tenere conto allorché esercitano le loro competenze di verifica dell’idoneità dell’offerente ad eseguire un determinato appalto (cfr. Corte Giust. UE, Sez. I, 7 aprile 2016, C-324/14, punto 35 – Consiglio di Stato sentenza n. 4440 del 2018), senza poterla restringere”.
A voler per contro accedere alla generica interpretazione dell’appellante si finirebbe – nel caso di specie – col restringere, al di fuori dei casi normativamente previsti dall’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016, l’ambito di applicazione dell’istituto dell’avvalimento.
Conclusivamente, alla luce dei rilievi che precedono, l’appello va respinto.
La particolarità delle questioni esaminate giustifica peraltro, ad avviso del Collegio, l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite del grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere, Estensore
Federico Di Matteo – Consigliere
Alberto Urso – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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